Lao Tze e il Taoismo

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Paolo Bascioni*

 

E’ difficile o addirittura impossibile ricostruire la vita di Lao Tse. Esiste una tradizione che lo vuole vissuto nel VI secolo a.C., nato nel 604 e morto nel 512 a.C.. e quindi contemporaneo o di poco anteriore a Confucio; anzi, secondo questa tradizione, Confucio lo avrebbe incontrato senza però trarne alcun profitto per il suo pensiero e per la sua opera. I due sarebbero apparsi l’uno all’altro come portatori di ideali e fautori di progettti differenti o inconciliabili. Si tratta di notizie con probabilità più leggendarie che storiche. Questo ha fatto avanzare l’ipotesi che Lao Tse non sia mai esistito. Soprattutto in riferimento agli elementi unitari presenti nello scritto a lui attribuito, si è oggi del parere che l’esistenza di Lao Tse non possa essere messa in dubbio; si è però orientati a porla tra il IV e il III secolo a.C. Spinge a questo anche il fatto che il Taoismo come sistema metafisico e come visione religiosa si diffonde e si afferma in Cina proprio nel III secolo a.C.
Sempre stando alla tradizione che fa riferiemnto a Lao Tse ed alla sua attività, egli avrebbe svolto la funzione di archivista imperiale alla corte degli Chou, ma dopo qualche tempo avrebbe lasciato questo incarico perché nauseato dalla corruzione di governanti e cortigiani; avrebbe intrapreso un viaggio verso l’occidente dell’impero e qui, nella solitudine delle regioni di confine, avrebbe scritto la sua unica opera che contiene tutto il suo pensiero, il “Tao-Te-Chin”, titolo che si può tradurre “Il libro (Chin) del principio primo metafisico (Tao) e dei suoi effetti (Te) nel mondo”. Da questo testo si ricavano i principi del Taoismo. Agli studiosi appare più recente del VI secolo a.C. e da collocare in un periodo non anteriore al IV secolo a.C. e non posteriore all’inizio del II seolo a.C.

In cosa consiste l’insegnamento taoista? La dottrina del Tao esisteva prima del VI secolo a.C.; Lao Tse la intende però in senso etico: il Tao è per lui la “legge morale universale”. Confucio aveva proposto una dottrina intesa a realizzare il miglior goverrno possibile; il suo intento era rivolto al mondo ed alla vita organizzata degli uomini in questo mondo, cioè allo Stato. Lo Stato come convivenza ordinata della società, finalizzato a realizzare la migliore qualità di vita possibile per gli uomini, è il fine perseguito da Confucio. Si dice anche che Confucio persegue la felicità terrena degli uomini.
Lao Tse invece guarda oltre il mondo, oltre la storia e oltre la vita terrena: lo interessa l’Assoluto, l’essere pure, il Tao. La parola Tao, il concetto di Tao ed una elaborazione teorica sul Tao, erano presenti in Cina fin dalla più remota antichità. A Lao Tse si deve però la novità di avere fatto del Tao il principio primo di ordine metafisico e di avere concepito in relazione ad esso, non solo la vita umana, ma anche tutto l’ordine della esistenza. La tradizione taoista è dunque patrimonio della Cina molto prima del VI secolo a.C., ma il Taoismo come sistema dottrinale logico e compiuto e come visione religiosa e matafisica si debbono a Lao Tse che viene pertanto giustamente considerato il fondatore dello stesso Taoismo.  Per Lao Tse, il Tao è il “Princpio primo”; è originario, tutto abbraccia ed è costitutivo di ogni cosa e dell’intero universo. Per farsene una idea per quanto è possibile un po’ più esatta si può fare riferimento al concetto di “puro essere”, proprio della sapienza occidentale. Come tradurre la parola “Tao”? Non sembra si possa tradurre “Legge naturale”, perché la natura è opera del Tao e quindi anche la legge naturale deriva e dipende da esso. Bisogna pure essere attenti a non indicare con il Tao un essere personale e trascendente, perché il Tao è immanente al mondo e dunque da questo punto di vista si identifica con esso; si identifica, ma non si riduce al mondo. Forse il termine più adeguato  per indicare il Tao è “Via”. Il Tao, principio assoluto ed immutabile, è anteriore al mondo ed è anche causa di tutto l’esistente; le cose sono prodotte dal Tao. Esso è innominabile, perché di esso nulla si può dire in quanto non gli si addice nessuna delle “forme” delle quali nel mondo abbiamo esperienza. Dal modo in cui Lao Tse lo presenta e descrive non si può concludere che il Tao sia essere personale e creatore in quanto sembrano presenti sicuri elementi di panteismo e il modo in cui il mondo da esso deriva non esclude l’emanazione necessaria e non scelta; tuttavia gli elementi essenziali del monoteismo sembrano essere salvaguardati. Il Tao non è dunque il “Logos” nel senso in cui la rivelazione e la fede del Cristianesimo si rivolgono a Cristo nel contesto di riferimento a Dio peronale; forse al Tao di Lao Tse si addice meglio la dottrina del logos di Eraclito. Comunque secondo Lao Tse il Tao è così onnipresente che regola anche i due principi, lo Yang attivo e loYin passivo, che determinano e dai quali dipendono tutti gli esseri. In questo contesto di concezione del Tao, a Lao Tse non interessa molto degli spiriti e degli dei; ne parla poco e quasi incidentalmente: essi sono opera del Tao e dipendono dal Tao e, quello che più conta, tutti gli esseri, come hanno nel Tao il proprio principio, così hanno in esso il proprio fine.

Il Tao principio primo nell’ordine dell’esistenza, è anche principio e norma dell’agire umano a tutti i livelli, sia nella vita personale che in quella collettiva; esso si pone come il modello degli uomini. Per onorare il Tao bisogna imitarlo; l’imitazione è il vero culto nei suoi confronti ed è molto più importante del culto esteriore dei riti. Il fondamento della vita morale dell’uomo è dunque l’imitazione del Tao; in questo sta anche la verità per la quale l’uomo è fatto. L’imitazione del Tao non consiste nell’agire esteriore, nel fare, tanto meno nell’attivismo tipico del nostro occidente, ma piuttosto nell’assenza di desideri, nella quiete interiore, nella semplicità di atteggiamenti e comportamenti esteriori. La norma pratica dell’agire morale potrebbe essere sintetizzata in questo trinomio: non azione, semplicità esteriore, assenza di ogni tensione dell’anima. Il modello è costituito da una condizione di vita caraterizzata da pace, tranquillità e silenzio. Dedicarsi alla imitazione del Tao vuol dire ridurre gradatamente la propria azione esteriore fino a giungere ad eliminarla, fino alla inazione. Arrivato a questo punto l’uomo è pervenuto al vero agire, egli vive la vita mistica che è vera azione e vera vita. Nella quiete perfetta non c’è nulla che l’uomo non faccia perché non compie più nulla se non ciò che corrisponde alla sua natura, egli agisce con spontaneità; infatti non opera più per effetto delle passioni e dell’egoismo, ma solo imitando il modo di agire del Tao. In questa corrispondenza tra il Tao e l’agire umano, nell’ambito personale, familiare, nelle relazioni cittadine e nella organizzazione dello Stato, consiste la vera moralità. Ogni altra azione diversamente motivata è egoismo e passionalità.
La religione per Lao Tse e per li Taoismo consiste proprio nella conformità della vita umana, in tutte le sue dimensioni private e pubbliche, con il Tao, nella imitazione di esso. A differenza del Confucianesimo, per il Taoismo non sono importanti le forme del cutlo esteriore. Sul piano politico Lao Tse si pone in una prospettiva diversa da quella di Confucio che aveva sognato un grande impero, bene organizzato e ordinato, sotto la guida di un’unica autorità, quella dell’imperatore. Lao Tse vede più consono alla natura umana uno Stato piccolo, un regno di dimensioni ridotte, sia come territorio che come numero di abiatnti; in esso gli uomini possono condurre una vita semplice, con una organizzazione sociale non burocratizzata, quasi alla maniera patriarcale. Gli Stati debbono essere disarmati, non debbono tra loro condurre guerre e neppure rivalità economiche perché sono le concorrenze ed i conflitti commerciali che producono disillusioni e insoddisfazioni, e queste a loro volta fanno sorgere le guerre. Lao Tse è contro la violenza, sia nei rapporti individuali che in quelli tra i popoli.

Il Taoismo come elaborazione teorica e come applicazione alla vita, privata e pubblica, rappresenta una nobile conquista che contribuì molto alla elevazione morale del popolo cinese, fino a proporre modelli di vita ascetica e mistica con l’obbiettivo di raggiungere il possesso del Tao. Il mistico che arriva al Tao, con l’aiuto anche di esercizi che coinvolgono il corpo, non è più sottoposto alle leggi fisiche e dopo la morte, la sua anima raggiunge l’immortalità in una esistenza spirituale.
A livello popolare la nobile “Via del Tao” degenerò presto in forme di superstizione e di politeismo. Il Taoismo popolare fu dunque caratterizzato da magia, spiritismo, stregoneria. Del resto anche il Taoismo più puro aveva prodotto nel comportamento pratico un certo disprezzo per la vita attiva; ne aveva risentito negativamente la dimensione sociale e politica della Cina, per la mancanza di impegno, preoccupazione e senso di responsabilità nei confronti delle attività terrene che esso sembrava propugnare. Fu così che durante il primo secolo dopo Cristo il Taoismo corse il rischio di scomparire. Anche perché il Buddismo che dall’India si stava diffondendo in Cina, sembrava offrire risposte più adeguate a certe istanze presenti nello stesso Taoismo ed essere quindi in grado di assorbirlo. Fu merito di Chang-Ling se questo rischio fu scongiurato. Chang-Ling organizzò il Taoismo in forma di Monachesimo regolato da norme molto precise e severe che riguardavano la vita dei monaci, il rituale liturgico e la stessa strutturazione della società; nello stesso tempo introdusse nel Taoismo, così riformato, alcuni aspetti del Buddismo. I sacerdoti si dividevano in due classi: quelli che vivevano nel monastero e quelli che condividevano la condizione della gente comune, avevano una loro famiglia e promuovevano la vita religiosa del popolo.
I taoisti hanno anche contribuito alla divinizzazione di Confucio che essi considerarono uno degli dei che sono soggetti al Tao. In tempi più recenti, nel XIX e XX secolo, il Taoismo è andato soggetto ad una decadenza sembrata inarrestabile, per la degenerazione verso forme di magia e di superstizione che di religioso hanno ben poco. Anche il Taoismo è soggetto a persecuzione nella Cina comunista ed è impossibile stabilire quanti siano oggi i suoi seguaci. Statistiche provenienti dalla Cina, che sono però tutte da verificare, direbbero che i confuciani sono circa trecento milioni e i taoisti circa cinquanta milioni.

Per completare il quadro sulla realtà religiosa e culturale della Cina bisognerebbe fare riferimento a molti altri maestri e pensatori; ne ricordiamo almeno due: Mencio e Mo-Tse; si tratta di personaggi che hanno influito di meno nella storia della civiltà cinese, rispetto a Confucio e Lao Tse, ma sono stati pur sempre di grande importanza.
Mencio (390-305 a.C.) fu discepolo di Confucio nel senso di suo seguace, ma vissuto più di un secolo dopo di lui; gli si attribuisce l’opera che ne porta il nome, il “Mencio”, l’ultimo dei quattro scritti che compongono l’ ”Analecta” confuciana. A Confucio, Mencio è strettamente legato nel suo pensiero, così da essere considerato, con probabilità con un po’ di esagerazione, un fondatore del Confucianesimo al pari del suo maestro. Egli in realtà fu solo un riformatore, sia pure molto significativo, e non un fondatore.

Mo-Tse visse nel V secolo a.C. ed ebbe per un certo periodo prestigio ed influenza quanto e forse più di Confucio. Polemizzò contro Confucio e il suo insegnamento, anche se di fatto ne fu influenzato. Nel libro da lui scritto che porta il suo nome, il “Mo-Tse”, cercò una dottrina ed un modello politico e religioso diversi dal Confucianesimo. Confucio aveva sostenuto la tradizione, nella religione, nella organizzazione politica e nella condotta morale privata e pubblica, Mo-Tse volle qualcosa di nuovo e soprattutto di più autentico, sincero, genuino; in una parola meno formalistico. Sul piano politico sostenne il principio della “identificazione”: chi si trova ad un livello inferiore deve obbedire cercando di identificare la propria volontà e la propria azione con la volontà e l’azione del suo superiore. Ne deriva un sistema organizzato in maniera ascendente, cioè che parte dal capo famiglia, passa per i rappresentanti, gli inviati e i ministri dell’imperatore, per arrivare fino a quest’ultimo: ognuno deve identificarsi con la volontà del suo immediato superiore. L’imperatore, che è l’ultimo anello di questa gerarchia, deve identificare la sua volontà e la sua azione con quelle del Cielo. Il Cielo garantisce che questa identificazione dell’imperatore sia sempre corretta e porti benefici a tutti. I mali della società e dello Stato si spiegano come punizione del Cielo per la mancata osservanza del principio di identificazione.
Al Cielo Mo-Tse sembra riconoscere un carattere personale. Di esso si dice che “ama tutti perché illumina tutti”. Il Cielo e gli spiriti amano gli uomini e quindi anche gli uomini debbono fare la stessa cosa. L’uomo giusto segue questi principi. I confuciani sostengono l’amore differenziato. Mo-Tse afferma che l’amore differenziato è un impulso naturale, ma l’uomo per essere giusto deve amare tutti “come i propri genitori”. Per Mo-Tse non è l’impulso naturale che conta e che ha valore, ma quello che si persegue con la volontà; e l’amore universale è frutto di volontà.
Mo-Tse diede origine ad una comunità detta dei “Mohisti” organizzata con disciplina e rigore; questi non disdegnavano  neppure l’uso delle armi per difendere ciò che ritenevano giusto.

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