Allenarsi ridendo: fisiologia del ridere

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Alfredo Calligaris*

* Commissione Scientifica FMSI

Federazione Medico Sportiva Italiana Introduzione

Con queste note vorremmo sollecitare l’attenzione sul fenomeno del “ridere”, come risposta a stimoli diversi, ed esaltarne gli aspetti fisiologici, in particolare, muscolare e nervoso, a convalida della tesi che “ridere” fa bene ed ipotizzarne il possibile utilizzo come criterio di formazione psicofisica dell’atleta di vertice e dello sportivo in genere.

Personalmente, consideriamo il “ridere” il più semplice ed efficace esercizio di respirazione, perché capace di sollecitare l’impegno di molte strutture organiche in modo complesso ed essere, quindi, criterio importante per mantenere l’equilibrio umorale che definisce il nostro stato di salute e di benessere.

Nel corso della vita i motivi per ridere o piangere possono essere molti, scegliere dipende da come interpretiamo ciò che ci accade. Di fatto, l’uomo ha riso e pianto sin dalla sua prima presenza sulla terra e continua a farlo come risposta a motivazioni emozionali. Per carattere, poi, o per saggia valutazione, affronta le situazioni controverse con ottimismo, anche ridendo, filosofia del bicchiere mezzo pieno, convinto che ridere rappresenti un comportamento che facilita il mantenimento di un sano equilibrio psicofisico, o con pessimismo, filosofia del bicchiere mezzo vuoto, rammaricandosi o disperandosi inutilmente.

Molti grandi pensatori hanno affrontato il fenomeno del ridere secondo prospettive diverse, e le speculazioni offerte dalla filosofia e dalla psicologia sono così numerose che occorrerebbero centinaia di pagine per condensarne i contenuti.

Bergson, lo ha definito un problema “di non facile soluzione, sempre d’attualità, che svanisce e torna subito a galla come una sfida impertinente lanciata alla speculazione filosofica”. Darwin ha sviluppato la tesi che l’ominide sia diventato uomo quando ha incominciato a ridere. Forse, esiste nella coscienza umana la capacità di prevedere ciò che è buono e ciò che è nocivo e pericoloso per l’individuo e per la collettività. Concretamente, poi, la neuroanatomia ha individuato che un centro delle emozioni è situato nella parte più vecchia del cervello, paleoencefalo e rinencefalo, che non sono cambiati molto nel corso dell’evoluzione, ed hanno mantenuto pressoché intatto il loro ruolo di regolatori di molte funzioni organiche fondamentali. Nell’evoluzione della specie, infatti, lo sviluppo della corteccia ha messo solo in parte le emozioni sotto il controllo della ragione e dell’intelligenza.

Il bisogno di ridere è, quindi, insito in noi, come dimostra l’apparire del sorriso già nel primo mese di vita ed il riso sonoro, il ridere vero e proprio, già a quattro mesi d’età. Confermando il ruolo comunicativo del riso e la sua valenza nei rapporti interpersonali. La saggezza popolare ne conferma, universalmente, la positività con detti e proverbi, mentre la saggezza del corpo insegna a recepire le sensazioni che esso stimola e a valutare il piacere e gli effetti corroboranti che ne derivano, sia immediati, sia a lungo termine.

 

Perché ridiamo

Il riso è provocato, prevalentemente, da stimoli psichici ed intellettuali e rappresenta la risposta fisica, ad una sollecitazione piacevole, costituita dalle contrazioni muscolari, involontarie, dei muscoli facciali accompagnandole, spesso, con l’emissione di suoni, provocati dai movimenti di contrazione e di decontrazione del diaframma.

In termini fisiologici il riso è il risultato di una risposta riflessa, come dimostrano sia il fenomeno del solletico, sia l’effetto dei gas esilaranti. Il solletico, oltre che riso e piacere può produrre anche fastidio, sofferenza o indifferenza, ed ogni differente reazione dipende dalla predisposizione emotiva e dalla disponibilità al gioco del solleticato e dallo stato di piacere espresso da chi agisce. Il gas esilarante, invece, mette in azione un riflesso più complesso determinato dall’intervento della sostanza utilizzata.  

In termini organici il riso coinvolge, in maniera coordinata, gli apparati muscolare e respiratorio e si manifesta con una vera e propria scarica motoria. Tale scarica sollecita, progressivamente, l’impegno di tutta la muscolatura, volontaria ed involontaria, mettendo in azione i muscoli facciali, della laringe, i muscoli respiratori, il diaframma e molti muscoli dell’addome, del dorso e degli arti superiori ed inferiori. Il rilassamento, invece, che quando si ride si determina in molti settori muscolari è altrettanto involontario e può coinvolgere gli sfinteri. Il detto “pisciarsi addosso dal ridere”, infatti, non è solo un modo di dire, ma una reazione assolutamente fisiologica.

I muscoli del viso, rappresentati dai piccoli muscoli, piatti e circolari, responsabili della nostra espressività, comprendono, simmetricamente, il muscolo frontale, il muscolo temporale, i muscoli piccolo e grande zigomatico e gli orbicolari delle labbra e delle palpebre. Con la loro contrazione sollevano gli angoli della bocca e delle palpebre e creano la classica espressione cosi detta “ridente” mentre, contemporaneamente, si rilassano i muscoli masseteri.

I muscoli della laringe e le corde vocali, invece, sono i muscoli responsabili della sonorità del riso, provocata dalle profonde inspirazioni e dalle brevi e spasmodiche contrazioni del diaframma e dei muscoli accessori della respirazione, scaleni, intercostali e piccoli dentati. Tali muscoli mobilizzano la gabbia toracica in senso verticale, trasversale e anteroposteriore, con il coinvolgimento, complementare dei muscoli toracici e dorsali più importanti.

I muscoli espiratori, intercostali interni, grandi obliqui e trasversi dell’addome, partecipano anch’essi alla meccanica del ridere, ma con un impegno minore e svolgono, quindi, un ruolo meno importante rispetto ai muscoli respiratori, perché l’espirazione deriva, principalmente, dall’elasticità dei tessuti polmonari.

In pratica, ridere, ma anche cantare, tossire e starnutire, sollecita l’espirazione ben oltre quanto sarebbe possibile per l’azione isolata dei polmoni, contribuendo ad una più consistente mobilizzazione della gabbia toracica. Di fatto, meccanica respiratoria e meccanica muscolare agiscono in perfetta sintonia, sollecitando un incremento degli scambi respiratori e trasformando il “riso” in un vero e proprio esercizio di educazione respiratoria.

Ridere è respirare

Nel complesso delle reazioni organiche con fini strutturali, la respirazione rappresenta una parte del processo di degradazione metabolica necessario a produrre energia, mentre l’insieme delle reazioni che supportano i bisogni energetici delle cellule, con particolare riferimento alla contrazione muscolare, attività secretoria, attività nervosa, crescita dei tessuti ed organi e messa in riserva di materiale energetico, si concretano nel processo metabolico.

La respirazione risponde a due diversi tipi di sollecitazione:

– quella del sistema nervoso vegetativo, molto complessa, che concerne l’aspetto omeostatico e soddisfa le necessità vitali fornendo ossigeno ed eliminando anidride carbonica,

– quella del sistema nervoso centrale, che risponde alle sollecitazioni della volontà, indipendentemente dalle finalità omeostatiche.

L’apparato respiratorio è costituito da centri e vie nervosi, dal diaframma, dai muscoli toracici e addominali e dalla gabbia toracica, il cui scopo è modificare il volume dei polmoni. Questi sono in comunicazione con l’aria ambientale attraverso le prime vie aeree, la trachea e le vie bronchiali.

Nel corso dell’inspirazione la gabbia toracica, che è una struttura semirigida, si dilata per l’innalzamento delle costole e l’abbassamento della cupola diaframmatica. Quando il torace si dilata la pressione endopleurica negativa provoca la dilatazione dei polmoni e l’aria ambientale, che ha una pressione lievemente superiore, è risucchiata nei polmoni.

L’espirazione, invece, è un fatto passivo che deriva dal rilassamento dei muscoli respiratori e dall’elasticità dei polmoni.

Il coinvolgimento del sistema respiratorio, che si estende dalla laringe, attraverso la trachea e i bronchi, fino agli alveoli, determina anche la partecipazione attiva del sistema circolatorio, con un’azione polivalente sulla totalità dell’organismo.

Parallelamente agli effetti determinati dall’intervento della muscolatura volontaria sono sollecitati gli interventi del sistema nervoso autonomo, da cui derivano il coinvolgimento dei muscoli del cuore e dei muscoli lisci delle arterie e dei bronchi, con conseguente modificazione della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della ventilazione polmonare.

Ridere, quindi, deve essere considerato non solo un valido esercizio di controllo del respiro, ma anche un criterio per incrementare la propria capacità vitale attraverso la mobilizzazione dell’aria di riserva che il polmone può espellere con l’espirazione volontaria forzata.

 

Neurofisiologia e riso

Ridere mette, dunque, in atto l’intervento di strutture nervose, quali la corteccia, i sistemi nervosi autonomi, simpatico e parasimpatico, e molti mediatori neuro-ormonali. La corteccia, struttura più recente nell’evoluzione del nostro cervello, è la sede del pensiero, della ragione e della riflessione, e dove sono collocate le aree motorie, sensitive, visive, olfattive, uditive, della memoria e del linguaggio, distribuiti nei due emisferi o singolarmente nell’emisfero destro o sinistro.

Per quanto concerne il fenomeno del ridere, il determinante corticale è situato nell’emisfero destro, più precisamente in una zona della corteccia prefrontale. Nella stessa zona è situato anche il centro delle risposte emozionali ed intellettuali, che oltre al riso può comprendere l’ansia, la disperazione, l’estasi e l’ottimismo. Per l’elaborazione delle risposte tale centro è in costante interazione con il sistema limbico.

La localizzazione nell’emisfero destro del centro del ridere, chiarisce perché le situazioni comiche siano percepite in forma complessiva, vale a dire, non accettano l’analisi del fatto comico, perché se illustrato nei dettagli perde la sua validità ilare. La distruzione accidentale, patologica o sperimentale, del centro del ridere comporta l’inibizione assoluta del ridere.

I circuiti cerebrali, per la realizzazione delle interconnessioni neuronali, ricorrono pressoché tutti a processi chimici, mentre i processi elettrici servono a liberare i neurotrasmettitori a livello della sinapsi. L’azione interneuronica dell’acetilcolina, della dopamina, dell’acido gamma-amino-butirrico, della serotonina e della noradrenalina è nota, ma non si hanno certezze per quanto concerne il loro impiego nel riso, ed appare verosimile che esso possa essere attivato da una sostanza specifica. Di fatto, alcuni ricercatori hanno messo in luce che la risata (i pazienti guardavano un film comico) può incrementare la produzione dell’ACTH, del cortisolo del Gh e della prolattina ed esercitare un’influenza significativa sul sistema immunitario, in particolare sulla blastogenesi dei linfociti e sull’attività delle cellule “natural Killer.

 

Allenarsi ridendo (o almeno sorridendo)

Negli anni ’80-’90, vi è stata una riscoperta del “ridere”, come aspetto comportamentale, che ha sollecitato la realizzazione di molte opere a convalida degli effetti distensivi e terapeutici dello stesso, del suo valore come atteggiamento individuale positivo e criterio di tutela e di potenziamento della salute. In alcune di queste opere si anticipava che la ricerca biochimica avrebbe finito col dimostrare, in termini scientifici, lo stretto rapporto tra umore e salute e come, in termini fisiologici, divertimento e riso determinino il realizzarsi di un più corretto equilibrio tra le attività dei sistemi simpatico e parasimpatico, riducendo l’attività delle ghiandole surrenali, con conseguente eliminazione delle paure mentali.

Molte opere, purtroppo, erano e sono solo antologie di barzellette e motti di spirito, spesso, di scarso valore sia ilare, sia culturale, ma in tutte è stato sempre ipotizzato che ridere poteva contribuire a guarire molti malanni, sollecitando una più corretta interazione tra fisico e mentale.

Proprio per migliorare la fondamentale interazione mente-corpo, come criterio di educazione organico-motoria, ci siamo convinti che “l’esercizio del ridere” potrebbe essere utilizzato in ambito sportivo come complemento formativo, ad ogni livello, per garantire il realizzarsi di un corretto equilibrio omeostatico, turbato, spesso, dagli eccessi d’impegno formativo ed agonistico.

In questa visuale, siamo impegnati nella definizione di nuovi criteri metodologici d’utilizzo del “ridere” e dell’umorismo, con finalità rilassanti, rigeneratrici e di potenziamento del sistema immunitario, per facilitare “l’homo athleticus” a migliorare la sua capacità di prestazione psicofisica.

Tutto ciò potrà sembrare una fantasticheria lontana dal mondo della ricerca scientifica e dalla definizione metodologica, ma come dice il fisico Tullio Regge ragione, creatività e fantasia sono mondi meno lontani di quanto si creda. Quindi, l’impegno, non solo mio, dovrà essere quello di combinare metodologia e fantasia, perché importante, nella scienza è cercare per trovare.

 

Bibliografia

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Calligaris A., Le scienze dell’allenamento, SSS-Roma 1997

 

Pubblicato nel “forum”della rivista Medicina dello sport n° 4, dicembre 2005

 

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