Il soffio della vita, il “qi” e la calligrafia cinese

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Anche la calligrafia e la poesia cinesi sono animate dal qi che rappresenta il filo invisibile che sottende il reale e che attraverso la calligrafia prende corpo per animare la poesia.

Video di medicina cinese e medicina integrata: principi, agopuntura, farmacologia, dietetica, massaggio e ginnastiche mediche. qigong,  taijiquan, per la prevenzione e per la terapia.




Scrittura e salute: il soffio della vita – 14 – “qi” calligrafia e poesia cinesi

Anche la calligrafia e la poesia cinesi sono animate dal qi che rappresenta il filo invisibile che sottende il reale e che attraverso la calligrafia prende corpo per animare la poesia.
Video di medicina cinese e medicina integrata: principi, agopuntura, farmacologia, dietetica, massaggio e ginnastiche mediche. qigong, taijiquan, per la prevenzione e per la terapia.




L’“arte come cura in Cina”: calligrafia, pittura, musica, danza alla ricerca della salute*

Lucio Sotte**

I principi dell’arte cinese

In Cina ogni forma di arte ha lo scopo di determinare una lettura della realtà che si collega al suo principio ispiratore, al filo invisibile che sottende ogni elemento, aspetto, particolare della vita del mondo e del cosmo che è l’oggetto del fenomeno artistico.

La pratica artistica si fonda dunque su un lungo tirocinio nel corso del quale l’artista assimila tutte le sfumature, le forme e le figure offerte dalla natura. Quando giunge il momento di realizzare l’opera d’arte – questo è particolarmente vero per la calligrafia, la pittura, la musica, la poesia, la danza – l’esecuzione avviene in modo istantaneo e ritmico come se l’artista non potesse interrompere il soffio vitale che anima l’universo e che lui trasferisce nell’opera attraverso la sua percezione ed interpretazione. In questo risiede la sua condizione di libertà vera alla quale l’artista si abbandona, si tratta di una libertà che concede qualsiasi forma di espressione ma sempre in vista di una realizzazione totale. Attraverso la realizzazione si porta a compimento il proprio desiderio di descrivere o meglio raggiungere attraverso l’opera visibile realizzata l’invisibile, l’invisibile nesso che sottende il reale. Anche chi fruisce dell’arte è coinvolto in questo processo e osservare un dipinto è partecipare al movimento segreto in cui l’artista, spinto dallo spirito, esprime il proprio mondo interiore e collabora per certi versi al senso stesso della creazione.

È per questo motivo che l’arte cinese pur non avendo soggetti religiosi si rivela essa stessa colma di spiritualità, anzi si rivela propriamente spiritualità.

Il suo scopo ultimo non è la volontà di creare oggetti belli, oppure paesaggi gradevoli o poesie gradite. Deve invece creare uno spazio animato dal soffio vitale che si concretizza nell’oggetto, nel pensiero, nella melodia realizzati dall’artista, tale soffio riconduce al filo invisibile che regge il cosmo.

 

L’integrazione degli opposti

Al centro dell’arte i principi della cultura cinese appena trattati trovano sempre espressione. Il Cielo e la Terra, il Vuoto ed il Pieno, lo Yin e lo Yang sono gli opposti che reggono il gesto artistico ed appartengono alla cosmologia ed alla cosmogonia il Qi ed il Li, il Cuore e lo spirito-Shen sono gli opposti che ci ricordano l’uomo che, nell’atto di dipingere, come in qualsiasi altro gesto, intrattiene relazioni sottili con tutto il complesso dell’universo creato.

 

La pittura

Il pittore, così come il calligrafo o il poeta, cerca di interiorizzare gli aspetti infinitamente vari del creato e di scoprire il Qi che li anima per infoderlo nell’opera d’arte che sarà in grado di creare.

«Prima di dipingere un bambù lascialo germogliare in te stesso» afferma Su Tung-po.

 

Fu Pao Shi XX Secolo – Cascate ad ovest di Chunching

 

Il pennello trae dall’inchiostro il primo tratto come simbolo del soffio primordiale ed i tratti successivi sono le emanazioni del soffio vitale. Il Cielo e la Terra, la Montagna e l’Acqua sono le emanazioni dello Yang e dello Yin ed infine l’uomo, in seno al paesaggio (o anche assente dal paesaggio in quanto presente in spirito) come terza entità che permette alle cose create di giungere a compimento.

Wang Yu dice «Che i monti ed i fiumi scaturiscano dall’infinito del cuore».

Zhang Yan Yuan afferma: «Lo spirito viene prima del pennello e permane anche quando il dipinto è ultimato. La completezza è il Qi dello spirito».

Gu Kai Zhi scrive: «Quando dipingi la Montagna devi dimenticare la sua forma e concentrarti ad esprimere il Qi del suo spirito. Il Qi puro porta in basso la Montagna. Questo è il metodo di dipingere le Montagne».

Zhang Geng scrive:

«C’è una bellezza del Qi, trasmessa attraverso l’inchiostro, trasmessa attraverso il pennello, trasmessa attraverso l’azione senza intenzione. Il livello più alto è l’azione senza intenzione. Poi c’è l’azione intenzionale. Poi il pennello, solo alla fine ciò che è trasmesso attraverso il tratto d’inchiostro.

Che significa trasmettere attraverso l’inchiostro? Significa che il dipinto è realizzato utilizzando l’inchiostro come un alone che si spande.

Che significa trasmettere attraverso il pennello? Significa utilizzare un pennello asciutto per realizzare i tratti di inchiostro in modo che la luce si sprigioni.

Che significa azione con intenzione? Significa che l’artista utilizza il movimento dell’inchiostro in modo che corrisponda alla sua intenzione: denso o leggero, spesso o sottile, asciutto o umido, in modo che il gesto sia perfetto.

Che significa azione senza intenzione? Significa che l’artista fissa la sua attenzione e concentrazione ed immediatamente la visione scorre e si manifesta attraverso il fine movimento del polso. L’intenzione originale era di un tipo ed improvvisamente si realizza diversamente….origina dal movimento spirale del pivot del Cielo».

Jiag Hao 800 d.C. afferma:

«Primo il Qi,

secondo la bellezza,

terzo la mente,

quarto la visione,

quinto la linea,

sesto l’inchiostro.»

Si racconta questo episodio del pittore Wu Da Zi:

«Una volta il generale Pei Min diede oro ed una seta a Wu Dao Zi perché gli dipingesse un ritratto. Egli non accettò i doni del generale ma chiese a Pei Min di esercitarsi con la spada davanti a lui per osservare la sua destrezza. Alla fine Wu Da Zi afferrò il pennello e realizzò il ritratto in un baleno come se una forza invisibile si fosse sprigionata dal di dentro per realizzare il gesto».

Il Vuoto è ontologicamente determinante nella pittura cinese.

Mai presenza inerte, esso anima l’insieme. Il Vuoto è il presupposto del soffio, ne rende possibile e garantisce la presenza e lo sviluppo.

Il Vuoto è anche trasformazione e integrazione dei soggetti dipinti.

Il Vuoto tra la montagna e l’acqua è la nuvola che trasforma l’afflato delle cime nello scorrere della corrente e nei gorghi delle onde.

L’arte di accostarsi al dipinto consiste nell’apprezzare l’impalpabile presenza del Vuoto che, attraverso il meno, rende accessibile il più.

Il Vuoto infine è la totalità che unisce ogni particolare, anche quello più separato, in unità.

I tratti, spesso assai discreti, privilegiano l’evocazione che sostituisce la descrizione esauriente.

Il Vuoto non spaventa l’artista cinese perché egli sa che è percorso da forze che, seppur ineffabili, sono pur sempre reali: questo è particolarmente vero nel dipinto paesaggistico di Montagna-Acqua che domina su tutti gli altri generi. Si tratta di un simbolismo che mette in gioco l’uomo come terzo elemento e compimento della coppia.

 

La ginnastica e la danza

«La cultura occidentale si avvicina al nostro corpo immersa nella sua visione dualistica dell’uomo che partendo dalla distinzione tra psiche e soma crea all’inizio una separazione che è successivamente difficile colmare. La res extensa e la res cogitans di Cartesiana memoria sono state il primum movens di due percorsi di studio separati che sono stati realizzati contemporaneamente sullo stesso uomo senza che avvenisse tra loro un reciproco dialogo o contatto. Mentre l’anatomista, l’anatomopatologo e l’istologo prima e il biochimico, il radiologo, il genetista poi approfondivano lo studio della struttura del corpo, lo psicanalista interpretava i movimenti della psiche. In Occidente si è lungamente tentato di riunificare soma e psiche, ma nessuna psicosomatica è stata in grado di riannodare le fila di due tessuti nati su trame così differenti e di ricollegare ciò che era stato pensato diviso al suo esordio. Anche lo studio del movimento soffre di questa distanza tra psiche e soma e si fa fatica ad immaginarlo come un fenomeno integrato anche se esso rappresenta forse una delle migliori realizzazioni ed esemplificazioni dell’unità che ci caratterizza.

 

Hui Zung XII Sec. Uccelli su un ramo di pruno

A fronte di questa visione divisa dell’uomo impostasi nei nostri paesi, in Oriente l’uomo è stato da sempre osservato con uno sguardo olistico e immaginato come una condensazione di Qi che mentre da una parte, nei suoi aspetti più densi, dà origine allo Yin e dunque anche alle strutture materiali del nostro organismo, dall’altra, nei suoi aspetti più eterei, origina lo Yang e di conseguenza organizza lo psichismo.

Non esiste uno psichismo che non si ancori su una struttura materiale e tale struttura si configura coerentemente con il mentale che la organizza, la muove ed in qualche maniera la dirige: in ultima analisi si tratta di due manifestazioni differenti dello stesso fenomeno.

Il pensiero di un movimento del corpo ed il suo contenuto emotivo ed affettivo, la sua realizzazione attraverso l’articolarsi di segmenti ossei mossi dal fenomeno della contrazione muscolare che si esercita attraverso la resistenza tendinea, il suo progetto contenuto nell’elaborazione di un messaggio nervoso che è elettrico prima, ionico poi ed infine molecolare fondato su neurotrasmettitori sono in Cina tutti elementi differenti di un “unico” fenomeno che non può essere pensato se non in maniera olistica. Anzi l’allontanamento da questa unità è il primo segno della malattia, il manifestarsi di una discontinuità è il primo segnale d’allarme di una disritmia che fa “steccare” il suono di una parte del corpo che non è più in grado di accordarsi con l’armonia del tutto.

In Cina anche l’esercizio di danza o di ginnastica si pone in primo luogo un fondamentale obiettivo: riprodurre e riformulare dei modelli che, mentre permettono al corpo di riacquisire la sua instintiva reattività e di ricomporsi in una unità, ne attivano singolarmente ma contestualmente le singole componenti energetiche e psichiche, materiali e meccaniche.

La “corporeità” è espressione Yin del “mentale” Yang e l’armonia del movimento del corpo rappresenta la manifestazione di un corretto equilibrio psichico.

In Occidente lo iato psiche-soma affida all’emisfero cerebrale sinistro la comprensione dell’organizzazione cosciente meccanica e scientifica del moto ed a quello destro la capacità di percezione estetica ed artistica dello stesso fenomeno: il ritmo, il coordinamento e la musicalità espressi nella danza sono manifestazioni artistiche organizzate dall’emisfero destro in cui la “bellezza” del gesto sembra essere disancorata dai fenomeni meccanici, elettrici, biochimici che lo producono che invece sono campo di studio e di applicazione della medicina: la scienza che studia il nostro corpo. La “bellezza” del movimento di una ballerina di danza classica sembra quasi separata dalla “salute” che il movimento stesso esprime, essendo la bellezza un fenomeno puramente estetico e la salute l’esito del buon risultato di un bilanciamento dei nostri equilibri elettrolitici, osmotici, ionici, chimici e mentali.

Uno dei più significativi insegnamenti avuti dal mio contatto col mondo cinese è stato invece il recupero della coscienza che l’estetica del bello equivale all’omeostasi dello stato di salute e che l’acquisizione della salute stessa ed il suo mantenimento corrispondono alla valorizzazione della nostra istintiva tensione al bello.

L’esecuzione di una forma di Tai Ji Quan o di un colpo di Kung Fu è corretta quando è efficace ed è efficace se appare “bella” essendo la bellezza della forma espressione della perfetta armonia del movimento: il gesto diviene l’esteriorizzazione di buon equilibrio Yin-Yang.

La pratica corretta di un esercizio di Qi Gong corrisponde alla bellezza dei gesti con cui viene eseguito che realizza le cosiddette Tre Unioni Interne: quella del Cuore-Xin e dell’Idea-Yi, quella dell’Idea-Yi e dell’Energia-Qi ed infine quella dell’Energia-Qi e della Forza-Li. Quando si impara un qualsiasi movimento si verifica una serie di passaggi: il Cuore, principe dello psichismo, crea l’Idea del movimento (prima unione), l’Idea del movimento genera il Qi che lo sostiene (seconda unione), il Qi si traduce in Forza che si concretizza attraverso l’atto finale, il gesto realizzato (terza unione). Nella fase di apprendimento questi tre passaggi sono successivi e graduali ma, col tempo, la pratica e l’esercizio essi tenderanno a identificarsi in un unico fenomeno che riunisce Cuore-Idea-Qi-Forza: il gesto finale sarà dunque espressione perfetta dell’integrazione psicosomatica e, proprio perché tale, dovrà risultare esteticamente bello.

In qualche maniera la scienza recupera l’arte e la comprende e l’arte si esprime attraverso il linguaggio della scienza.»

 

La scrittura e la poesia

LinYu Tang afferma:

«La posizione della calligrafia cinese nella storia dell’arte mondiale è veramente unica. A motivo dell’uso del pennello che è più mordibo e sensibile di una penna, la calligrafia è stata elevata a livello di un’arte alla pari della pittura. I cinesi sono consci e considerano pittura e calligrafia due arti sorelle che vengono animate dallo stesso soffio. La calligrafia sta alla pittura come la matematica sta all’astronomia ed all’ingegneria».

La scrittura cinese è molto di più che l’uso di simboli arbitrari. Si fonda su rappresentazioni vivide dei movimenti della natura che si contestualizzano in una vera poesia. Tuttavia la lingua cinese sarebbe assai scarsa e la poesia cinese un’arte assai modesta se esse non rappresentassero ciò che è invisibile.

La poesia migliore non affronta le immagini naturali ma pensieri nascosti, suggestioni spirituali e relazioni oscure. La parte più grande della verità naturale è nascosta in processi troppo minuscoli da essere osservati e descritti e contemporaneamente troppo grandi  in vibrazioni, affinità, coesioni. La scrittura cinese include tutto ciò.

Ci si potrebbe chiedere, come hanno fatto i cinesi a costruire questa grande modalità di comprensione intellettuale partendo da una scrittura pittorica. Alla mente occidentale che crede spesso che la verità consista solo di categorie logiche e che condanna l’immaginazione, la percezione dirette questo sembra impossibile. La lingua cinese con le sue categorie descrittive ha collegato il visibile e l’invisibile con lo stesso processo di tutti gli altri antichi popoli. Questo processo si fonda sulla metafora, l’uso di immagini materiali per suggerire quelle immateriali.

In questo la scrittura cinese mostra il suo vantaggio. La sua etimologia è costantemente apprezzabile, essa contiene gli impulsi ed i processi creativi sempre visibili ed in opera. Dopo migliaia di anni le linee del vantaggio  metaforico sono ancora al lavoro e spesso ancora contenute nei significati. In questa maniera ogni parola invece che impoverirsi progressivamente diviene sempre più ricca di secolo in secolo in una nube di significati filosofici e storici, poetici e biografici. Al centro di tutto ciò il simbolo grafico.

La memoria lo può conservare ed utilizzare.

Desidero concludere questa conferenza con una poesia scritta1300 anni or sono da Chen Zhu-ang nel VII secolo d.C. condensa in quattro versi il senso dell’arte cinese:

«Davanti non vedo l’uomo che è passato.

Non vedo, dietro, l’uomo che deve passare.

Pensando al cielo-terra infinito,

solo ed amaro, mi sciolgo in lacrime

 

Bada Sharen XVII Sec. Storni, vecchio albero e roccia I principi dell’arte cinese

In Cina ogni forma di arte ha lo scopo di determinare una lettura della realtà che si collega al suo principio ispiratore, al filo invisibile che sottende ogni elemento, aspetto, particolare della vita del mondo e del cosmo che è l’oggetto del fenomeno artistico.

La pratica artistica si fonda dunque su un lungo tirocinio nel corso del quale l’artista assimila tutte le sfumature, le forme e le figure offerte dalla natura. Quando giunge il momento di realizzare l’opera d’arte – questo è particolarmente vero per la calligrafia, la pittura, la musica, la poesia, la danza – l’esecuzione avviene in modo istantaneo e ritmico come se l’artista non potesse interrompere il soffio vitale che anima l’universo e che lui trasferisce nell’opera attraverso la sua percezione ed interpretazione. In questo risiede la sua condizione di libertà vera alla quale l’artista si abbandona, si tratta di una libertà che concede qualsiasi forma di espressione ma sempre in vista di una realizzazione totale. Attraverso la realizzazione si porta a compimento il proprio desiderio di descrivere o meglio raggiungere attraverso l’opera visibile realizzata l’invisibile, l’invisibile nesso che sottende il reale. Anche chi fruisce dell’arte è coinvolto in questo processo e osservare un dipinto è partecipare al movimento segreto in cui l’artista, spinto dallo spirito, esprime il proprio mondo interiore e collabora per certi versi al senso stesso della creazione.

È per questo motivo che l’arte cinese pur non avendo soggetti religiosi si rivela essa stessa colma di spiritualità, anzi si rivela propriamente spiritualità.

Il suo scopo ultimo non è la volontà di creare oggetti belli, oppure paesaggi gradevoli o poesie gradite. Deve invece creare uno spazio animato dal soffio vitale che si concretizza nell’oggetto, nel pensiero, nella melodia realizzati dall’artista, tale soffio riconduce al filo invisibile che regge il cosmo.

 

L’integrazione degli opposti

Al centro dell’arte i principi della cultura cinese appena trattati trovano sempre espressione. Il Cielo e la Terra, il Vuoto ed il Pieno, lo Yin e lo Yang sono gli opposti che reggono il gesto artistico ed appartengono alla cosmologia ed alla cosmogonia il Qi ed il Li, il Cuore e lo spirito-Shen sono gli opposti che ci ricordano l’uomo che, nell’atto di dipingere, come in qualsiasi altro gesto, intrattiene relazioni sottili con tutto il complesso dell’universo creato.

 

La pittura

Il pittore, così come il calligrafo o il poeta, cerca di interiorizzare gli aspetti infinitamente vari del creato e di scoprire il Qi che li anima per infoderlo nell’opera d’arte che sarà in grado di creare.

«Prima di dipingere un bambù lascialo germogliare in te stesso» afferma Su Tung-po.

 

Fu Pao Shi XX Secolo – Cascate ad ovest di Chunching

 

Il pennello trae dall’inchiostro il primo tratto come simbolo del soffio primordiale ed i tratti successivi sono le emanazioni del soffio vitale. Il Cielo e la Terra, la Montagna e l’Acqua sono le emanazioni dello Yang e dello Yin ed infine l’uomo, in seno al paesaggio (o anche assente dal paesaggio in quanto presente in spirito) come terza entità che permette alle cose create di giungere a compimento.

Wang Yu dice «Che i monti ed i fiumi scaturiscano dall’infinito del cuore».

Zhang Yan Yuan afferma: «Lo spirito viene prima del pennello e permane anche quando il dipinto è ultimato. La completezza è il Qi dello spirito».

Gu Kai Zhi scrive: «Quando dipingi la Montagna devi dimenticare la sua forma e concentrarti ad esprimere il Qi del suo spirito. Il Qi puro porta in basso la Montagna. Questo è il metodo di dipingere le Montagne».

Zhang Geng scrive:

«C’è una bellezza del Qi, trasmessa attraverso l’inchiostro, trasmessa attraverso il pennello, trasmessa attraverso l’azione senza intenzione. Il livello più alto è l’azione senza intenzione. Poi c’è l’azione intenzionale. Poi il pennello, solo alla fine ciò che è trasmesso attraverso il tratto d’inchiostro.

Che significa trasmettere attraverso l’inchiostro? Significa che il dipinto è realizzato utilizzando l’inchiostro come un alone che si spande.

Che significa trasmettere attraverso il pennello? Significa utilizzare un pennello asciutto per realizzare i tratti di inchiostro in modo che la luce si sprigioni.

Che significa azione con intenzione? Significa che l’artista utilizza il movimento dell’inchiostro in modo che corrisponda alla sua intenzione: denso o leggero, spesso o sottile, asciutto o umido, in modo che il gesto sia perfetto.

Che significa azione senza intenzione? Significa che l’artista fissa la sua attenzione e concentrazione ed immediatamente la visione scorre e si manifesta attraverso il fine movimento del polso. L’intenzione originale era di un tipo ed improvvisamente si realizza diversamente….origina dal movimento spirale del pivot del Cielo».

Jiag Hao 800 d.C. afferma:

«Primo il Qi,

secondo la bellezza,

terzo la mente,

quarto la visione,

quinto la linea,

sesto l’inchiostro.»

Si racconta questo episodio del pittore Wu Da Zi:

«Una volta il generale Pei Min diede oro ed una seta a Wu Dao Zi perché gli dipingesse un ritratto. Egli non accettò i doni del generale ma chiese a Pei Min di esercitarsi con la spada davanti a lui per osservare la sua destrezza. Alla fine Wu Da Zi afferrò il pennello e realizzò il ritratto in un baleno come se una forza invisibile si fosse sprigionata dal di dentro per realizzare il gesto».

Il Vuoto è ontologicamente determinante nella pittura cinese.

Mai presenza inerte, esso anima l’insieme. Il Vuoto è il presupposto del soffio, ne rende possibile e garantisce la presenza e lo sviluppo.

Il Vuoto è anche trasformazione e integrazione dei soggetti dipinti.

Il Vuoto tra la montagna e l’acqua è la nuvola che trasforma l’afflato delle cime nello scorrere della corrente e nei gorghi delle onde.

L’arte di accostarsi al dipinto consiste nell’apprezzare l’impalpabile presenza del Vuoto che, attraverso il meno, rende accessibile il più.

Il Vuoto infine è la totalità che unisce ogni particolare, anche quello più separato, in unità.

I tratti, spesso assai discreti, privilegiano l’evocazione che sostituisce la descrizione esauriente.

Il Vuoto non spaventa l’artista cinese perché egli sa che è percorso da forze che, seppur ineffabili, sono pur sempre reali: questo è particolarmente vero nel dipinto paesaggistico di Montagna-Acqua che domina su tutti gli altri generi. Si tratta di un simbolismo che mette in gioco l’uomo come terzo elemento e compimento della coppia.

 

La ginnastica e la danza

«La cultura occidentale si avvicina al nostro corpo immersa nella sua visione dualistica dell’uomo che partendo dalla distinzione tra psiche e soma crea all’inizio una separazione che è successivamente difficile colmare. La res extensa e la res cogitans di Cartesiana memoria sono state il primum movens di due percorsi di studio separati che sono stati realizzati contemporaneamente sullo stesso uomo senza che avvenisse tra loro un reciproco dialogo o contatto. Mentre l’anatomista, l’anatomopatologo e l’istologo prima e il biochimico, il radiologo, il genetista poi approfondivano lo studio della struttura del corpo, lo psicanalista interpretava i movimenti della psiche. In Occidente si è lungamente tentato di riunificare soma e psiche, ma nessuna psicosomatica è stata in grado di riannodare le fila di due tessuti nati su trame così differenti e di ricollegare ciò che era stato pensato diviso al suo esordio. Anche lo studio del movimento soffre di questa distanza tra psiche e soma e si fa fatica ad immaginarlo come un fenomeno integrato anche se esso rappresenta forse una delle migliori realizzazioni ed esemplificazioni dell’unità che ci caratterizza.

 

Hui Zung XII Sec. Uccelli su un ramo di pruno

A fronte di questa visione divisa dell’uomo impostasi nei nostri paesi, in Oriente l’uomo è stato da sempre osservato con uno sguardo olistico e immaginato come una condensazione di Qi che mentre da una parte, nei suoi aspetti più densi, dà origine allo Yin e dunque anche alle strutture materiali del nostro organismo, dall’altra, nei suoi aspetti più eterei, origina lo Yang e di conseguenza organizza lo psichismo.

Non esiste uno psichismo che non si ancori su una struttura materiale e tale struttura si configura coerentemente con il mentale che la organizza, la muove ed in qualche maniera la dirige: in ultima analisi si tratta di due manifestazioni differenti dello stesso fenomeno.

Il pensiero di un movimento del corpo ed il suo contenuto emotivo ed affettivo, la sua realizzazione attraverso l’articolarsi di segmenti ossei mossi dal fenomeno della contrazione muscolare che si esercita attraverso la resistenza tendinea, il suo progetto contenuto nell’elaborazione di un messaggio nervoso che è elettrico prima, ionico poi ed infine molecolare fondato su neurotrasmettitori sono in Cina tutti elementi differenti di un “unico” fenomeno che non può essere pensato se non in maniera olistica. Anzi l’allontanamento da questa unità è il primo segno della malattia, il manifestarsi di una discontinuità è il primo segnale d’allarme di una disritmia che fa “steccare” il suono di una parte del corpo che non è più in grado di accordarsi con l’armonia del tutto.

In Cina anche l’esercizio di danza o di ginnastica si pone in primo luogo un fondamentale obiettivo: riprodurre e riformulare dei modelli che, mentre permettono al corpo di riacquisire la sua instintiva reattività e di ricomporsi in una unità, ne attivano singolarmente ma contestualmente le singole componenti energetiche e psichiche, materiali e meccaniche.

La “corporeità” è espressione Yin del “mentale” Yang e l’armonia del movimento del corpo rappresenta la manifestazione di un corretto equilibrio psichico.

In Occidente lo iato psiche-soma affida all’emisfero cerebrale sinistro la comprensione dell’organizzazione cosciente meccanica e scientifica del moto ed a quello destro la capacità di percezione estetica ed artistica dello stesso fenomeno: il ritmo, il coordinamento e la musicalità espressi nella danza sono manifestazioni artistiche organizzate dall’emisfero destro in cui la “bellezza” del gesto sembra essere disancorata dai fenomeni meccanici, elettrici, biochimici che lo producono che invece sono campo di studio e di applicazione della medicina: la scienza che studia il nostro corpo. La “bellezza” del movimento di una ballerina di danza classica sembra quasi separata dalla “salute” che il movimento stesso esprime, essendo la bellezza un fenomeno puramente estetico e la salute l’esito del buon risultato di un bilanciamento dei nostri equilibri elettrolitici, osmotici, ionici, chimici e mentali.

Uno dei più significativi insegnamenti avuti dal mio contatto col mondo cinese è stato invece il recupero della coscienza che l’estetica del bello equivale all’omeostasi dello stato di salute e che l’acquisizione della salute stessa ed il suo mantenimento corrispondono alla valorizzazione della nostra istintiva tensione al bello.

L’esecuzione di una forma di Tai Ji Quan o di un colpo di Kung Fu è corretta quando è efficace ed è efficace se appare “bella” essendo la bellezza della forma espressione della perfetta armonia del movimento: il gesto diviene l’esteriorizzazione di buon equilibrio Yin-Yang.

La pratica corretta di un esercizio di Qi Gong corrisponde alla bellezza dei gesti con cui viene eseguito che realizza le cosiddette Tre Unioni Interne: quella del Cuore-Xin e dell’Idea-Yi, quella dell’Idea-Yi e dell’Energia-Qi ed infine quella dell’Energia-Qi e della Forza-Li. Quando si impara un qualsiasi movimento si verifica una serie di passaggi: il Cuore, principe dello psichismo, crea l’Idea del movimento (prima unione), l’Idea del movimento genera il Qi che lo sostiene (seconda unione), il Qi si traduce in Forza che si concretizza attraverso l’atto finale, il gesto realizzato (terza unione). Nella fase di apprendimento questi tre passaggi sono successivi e graduali ma, col tempo, la pratica e l’esercizio essi tenderanno a identificarsi in un unico fenomeno che riunisce Cuore-Idea-Qi-Forza: il gesto finale sarà dunque espressione perfetta dell’integrazione psicosomatica e, proprio perché tale, dovrà risultare esteticamente bello.

In qualche maniera la scienza recupera l’arte e la comprende e l’arte si esprime attraverso il linguaggio della scienza.»

 

La scrittura e la poesia

LinYu Tang afferma:

«La posizione della calligrafia cinese nella storia dell’arte mondiale è veramente unica. A motivo dell’uso del pennello che è più mordibo e sensibile di una penna, la calligrafia è stata elevata a livello di un’arte alla pari della pittura. I cinesi sono consci e considerano pittura e calligrafia due arti sorelle che vengono animate dallo stesso soffio. La calligrafia sta alla pittura come la matematica sta all’astronomia ed all’ingegneria».

La scrittura cinese è molto di più che l’uso di simboli arbitrari. Si fonda su rappresentazioni vivide dei movimenti della natura che si contestualizzano in una vera poesia. Tuttavia la lingua cinese sarebbe assai scarsa e la poesia cinese un’arte assai modesta se esse non rappresentassero ciò che è invisibile.

La poesia migliore non affronta le immagini naturali ma pensieri nascosti, suggestioni spirituali e relazioni oscure. La parte più grande della verità naturale è nascosta in processi troppo minuscoli da essere osservati e descritti e contemporaneamente troppo grandi  in vibrazioni, affinità, coesioni. La scrittura cinese include tutto ciò.

Ci si potrebbe chiedere, come hanno fatto i cinesi a costruire questa grande modalità di comprensione intellettuale partendo da una scrittura pittorica. Alla mente occidentale che crede spesso che la verità consista solo di categorie logiche e che condanna l’immaginazione, la percezione dirette questo sembra impossibile. La lingua cinese con le sue categorie descrittive ha collegato il visibile e l’invisibile con lo stesso processo di tutti gli altri antichi popoli. Questo processo si fonda sulla metafora, l’uso di immagini materiali per suggerire quelle immateriali.

In questo la scrittura cinese mostra il suo vantaggio. La sua etimologia è costantemente apprezzabile, essa contiene gli impulsi ed i processi creativi sempre visibili ed in opera. Dopo migliaia di anni le linee del vantaggio  metaforico sono ancora al lavoro e spesso ancora contenute nei significati. In questa maniera ogni parola invece che impoverirsi progressivamente diviene sempre più ricca di secolo in secolo in una nube di significati filosofici e storici, poetici e biografici. Al centro di tutto ciò il simbolo grafico.

La memoria lo può conservare ed utilizzare.

Desidero concludere questa conferenza con una poesia scritta1300 anni or sono da Chen Zhu-ang nel VII secolo d.C. condensa in quattro versi il senso dell’arte cinese:

«Davanti non vedo l’uomo che è passato.

Non vedo, dietro, l’uomo che deve passare.

Pensando al cielo-terra infinito,

solo ed amaro, mi sciolgo in lacrime

 

Bada Sharen XVII Sec. Storni, vecchio albero e roccia




Un linguaggio peculiare della biopsicopatologia umana: grafologia clinica, correlazioni con la medicina integrata

Alberto Bevilacqua*

La Scrittura, dopo lo sviluppo filogenetico della vocalizzazione, rappresenta la più elevata e qualificata specializzazione antropologica raggiunta dall’uomo. Il suo studio scientifico permette di individuare la globalità dei comportamenti umani complessi quali l’espressione del movimento, il simbolismo, l’immaginazione, l’astrazione così come l’affettività, le emozioni, le componenti intellettive fino alla qualità dei sentimenti individuali e socio-relazionali, in quanto è in grado di penetrare nei profondi e nascosti meandri della psiche umana.

Tali aspetti poliedrici e profondi della personalità vengono resi palesi dallo stesso scrivente inconsciamente, in modo inedito ed impensabile tramite la mano che, in stretto rapporto bidirezionale con il cervello, traccia e deposita (in forma criptata) sul foglio di carta (interpretato e vissuto simbolicamente come spazio ambientale) la completa attività neurofisiopsicologica del soggetto che poi il grafologo decodifica con l’ausilio delle sue competenze interdisciplinari.

Tra l’altro l’osservazione del ductus scrittorio (anche senza vedere fisicamente la persona) consente di definire non solo il profilo generale della personalità del soggetto scrivente in un dato momento della sua esistenza ma anche eventuali anomalie sia psicomentali che somatiche preesistenti, in potenza, in atto o nel possibile dischiudersi in futuri comportamenti manifesti attraverso l’osservazione di tutta una serie di segnali grafoneuropsichici celati nei tratti (anche in quelli apparentemente insignificanti).

Specificatamente per quelle organiche, la grafologia scientifica è in grado di valutare, in sintonia con i principi epistemologici della psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) il potenziale probabile distress protratto instauratosi anche nel lontano remoto della vita della persona.

Il tracciato scrittorio impresso sul foglio di carta rappresenta infatti il ‘precipitato esistenziale materializzato’ di tutta la storiografia del soggetto e dal quale può evidenziarsi il quantum energetico e l’eventuale condizione di squilibrio bio-neuro-fisio-morfo-psicologico presente al momento dell’analisi compresi aspetti grafici probabilmente riferibili anche alle risposte endocrine ed immunitarie.

Operando fondamentalmente per la salvaguardia della salute e del benessere psicofisico è dunque la scienza umanistica per eccellenza della prevenzione per le notevoli possibilità di suggerire alla persona analizzata comportamenti e stili di vita più integrati e consoni al fine di mantenere in equilibrio e rinforzare la propria congruità allostatica complessiva nel divenire della sua esistenza e nel necessario processo di adeguamento dinamico e flessibile nei confronti con il proprio mondo esperenziale.

È una disciplina patognomonica in quanto può ‘diagnosticare’ i rischi psicorganici, soprattutto nelle condizioni di distress neurofisioemozionale protratto e nelle sue tendenze alla cronicizzazione.

è una scienza predittiva poiché, escludendo rigorosamente valutazioni di azzardata predestinazione patologica è tuttavia in grado di ‘prognosticare’ pericoli di evoluzione degenerativa organica derivanti dall’eventuale disagio esistenziale se non si interviene tempestivamente con la correzione dei modelli psicocomportamentali e di relazione inadeguati in atto e più in generale sugli stili di vita complessivi per interrompere e rendere reversibile il processo deviante.

Anche nelle condizioni di vera e conclamata patologia (psichica o somatica), con l’analisi e lo studio simbolico e ‘anatomico’ dei tratti grafici e degli indici patognomonici insiti nei segni della scrittura, la grafologia concorre con una propria competenza terapeutica ma sempre in stretta collaborazione con il medico e lo psicologo ad individuare e proporre, in un’ottica condivisa, strategie ed interventi integrati mirati a correggere i comportamenti anomali, con lo scopo di stimolare una più elevata autoconsapevolezza coerente: una condizione sempre coessenziale per l’uscita dalla patologia e per il ripristino globale dello stato di salute.

La grafologia è infine anche riabilitativacon la proposta di un proprio specifico modello ‘curativo’ mediante l’esecuzione di esercizi grafomotori volti al recupero, in particolare, della naturale neurofisiologia dei micromovimenti della mano scrivente e più in generale della congruità dell’intera struttura psicorganica.

La legge della reversibilità bioenergeticoinformazionale circolante nel rapporto cervellomanocervello potrà consentire allo scrivente, la riappropriazione della spontanea fluidità, flessibilità e della naturale armonia fisiologica e psicorganica indotte dalla rinormalizzazione delle funzioni nervose, endocrine ed immunitarie inevitabilmente sempre coinvolte nei processi psicomotori ed emotivocomportamentali.

 

Grafologia e pnei

Con la loro peculiare possibilità d’integrarsi reciprocamente, oggi rappresentano una delle proposte più avanzate di collaborazione nell’ambito della ricerca e della prassi medica integrata per comprendere sempre più ampiamente ed in profondità l’essere umano nella sua globalità: dal disagio psicorganico, fino al rischio di patologia, al mantenimento e rinforzo delle sue condizioni di benessere complessivo e di consapevolezza armonica esistenziale.

 

 




“La scrittura terapeutica”: un volume di Sonia Scarpante

dalla prefazione di Sergio Fava*

La scrittura terapeutica: può davvero la scrittura, cioè l’atto del “disegnare” con parole  fino ad un attimo prima solo pensate, diventare un fatto terapeutico e cioè in qualche modo curativo al punto da  alleviare da  sofferenze inferte da una vita nè  giusta nè sbagliata, ma semplicemente la nostra vita?

Sonia scarpante pensa di si. Pensa che la scrittura, si badi, la scrittura, non le parole, i concetti, le tematiche ma proprio la scrittura “autobiografica”, cioè la fatica di far uscire da sé, come in un parto doloroso appunto ma liberatorio, ciò che si tiene sepolto nelle caverne dell’IO più recondito sia in sé, un atto terapeutico. Proprio l’atto dello scrivere, del dar forma o forse si dovrebbe dire del dar voce, alle immagini della mente e dell’anima, ai ricordi, alle ansie delle mille paure, alle tristezze, insomma a quell’insieme informe, paludoso ed inquietante che ci portiamo dentro ad ogni passo della vita,  diventa per l’autrice una sorta di autoanalisi condotta con ostinata convinzione del suo valore non solo per se stessa tanto da sentire l’insopprimibile esigenza di diffondere il metodo.

È cosi che la scrittura diventa un metodo d’introspezione. Un modo di farsi domande e darsi risposte in un continuo va e vieni alla ricerca della domanda giusta o più giusta, quella forse più profonda, in un processo continuo di scavo (come lo chiama Sonia) finché alla domanda più giusta non si aggiunge la risposta più giusta o comunque quella che si sente più vera, più autentica. Quelle domande e risposte che cambiano il sentire il sentimento di noi e del mondo che ci gira attorno. Ma le domande e le risposte, il cambiamento, la sofferenza, i sensi di colpa per essere sublimati e trasformati in medicina che guarisce esigono un metodo di affronto, costante, incessante protratto nel tempo. Guardarsi dentro non è un’inclinazione naturale o caratteriale o una particolare predisposizione psicologica che di per sé può alleviare il dolore come può accentuarlo fino a renderlo insopportabile. Questa è diventata per Sonia la scrittura: un metodo per guardare dentro di sé che non promette miracoli all’improvviso o facili soluzioni al mal di essere ma un percorso per curare e per curarsi.

Tutto comincia nel 1998 quando ancora convalescente per un intervento di mastectomia e ferita nel corpo e nell’anima per una crisi matrimoniale Sonia sente il bisogno impellente di scrivere per raccontarsi come non aveva mai fatto prima. E da dove cominciare se non dall’affronto della malattia che la conduce a scavare dapprima in modo nebuloso e confuso la sua storia personale, dentro la quale, dice, occorre “fare pulizia”.  Metodo, percorso, scavo interiore, introspezione, terapia, salvezza…parole che ricorrono frequenti come fossero legate e dipendenti l’una dall’altra. Stanno lì a definire lo scheletro del lavoro di liberazione che la paura della malattia ha iniziato nell’animo di Sonia.

Cambiamento, altra parola chiave: “guardarsi dentro con verità e coraggio”….ma a cosa serve? Oserebbe qualcuno pensare che la malattia, il dolore, la sofferenza ed infine la paura servono a qualcosa. Ebbene sì, sembra dire con il suo lavoro Sonia. Paradossalmente la malattia “serve a guarire”. Dalle affettività malate dai sensi di colpa e a riconsiderare le spinte interiori inascoltate, perché la malattia ne parla, libera le aspirazioni sommerse. E qual’è la meta, il traguardo, il fine primo e ultimo di questo lavoro interiore? Il cambiamento! Si potrebbe dire in estrema sintesi. Di sé e via via del piccolo-grande universo che ci sta addosso. Che cosa rischiamo se accettiamo il cambiamento? Cosa e chi temiamo di perdere? Qualunque cosa accada o porti il cambiamento, l’autodeterminazione come la cura di sé, sarà l’approdo di un lavoro, si faticoso ma gratificante già mentre si srotola nei mesi e negli anni. Ma il cambiamento non si può solo pensare e neppure basta il desiderio perché questo accada. Bisogna mettere in ordine i pensieri e le emozioni e poi occorre rivederli e quindi ricostruire i sentimenti ( fare pulizia…) e così la scrittura diventa per Sonia non solo insostituibile strumento ma anche e forse soprattutto la ragione del cambiamento. (cambiare per scrivere e scrivere per cambiare o per capire).

È cosi che ad un certo punto la malattia che ha originato il tutto diventa solo un “pretesto” per fare altro che altro non è che guardarsi dentro. La malattia è lì. È sempre lì a far da sfondo sulla tela esistenziale che si riempie di colori-ricordi; alcuni cupi, scuri altri invece inaspettatamente vivaci e mutevoli nelle loro sfumature quando osservati con gli occhi della verità e del coraggio.  La malattia è lì e quasi diventa benevola, quasi una fortuna senza la quale non avrebbe intrapreso il cammino, lo scavo, l’innamoramento per la scrittura terapeutica. Dalla  sua autobiografia emerge chiaramente questa consapevolezza:

Sono stata “allieva” del cancro..

Il cancro ha fagocitato la mia  mente ma l’ha

definitivamente liberata verso altri lidi.. Se

riusciamo a farci cogliere dalla vastità della

conoscenza e dalla curiosità verso la vita, anche

nella malattia possiamo imparare a leggere

“altro”. Essa può condurci verso un nuovo

“sé” ….i primi passi di allora avrebbero dato

origine ad altri; e in quel cammino si sarebbe

delineata una persona più consapevole e vera.

Perché è da quella trasparenza nata con la

scrittura..che deriva il seguito della mia storia,

che continua a stupire anche me.

(Sonia Scarpante: non avere paura. Edizioni

San Paolo 2010)

Lo stupore è il sentimento prevalente che ci prende scorrendo le pagine del libro di Sonia. La scrittura e questo particolare tipo di scrittura “autobiografica” è fatica, sudore, lacrime. Sembra facile parlare, o meglio, scrivere di sé ma quando si scava può accadere di arrivare ad una profondità tale che si vorrebbe tornare indietro. Perché si scopre che i temi e le emozioni non riguardano più soltanto la malattia che è all’origine del processo, ma si toccano corde che abbiamo in qualche modo messo a tacere barattando il loro silenzio con una superficiale tranquillità delle apparenze. Ma un evento come il cancro sconvolge tutto l’equilibrio per altro precario su cui si regge più di una vita. Affiorano quindi alla coscienza le altre sofferenze della vita passata e presente: l’abbandono, il tradimento, il dolore per gli affetti andati a male, l’infanzia difficile nel percorso educativo punteggiato da sconfitte e umiliazioni ma spesso anche da rivincite pagate a caro prezzo. È stupefacente leggendo, la facilità e la semplicità con le quali riesce a dire e a scrivere di tutto questo senza pudore ed anche evitando ogni aspetto di legittimo orgoglio rivendicativo.

Ma occorre passare necessariamente attraverso la malattia o addirittura il cancro per avviare un  percorso terapeutico come quello che ha condotto Sonia Scarpante? Cosa c’è dopo la malattia e dopo lo stupore d’aver trovato o ritrovato il senso delle cose della vita? Forse, il desiderio che altri si scoprano allo stesso modo capaci di prendersi cura di sé. Del resto come potrebbe essere diversamente? Nessuno si salva da solo. Il percorso che porta a rinascere o meglio a ri-conoscersi non può sterilizzarsi in un autocompiacimento più o meno consolatorio e affinché il “processo” continui occorre che si espanda, che si dilati e si alimenti attraverso il vissuto di altri. Così nascono i “laboratori” di scrittura e narrazione per l’autobiografia come cura di sé di cui questo libro è il manuale di riferimento. Attraverso un metodo tanto rigoroso quanto gratificante l’autrice si propone come facilitatore a chiunque “desideri conoscersi a fondo attraverso la scrittura per una riconciliazione con se stessi”.  E così la storia continua, nell’ascolto e nella comunicazione, nelle parole e nelle lettere di Antonella, di Cinzia, di Maria e di tanti altri che, sembra, altro desiderio non abbiamo se non quello di condividere la propria storia con la sincerità di chi non ha nulla da perdere ma tutto da guadagnare nel solo modo possibile: spogliarsi, attraverso la scrittura, delle sembianze costruite in tanto tempo come difesa dalla sofferenza di ricordare e di capire se stessi.

Ecco allora che cambia il concetto di malattia come principale argomento della scrittura terapeutica. È la relazione malata a prendere il sopravento e a spingere la fragile zattera delle emozioni verso approdi forse ancora più incerti e minacciosi per la stabilità dell’essere. Non più e non solo le ferite e la devastazione del corpo, ma oggetto e soggetto della “scrittura che cura” diventa quel mondo degli affetti dove ad essere malata è la relazione,  il rapporto, la convivenza, l’amicizia….l’amore.

Sonia in questo che è il terreno più scivoloso di tutta l’esperienza di lavoro introspettivo con altri, siano essi allievi o compagni di viaggio, non si pone come uno psicoterapeuta improvvisato ma è come se lei e la sua scrittura “venissero prima” e fossero propedeutici a una possibile psicoterapia di successo perché insegna raccontando di lei; e insegna ad aprirsi, a spogliarsi, a capire, ma soprattutto, forse inconsapevolmente, insegna e rafforza il desiderio di nudità. A volte basta, altre no.

Accomodati sul lettino immaginario della scrittura terapeutica si lascia che  l’affettività malata sgorghi irruente a riempire pagine e pagine, dando forma e contenuto al sentire più recondito, con parole e immagini forti, a volte persino violenti come se la scrittura, in quell’ambito, conferisse una sorta di “immunità psicologica-morale” per cui tutto si può scrivere. Si comincia con le lettere a se stessi, poi al compagno di vita, i figli, gli amici per finire con chi sta all’origine dell’affettività: le figure genitoriali. Questa gerarchia della causalità tutto può essere tranne che casuale ed è in questo risalire la corrente dell’affettività che si arriva anche a momenti di riconciliazione forse ormai insperata, verso chi ha inferto le ferite più difficili da chiudere.

A mio padre. Di lina

Papà ho cercato di capire perché il perché di questa

rabbia che ti ho visto sempre addosso e che sfogavi su

di noi. Ricordo che a volte ti lasciavi andare e tra la

rabbia imprecavi tua madre che a soli sei anni ti ha

venduto al padrone di una masseria….picchiato e

maltrattato se qualcosa andava storto….

Tu sei stato vittima che hai creato vittime. Ho capito

ma non giustifico.

Ma nel libro di Sonia Scarpante c’è anche molto di più. Arrivando alla fine si scoprono gli esiti del cammino e del lavoro. Lo sguardo e il respiro si allargano per abbracciare le mille occasioni di una vita nuova (il teatro, le conferenze, i gruppi di lavoro e di insegnamento i libri, gli incontri…) senza più la paura dell’ambizione tanto è fecondo il lavorio che si muove ogni giorno nel cuore e nella mente che non si smette mai di conoscersi anche per curarsi.

 

 

 

 

 




Medicina tradizionale cinese e grafopatologia del fegato

Alberto Bevilacqua*

Una mente felice è medicina: non esiste ricetta migliore – proverbio cinese

L’aspetto peculiare che caratterizza tutta la pratica medica cinese si riconduce al principio fondamentale che la salute e la malattia sono concepite come espressioni energetiche: la vita è una sorta di ‘vortice di energia’ in continua interazione con gli organismi viventi.

L’intero pensiero filosofico e culturale dell’estremo oriente è costruito su una interpretazione simbolico-correlata della realtà, dove i fenomeni e gli eventi accadono per analogia e somiglianza oltre che  per caratteristiche ed affinità comuni. Ciascuna entità è in rapporto con un’altra mediante flussi di energia.

L’energia assume, ad esempio, il basilare significato di identità, di equivalenza con la materia-massa e si esprime mediante l’alternanza del moto perpetuo, incessante e ciclico, da un minimo ad un massimo senza soluzione di continuità. Secondo l’antica concezione dello yin e dello yang, l’uomo interagisce costantemente con le manifestazioni dell’energia vitale che pervade l’etere, l’ambiente naturale e quello sociale a tal punto che le funzioni biopsichiche degli individui ne rimangono profondamente segnate: in tal senso anche i comportamenti neurografici possono risentirne in varia forma.

È interessante notare come esista una prima sorprendente identità concettuale tra il pensiero orientale sull’interpretazione della vita e del mondo e con un caposaldo del metodo occidentale della grafologia che ha reso progressivamente questa disciplina peculiare ed innovativa: il valore del segno come elemento antropologico fondamentale che, rappresentato in tutte le culture fin dalle epoche più remote, ha notevolmente contribuito nel tempo alla formazione dei comportamenti umani e quelli scrittori sono tra i più complessi e raffinati.

Relativamente a quest’aspetto L. Sotte sottolinea, nel suo trattato di agopuntura, che: «La scrittura cinese è ideografica e pittorica; ogni disegno o ideogramma esprime un concetto. Anzi l’ideogramma esprime più di un concetto, si tratta di un simbolo capace di evocare un complesso indefinito di immagini particolari. Possiamo affermare che la scrittura cinese è di tipo sintetico e simbolico».

In effetti l’esperienza dell’apprendimento, la formazione della memoria e la capacità di ricordare, soprattutto in concomitanza di impressioni emotive stato-dipendenti come la paura, hanno contribuito, durante lo sviluppo filogenetico della specie umana ed ontogenetico di ciascun individuo, alla sedimentazione e stratificazione (soprattutto nei blocchi arcaici del cervello), di profonde tracce mnestico-simboliche, sorgenti anch’esse dalla primaria formazione di grossolane vie bioelettriche neurali e sinaptiche e dalla successiva configurazione e consolidamento delle funzioni superiori, integre o disturbate, quali l’astrazione, la concettualizzazione, l’imma-ginazione e la rappresentazione.

Nella M.T.C. lo yin e lo yang simboleggiano le due espressioni dell’energia qi (Ci). Il qi viene definito ‘forza causale’ ed è alla base di ogni manifestazione della vita: lo yin e lo yang infatti permeano non solo l’attività mentale ma anche l’intera materia, compresi quindi anche gli organi del corpo umano.

Lo yin è evocativo di organico e di possibile iperaccumulo di materia, lo yang invece di funzionale e di possibile sovraconsumo di materia. Tramite i ‘meridiani’ (canali non fisici del soma) il qi fluttua in tutto il corpo creando continuamente campi energetici variabili e la patologia umana è pertanto concepita ed interpretata come uno squilibrio energetico tra yin (potenziale sintomo cronico) e yang (potenziale sintomo acuto) intimamente influenzato dagli shen (po e hun) che nella cultura occidentale sono l’equivalente delle emozioni, dei sentimenti e delle passioni. Conseguentemente le varie terapie adottate per curarla saranno fondamentalmente orientate al ristabilimento dell’armonia tra questi due stati.

 

Come dunque l’invisibile forza energetica rappresenta, per la cultura orientale, l’assunto base di tutta la medicina tradizionale cinese, similmente l’onda scrittoria con il suo fluire neurofisiologico e con le alternanze e variazioni energetico-pressorie tracciate sul foglio di carta, si configura come un oggetto di studio peculiare per raccogliere utili informazioni sulla qualità energetica, emotiva ed organica  dell’individuo.

 

L’elegante concezione della M.T.C. è affine, in maniera sorprendente, ad un altro dei più importanti postulati della grafologia clinica occidentale: se la tessitura grafica esprimerà una buona modulazione neuromuscolare tra la fase della tensione e quella del rilassamento sarà indice di generale benessere psicofisico (yin-yang in equilibrio dinamico armonico) mentre l’aritmia delle prassie grafo-cerebrali e gli eccessivi sbilanciamenti verso addensamenti, affievolimenti o dispersioni dell’energia nei tratti scrittori, potranno evidenziare, con molta probabilità, la perdita di euritmia psicorganica ed il verosimile rischio di insorgenza di patologia (yin-yang instabili).

Nella M.T.C. i ‘cinque movimenti’ (e la grafia è movimento!): legno – fuoco – terra – metallo – acqua, il legno è correlato al fegato ed è simbolico di accumulo e materialità. Similmente, in grafologia, l’individuo esprime la propria energia nella materialità delle lettere che pertanto possono essere tracciate anche sotto l’influenza di indignazione.

Nell’antico Su Wen, al capitolo XIII, troviamo un’interessante interpretazione del fegato: questo tesaurizza gli hun e quando le tensioni emotive ristagnano, sono presenti risentimenti e frustrazioni e c’è inclinazione alla collera, il sangue e l’energia (qi) si addensano nel fegato e  producono patologia.

In grafologia lo scrivente, senza rendersene conto razionalmente, offre con la sua grafia uno ‘spaccato’ sia della stratificazione strutturale, funzionale, biologica, fisiologica e psicocomportamentale formatesi in lui fino al momento della composizione della stessa, sia delle modalità con le quali l’energia vitale individuale si è consolidata qualitativamente nel tempo.

È singolare come anche G. Moretti, caposcuola della moderna grafologia italiana, intravveda in certe scritture influenzate dall’impressionabilità, dall’ansia e dalle preoccupazioni oltre che dall’indignazione e dalla veemenza la somatizzazione di patologie del fegato: un’ulteriore conferma della stretta correlazione tra le due discipline, In definitiva la M.T.C. attribuisce alle ‘sette passioni’ umane (ansia, angoscia, paura, apprensione, collera, tristezza, ossessività) che, singolarmente o aggregate in varia forma tra loro, possono procurare scompensi psichici e somatici (interferendo con il naturale e spontaneo fluire dell’energia shen), altrettanto la grafologia, specificatamente quella applicata alla medicina, è in grado di mettere in luce le stesse tra le innumerevoli pieghe del ductus scrittorio considerandole, anche secondo la visione della medicina integrata, corresponsabili del possibile rischio di patologia organica.

 

 




L’influenza straordinaria del simbolo sull’evoluzione umana e sulla gestualità grafica

Alberto Bevilacqua*

Lo studio dei comportamenti umani riconducibile all’interno delle scienze sociali, delle quali l’antropologia (dal gr. ànthrσpos, uomo) è la primaria disciplina di riferimento, fin dall’inizio dell’era scientifica moderna ha fortemente motivato i ricercatori e gli studiosi circa le questioni relative all’importanza delle sollecitazioni e delle suggestioni evocate dal simbolo sugli atteggiamenti espressivi dell’uomo.

Henri-Jean Martin , ad esempio, in ‘Storia e potere della scrittura’ testimonia dell’antica saggezza e del modello interpretativo del mondo dei Dogon, popolazione africana stanziata nel medio Niger (Mali) e della ricca cultura simbolica, poetica, mitica e religiosa ereditata dai loro primitivi antenati: “Dio, creando, ha pensato : prima di dare un nome alle cose, le ha disegnate nella loro intenzione creatrice. (…) La creazione così come si offre all’uomo, porta il segno di questa intenzione divina che egli si sforza di decifrare e di cui, a sua volta, riproduce i simboli”.

Il simbolo, quale elemento fondamentale che da sempre orienta ed impronta l’uomo nel tempo e nello spazio, concorre a fissare l’esperienza, alla formazione della memoria e ad evocare il ricordo, soprattutto in concomitanza di condizioni stato-dipendenti. Ha quindi contribuito in maniera determinante, durante lo sviluppo filogenetico della specie umana, alla sedimentazione e stratificazione (prioritariamente nei blocchi arcaici del cervello), di profonde e stabili tracce biochimiche e mestiche: un patrimonio genetico inalterato che si è tramandato fino ad oggi. La primaria strutturazione di grossolane vie neurali e sinaptiche così improntate e lo sviluppo poi sempre più raffinato di funzioni superiori ed uniche nel mondo animale, hanno determinato pertanto l’affiorare e l’affermarsi di tre facoltà esclusivamente umane: l’analogia, l’astrazione e la concettualizzazione.

In effetti negli uomini primitivi l’immagine aveva presto acquisito un alto valore ‘associativo astratto’ che fissava, nel progressivo emergere della mente, la rappresentazione traslata degli oggetti, pur rimanendo aderenti alle reali ed impressive esperienze vissute. Nella raffigurazione della realtà i simboli dunque derivano dalle profondità ancestrali del tempo e tuttora si incrementano ed agiscono sull’unità psicorganica umana veicolando le innumerevoli sollecitazioni ed influenze prodotte dai più svariati stimoli provenienti dal continuo evolversi della socio cultura e dal mondo del naturale.

Fin dalla prima comparsa dell’uomo sul pianeta l’immagine del disco solare, ad esempio, come  percezione sensibile di luce e calore è stato subito associato all’idea di vita. Una delle interpretazioni del ‘cerchio’ che ne deriva, vista nell’ottica del pensiero pre-logico, tipico dei preistorici e della peculiare ‘visione analogica del mondo’ della cultura orientale, può essere quindi così sequenziata:

–  disco-immagine-sole,

–  luce-energia-calore,

–  quindi cerchio = simbolo della  vita (fonti vitali).

Il centro di una delle culture più antiche dell’umanità, il complesso megalitico di Stonehenge nel Wiltshire britannico, con i suoi menhir, monoliti e triliti disposti in forma di circonferenza, può essere a buona ragione considerato un esempio emblematico di riproduzione simbolica dell’astro, materializzata sul terreno dall’uomo primitivo. La forza energetico-vitale attribuita alla stella centrale fece sì che il monumento fosse costruito in allineamento con le orbite del sole proprio per esprimere, con riti e culti propiziatori dedicati, il forte legame e la totale devozione dell’uomo alla ‘fonte della vita’.

 

Tutte le attività dell’uomo si possono praticamente ricondurre all’influenza del simbolo, linguaggio verbale e scritto compresi e mentre S.Freud  gli attribuisce il valore di ‘rivelatore’ dell’inconscio, C.G.Jung lo arricchisce di un ulteriore contenuto, quello di rappresentare il riferimento collettivo dell’intero consorzio umano.

G. Girotti ne offre una convalida di grande considerazione scientifica: “Verso i gradini superiori della scala zoologica, in concomitanza con lo sviluppo del telencefalo e della corteccia cerebrale, comparirebbero pertanto le premesse delle ‘funzioni simboliche’, che assumono così grande rilievo nell’attività psichica umana.  Vi è nella simbolizzazione la confluenza-attraverso l’apprendimento-di esperienze distinte e diverse in un’unica rappresentazione mentale collegata ad una stessa direzione di comportamento”.

Il simbolo può assumere però anche un significato minaccioso ed agire negativamente sui comportamenti sia individuali che collettivi innescando resistenze emotive e modificazioni fisiologiche, normalmente momentanee, ma che in certi contesti possono anche radicarsi stabilmente nella struttura biologica degli umani.

Molteplici sono gli atti neuroespressivi della scrittura indotti dalle stimolazioni simboliche. In parte a L.Klages ma soprattutto allo svizzero M.Pulver va riconosciuto il merito della                           scoperta delle risposte grafomotorie, espresse dal soggetto, alle provocazioni inconscie che si registrano nelle oscillazioni grafiche. Sono intuizioni derivate dalla psicologia junghiana: la sua genialità è stata quella di averle applicate alla fenomenologia scrittoria. In effetti lo spazio cartaceo è pregnante di sollecitazioni che si riconducono ai contenuti esperenziali filogenetici e ontogenetici dello scrivente.

Un’allieva di Jung, la grafologa Teillard chiarisce: “nel momento stesso in cui scriviamo, ci situiamo nello spazio. Il foglio di carta rappresenta l’universo nel quale ci muoviamo e ogni movimento scrittorio è simbolico del nostro comportamento in questo universo”.

Nell’uomo la sede del simbolismo sembra essere l’ippocampo che, oltre ad altre parti arcaiche del sistema limbico, svolge un ruolo fondamentale nella produzione della memoria ed esplica funzioni rilevanti anche per quanto riguarda la dinamica delle emozioni e lo sviluppo dei sentimenti. In particolare ad esso è attribuita la funzione di accumulare conoscenza intesa come quel processo che consente all’individuo la possibilità di modificare adeguatamente la propria condotta e di escogitare diverse modalità di risposta in modo selettivo nei confronti di situazioni pregresse o di nuove esperienze gradevoli o spiacevoli e più o meno durevoli o ripetitive. Pertanto questa capacità si basa sull’utilizzazione del vissuto ed è collegata alla necessità vitale di adattamento.

Il ripetersi ed il perseverare di attività o di esperienze di tipo emotivo-relazionale infatti determinerà, all’interno della plasticità encefalica, il formarsi di nuovi circuiti psiconervosi che si stabilizzano nell’individuo e che andranno a strutturarsi con ‘imprinting ed atteggiamenti biopsicologici’ durevoli nel tempo.

Nello studio del movimento grafico gli effetti prodotti dalle sollecitazioni simboliche sono individuabili, dal grafologo esperto, in tutte le zone dello spazio cartaceo e contribuiscono quindi in maniera determinante, puntuale e raffinata a far emergere istantaneamente le nascoste ed ‘autentiche modalità psicomentali’ dello scrivente.

Sottolineo questo concetto anche nel mio ultimo lavoro di ricerca:

“L’astrazione simbolica infatti, con tutti i suoi specifici contenuti e significati, prende corpo oltre che nella sfera immaginativa e mentale del soggetto, anche sul foglio di carta sul quale, all’insaputa e senza possibilità di controllo razionale della persona, fissa, nei vari punti del tracciato grafico, tutte le risposte fisiologiche, temperamentali, caratteriali e biopsicologiche, prima intimamente elaborate e poi adottate dall’individuo”.

Ed è proprio quella superficie cartacea che, come ‘astrazione’ dello spazio ambientale ed esistenziale, provoca ed accoglie su se stessa il ‘precipitato’ delle modalità comportamentali reattive o adattive dello scrivente alle sollecitazioni del mondo esterno. Per questi contenuti, gli atti grafici, sotto l’intensa influenza degli stimoli simbolico-esperenziali, riassumono in sé l’autorappresentazione dell’Io e semiologicamente preconizzano l’indice, il segnale, il significato e la reale qualità funzionale dell’intero network biopsichico dell’uomo.

Per il Pulver oltre allo spazio fisico, anche le quattro dimensioni vettoriali dei lati perimetrici del foglio, definibili anche attrattori evocativi, sollecitano l’attivazione di forze neuromuscolari (sinaptiche e biochimiche) che si estrinsecano in azioni e reazioni psicografoenergetiche strettamente correlate allo status globale dello scrivente. Forze che si imprimono ed incidono nella superficie cartacea e che si orientano in tutte le direttrici della stessa, forze che io ritengo informatrici oltre che delle condizioni di benessere psichico anche di quelle di rischio fisiopatologico del soggetto.

In particolare ed in linea generale, per il grafologo elvetico il vettore di destra solleciterà la produzione di grafie progressive con espressioni di dinamismo, di espansione, di estroversione, di altruismo e del naturale fluire dell’energia vitale mentre quelle regressive significheranno la manifestazione psicologica di introversione, di blocchi energetici, di prevalenza delle istanze egoiche, di cautela o diffidenza. Nelle due polarità alto-basso, la prima solleciterà il richiamo dello spirito, della consapevolezza, dell’ideale e dell’immaginazione, dello sviluppo del Sé mentre l’altra attirerà, ad esempio, verso l’inconscio, l’istinto, la sessualità.

Dal proprio centro di gravità energetica l’uomo infatti è costretto ad orientarsi continuamente nel ‘campo quantico probabilistico’, interagendo con gli innumerevoli poli intrapsichici, socio-culturali e relazionali di attrazione, repulsione ovvero sinergici, insiti in esso.

Le profonde tracce mnestiche neurali, le funzioni della mente, l’ippocampo, il telencefalo, tutto co-partecipa, in definitiva, al comportamento oscillante e vibratile scrittorio dell’uomo.

 

 

 

 

(Fonte: Moretti G., Trattato di Grafologia, emp – Edizioni Messaggero – Padova, XI Ed. 1977. p.488

 

Bibliografia

Bevilacqua A., Espressioni e comportamenti dell’energia umana nella medicina occidentale, nella medicina tradizionale cinese (M.T.C.) e nella grafologia clinica – intercorrelazioni con le patologie tumorali (lavoro di tesi) – SIMAISS (Scuola Internazionale di Medicina Avanzata e Integrata e di Scienze della Salute), Perugia 2003

Girotti G., I fondamenti fisiologici dell’attività psichica, Ancona L. (‘a cura di’), in Nuove questioni di psicologia, vol. II, La Scuola, Brescia, 1972, (p.839).

Klages L., La scrittura e il carattere – principi e elementi di grafologia, Murzia, Milano, 1982.

Martin H.J., Storia e potere della scrittura, Edizione CDE spa su licenza del Gius. Laterza & Figli, Milano, 1990, (p. 8).

Pulver M., La simbologia della scrittura, Boringhieri, Torino, 1983.

Teillard A., L’anima e la scrittura, Boringhieri, Torino, 1980, (p.147).

Vels A., Diccionario de grafologia y terminos psicologicos afines, Editorial Herder, Barcelona, 1983.




Primo carattere: essere un uomo

林国旺 Johann Lin*

* Istituto Confucio Macerata

Con due tratti, 丿, piě e 乀, , si scrive il carattere 人, che si pronuncia rén, e significa uomo, in senso di umano, di persona e popolo, non nel senso di opposizione e contrasto tra uomo e donna. Si tratta di un carattere indipendente che tuttavia può essere utilizzato come come radicale allo scopo di manifestare che il significato del carattere complesso in cui compare ha a che spartire con l’uomo.

Chi è l’uomo? Platone, il filosofo occidentale più amato dal popolo cinese, sentenziò che si trattava di un bipede sfornito di piume e caratterizzato dalla statura eretta. Che coincidenza! Si tratta propio del significato mostrato da questo carattere! Ma questo carattere fu inventato migliaia di anni or sono ed i suoi inventori non conoscenvano Platone e la sua descrizione dell’uomo. Il carattere è precisamente una stilizzazione di un uomo in piedi su due gambe. Esiste un proverbio che afferma che l’uomo deve mantenere la statura eretta che è descritta dal suo carattere 人.

La cultura tradizionale cinese può essere definita la cultura dell’uomo e non quella di Dio. Al popolo cinese piace affermare che per essere un uomo, per comportarsi da uomo l’uomo deve agire da uomo e parlare la lingua dell’uomo e agire e trattare la gente da uomo cioè seguendo l’umanesimo. Una condanna grave ad una persona consiste nell’affermare tu non sei un uomo! O porre la domanda tu sei un uomo? Nella visione della cultura tradizionale cinese l’uomo è il protagonista del mondo, lo scopo della vita.

L’uomo è realmente un grande problema per l’uomo. Come comportarsi per essere un uomo buono? Come costruire una vita buona da uomo? Il Confucianesimo ed il Taoismo suggeriscono vie differenti. Il Confucianesimo sottolinea che l’uomo deve comportarsi responsabilmente relativamente alla famiglia, agli amici, alla società ed alla natura e contemporaneamente deve gioire di tutto ciò. All’opposto il Taoismo suggerisce una vita di libertà, una libertà del cuore. Che significa che l’uomo deve essere libero dagli scopi opprimenti della vita sociale e indipendente dell’intrattenere relazioni che affaticano l’esistenza.

Non è vero che nel cuore del popolo cinese non esista nessun credo spirituale trascendente, ma è altrettanto vero che il popolo cinese non presta particolare attenzione alla vita religiosa monastica. Esistono gruppi di monaci buddisti nella società cinese che vivono raccolti nei monasteri buddisti anche se la vita buddista è piuttosto lontana dalla mentalità cinese. Persino durante il regno della dinastia Tang 619-907 d.C., in un periodo in cui il Buddismo influenzò notevolmente la vita quotidiana ed esisteva un numero rilevante di monaci, alcuni studiosi proposero, seguendo l’ottica confuciana, che il governo avrebbe dovuto intervenire nei templi buddisti per fare sì che i monaci si comportassero da uomini! Cioè che l’imperatore favorisse il ritono dei monaci all’interno delle loro famiglie di origine perché la vita del monaco all’interno del tempio non corrispondeva alla vita dell’uomo nella famiglia e nella società.

Finalmente il Buddismo cinese evolve come un Buddismo basato sulla vita quotidiana condotta generalmente del popolo. Uno degli esempi in questo senso è la setta Zen. La dottrina tipica di questa setta  afferma che lo Zen esiste nel mangiare e nel dormire, cioè lo Zen esiste nella vita dell’uomo e non solo nel tempio. In ogni caso in Cina la vita religiosa è assorbita e riconciliata con la vita quotidiana. Amleto è famoso in Cina per la sua famosa affermazione, essere o non essere, questo è il dilemma. Se fosse stato cinese avrebbe potuto affermare essere o non essere un uomo, questo è il dilemma.




Linguaggio e modelli teorici nella scienza medica: riflessioni critiche

Lucio Sotte*, Aldo Stella**

* Direttore di Olos e Logos

** Dipartimento di Culture Comparate, Università per Stranieri di Perugia, Dipartimento

di Psicologia Università “La Sapienza” di Roma

 

II paradigmi di confronto con il reale utilizzati in Estremo Oriente sono così diversi da quelli a noi noti da configurare un sistema di osservazione prima, di lettura poi, di interpretazione infine che conduce ad una conoscenza basata su criteri analogico-simbolici assai differenti da quelli analitico-deduttivi tipici dell’Occidente.

Non è possibile conoscere compiutamente la medicina cinese se non attraverso la fatica di fare propri questi codici e questi metodi che si manifestano in un linguaggio inaspettatamente ricco di potenzialità evocative e relazionali tali da adattarsi forse meglio di quelli occidentali all’affronto dei ‘sistemi complessi’ che sono alla base dello stato di salute e malattia.

Non appaia dunque strano questo articolo, dai connotati ‘culturali’ apparentemente estranei allo stretto argomento medico.

Il suo scopo è quello di rendere il lettore meno ‘ingenuo’ e di fornirgli i criteri per una lettura più ‘sofisticata’ del modello di affronto del reale utilizzato da millenni in Cina.

D’altra parte l’integrazione tra le due medicine – che senza alcun dubbio è il nostro scopo ultimo – non può prescindere da questo doveroso compito.

Iniziamo questo lavoro con un’introduzione alla lingua cinese ed alla scrittura ideografica che rappresentano l’insieme dei codici utilizzati ormai da millenni in Cina per leggere, descrivere ed interpretare il reale.

Il rapporto tra questa scrittura ed il metodo di conoscenza analogico-simbolico basato sul sistema delle corrispondenze rappresenta il passo ulteriore di questo cammino.

L’analisi di alcuni ideogrammi fondamentali ci permetterà di dare un esempio della modalità di interrelazione con la realtà che sta alla base della scrittura cinese e contemporanemente ci introdurrà ai fondamenti di alcune Scuole di Pensiero che hanno fornito il background culturale della medicina cinese: Scuola Naturalista, Scuola Taoista, Scuola Confuciana. Nel V-IV secolo a.C. le cosiddette ‘Cento Scuole’ furono infatti  l’occasione irripetibile per la genesi di questo modello di medicina che raccoglie sincreticamente molteplici eredità amalmagandone contenuti e metodi.

Per approfondire l’argomento leggi il pdf allegato.

 

 




La personalità artritico-reumatoide: un caso clinico valutato grafologicamente

Alberto Bevilacqua*

* Grafologo clinico – Diplomato in medicina integrata PNEI – Coordinatore SIPNEI per la regione Marche e membro del Consiglio Nazionale SIPNEI – email: marcob70@libero.it

Le sindromi reumatiche hanno avuto origine fin da epoche lontanissime nella storia evolutiva dell’uomo.

 

Condizioni climatiche, situazioni malsane di vita, esposizione prolungata ad eventi atmosferici avversi, umidità, alimentazione carente sono notoriamente le principali cause che nel tempo espongono gli individui a questo invalidante rischio patologico se non a vere e proprie malattie reumatiche che colpiscono il tessuto connettivo e le strutture osteomuscolari fino alla cronicizzazione.

L’artrite reumatoide (A.R.) appartiene ad uno dei tredici gruppi classificati dalla Società Italiana di Reumatologia (SIR) ed è considerata una poliartrite di tipo infiammatorio-erosivo autoimmunitario dei tessuti a causa soprattutto dell’alterazione di un bioregolatore: l’acido arachidonico con ricaduta sulle prostaglandine che, tra gli altri ruoli, abbattono la soglia del dolore con grandi sofferenze per chi ne è coinvolto. Tale infermità colpisce maggiormente i soggetti di sesso femminile con un rapporto di 5 a 1.

Quanto sopra sul versante delle cause eziopatogenetiche biochimiche. Tuttavia su quello comportamentale è altrettanto verosimile ipotizzare concause di tipo psicoemotivo ed affettivo.

La Dumbar, già nel 1948, aveva teorizzato che: “tensioni emozionali relative a qualche perdita di sicurezza in una personalità ansiosa, immatura sessualmente, con aspetti caratteriali masochistici produrrebbero una catena di eventi psicologici nelle condizioni vasomotorie, vegetative e muscolari che predisporrebbero l’individuo all’artrite reumatoide”. (Lazzeroni e Sirigatti, 1967).

A seguito di successive e numerose ricerche effettuate in questa direzione sono emersi, man mano nel tempo, dati significativi relativi a questa interpretazione della A.R. soprattutto giovanile e sulla personalità reumatoide in generale: ansia diffusa, difficoltà di adattamento interpersonale, ridotta autostima, ipermoralismo, inibizione dell’azione emotiva, variabilità umorale, tendenza a movimenti carfologici delle dita e delle mani, carenze nella capacità ad autorganizzarsi, stati di dipendenza, desiderio e propensione a frequenti cambiamenti per costante insoddisfazione della vita.

In particolare, sul versante somatico, insorgenza ed aumento dei sintomi dolorosi articolari nelle condizioni psicologiche di percezione di rifiuto ed abbandono ed in situazioni di intima collera e rabbia accentuate e persistenti che metterebbero in forte contrazione e tensione costante le strutture osteo-muscolari programmate per un funzio-namento plastico (Sheldon e Lachman, 1980).

Secondo la visione della psico-neuro-endocrino-immunologia (pnei), emergente visione scientifica per una clinica integrata (che sta producendo un importante e crescente cambiamento di paradigma delle Scienze umanistiche e mediche), l’A.R. sarebbe sempre più assimilabile ad una combinazione di risposte di circolarità neuro-endocrina anomala confermando la possibile interferenza della componente emotiva che rivestirebbe spesso un ruolo fondamentale e persino scatenante, anche in riferimento all’influenza dell’ambiente psicosociale (su un terreno del biotipo in precario equilibrio) ed in relazione alla particolare sensibilità tempe-ramentale  innata predisponente (cfr. anche alla epigenetica).

All’eziopatogenesi possono quindi in effetti concorrere eventi stressanti, acuti, violenti ed improvvisi, per ansie e timori da contesti sociali aggressivi e per paure ed instabilità umorale che produrrebbero nel soggetto coinvolto la dis-regolazione dell’asse Ipotalamo – Ipofisi – Surrene (IIS).

L’insufficienza allostatica conseguente dipenderebbe dal CRH centrale ipotalamico che rimarrebbe, dopo un’iniziale reazione accentuata (coerente con l’evento), nella norma (condizione stranamente anomala) mentre l’insulto, con la sua instaurazione e consolidamento, ne provocherebbe e richiederebbe la costante elevata risposta surrenalica per contenere gli effetti negativi. Nella fattispecie invece l’innalzamento dei valori delle citochine TNFα, IL1 e IL6, dipenderebbero da una risposta esagerata del CRH “periferico” (Bottaccioli, 2002).

 

CONTRIBUTO GRAFOLOGICO

Tra i vari metodi e strumenti di indagine per giungere ad una diagnosi o quanto meno per valutare il rischio di impatto con questa patologia e non solo con questa, la grafia della persona ne rappresenta uno particolare essendo l’atto dello scrivere un comportamento tra i più raffinati, automatizzato ed inconsapevole che lo rende pertanto autentico per l’alta genuinità di risposta semeiotica grazie allo stretto rapporto globale neurofisiopsicologico e bioinformazionale esistente tra il cervello e la mano.

Possiamo considerare in tal senso la produzione grafica come l’uscita palese all’esterno dell’intimo e complesso sistema biopsicologico umano e di come funzioni in un dato momento della vita del soggetto scrivente.

Pertanto lo studio della grafia è quello che, oltre agli altri più noti e codificati, può contribuire a dare risposte e possibili conferme ai presupposti e postulati pnei (nella fattispecie riferiti alla A.R.) per la peculiarità di poter focalizzare la qualità delle dinamiche nervose ed emotive (nella indissolubile commistione) tra l’organico e lo psichico e nella continua interrelazione di circolarità neurotrasmettitoriale tra i vari sistemi biologici dello scrivente e la mente affettiva.

 

IL CASO ESAMINATO

Il soggetto, di sesso femminile, ha sviluppato i primi sintomi infiammatori delle mani e delle ginocchia all’età di 17 anni con un primo ricovero ospedaliero per accertamenti durante il quale le è stata diagnosticata una sindrome disreattiva, poliartralgie e orticaria. Da successivi accer-tamenti sarà poi definita una forma di A.R. Le terapie di intervento sono state le più varie, dai sali d’oro a infiltrazioni di Rifampicina fino a quelle più severe dell’Urbason (corticosteroideo) e del Metotrexate (antineoplastico) le cui assunzioni sono iniziate all’età di 25 anni. I risultati terapeutici sono stati blandi e non risolutivi, fino alla necessità di due interventi chirurgici con impianto di artroprotesi di anca bilaterali all’età di 29 anni. Il recupero funzionale della deambulazione ha ottenuto ottimi risultati ma altrettanto importanti sono state, dopo la chirurgia, anche terapie adiuvanti con medicine complementari ed integrate, yoga, ginnastiche dolci e pratiche meditative. Sul piano psicologico il miglioramento è stato graduale e costante grazie ad un corso universitario umanistico (concluso con laurea 110 e lode dalla paziente) che, grazie agli stimoli derivanti dall’impegno mentale e di studio di materie affini alle sue tendenze di personalità, hanno contribuito alla progressiva apertura mentale e allo scioglimento dei blocchi di inibizione all’azione che rendevano la persona sul piano comportamentale timorosa, retraibile ed ansiosa. Tale risultato si è prodotto in funzione di una forte volitività che da potenziale si è trasformata in attuale, della curiosità, del desiderio di conoscenza e dello sviluppo di una capacità di elaborazione intellettuale che progressivamente l’ha resa più libera e determinata. Anche percorsi dialogici esplicativi delle varie modalità comportamentali umane e della loro importanza di mantenere l’equilibrio per gli effetti positivi o negativi sul rapporto salute-malattia hanno contribuito a sviluppare consapevolezza profonda ed uno stato di coscienza elevata che, nel tempo, è poi risultata particolarmente benefica per la paziente. Da molti anni non assume più farmaci, in particolare il Metotrexate che, nei casi di A.R., sembra essere uno dei più importanti farmaci da assumere costantemente per contenere l’infiam-mazione nonostante i rischi elevati dovuti agli effetti tossici collaterali.

Il modello di pensiero che si è evoluto nel tempo si è orientato verso un ragionamento (spazio-temporale) analogico, deduttivo e consequenziale con disponibilità a ricercare la miglior spiegazione possibile per la comprensione del mondo.

Attualmente la paziente è totalmente autosuf-ficiente, è in piena attività lavorativa, ha rapporti sociali ed interpersonali adeguati e soddisfacenti e riesce, con questa metamorfosi comportamentale costante e progressiva a mantenere spenta l’infiammazione (senza terapie ne chimiche ne naturali) e a tenere alto il tono umorale ed emotivo.

La dimostrazione dell’evoluzione di questo caso clinico di A.R. con esito altamente positivo, emblematico e da manuale, possiamo verificarla dal confronto di grafie della paziente stilate nelle varie epoche (dai primi esordi patologici in avanti) a dimostrazione di come da una situazione psicocomportamentale inibita ed allarmata, grazie ad opportunità, percorsi di sostegno ed intenzione mentale, sia spesso possibile arrivare ad un recupero della normalità psicorganica se non addirittura all’attivazione di un impegno volitivo per mantenere stabile un entusiasmo spinto verso l’obiettivo di una propria perfettibilità esistenziale (come nel caso citato).

Circa il valore predittivo e diagnostico della scrittura non si potrà mai affermare che il soggetto analizzato svilupperà una data patologia (per l’elevato numero di variabili interagenti ed imprevedibili) ma, evidenziare grafologicamente il disagio psicocomportamentale neurofisiopsico-logico complessivo (spesso precursore di probabili eventi patologici se consolidato nel tempo), è un aspetto certamente da considerare scienti-ficamente per la mole di informazioni ad alto grado di attendibilità che lo studio della grafia può fornire e quindi per le possibilità di azioni di intervento preventivo mirate ad evitare il rischio di danno organico.

 

CAMPIONI GRAFICI (vedi rivista Olos e Logos numero 2 pagina 38)

n.1 anni 20

La grafia presenta tutti gli indici della titubanza, dell’ansia, della bassa autostima, della ridotta espansione energetica. Il ductus scrittorio procede senza slancio ne vitalità e la persona sembra essere fortemente trattenuta da inibizioni, timori ed incertezze. Grafia in buona parte immatura rispetto all’età.

 

n.2 anni 29 (grafia stilata dopo i due interventi chirurgici)

Il tratto scrittorio è diventato negli anni tra i 20 e i 29 progressivamente più slanciato e ritmato. Si presenta con maggior respiro e miglior coordinamento psicografomotorio. Stanno emergendo: più scorrevolezza, fluidità emotiva ed interessanti ed originali combinazioni grafiche personalizzate, sinonimo di incipiente intelligenza elaborativa che si sta evolvendo e proiettando verso un pensiero razio-sentimentale plastico.

 

n.3 anni 31

Il processo di miglioramento complessivo grafomotorio e psicocomportamentale si sta consolidando su livelli decisamente elevati. Sempre più la grafia indica il bisogno della paziente di spazio fisico e mentale e di poter respirare a “pieni polmoni”. Si rileva buona critica ed autocritica in evoluzione congiunte a slancio propositivo verso il mondo e gli altri in seno ad una ritrovata e serena accettazione di se stessa che indirizza la scrivente verso la ricerca e la riflessione cosciente sui propri valori autentici, finalmente emersi e liberati.

 

n.4 anni 34

Ormai la scrittura si è completamente personalizzata e si caratterizza per spontanea e naturale espressione comportamentale. Recupero e buon utilizzo della propria originaria energia vitale (poi inibita e penalizzata nella prima fase della vita) e per i ritmi psicorganici divenuti agili ed armonici. Il ragionamento si va consolidando verso il modello di tipo analogico, profondo e consapevole. Emozioni e sentimenti si stanno integrando e bilanciando in maniera ottimale. La grafia conferma la necessità della persona di volersi esprimere con un pensiero immediato e libero lontana da condizionamenti inibitori e frustranti e da ambiti vitali e spaziali angusti.

 

n.5 anni 36

La grafia presenta in questa fase ancor più maturazione rispetto alla precedente. L’esuberanza vitale, sempre elevata, si palesa ora con più calma e riflessione, l’energia si è raffinata con un’espressione di maggior sensibilità e delicatezza e comunque sempre all’interno di una cornice mentale ampia, comprensiva, propositiva ma anche determinata. Si potrebbe dire che ora la fermezza e la flessibilità hanno trovato nella scrivente il loro punto di buona concordanza, normalmente sempre molto difficile da raggiungere durante l’esistenza umana.

 

n.1 grafia del 21-6-2012

Nonostante le vicende negative e i problemi della vita che accomunano comunque tutti gli umani, spesso anche con intensi impatti emozionali, stressanti e dannosi per la salute (dai quali ovviamente anche la scrivente non è esente), tuttavia la scrittura resta oggi stabile ed equilibrata. Sempre dominante l’elevata sensibilità e la percezione sottile e delicata che caratterizza costituzionalmente la scrivente e che, ormai canalizzate, unificano con sinergia e buon compromesso esistenziale, l’utilizzo armonico delle energie fisiche, utili per il corpo, con quelle affettive ed emozionali indispensabili per la mente e lo spirito. La garanzia di equilibrio psicorganico che la paziente ne sta ricavando è notevole: la giusta proporzione dei segni grafici e l’ottimale rapporto tra loro ne sono gli indicatori di conferma e i sinonimi di una ‘conciliazione’ voluta con consapevolezza per mantenere sotto controllo il danno patologico subito negli anni, indotto dall’A.R.

 

UN INTERROGATIVO CONCLUSIVO

La paura e l’ansia esistenziale per la sicurezza e la sopravvivenza, presente tuttora nell’uomo moderno ma instauratesi fin da subito in quello primitivo, potrebbero concorrere a spiegare l’origine antica delle patologie reumatiche non solo per le cause fisiche accennate ed ipotizzate anche dagli studi antropologici ma anche per gli effetti negativi dei processi psicobiochimici già da allora certamente funzionanti ed efficientissimi?

 

Bibliografia

Ammon G., Psicosomatica, Borla, Roma 1974.

Bottaccioli F., Il sistema immunitario: la bilancia della vita, Tecniche Nuove, Milano 2002.

Lachmann SJ., I disturbi psicosomatici, Angeli Editore, Milano 1980.

Luban-Plozza B.,

Poldinger W., Il malato psicosomatico, Cappelli Editore, Bologna 1978.

Geni e Comportamenti – Scienza ed arte della vita (a cura di Bottaccioli F.), Atti del I Congresso Nazionale di Psiconeuroendocrinoimmunologia – Roma 2008, Red Edizioni, Milano 2009.