I Commentari della Cina di Padre Matteo Ricci, Cap X, di varie sette che nella Cina sono intorno alla religione

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Matteo Ricci*

1. Primitiva religione della Cina abbastanza pura e non inferiore a quella dei Greci e dei Romani. 2. Maomettani oriundi della Persia, ora moltiplicati in parecchie migliaia di famiglie, in tutto equiparati agli altri Cinesi. 3. Ebrei ritrovati in Kaifeng e Hangchow. 4. Adoratori della Croce ritrovati; loro apostasia; loro culto della Croce; loro origine straniera. 5. Nomi cinesi delle religioni straniere. 6. Le tre sette religiose della Cina: confucianesimo, buddhismo e taoismo. 7. Il confucianesimo: sua dottrina e sua pratica. 8. Il buddhismo: dottrina, pratica, storia, culto, pagode, bonzi, bonzesse, digiunatori. 9. Il taoismo: origine, taosce, dottrina, pratiche superstiziose, capo. 10. Grande molteplicità di sette che arrivano già a più di 300. 11. Favore degli Imperatori per le tre sette. Grande moltitudine di idoli. 12. Perfetto indifferentismo religioso e ateismo della maggioranza.

 

Di tutte le gentilità venute a notitia della nostra Europa non so di nessuna che avesse manco errori intorno alle cose della religione di quello che ebbe la Cina nella sua prima antichità. Percioché ritruovo ne’ sui libri, che sempre adorono un suppremo nume, che chiamano Re del cielo, o Cielo e Terra, parendo forse a loro che il cielo e la terra erano una cosa animata, e che con il suppremo nume, come sua anima, facevano un corpo vivo. Veneravano anco varij spiriti protectori de’ monti, e de’ fiumi, e di tutte le quattro parti del mondo.

Fecero sempre molto caso di seguire in tutte le loro opere il dettame della ragione che dicevano avere ricevuta dal cielo, e mai credettero del Re del cielo e degli altri spiriti, suoi ministri, cose tanto sconcie, quanto credettero i nostri Romani, i Greci, gli Egittij et altre strane nationi. Di dove si può sperare dalla immensa bontà del Signore, che molti di quegli antichi si salvassero nella legge naturale, con quello agiuto particolare che suole Iddio porgere, a quegli che di sua parte fanno quanto possono per riceverlo. E di ciò danno assai chiaro inditio le loro croniche di quattro milia anni addietro, dove si contano le buone opere che fecero quei primi Cinesi per amore della patria, del ben pubblico et utilità del popolo. Si può anco questo cavare da molti belli libri, che restano sino a questi tempi, di quei loro philosophi antichi, pieni di moltà pietà e buoni avisi per la vita humana et acquistare le virtù, senza niente cedere ai più famosi de’ nostri philosophi antichi.

Ma conciosia che la natura corrotta, se non viene agiuatata dalla gratia divina, sempre da se stessa se ne corre al basso,  vennero poi questi miseri huomini puoco a puoco spegnendo tanto di quel primo lume et ad allargarsi in una libertà sì grande, che dicono e fanno già quanto vogliono de dritto e di torto senza nessuna paura; a talché quei che in questi tempi scappano dall’idolatria, puochi sono che non cadono nell’atheismo.

 

A questo male se ne aggiunse un altro, e fu che, con la vicinanza della Persia, per la parte di ponente, entrorno in questo regno in varij tempi molti della legge maomettana, e si moltiplicorno tanto per generatione ne’ suo figliuoli e nipoti, che già hanno impita tutta la Cina con molte migliaia di famiglie; et quasi in tutte le provincie stanno con molto sumptuose meschite, dove recitano, si circoncidono, e fanno le loro cerimonie. Ma per quello che ho saputo, loro, né seminano, né procurano di divulgare la sua legge, anzi vivono assai soggetti alle leggi della Cina et in grande ignorantia della loro setta, e sono tenuti in puoco conto da’ Cinesi. Con tutto ciò, per esser già tutti naturali, non sospettano di loro nessuna ribellione, e già li lasciano studiare et entrare ne’ gradi et magistrati del regno; e molti di loro, riceuto il grado, lasciano anco la loro antica setta, non gli restando altro di essa che il non mangiare carne di porco per non esser avvezzi a essa.

 

Ritrovassimo parimenti in questo regno, come di poi si dirà, giudei che vivono nella legge antica di Mosè; ma sono puoche famiglie, e non sappiamo avere sinagoga in altra parte che nella metropoli della provincia di Honan, detta Chaifumfù e in quella di Cechiano, detta Hanceufu. In essa guardano con grande veneratione il Pentateuco di Mosè in lettera hebraica, scritto in carta pecora, senza punti al modo antico, irrolati. Degli altri libri del Testamento Vecchio non habbiamo anco saputo quanti ne habbino. Conservano la cirimonia della circoncisione et si astengono dal mangiar porco e d’ogni carne con nervi, conforme al loro antico rito.

Puochi anni sono sapessimo di certo che vi forno anco christiani, specialmente in queste provincie settentrionali, sotto il nome di adoratori della croce, e fiorivano tanto in numero di famiglie, lettere et armi che, sessanta anni fa, i Cinesi vennero ad avere cattiva sospitione di essi, mossa forse dagli maomettani che in ogni parte sono nostri inimici. Per il che li volsero prendere; e così si nascosero tutti, facendosi alcuni turchi e giudei e la magior parte gentili, e le loro chiese furono fatte tempi de’ idoli. Et i suoi discendenti ancorché molti conservino il custume di far la croce nelle cose che mangiano e bevono, restorno con tanta paura che non vogliono confessare esser loro posteri. E nessuno vi è, né tra loro, né di altri, che sappino dare nessuna causa del fare queste croci. Ma nella loro figura chiaramente dimostrano esser figliuoli di gente forastiera nella Cina.

Né anco potessimo sinhora sapere che imagini e che lettera usavano. Solo veddi in mano di un antiquario, che vendeva cose antiche, una campanella assai galante di bronzo, in cima della quale vi era una chiesietta scolpita con una croce inanzi a essa, e all’intorno vi erano parecchie lettere greche, che pare restarebbe di quei christiani antiqui.

 

A tutti questi forastieri chiamano i Cinesi hoeihoei, del qual nome non potessimo sapere l’origine. Ai maomettani chiamano hoeihoei di tre leggi; ai giudei chiamano hoeihoei che togliono i nervi della carne che mangiano; ai christiani chiamano hoeihoei della lettera di dieci, percioché la lettera di dieci nella Cina è una croce perfetta, e qua non vi è né nome né uso della croce.

I maomettani, oltre il nome de isai, che vuol dire iesuini chiamano anco a quei christiani terzai; et uditti dire a un Armenio che nella Persia così chiamavano gli Armenij. Può ben essere che questi christiani originalmente venissero dall’Armenia.

I Cinesi non pongono in numero di leggi nessuna di queste tre, né parlano né disputano di esse ne’ loro libri.

 

E solo dicono esser nel mondo tre leggi diverse cioè: de’ letterati, di Sciechia e di Lauzu, i cui seguaci sono chiamati tausu. Et in queste tre sta divisa tutta la Cina, et i regni vicini che usano della lettera della Cina, come sono Giapponi, Coriani, Leuchiei e Cocincinesi.

 

Quella de’ letterati è la propria antica della Cina, e per questo sempre hebbe et ha oggidì il governo di essa nelle mani; per questo è quella che più fiorisce, tiene più libri et è più stimata. Questa legge pigliano loro non per elettione, ma con lo studio delle lettere la bevono, e nessuno graduato né magistrato lascia di professarla. Il suo autore o restauratore e capo è il Confuzo, del qual parlai sopra nel Cap. (V). Questa legge non tiene idoli, ma solo riverisce il Cielo e la terra o il Re del cielo, come habbiamo già detto, per parergli che governa e sostenta tutte queste cose inferiori. Riverisce anco altri spiriti, ma non gli danno tanto potere quanto danno al Signore del cielo.

I veri letterati niente parlano di quando fu creato questo mondo, né da chi, né come hebbe il suo principio. E dissi i veri letterati; percioché alcuni di puoca autorità fanno certi suoi giudicij assai frivoli e mal fundati; di che si fa puoco caso tra essi.

In questa legge si parla del castigo divino e del premio che hanno da ricevere i cattivi et i buoni; ma il più commune è pensare che ha d’essere in questa vita: o nella stessa persona degli autori del bene e del male, o ne’ suoi discendenti.

Della immortalità dell’anima pare che gli antichi dubitassero manco, anzi derono ad intendere che vivevano molti anni doppo la morte là nel cielo, ma non parlorno punto di stare alcuno nell’inferno. Solo i letterati di questo tempo estinsero a fatto l’anima doppo la morte, et non credono né paradiso né inferno nell’altra vita. Ad alcuni, parendo questo assai duro, dicono che solo l’anima de’ buoni si conserva viva, perché questi con l’essercitio delle buone opere la uniscono e fortificano; il che, non potendo fare i cattivi, usciendo essa dal corpo, dicono che si sparge et annulla.

Ma l’oppinione che adesso è più seguita, pare a me pigliata dalla setta degli idoli da cinquecento anni in qua, è che tutto questo mondo sta composto di una sola sustantia, e che il creatore di esso con il cielo e la terra, gli huomini e gli animali, alberi et herbe con i quattro elementi, tutti fanno un corpo continuo, e tutti sono membri di questo corpo; e da questa unità di sustantia cavano la charità che habbiamo d’aver gli uni con gli altri; con il che tutti gli huomini possono venire a esser simili a Dio per esser della stessa sustantia con esso lui. Il che noi procuriamo di confutare non solo con ragioni, ma anco con autorità de’ loro antichi, che assai chiaramente insegnorno assai differente dottrina.

I letterati, sebene ricognoscono questo suppremo nume del Cielo, non gli fanno però nessun tempio, né gli hanno diputato nessun luogo per adorarlo; e per il conseguente non hanno sacerdoti, né ministri della religione, né riti solenni per guardarsi da tutti, né precetti o comandamenti dati per osservare, né prelato che habbi il carico di dichiarare, promulgare la loro dottrina, o gastigare quei che fanno qualche cosa contra essa; per questo mai recitano niente né in commune né in particulare.

Anzi vogliono che a questo Re del Cielo solo il Re gli deva servire e sacrificare, e se altri lo volessero fare sarebbono gastigati come usurpatori della iurisditione regia; e per questo il Re tiene tempi assai suntuosi nelle due Corti di Pacchino e di Nanchino, del Cielo e della Terra, dove egli in persona gli soleva sacrificare, a certi tempi dell’anno; e adesso manda altri mandarini gravi, che in suo luogo faccino questo offitio, amazando per questo molti bovi e pecore, e facendo molte altre cerimonie in questi doi tempi.

Agli altri spiriti de’ monti e de’ fiumi e delle quattro parti del mondo solo sacrificano certi magistrati grandi e potentati del regno; e nessuno particulare si può mettere in questo.

I libri di questa legge sono li Quattro Libri e le Cinque Dottrine per dove imparano le loro lettere; e non vi è altra cosa di autorità se non commenti sopre questi.

La cosa più solenne tra questi letterati, et usata dal Re sino ad ogni minimo, è le offerte che ogn’anno fanno di carne, di frutte, profumi, e pezze di seta – o di carta nei più poveri –, e di profumi, ai loro antepassati già morti, in certi tempi dell’anno. Et in questo pongono la loro observantia a’ suoi parenti, cioè di «servirgli morti come se fossero vivi». Né per questo pensano che i morti venghino a mangiare le dette cose, o che habbino bisogno di esse; ma dicono far questo per non saper altro modo con che mostrino l’amore e grato animo che hanno verso di loro. E ci dissero alcuni che questa cirimonia fu instituita più per i vivi che per i morti, cioè per insegnare ai figliuoli et alla gente ignorante che honorino e servano ai loro parenti vivi, vedendo che le persone gravi sino a doppo la morte gli fanno gli offitij che gli solevano fare quando erano vivi. E conciosiacosaché né loro riconoschino in questi morti nessuna divinità, né gli chiadano, né sperino da essi niente, sta tutto questo fuori di ogni idolatria, e forse che anco si possi dire non esser nessuna superstitione, sebene serà meglio commutar questo in limosine ai poveri per le anime di tali defunti, quando saranno christiani.

Il proprio tempio de’ letterati è quello del Confuzo, che per legge se gli fa in ogni città, nel luogo che chiamiamo la scuola, molto sontuoso, al quale sta attaccato il palazzo del magistrato che governa quei che hanno già il primo grado nelle sue lettere. Nel più eminente luogo del tempio sta la statua del Confuzo, o in una tavola ben lavorata il suo nome con lettere di oro, et al suo lato le statue o i nomi di altri suoi discepoli, che pur sono tenuti per santi. Nel qual luogo tutti i novilunij e plenilunij vengono i magistrati della città con i detti graduati a fargli riverentia con le sue genuflessioni solite, e gli acendono candele e pongono incenso nel incensiero che tiene avanti l’altare. E parimente nel anniversario del suo natale e certi tempi dell’anno gli offriscono animali morti et altre cose da mangiare con molta solennità, per aggradirgli la buona doctrina che gli lasciò ne’ suoi libri, per mezzo de’ quali conseguittero i loro magistrati e gradi, senza anco recitargli nessuna oratione né chiedergli nessuna cosa, come dicessimo de’ loro morti. Hanno anco altri tempij, fatti agli spiriti protettori di quella città e del palazzo dove fanno audientia; dove anco fanno un giuramento solenne di guardare la giustitia ed administrare fedelmente il suo offitio, quando la prima volta (uno) entra in esso che qua chiamano pigliare il sigillo, e gli fanno altre offerte di carne e profumi. Ma in questi riconoscono podere di premiare e castigare. Il fine di questa legge de’ letterati è la pace e quiete del regno e buon governo delle case e de’ particolari; per le qual cose danno assai buoni avisi, tutti conformi al lume naturale et alla verità catholica. Fanno grande caso delle cinque correlationi che loro chiamano communi agli huomini: cioè di padre e figlio, di marito e moglie, di signore e vassallo, di fratello maggiore e minore, di compagno e compagno; pensando che gli altri regni forastieri non faccino caso di queste relationi.

Vietano il celibato e concedono la poligamia. Hanno molto expresso in tutti i loro libri il 2° precetto della carità, ch’è fare ad altri quello che vogliamo che gli altri ci faccino a noi. E ingrandiscono molto la obedientia de’ figliuoli a suo padre e madre, e la fideltà de’ vassalli a suoi sudditi e maggiori.

E conciosiacosaché loro né comandino, né prohibiscano niente di quello che si ha da credere delle cose dell’altra vita, e molti di loro seguono, insieme con questa sua, le altre due sette, venessimo a conchiudere che non è questa una legge formata, ma solo è propriamente una academia, insituita per il buon governo della republica. E così ben possono esser di questa academia e farsi christiani, posciaché nel suo essentiale non contiene niente contra l’essentia della Fede catholica, né la Fede catholica impedisce niente, anzi agiuta molto alla quiete e pace della repubblica, che i suoi libri pretendono. La 2a setta è quella di Sciechia e Omitofe, che nel Giappone, scrivendoli con l’istesse lettere, pronunciano Sciacca e Amidabu, e chiamano la legge degli fatochei. Questa legge venne alla Cina dalla sua parte ponentale, dal regno che chiamano Thiencio o Scinto, che adesso chiamano i nostri Industano, posto tra il Fiume Indo e Gange, et arrivò alla Cina l’anno sessantacinque doppo la venuta di Christo Nostro Signore al mondo; e scrivono che il Re stesso della Cina là mandò ambasciatori a chiederla per un sogno che aveva hauto. E hebbero da quel regno i libri della legge tradotti in lettera sinica, senza venire ad essa né Sciechia né Omitofe, che in quel tempo erano già morti. Per la qual cosa, essendo cosa certa che questa setta dalla Cina passò al Giappone, non so con che fundamento dicono là i settatori di questa setta che gl’istessi Sciechia e Omitofe furno al Giappone e che questa setta venne dal regno di Siam, per esser questo regno ben conosciuto nella Cina per assai distinto da questo, che gli stessi libri de’ pagodi chiamano Tiencio. Dal sodetto si vede che venne a questi regni questa setta nel tempo che si cominciava la predicatione del Santo Evangelio, e l’apostolo S. Bartolomeo predicava nella India Superiore, che o è l’istesso Industani, o i regni a esso contermini, e l’apostolo S. Tommaso predicava nella India Inferiore al mezzogiorno. E così si può credere che i Cinesi udissero la fama del santo Evangelio, et a questa fama mandassero a chiedere doctrina al ponente, e che, o per errore o per malitia di quei regni dove arrivorno, riportorno in luogo del Evangelio questa falsa dottrina alla Cina.

Gli autori di questa dottrina pare che hebbero notitia de’ nostri philosophi; e così parlano degli quattro elementi, di che è composto questo mondo inferiore, l’huomo e gli altri animali, piante e misti; cosa mai udita prima nella Cina. Parla della molteplicità de’ mondi di Democrito et altri philosophi. Sopra tutto divulgò per queste parti la trasmigratione delle anime di un corpo all’altro, aggiungendo alla opinione di Pittagora molte altre favole per far la loro oppinione più verisimile. E quel che è più, che pare hebbe anco notitia delle cose della christianità assai chiaramente, perché parla di un modo di trinità di tre dei che vengono ad essere un solo. Promettono il paradiso ai buoni e minacciano l’inferno ai cattivi; insegnano a patire e far penitentia; e lodano la vita del celibato, anzi pare che prohibiscono a fatto il matrimonio, e che lascino le loro case e vadino chidendo limosina poveramente in varie peregrinationi. Et hanno in molte cose grandissima combinatione con i nostri riti ecclesiastici. Il loro canto, quando recitano, pare esser propriamente il nostro canto fermo. E tengono ne’ tempij imagini e spere. Vestono i loro ministri certe cappe assai simili a quelle de’ nostri sacerdoti. Hanno nella loro dottrina in molti luoghi il nome di Tolome, che pare con il nome del Santo Apostolo volessero autorizare quello che dicevano in essa.

Ma con questo dicono tante falsità che oscurano tutta la luce che, dalla verità delle cose pigliate da noi, si potrebbe scorgere; perché confusero il cielo e la terra, il paradiso e l’inferno, insegnando che né nell’uno, né nell’altro stanno eternamente le anime, ma vengono di poi di tanti anni a rinascere in diversi mondi che loro pongono, e si possono emendare delli peccati passati; con il che fecero infinito male a questo povero regno. Prohibiscono mangiare carne o altra cosa viva; ma né tutti loro si astengono di essa, e facilmente assolvono di questo et altri peccati con limosine che gli danno, promettendo per mezzo de’ loro offitij liberare quanti vogliono dall’istesso inferno.

Questa setta fu nel principio assai bene riceuta da tutti per parlare sì chiaramente delle immortalità dell’anima e del paradiso doppo la morte.

Ma, come ben notano i loro letterati, quanto parlò più conforme alla ragione di altre sette manifestamente false, tanto magior fu il male che, con le falsitadi che insieme divulgò, fece nel popolo.

Ma quello che più gli fa perdere il credito, e che spesso rinfacciano i letterati ai seguaci di questa setta, fu che il Re et altri principi che nel principio ricevettero questa dottrina, tutti finittero la loro vita con morte violenta, e gli successero molto male tutte le cose, talché, in luogo di buona ventura che questi idoli promettono, ricevettero loro molte disgratie e calamitadi.

Da quel tempo in qua hebbe varij soccessi fiorendo o discadendo in diversi tempi, come flusso e reflusso di mare; ma sempre fu crescendo in libri che, o vennero di novo dalle stesse parti e furno voltati in lettera sinica, o, quello che pare più vero, furno fatti dagli stessi Cinesi. Con che formentorno sempre questo fuoco, senza mai si potere smorciare; anzi fecero una babilonia di dottrina tanto intricata, che non vi è chi la possa ben intendere né dichiarare.

Quello che adesso si vede degli antichi sono moltissimi tempij, e molti di loro assai suntuosi e grandi con idoli di bronzo, di legno, di marmo e di stucco, di smisurata grandezza; a’ quali tempi stanno attaccate grandissime torri di pietra e di mattoni, dove sono molte campane di bronzo e di ferro colato et altri ornamenti di grande valore.

Gli ministri di questa setta sono chiamati osciani. Vanno tutti rasi nella testa e nella barba, contra del custume della Cina; e parte di essi vanno peregrinando e chiedendo limosina per il mondo, parte stanno ne’ monti facendo penitentia: ma la magior parte, che saranno doi o tre milioni, stanno ne’ sopradetti tempi sostentati dalle rendite assegnate anticamente a tali tempij e di limosine che continuamente gli danno, o con quello che guadagnano con sua industria.

Questi ministri sono, e sono tenuti, per la più bassa e vitiosa gente della Cina: sì per la sua origine, perché tutti sono figliuoli di gente bassa e povera, che, essendo fanciulli, sono venduti da’ loro parenti ai osciani vecchi, ai quali dipoi soccedono nella rendita et offitio; sì anco per la ignorantia e mala educatione che tengono fra (i) suoi maestri. E così né sanno lettere, né politia, se non fusse alcuno di qualche ingegno che si dà allo studio e viene a sapere qualche cosa.

E, seben non hanno moglie, sono quegli che manco guardano la castità; sebene, quanto tocca a cosa di donne, lo fanno quanto più nascostamente possono, per non esser castigato dagli magistrati, che gli mettono prigioni, frustano e amazzano senza tenergli nessun rispetto, quando fanno qualche male che si possa provare in giudicio.

Questi tempij, o i conventi di questi tempij, sono divisi in varie stanze, conforme alla loro grandezza; et in ogni stanza vi è uno di quei ministri administratore perpetuo, al quale succedono i suoi discepoli, de’ quali compra egli quanti ne vuole, e può sostentare con sua rendita et industria; et in nessuno di questi conventi vi è prelato di tutti, che habbi molta autorità sopra degli altri.

In tutte queste stanze di questi tempij, per tutta la Cina e molto più nelle Corti, procurano di fare molte camere, per dare a pigione, come tra noi camere locande, a’ forastieri che vengono di altre terre; con che guadagnano molto, perché molti le pigliano e pagano molto bene. E viene adesso un grande convento  ad essere una grande hostaria con grande trafico e matinata di gente di diverse parti. Et il meno che si fa in questi luoghi è l’adoratione degli idoli, o predicare, e trattare della religione.

Con questa loro bassezza sono chiamati da molti alle essequie et offitij di morti, con che guadagnano qualche cosa. Sono ancora chiamati a certe cerimonie di dar libertà ad animali silvestri, sì volatili e terrestri, come aquatili, che gli huomini divoti di questa setta comprano vivi e dipoi li lasciano liberi, o nell’acqua, o nel campo, pensando con questo fare un’opera molto meritoria.

In questi tempi cominciò questa setta a fiorire assai, facendosi molti tempij di novo e rinovandosi i vecchi. Ma la magior parte sono donne, eunuchi e gente rude, specialmente certi huomini che chiamano ciaicuni che, stando in sue case, fanno tutta la sua vita il loro digiuno, astenendosi dalla carne e pesce, e tenendo molti idoli in sua casa, ai quali recitano ogni giorno, et alcuni vanno a recitare alla casa delli altri; con che anco guadagnano qualche limosina.

Vi sono anco donne religiose, che si radono i capelli e non pigliano marito, come osciami, che chiamano nicu, ma in comparatione degli osciani sono assai manco e non stanno molto insieme.

 

La 3a setta è di Laozu, che fu un philosopho contemporaneo di Confuzo, del quale fingono che stette ottanta anni nel ventre de sua madre prima di nascere; per questo lo chiamano Laozu che vuol dire il Filosopho vecchio. Questo né lasciò libro della sua setta, né pare che pretendesse far setta nova; ma dipoi di sua morte i suoi seguaci che chiamano tausu lo pigliorno per suo capo, fingendo varij libri, diversi delle altre sette, con molte favole dette con molto apparato.

I seguaci di questa setta, parte stanno in vari tempij, senza pigliar moglie, allo stesso modo che dicessimo degli osciani, con l’istesso modo di far discepoli de’ putti comprati, e con l’istessa autorità, dissolutione e modo di vivere, ma tengono i capelli e la barba come tutti gli altri Cinesi; solo nella testa, sopre i capelli, tengono un cappelletto di legno con che alquanto si distinguono dagli secolari. Altri sono che pigliano moglie e stanno in sue case, ma recitano per sé e per gli altri la sua dottrina.

Pretendono questi tra gli altri suoi idoli adorare anco il Signore del cielo in figura corporea.

Et in una dottrina fatta da loro stessi finsero molte cose che sono accadute, nel cielo, assai desdicevoli da quel luogo, che sarebbe fuora de mio proposito contarle qui. Solo ne dirò una di dove si potranno congetturare le altre. Et è che dicono il Re del cielo che adesso regna, esser di cognome Ciam, essendo prima un altro di cognome Leu. Questo Re Leu dicono che venne un giorno alla terra a cavallo di un dragone bianco. Et quello di cognome Ciam, che sapeva indovinare le cose future, gli fece un pasto e l’invitò a sua casa; e mentre il Re Leu stava mangiando, nascostamente cavalcò nel dragone bianco e se ne fu al cielo occupando il regno celeste. Laonde, ritornando poi là il Re Leu, ritrovò il suo regno occupato e non potè entrare in esso; solo ottenne dal novo Re Ciam di esse presidente di un monte qua nella Cina, dove se ne sta privato della sua antica dignità. Di modo che quello che questi adesso adorano, confessano loro stessi avere con inganno usurpato il cielo.

Sopre questo Re vi è un altro ternario di numi, uno de’ quali è Laozu che fanno autore di questa setta.

Ambedue queste sette finsero il suo ternario, accioché si vegga chiaro esser il padre della bugia autore di tutte queste, il quale non ha anco lasciato la superba pretensione di voler essere simile al suo Creatore.

Questa setta parla anco del paradiso, che promette a’ suoi, et anco dell’inferno dove vanno i malfattori. Ma sono differenti nel modo di parlare dalla setta di Sciechia; perciocché questi promettono far ire i suoi al paradiso in anima et in corpo, e ne’ suoi tempij tengono le figure di alcuni che finsero essere  di questa guisa volati su nel cielo. A questo fine insegnano fare varij essercitij, sedendo in varie foggie, dicendo certe orationi, e bevendo anco medicine, con le quali, e con l’agiuto de’ loro santi, possono conseguire il vivere eternamente nel cielo, o almeno molti anni in questo mondo. Con essere di queste cose facili a vedere la vanità e bugia, è tanta l’ingordagine che hanno i Cinesi di viver lungo tempo nelle delitie di questo mondo, che molti sono quei che si lasciano persuadere esser cosa possibile, e vivono sino alla morte in questo inganno, facendo tanto fantastichi essercitij, che con essi, molti anco accelerano la morte.

Il proprio offitio di questi tansu è scongiurare i demonij e cacciarli fuora delle case dove si sentono apparire; e fanno questo di doi modi. L’uno è dare certe figure bruttissime degli stessi demonij per attaccare nelle case, dove si sente o si teme avere qualche spirito immondo; con le quali figure, stampate e pinte in carta gialla con inchiostro nero, guadagnano molto. L’altro è l’andare loro stessi a scongiurare e purificare le case; e fanno questo con spada nella mano e con tante grita e strilli che paiono essi gli stessi demonij.

Un altro offitio a loro proprio è chiedere pioggia nel tempo di siccità, e serenità nel tempo di molta pioggia, e impedire le inondationi di acque et altri infortunij pubblichi e particolari. E se loro facessero quello che promettono senza nessuna vergogna, si potrebbe dare qualche scusa a quelli che li chiamano; ma essendo tanto bugiardi in tutto quello che promettono, non so che scusa se gli possa dare.

Pare che alcuni di loro sanno, o seppero, arte magica; se non vogliamo dire che tutto quello che contano di questi huomini è pura bugia.

Risiedono negli tempij del Cielo e della Terra, e sono agiutanti ne’ sacrifici che il Re fa in persona o fanno altri da sua parte, con che guadagnano molta autorità; e loro fanno la musica di questa cappella con tutti gli instrumenti musici della Cina, che, sonati tutti insieme, fanno una grande disconsonantia alle nostre orecchie.

Sono chiamati anco a essequie et offitij de’ morti, e vanno a essi vestiti con le sue cappe molto pretiose, sonando sempre flauti et altri simili instromenti.

Sono anco chiamati a certe processioni, che fanno per santificare le case nove o cacciare di qualche strada ogni spirito immondo, che sogliono in molti luoghi fare li capi delle strade ogn’anno, hora in una strada, hora in altra, alle spese di tutti i vicini.

Questa setta tiene per superiore uno di cognome Ciam, che tiene questa dignità hereditaria de’ suoi antepassati da più di mille anni in qua; e pare che hebbe origine da un negromante che stava in una grotta di un monte nella provincia di Chiansi, dove anco habitano adesso i suoi posteri, et par che insegnò poi quest’arte ai suoi figliuoli, secondo le cose che contano di essi per molte generationi.

Questo superiore sta il più delle volte in Pachino, et è molto stimato dal Re, che lo fa entrare dentro del suo palazzo, e gli benedice le sue case nove o dove hanno paura di qualche spirito. Va per la città con sedia aperta e con lo stato che vanno i magiori mandarini della Corte, con assai buona rendita che il Re gli dà. Ma ci disse un christiano che questi di adesso sono tanto ignoranti, che né pure i sacriligi incantamenti de’ suoi maggiori sanno fare.

Non tiene questo nessun  podere nel popolo, ma solo sopre i suoi tausu, e sopra i loro tempij di quali egli è il suppremo prelato. Molti di questi tausu, intendendo nella falsa regola di viver sempre, vengono a mettersi parimenti nella alchimistica, che è assai annessa alla precedente, seguendo l’essempio de’ suoi santi, che dicono di aver saputa e l’una e l’altra.

 

Questi sono i tre capi originali e principali di questa gentilità. Ma non si contenta con questi il demonio; perché ognuno di essi sta multiplicato per tanti tempi e maestri in altri moltissimi; e così, sebene il nome è di tre, nella realità sono più di trecento le sette di questo regno, et ogni giorno vanno pullulando altre nove, sempre indo di male in peggio, con più corrotti custumi, pretendendo tutti i novi maestri dar magior larghezza di vivere.

 

L’autore di questa casa che adesso regna nella Cina, pretendendo aggradare a tutti, lasciò legge che tutte le tre leggi si conservassero nella Cina per agiuto del regno, dando a tutte i suoi privilegij, con tanto che le due fossero soggette a quella de’ letterati, che aveva da governare la Cina, e per questo nessuno tratta di estinguere nessuna di esse.

Il Re della Cina ordinariamente fa caso e si agiuta di tutte, renovando i tempij di essi et alle volte facendo altri novi.

Le sue Regine sono più divote de’ pagodi e gli fanno molte limosine, sostentando fuora del palazzo molti ministri di ambedue le sette, accioché preghino per loro.

Quello che difficilmente si può credere è la multitudine degli idoli che sono in  questo regno, non solo dentro de’ tempij, che stanno pieni di essi, perché in alcuni ve ne sono fatti molte migliaia di essi, ma anco nelle case de’ particolari ve ne sono assai, in un luogo dedicato a questo; nelle piazze e nelle strade, ne’ monti, nelle barche e ne’ palazzi pubblici non si vede altra cosa che questa abominatione. Sebene nel vero puochi sono che credono molto nissuna cosa che di essi si conta, e solo pensano che, se non fanno bene, almanco non gli può fare nessun male il venerarli esteriormente.

 

La più commune opinione di adesso e de quei che credono esser più savij, è dire che tutte queste tre sette è una stessa cosa, e tutte se possono guardare insieme, con il che ingannano a se stessi et agli altri con grandissimo disordine, parendo a loro che in questa materia di religione, quanto più modi di dire vi sono, tanto più utilità apporta al regno. Et al fine tutto gli riesce il contrario di quello che pretendono; perché, volendo seguire tutte le leggi, vengono a restare senza nessuna, per non seguire nessuna di cuore.

E così altri chiaramente confessando la loro incredulità, altri ingannati dalla falsa persuasione di credere, vengono la magior parte di questa gente a stare nel profundo dell’atheismo.

 

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