Meditazione, mente e cervello

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Giovanna Albertini*

La parola “meditazione” deriva dal verbo latino meditor, “penso a, rifletto su”. Ha la stessa radice del verbo medeor, “curo, sano”, da cui “medico, medicina”. È quindi implicito nel termine un’azione che cura, un atteggiamento volto al risanamento. Si traccia così già dall’etimologia una relazione tra meditazione e salute, intendendo per salute non tanto l’assenza di malattia quanto uno stato di benessere fisico, mentale, spirituale e sociale. Proseguendo a ritroso nell’etimologia, il termine greco médomai deriva dalla radice indoeuropea med, da cui il termine medha, usato negli antichi testi Veda con il senso di “intelligenza”. Di qui, attraverso le permutazioni linguistiche, troviamo un altro verbo greco, manthano, “imparo”, affine al greco ménos e al latino mens, che indicano entrambi la “mente”. !È come se la cura, l’intervento risanante, avesse bisogno di uno strumento che implica la mente.

Cos’è la mente?

Esistono diverse teorie sulla costituzione della mente e sul suo funzionamento, risalenti a Platone, Aristotele e ad altrifilosofi dell’Antica Grecia. Alcune teorie radicate nella teologia, sono focalizzate sulla relazione tra mente e anima. Teorie basate su una comprensione scientifica, vedono la mente come un insieme di “funzioni” svolte da più aree del cervello; funzioni di cui si può avere soggettivamente coscienza: ragionamento, pensiero, memoria, attenzione, volontà, intuizione, emozioni. !Alcuni sostengono che soltanto le più “alte” funzioni intellettive costituiscano la mente: in particolare, la ragione, l’intuizione, la volontà e la memoria. In questa prospettiva le emozioni e i sentimenti avrebbero una natura più “primitiva” e andrebbero pertanto distinte dalla natura della mente. Altri sostengono

invece che l’aspetto razionale di una persona non può essere distinto da quello emozionale, che essi condividono dunque la stessa natura e quindi vanno entrambi considerati come appartenenti alla mente dell’individuo.

Daniel Siegel, psicopedagogista e psichiatra statunitense, ha proposto una definizione operativa della mente su cui anche altri studiosi di neuroscienze concordano: “ La mente è un processo fondato nel corpo e orientato alla

relazione, che regola il flusso di energia e informazioni”.! Il punto più importante che una tale definizione supporta, è voler evitare la semplicistica riduzione della mente alla sola attività del cervello.

E cos’è il cervello?

Il cervello è un sistema complesso, formato da diverse parti connesse tra loro. Le strutture anatomicamente collocate a livello inferiore comprendono il tronco cerebrale il quale regola i processi fisiologici fondamentali e autonomi, cioè indipendenti dalla nostra volontà, come il respiro, la frequenza cardiaca, la temperatura corporea, lo stato di veglia e di sonno oltre i riflessi e il controllo di molti visceri. Superiormente al tronco si trova il talamo, porta d’entrata e di elaborazione delle informazioni sensoriali che giungono al cervello. Nelle zone centrali inferiori si trovano l’ipotalamo e l’ipofisi, deputate al mantenimento degli equilibri ormonali dell’organismo. La connessione endocrina, insieme all’influenza che il cervello esercita sul sistema immunitario e sugli stati corporei per mezzo del sistema nervoso autonomo, con le sue branche simpatico e parasimpatico, è il nesso diretto tra cervello e corpo.

Dal tronco cerebrale, come la chioma di un albero, si sviluppano i due emisferi cerebrali. La parte più superficiale di ogni emisfero è denominata corteccia cerebrale, sede delle funzioni più evolute e complesse. È suddivisa in lobi: frontale, temporale, parietale e occipitale. Ogni lobo è suddiviso in aree.

I due emisferi si sono differenziati a svolgere funzioni diverse permettendo quindi al cervello di raggiungere una complessità funzionale maggiore. L’emisfero sinistro elabora le informazioni in modo analitico, focalizzato, dettagliato e sequenziale. È specializzato nella funzione del linguaggio e nella realizzazione di ragionamenti logici. Se l’emisfero sinistro è più orientato alla percezione dei dettagli, l’emisfero destro è capace di cogliere il contesto e il quadro complessivo di una situazione. È specializzato nel pensiero analogico, nella percezione di figure, strutture e contesti nella loro globalità. Coglie il linguaggio non verbale, elabora le informazioni in modo intuitivo e immediato e coglie del linguaggio, il tono emotivo. La differenziazione funzionale della corteccia cerebrale avviene gradualmente e al momento della nascita è ancora molto immatura. Il processo di crescita e differenziazione dei neuroni, come per tutte le cellule del corpo, è determinato dal patrimonio genetico, ma la qualità delle connessioni nervose che si svilupperanno, è influenzata dalle esperienze che accadono a partire dalla vita intrauterina. Tali esperienze condizioneranno lo sviluppo delle connessioni nervose determinando cambiamenti strutturali nel cervello. Si parla infatti di neuroplasticità, intendendo la crescita di nuove connessioni (sinapsi e dendriti) in risposta a stimoli. Connessioni correlate a cambiamenti della funzione cerebrale, dell’esperienza mentale e degli stati corporei.

!Cosa determina i nostri schemi comportamentali?

Dalla complessità del sistema nervoso emergono le nostre azioni. Se non stiamo attenti, il cervello sceglie per noi, al posto nostro. Quando siamo posti di fronte ad un evento tendiamo a reagire in modo rigido, stereotipato. È insito nel funzionamento di base del sistema nervoso l’abitudine a pensare per categorie, ad attribuire significati a qualcosa che è ancora “in formazione”. Spesso compiamo azioni, persi in pensieri che riguardano qualcosa di diverso rispetto a quello

che stiamo facendo. Ma se la nostra attenzione è diretta verso qualcosa d’altro finiamo con il vivere in modo inconsapevole, automatico e superficiale. 

Perché meditare?

È antica la conoscenza che dall’esperienza della meditazione emerga un’attitudine, una presenza consapevole e attenta al qui ed ora della vita che ci porta ad essere totalmente nel momento presente, liberi dalla distrazione e dalla dispersione. Una capacità ad accorgersi dei costrutti che governano la mente e che ci inducono ad agire in modo automatico e reattivo.!In altre parole, la meditazione interrompe gli automatismi di risposta, permette all’individuo di imparare a schiacciare il tasto “pausa” per evitare di mettere in atto reazioni comportamentali inadeguate o rappresentazioni non autentiche del sé.

La costante pratica amplia la consapevolezza di pensieri, emozioni e sentimenti con un’associazione di idee più ricca nei contenuti. Materiale doloroso può salire in superficie ma si è al contempo più capaci di contenerlo.

La meditazione sviluppa equilibrio emozionale, riduce l’ansia, migliora il tono dell’umore, porta ad un agire più consapevole con un atteggiamento non giudicante rispetto all’esperienza, accresce l’abilità ad entrare in sintonia con le altre persone, incrementa la sensibilità percettiva e la concentrazione, attenua il dolore cronico, migliora la funzione immunitaria e accelera i processi di guarigione.

In sintesi, la meditazione promuove un miglior stato di salute della persona nella sua interezza (mente, cervello, corpo e comportamento) verosimilmente attraverso una modulazione del sistema nervoso, del sistema immunitario e del sistema endocrino.

In Occidente l’interesse per la meditazione risale alla fine degli anni ’60 e con la fine degli anni ’90 è nata l’esigenza di approfondire dal punto di vista scientifico gli effetti sulle strutture cerebrali allo scopo di evidenziare i cambiamenti della microarchitettura del cervello in risposta a tale esperienza. Questo perché se la neuroplasticità è ciò che accade a livello cerebrale in risposta ad uno stimolo/esperienza, la meditazione è fondamentalmente non diversa da qualsiasi altra forma di abilità acquisita e può essere intesa come un “training” che porta a modificazioni neuroplastiche della funzione e della struttura cerebrale. ! Si è quindi aperto un dialogo tra neuroscienze e spiritualità che ha permesso l’incontro tra l’antica sapienza e la moderna metodologia scientifica. Negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi studi effettuati su gruppi di persone prima e dopo un periodo prolungato di pratica (almeno otto settimane) e su persone praticanti, comparando i dati ottenuti con gruppi di persone non praticanti la meditazione.

Quali strumenti sono stati utilizzati? Sono state utilizzate tecnologie di neuroimmagine funzionale: Risonanza magnetica funzionale, SPECT e PET cerebrale, metodi che misurano i cambiamenti del flusso sanguigno e del metabolismo legato all’aumento dell’attività delle cellule nervose nelle varie regioni cerebrali. Tali tecniche permettono di visualizzare l’attivazione o disattivazione di alcune aree durante un compito specifico (ad es.: la pratica della meditazione). Sono stati inoltre effettuati studi utilizzando strumenti di monitoraggio dell’attività elettrica: Potenziali evocati ed Elettroencefalogramma e test di valutazione delle funzioni cognitive memoria e attenzione.

Sono emerse: modificazioni del pattern strutturale e funzionale di alcune aree evidenziate dalla Risonanza magnetica, cambiamenti nei Potenziali evocati corticali in risposta a stimoli visivi, modificazione in ampiezza e sincronia di oscillazioni ad alta frequenza registrate dall’Elettroencefalogramma e miglioramento dei punteggi ottenuti ai Test di valutazione dell’attenzione e della memoria.

È emerso che i cambiamenti sia strutturali che funzionali evidenziati, perdurano oltre la sessione di pratica.

Quali strutture cerebrali sono interessate e quali modificazioni funzionali ne conseguono? Le aree cerebrali sulle quali si è focalizzato l’interesse sono le porzioni mediale e dorso laterale della corteccia prefrontale, il sistema limbico (in particolare la corteccia del cingolo, l’ippocampo e l’amigdala), la corteccia visiva e l’insula. Sono inoltre coinvolte la corteccia prefrontale laterale e alcune regioni parietali appartenenti al network del sistema attenzionale (solco frontale superiore, area supplementaria motoria e solco intraparietale). La corteccia prefrontale funziona da “sistema esecutivo” del cervello e attraverso l’assimilazione dei processi percettivi, volitivi, cognitivi ed emotivi, modula e forma personalità e comportamento. Determina una gamma di abilità che permettono all’individuo di analizzare i propri bisogni, pianificarne la soddisfazione e condurre a termine il progetto pianificato.! Elabora pertanto i processi di gratificazione, motivazione, mantenimento dei livelli attentivi, percezione del tempo e della sequenzialità delle azioni, pianificazione, controllo motorio, inibizione degli stimoli distruttori e regolazione dei processi emotivi. La porzione dorso laterale della corteccia prefrontale è responsabile della memoria di lavoro (la lavagna della mente su cui scriviamo le cose che in un certo momento riteniamo più rilevanti). Si occupa di funzioni esecutive che permettono l’autoregolazione del comportamento. La porzione mediale della corteccia prefrontale è deputata a più funzioni, tra loro correlate che sono: 1)!!! coordinazione delle funzioni di “acceleratore” e “freno” sul corpo da parte del sistema nervoso autonomo. 2)!!! flessibilità di risposta, cioè la capacità di fermarsi un momento prima di agire. È un processo che richiede la valutazione degli stimoli presenti, la selezione tra una varietà di opzioni possibili, l’inizio dell’azione e il ritardo della reazione.

3)!!! intuizione e consapevolezza dei processi corporei. L’intuizione sembra implicare la registrazione delle informazioni che provengono da reti neurali che circondano gli organi interni (intestino, cuore, polmoni). !La “saggezza del corpo” è dunque più di una metafora poetica, è un meccanismo neurale di processi paralleli per mezzo del quale elaboriamo una conoscenza profonda proveniente dai nostri organi interni. Le informazioni vengono registrate nella corteccia prefrontale mediale e influenzano il nostro ragionamento e le nostre reazioni.

4) consapevolezza cosciente di sé, cioè la capacità di collegare passato, presente e futuro in un atto comprensivo.

5) comunicazione sintonizzata tra due persone attraverso il contatto oculare e il non verbale. Implica la coordinazione della propria attività mentale con gli input che provengono da un’altra mente, in un processo di risonanza.

6) empatia, cioè il modo in cui creiamo “mappe” della mente dell’altro e percepiamo così i suoi segnali.

7) equilibrio emozionale,! per le connessioni che quest’area ha con il sistema limbico. Il sistema limbico è la sede dei meccanismi che mediano emozioni, motivazioni e comportamenti correlati con la sopravvivenza della specie; è inoltre implicato nell’integrazione di una serie di processi mentali fondamentali, come l’attribuzione di significati, la regolazione delle emozioni e i processi di memorizzazione.

8) modulazione della paura.! La paura è appresa dal sistema limbico e il suo “disapprendimento” è modulato dalle fibre della corteccia prefrontale mediale.

La meditazione promuove le funzioni integrative della corteccia prefrontale. Si comprende così dove origina il dato esperenziale che la pratica sviluppi stabilità emotiva, flessibilità di risposta, consapevolezza di sé, intuizione, sintonia interpersonale e resilienza. Il maggior contenimento emozionale sembra essere dipendente dalla correlazione esistente tra l’attività della corteccia prefrontale e l’amigdala (oltre alla corteccia cingolata anteriore ad essa funzionalmente connessa). L’amigdala è la parte del nostro “patrimonio istintivo” che ci avverte quando ci troviamo in presenza di un pericolo. Nei soggetti che praticano la meditazione la corteccia prefrontale “parla con l’amigdala e le dice di stare calma”. In uno studio di R. Davidson effettuato su praticanti da lungo tempo e sottoposti ad uno stimolo a forte impatto emozionale, è stata evidenziata una riduzione dell’attivazione dell’amigdala, !proporzionale agli anni di pratica. Ciò è inoltre correlato ad una diminuzione dei comportamenti emozionali reattivi che sarebbero incompatibili con una stabilità della concentrazione. Nello stesso studio (fig. B e C), utilizzando i Potenziali evocati visivi, è emerso quanto l’Attentional blink possa essere allenato dalla pratica. L’attentional blink è un fenomeno in virtù del quale, se nell’arco di un brevissimo tempo scorrono due immagini davanti agli occhi, la prima viene intercettata, la seconda no. È come se si verificasse un temporaneo black-out della coscienza impegnata ad elaborare la prima immagine. In questo studio, i soggetti dovevano guardare uno schermo sul quale compariva una sequenza di lettere e tra queste, due numeri da identificare. Il primo numero è stato riconosciuto facilmente da tutti mentre il secondo numero è stato identificato con maggior frequenza nel gruppo dei praticanti la meditazione. Meditando si può quindi migliorare notevolmente la capacità di cogliere particolari che solitamente non vengono “registrati” dal cervello. In pratica l’allenamento alla meditazione migliora la capacità di prestare attenzione a più particolari contemporaneamente, ad esempio, cogliere veloci cambiamenti nelle espressioni del viso di chi ci sta davanti.

Nella figura D è rappresentato l’aumento dell’ampiezza dell’attività gamma registrato con l’Elettroencefalogramma durante la meditazione. Le onde gamma sono risultate, nel gruppo dei meditatori esperti, di ampiezza significativamente superiore rispetto al gruppo dei non meditatori e fortemente sincronizzate. Precedenti studi hanno evidenziato che la sincronizzazione neurale, in particolare delle onde gamma, è fortemente implicata nei processi mentali superiori come l’attenzione, la memoria di lavoro, l’apprendimento e la percezione cosciente. Un tale risultato suggerisce che, poiché la meditazione potenzia tale sincronizzazione, i processi cognitivi superiori sono competenze flessibili che possono essere allenate. È inoltre provato che queste sincronizzazioni svolgono un ruolo cruciale nella costituzione di reti neurali transitorie e possono indurre cambiamenti sinaptici.

In sostanza, il cervello può favorire la connessione per realizzare funzioni più complesse e adattive. Questa è l’integrazione neurale, il modo in cui il sistema complesso del cervello può diventare flessibile e creare nuove combinazioni di

funzionamento. Il miglioramento della memoria dimostrato dalla somministrazione dei Test di valutazione di tale funzione cognitiva è invece conseguente ad un aumento della densità della materia grigia dell’ippocampo, area cerebrale che può essere considerata il punto di riferimento fondamentale per ciò che riguarda apprendimento e memoria. Corteccia prefrontale, amigdala e ippocampo sono aree coinvolte anche nel sistema di percezione del dolore. Nel cervello di persone che praticano da lungo tempo la meditazione, in seguito all’applicazione di uno stimolo doloroso, si presenta un doppio fenomeno: da un lato si attivano le aree della ricezione del dolore (il cosiddetto circuito nocicettivo) dall’altro si disattivano le aree che sono strettamente collegate alla nocicezione e cioè la corteccia prefrontale, amigdala e ippocampo. Queste ultime aree sono quelle dove si registra la sensazione dolorosa, dove il dolore diventa il nostro dolore, la cui intensità è strettamente dipendente dalla valutazione emozionale che si realizza nel circuito prefrontale- amigdala, anche in base alla memoria di analoghe pregresse esperienze che è fornita dall’ippocampo. Ciò è in linea con le attuali conoscenze sul dolore, definito come una sensazione soggettiva, basata su una relazione complessa e non lineare tra input nocicettivo e sua percezione. I meditatori sono in grado di disaccoppiare circuiti cerebrali normalmente accoppiati, quelli di nocicezione e elaborazione percettiva del dolore, per cui, pur registrando il dolore, ne soffrono meno. Dall’integrazione di più discipline, è stato quindi possibile arrivare ad una conoscenza non scissa tra dati oggettivi e soggettivi che ha consentito di integrare differenti domini del sapere, le scoperte della ricerca e l’analisi dell’esperienza.

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