Il fine dell’intelligenza artificiale

Francesco Follo*

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Shang Di e Tian Di, Imperatore Sovrano e Imperatore del Cielo: il monoteis

*Lucio Sotte

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Il racconto della Genesi e l’ideografia cinese: curiose coincidenze?

*Lucio Sotte

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Il tempio del Cielo a Pechino: dalla dinastia Ming ai nostri giorni

*Lucio Sotte

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Il Dio Cinese di Padre Matteo Ricci: alla ricerca della traduzione migliore

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Fede e scienza in dialogo: l’esempio dei Gesuiti in Cina nel XVI secolo

Francesco Follo*

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Il soffio della vita tra Oriente ed Occidente – 4 – “qi” nel pensiero taoista

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ll soffio vitale è analizzato e studiato all’interno del pensiero taoista. L’uomo è un microcosmo inserito nel macrocosmo che risponde al tao, che sua volta si manifesta anche come qi. Questo qi può essere regolato attraverso le tecniche della medicina cinese




Antropologia medica: il soffio della vita tra oriente ed Occidente -1 – l’inizio della vita

La vita inizia con un soffio, questo video analizza il concetto di soffio vitale sia nella cultura e tradizioni occidentali come nella cultura e tradizione cinese. Cerca dunque di confrontare queste due modalità di interpretazione del soffio vitale e di coniugarle ed integrarle.




Qi, Yi-Ching e Tao: un’interpretazione quantistica

Alberto Lomuscio*

Introduzione

L’Universo è dominato dai numeri, simboli della trasformazione dell’energia. Viene qui proposta una modalità d’osservazione dell’Universo partendo dai più antichi codici numerologici che descrivono i movimenti energetici del macrocosmo, confrontandoli con quelli del microcosmo. Questi codici sono basati sulla composizione dei trigrammi in due schemi fondamentali: il sistema del Cielo Anteriore di FU HI (Schema 1) e del Cielo Posteriore di RE WEN (Schema 2).

Per studiare l’energia, il QI, è necessario analizzare il contesto globale nel quale l’energia stessa è contenuta, e col quale interagisce, e pertanto verranno valutati entrambi gli schemi del codice primigenio (l’ Yi-Ching) con tutti i relativi trigrammi, tentando una correlazione tra gli stessi e i vari aspetti delle energie costitutive della realtà.

Il primo esprime la Realtà Implicata, non manifesta, non realizzata, il secondo la Realtà Esplicata, creata, manifesta. Lo Schema 1 descrive le leggi-base e l’ordine dell’Universo secondo l’opposta polarità, in un ordine metafisico-psichico al di fuori di spazio e tempo. Lo Schema 2 esprime le stesse leggi, ma realizzate nel tessuto spazio-temporale che le contestualizza, le realizza nella concretezza della realtà, conferendo le vesti della successione temporale e di uno sviluppo.

Lo Schema 1 è caratterizzato dalla presenza del trigramma Cielo, ossia il massimo YANG, contrapposto al trigramma Terra, il massimo YIN, ed è indicativo delle leggi-base, assolute e immutabili, che governano l’Universo. Vediamone i singoli Trigrammi.

Cielo

È lo yang primigenio, indivisibile, senza massa, senza tempo né spazio, senza l’ombra di un polo opposto che possa renderlo duale: è il fotone, particella senza massa, che vive fuori dalle barriere del tempo, che non conosce una antiparticella che gli faccia da contrappeso.

La sua caratteristica è di essere Creatore, come fa la luce, come quando da un fotone nasce un elettrone e, come nel diagramma del Cielo Posteriore, vedremo che faranno le stelle, la cui condensazione nucleare crea atomi di ferro, di carbonio, e così via: la Luce produce la materia!

Il trigramma si riferisce a un mondo insondabile, regno degli archetipi, e i primi archetipi sono i princìpi yin e yang che cooperano a creare le forme, che sono invece espressione del trigramma Terra. Ecco perché si dice che il Cielo è il principio del senza forma, e la Terra è il principio della forma.

È la produzione del progetto genotipico, ma essendo ancora nel Cielo Anteriore, non si tratta ancora di materiale chimico composto dagli acidi nucleici, bensì della “luce del DNA”, del DNA come “campo quantico di luce”, secondo il suggerimento di Hayes:

“Il piano della luce – il campo quantico dei fisici – permea l’intero mondo materiale che esiste nel tempo. E l’onnipresente fotone costituisce il vettore di forza di tutti i processi quantistici, l’intermediario tra tutte le interazioni elettromagnetiche. Perciò, quando la materia cambia per trasmutazione […], i fotoni vengono continuamente assorbiti o sprigionati dagli elettroni in caleidoscopi di attività particellari/ondulatorie altamente risonanti”.

Hayes conclude questo brano ricordando che la risonanza armonica della luce dà accesso a un piano più alto di esistenza, che giunge a realizzare la creazione della materia, proprio come la risonanza della luce nel campo di forma crea il progetto genomico del futuro essere vivente.

Terra

Il suo significato energetico si basa sul Principio di Esclusione di Pauli: è un principio della meccanica quantistica che afferma che due fermioni identici non possono occupare simultaneamente lo stesso stato quantico.

Poiché gli elettroni sono fermioni, il principio di esclusione proibisce loro di occupare lo stesso stato quantico. Per esempio un atomo di elio neutro ha 2 elettroni associati,che possono entrambi occupare l’orbitale col livello di energia più basso (1s) acquisendo spin opposti. In un atomo di litio, che ha 3 elettroni, il terzo elettrone non può stare nell’orbitale 1s, ed è costretto a occupare uno degli orbitali a più alta energia (2s)

Secondo Teodorani, la realtà è dunque coinvolta in una danza astratta caratterizzata da un’armonia di opposti (simmetria/antisimmetria) e quel che stupisce è che ciò avviene senza alcuna causa materiale.

Per esempio nel principio di esclusione, dove ha luogo una danza antisimmetrica, l’esclusione tra particelle uguali non è in alcun modo il risultato di una forza, dal momento che non sussiste il principio di causa-effetto come normalmente avviene nella Fisica Classica ma è il risultato del movimento astratto delle particelle prese nel loro insieme. Qui non esiste un principio causativo, ma esiste una reale sincronicità che unisce simultaneamente tutte le particelle in una indissolubile interconnessione. Proprio osservando la a-causalità di questa danza iniziò a farsi strada il concetto di sincronicità in Fisica. È un disegno globale di natura astratta che tiene insieme armoniosamente il mondo come lo vediamo e lo conosciamo.

Nell’antisimmetria che sta alla base del principio di esclusione non si può fare altro che constatare che esiste “un qualcosa” in grado di correlare la dinamica di ciascuna particella individuale tenendola separata in quei differenti livelli energetici che sono i loro stati quantici. Possiamo accorgerci di questa specie di miracolo creativo sincronico nella materia solo entrando nell’infìnitamente piccolo. Ciò significa che spezzettando l’universo nei suoi componenti più minuti finiamo per accorgerci che questi componenti non interagiscono causalmente tra loro, come quando le molecole di un gas agiscono e reagiscono agli urti reciproci, ma co-esistono assieme sincronicamente co-creando la realtà come la conosciamo. Il principio di esclusione di Pauli è senz’altro uno dei presupposti sperimentali della legge di sincronicità sul piano della Fisica Quantistica. Il comportamento a-causale che questa misteriosa struttura universale esercita sulle sue particelle fa pensare che essa sia la mente dell’universo.

E proprio entrando nel reame delle particelle, noi conosciamo l’esistenza d’una danza sincronica. Dunque anche i nostri corpi son partecipi di questa danza universale. Ma se il campo di forma che governa questa danza non è altro che la psiche-mente del Tutto in comunicazione sincronica con le sue particelle, allora anche la nostra psiche-mente deve per forza essere in comunicazione con l’universo. La goccia cade nell’oceano, e l’oceano tutto si riversa nella goccia.

Il principio è alla base di molte delle caratteristiche distintive della materia: innanzitutto la materia creata dall’Uno ineffabile (Tao) è duale, poiché ora si sono formati lo yin e lo yang (l’Uno produce il Due), e si è creata l’Opposizione, ossia l’impossibilità da parte di due particelle di occupare lo stesso stato quantico, pena l’annichilazione delle stesse che scomparirebbero in un lampo di luce, tornando così all’Uno e perdendo la caratteristica di realtà creata

Inoltre, il principio di Pauli spiega la stabilità su larga scala della materia: gli atomi non possono essere spinti arbitrariamente uno contro l’altro, poiché gli elettroni di ogni atomo non possono entrare nello stesso stato degli elettroni di un’altro atomo – questa significa il termine “repulsivo”. E questo fatto spiega un’altra caratteristica tipica dello yin creato dallo yang, ossia l’individualità!

Io, atomo X, non poso fondermi con te, atomo Y, perché io sono io, e tu se tu: è la base psico-quantistica dell’ego!

Quindi il Trigramma Terra rappresenta l’archetipo dello Yin primigenio, divisibile, dotato di massa e con una vita limitata dal tempo e dallo spazio, dotato di un polo opposto che lo rende duale: è l’insieme dei fermioni, ossia le particelle elementari che sono la base strutturale della materia, la cui caratteristica fondamentale è di venir creata, ma contemporaneamente di saper strutturare lo spazio e il tempo, secondo il ben noto aforisma “Il Cielo informa, la Terra forma”.

L’asse Cielo-Terra esprime il principio yin/yang dell’Universo e l’interazione creatrice e strutturante tra luce e tenebra, dove per “tenebra”, termine anche biblico, va intesa la materia, proprio perché è un “ non-Yang”, “non-Luce”! È il Jing del Cielo Anteriore, ossia tutto quell’insieme di materia che precede la nostra esistenza: gli antenati, il DNA, la forma dell’Universo che ci ha formato prima della nostra nascita.

Fuoco

È il principio yang relativo, rappresenta la tendenza alla presentazione energetica delle particelle: è l’onda elettro-magnetica, e qualsiasi onda, che si comporterà come energia pura. È relativo, perché comprende anche la c.d. “energia oscura”, simboleggiata dalla linea spezzata nel mezzo del Trigramma (nel linguaggio analogico dell’I-King, la linea spezzata è detta anche “oscura”).

Pertanto in questo Trigramma c’è il concetto del legame con la materia (il Fuoco è chiamato anche “Aderente”, qualcosa che deve aderire alla materia, se no si disperde come lingua di fuoco), ma nello stesso tempo quell’energia oscura che può essere tradotta nell’energia repulsiva (ogni cosa contiene il proprio opposto speculare!), che a livello delle galassie spiega il cosiddetto “red shift” (si noti la sincronicità: il colore del Trigramma Fuoco è il rosso!), a livello umano spiega il tenere a distanza ciò che ci danneggerebbe, quindi una forza repulsiva “psichica”, e a livello cellulare è quel calore tossico di produzione metabolica che distruggerebbe la cellula.

Acqua

È il principio yin relativo, e rappresenta la tendenza verso la presentazione materiale, discreta delle particelle: è la particella che si comporta come corpuscolo di materia. È un principio relativo perché comprende anche la “materia oscura”, che ancora non sappiamo cosa sia esattamente, ma che può corrispondere alla linea intera centrale del Trigramma, in quanto dotata di energia (gravitazionale) impressionante: senza questa materia oscura non ci sarebbe abbastanza forza gravitazionale per tenere insieme le galassie, e l’universo avrebbe un’altra forma, ammesso che potesse esistere.

Ma la linea centrale potrebbe nascondere un’altra energia di importanza enorme: l’Acqua, elemento molto yin, nasconderebbe in sé una linea luminosa intera, e questa luce dentro l’Acqua sarebbe la Vita stessa!

Nell’Acqua primordiale, in potenza, esisteva già la vita, che è emersa e si è evoluta dalla materia e dall’Acqua secondo la legge di “qualità emergente”, che consente a una somma di elementi di basso profilo di generare una realtà che trascende i suoi stessi componenti: se guardiamo la nascita della vita sulla Terra, vediamo che dalla somma di acidi nucleici e reazioni chimiche basate sul calore e l’elettromagnetismo, è emersa non una nuova sostanza chimica, bensì la Vita! L’asse Fuoco-Acqua esprime il principio di trasformazione continua dello yin nello yang e viceversa, come ci insegna la fisica moderna quando descrive il passaggio di energia in materia.

Tuono

È il moto esplosivo, il Big Bang originario, ma anche ogni nuovo Big Bang che realizza una creazione continua, anche a livelli microscopici e settoriali. È il principio della liberazione produttiva di energia, con un dispendio energetico enorme, con una produzione di calore elevatissima: è anche il principio entropico di degenerazione dell’energia che, dopo aver svolto la sua funzione creatrice, si disperde sotto forma di calore.

Vento

È il moto organizzato, delicato che penetra ovunque, che ha l’armonia energetica del legno, flessibile, costruttiva, dinamica come il vento, ma radicata nel regno dell’ordine strutturante, non dissipativa come il Tuono. È il moto che, da disordinato, acquisisce un ritmo: è il principio sintropico di organizzazione armonica del movimento e dell’energia, che ad esempio crea la spirale delle galassie, ma anche quella del DNA, come pure il movimento armonico del sangue che penetra dappertutto, e l’armonico coordinarsi dei neuroni tra loro a creare il pensiero.

L’asse Tuono-Vento esprime il principio del rapporto sintropia-entropia relativo alle dinamiche della energia. Ciò che è yin è infatti strutturante-costruttivo, sintropico (Visnu), mentre ciò che è yang e destrutturante-dissipativo, entropico (Shiva).

Monte

È il contrario del Tuono, che era moto esplosivo entropico. Monte è invece struttura ferma, organizzata, condensata. Se Tuono era produzione d’energia, Monte è produzione di forma, per pro-durre la quale però è sempre necessario un dispendio energetico, e quindi, come per Tuono, si tratta di una produzione su base entropica: può essere considerato il dispendio energetico che serve a mantenere invariata la propria forma, con formazione di sempre nuove proteine che strutturano ossa, muscoli, connettivo, senza movimento apparente, almeno sul piano macroscopico.

Lago

È la serena pace del lago, che poco si muove ma molto è in grado di incubare. Come un lago evapora e produce nebbia, come un lago riflette la luce. È una fucina d’energia materializzata, che quindi ha già una forma, ma che si trasforma pian piano nel tempo: come Vento era un ritmo che dava ordine al caos di un’energia esplosiva entropica (rappresentata da Tuono), così Lago è un ritmo che dona ordine alla forma statica di una materia condensata.

È pertanto il principio sintropico della strutturazione della forma e del suo evolvere nel tempo: è la capacità che ha la forma-materia di riprodursi, di evolvere, di riparare i danni subiti, di adattarsi alle forze circostanti, e così via. È la flessibilità camaleontica dell’adattamento all’ambiente, al periodo, agli impulsi materiali. L’asse Lago-Monte esprime il principio del rapporto sintropia-entropia relativo alle dinamiche della materia (omeostasi, regolazione adattativa, compensazioni strutturali come l’ipertrofia cardiaca da ipertensione).

Si noti che gli aspetti sintropici-creativi-ordinatori sono tutti nella zona yang (trigrammi KIAN, DUI, SUN), mentre quelli entropici-destrutturanti-dissipativi sono tutti nella zona yin (trigrammi JEN, KUN, GEN), e quelli neutri (trigrammi LI e KAN) sono nella zona intermedia.

Fin qui lo Schema 1, adesso vediamo lo Schema 2, caratterizzato dalla presenza del trigramma Fuoco nella sede del massimo yang, contrapposto al trigramma Acqua nella sede del massimo yin. È indicativo delle leggi variabili dell’Universo.

Fuoco

Il massimo yang nello Schema 1 era KIAN, il principio della luce, il fotone, che in quanto tale presenta caratteristiche immutabili per velocità, assenza di massa, immortalità. Si tratta però dell’idea di fotone, in senso platonico, il fotone ideale, non ancora attualizzato e contestualizzato nella realtà concreta: è il concetto, l’idea di Luce.

Ma nello Schema 2 al massimo yang vi è LI-Fuoco, che è sì luce, ma ora stesso fotone è attualizzato nella realtà contingente del momento, è contestualizzato in un ambiente, tanto che se viene fatto passare in un materiale semitrasparente, rallenta; oppure può trasformarsi in un altro fotone con energia diversa, o in un’altra particella ancora

Più in generale, può rappresentare la luce-calore di una stella, che col tempo si comporta sempre in modo creatore, in quanto decade in elementi pesanti come il ferro e altri, che realizzeranno la materia, fino alla materia vivente.

Il Trigramma testimonia queste caratteristiche “relative” della luce attualizzata nella realtà creata: infatti, delle tre linee yang dello Schema 1, qui ne ritroviamo solo due, in quanto la linea interna è spezzata, yin: e questo yin sta a indicare proprio una forma di “limitazione”, di “relativizzazione” dello yang massimale.

Questa limitazione può essere la velocità della luce stessa, che ha un valore non superabile, fisso. Ma, attenzione, può essere anche il segno che alla velocità della luce il grande Yin creato, lo spazio-tempo, si deforma! Il tempo rallenta, e lo spazio si curva sempre più! Invece nello schema 1 il massimo yang non conosce tempo né spazio, né velocità (che poi è spazio fratto tempo), e quindi lo schema 1, nel suo Trigramma apicale, esprime la non-località e la atemporalità.

Gli schemi dell’I-King ci spiegano ciò che Einstein ha scoperto un secolo fa, ossia che se si superasse la velocità della luce, si andrebbe a ritroso nel tempo: consideriamo infatti, nello schema 2, il massimo yang, che è il fuoco apicale, che rappresenta la luce e la sua velocità; per aver qualcosa più veloce della luce, dovremmo trovare un trigramma più yang, e più yang di un trigramma con due linee intere e una spezzata è solo quello formato da tre linee intere: MA!…

Ma questo trigramma, nello schema 2, è in posizione molto yin, perché si trova a Nord-Ovest, quindi pur essendo yang come struttura, è yin come posizione: ne consegue che nello schema 2 non esiste un trigramma più yang (come struttura e come posizione) del trigramma Fuoco.

Per trovare il trigramma Cielo (tre linee yang) in posizione apicale (max yang), dobbiamo retrocedere allo schema 1, quello del Cielo Anteriore, che però appartiene a una dimensione appunto anteriore, precedente, atemporale: questo dimostra che per avere uno yang più yang della luce si deve retrocedere nel tempo, e questo è impossibile in quanto lo schema 2 è una derivazione successiva rispetto allo schema 1, e poi nell’1 il tempo non esiste!

LI è luce attualizzata, ossia luce dell’intelletto, coscienza, intelligenza, shen del Cielo Posteriore. Essendo energia yang che si concretizza, corrisponde alla vitalità, e riproduce le caratteristiche ondulatorie dell’energia non particellare, configurandosi come un’onda dotata di uno zenit e di un nadir, di un massimo e di un minimo: nel vivente, questo andamento energetico ondulatorio attualizzato è ben espresso dalla Zong Qi, la cosiddetta “energia pettorale”, che sarebbe meglio chiamare “energia ondulatoria”, perché simboleggia l’onda energetica con la sua alternanza yin/yang di sistole/diastole e di inspirio/espirio. Ma il Fuoco è anche calore, non solo luce. La linea spezzata tra due intere è il concetto di “aderenza”. E per aderire, ci deve essere qualcosa di yin (la linea spezzata, appunto), che simboleggia un substrato: nel nostro caso, il fuoco metabolico per produrre energia vitale deve aderire a un substrato nutritivo.

Acqua

In posizione di yin max c’è l’Acqua,la base energetica della vita, che può essere considerata Jing del Cielo Posteriore, la forma condensata dell’organismo vivente, la base progettuale del fenotipo, la Jing Qi. La linea intera dentro a due spezzate è di fatto la potenzialità vitale dell’organismo che si svilupperà dall’embrione ancora senza forma rappresentato dalle due linee yin

Il max yang (Fuoco) incontrato nel Cielo Anteriore era il genotipo, inteso come “luce dell’informazione ereditaria”. Ora, nel Cielo Posteriore, il max yang è passato nel max yin (Acqua) generando il genotipo inteso proprio come materiale genetico tangibile (i cromosomi). E’ in questo punto che il Cielo Anteriore entra nel Cielo Posteriore, e questo è, più o meno, il momento del concepimento, in cui si è formato l’ovulo fecondato e l’abbozzo genetico primigenio si è individualizzato: è il momento, per dirla in termini quantistici, del “collasso di funzione d’onda”.

L’antropologo americano Edward Hall rivela che per gli Indiani Hopi l’elemento più importante nelle loro cerimonie è la danza, e se questa viene fatta nel modo giusto, l’intero Universo “sprofonda fino a essere contenuto in un singolo evento”. Tutto può raccogliersi in un singolo “momento eterno”, proprio come la danza dei fotoni prima, e dei gameti poi, realizza una realtà emergente a un livello quantico superiore ai suoi costituenti: la vita! La luce è ora diventata suono, il progetto è divenuto materia, il Verbo si è fatto carne: è nata la sublime armonia degli opposti luce-suono, gli sponsali tra Yin e Yang: lo Shao Yin cosmico!

Tuono

Il tuono rappresenta l’emergere della forma dinamica, quindi può essere inteso come creazione continuata nel tempo, la Yuan Qi, energia di programmazione e regolazione, vero e proprio “stimolo continuo” al funzionamento di organi e cellule e organizzazione della struttura vivente secondo le indicazioni del codice genetico dell’individuo. E’ la realizzazione del campo di forma che porterà a produrre il progetto genotipico del vivente. Si può considerare come una funzione della Yuan Qi, in quanto i genitori ci donano il Jing come “campo morfogenetico” (di cui fa parte il corredo cromosomico, ma anche tutto ciò che concorrerà a costituire la nostra forma corporea, come la predisposizione ad alimentarsi in un determinato modo, le abitudini di vita, etc).

Dice il So Wen, Cap. 66: “Nell’immensità dello spazio esiste un’energia essenziale, primitiva, che dà vita a tutti gli elementi, integrandovisi”. Quest’energia che porta di continuo luce nel buio e coscienza dal mondo indifferenziato ci fa pensare allo HUN, al pensiero intuitivo emergente dalla tenebra, al dinamismo della evoluzione verso una consapevolezza sempre maggiore, al SOGNO.

Lago

È la pace mutevole della materia che vive, che si evolve, che procede nel tempo. Ritroviamo gli aspetti energetico strutturali dell’energia trofico-nutritiva, e sul piano metafisico ritroviamo il PO, che rappresenta la conservazione dell’omeostasi, dell’equilibrio vitale della materia calata in un contesto ambientale.

Monte

È la struttura fissa, la forma condensata, quello che i cinesi chiamano XING. E’ il corpo, la materia che ci compone, ed è anche la nostra più profonda individualità, il nostro ego.

Terra

La Terra, coi suoi due trigrammi Terra (a Sud-Ovest) e Monte (a Nord-Est), è l’unico Elemento-Movimento del Cielo Posteriore che forma un asse dinamico: tutti gli altri Movimenti, infatti, sono da una parte sola: il Fuoco a Sud, l’Acqua a Nord, il Metallo a Ovest e il Legno a Est): quindi si tratta di un Movimento dinamizzante secondo un asse di rotazione, e questo asse ingloba il centro, che a sua volta è la caratteristica fondamentale della Terra.

Inglobando il centro e agendo in modo dinamizzante, la Terra conferisce centralità , ma anche massa alla materia. Nello stesso tempo, essendo un asse che circonda (nelle due dimensioni), ossia avvolge a sfera (nelle tre dimensioni reali), si comporta anche come massa energetica esterna al sistema che tiene insieme il tutto, che tiene unita la materia e ne mantiene la forma. Secondo la prima azione, ossia dare massa e centralità individuale alla materia, la Terra si comporta esattamente come il bosone di Higgs; secondo la seconda azione, quella di mantenere unita la materia avvolgendola di energia centripeta, la Terra si comporta come forza gravitazionale, in quanto mantiene la forma ordinata del sistema evitando spinte centrifughe anarchiche: questo porta a una domanda: ma allora, la gravità è legata all’azione del bosone di Higgs? In altre parole, il bosone di Higgs, in ultima analisi, non può essere considerato una forma di gravitone?

Non bisogna dimenticare il concetto di asse-perno-fulcro della Terra, che consente alla ruota di girare, come il mozzo della ruota, come il perno della giostra: questa azione permette la dinamizzazione ordinata (circolare, ossia spiraliforme, se consideriamo anche il tempo), e quindi è la concretizzazione dell’azione di energia dinamica centralizzante e strutturante del TAO.

Quindi la Terra, poiché conferisce massa si comporta da particella che crea un centro interno, mentre quando avvolge dall’esterno si comporta come onda vibratoria che si esprime con la forza di gravità, e questa Terra avvolgente, come un abbraccio cosmico, si muove a spirale e trascina tutto dentro, come il gorgo di un fiume, e nello stesso tempo, portando al centro, condensa e dà ragione di esistere alla massa. Da un punto di vista più concretizzato nel vivente, è la forma potenziale, è un trigramma di confine con lo Schema 1, è il campo morfogenetico del vivente.

Metallo

È il principio olografico dell’Universo, il principio creatore calato nell’immanenza dello spazio-tempo, per cui a ogni livello di esistenza si ritrova l’impostazione del livello più grande (o più piccolo), così come una porzione più piccola di un vivente rappresenta un frattale della forma più grande: si pensi p.es. al mitocondrio, vero e proprio polmone della cellula, al polmone di un uomo e al polmone della terra, che è il nucleo ferroso liquido del centro del pianeta, che con la sua difesa dal vento solare garantisce la stabilità dell’atmosfera, che serve appunto per respirare.

Vento

È dinamismo armonico, ed avendo come opposto polare Cielo, questo trigramma rappresenta l’adeguamento alle leggi celesti dell’Intelligenza Universale, adeguamento che trova la sua simbologia più archetipica nella legge della Sincronicità, vera e propria “musica cosmica” che orchestra i movimenti di tutto ciò che esiste: è la mutevolezza gentile ma decisa del vento della evolutività, della capacità di adattarsi, di cambiare, di aderire alla realtà cangiante del Creato. Il passaggio dal max yin al max yang, ossia il Legno, nel Cielo Posteriore si configura come un progetto (il Legno è un generale che prepara i piani di battaglia) che va attualizzandosi attraverso uno sviluppo progressivo, architetturale e diversificante. Questo corrisponde alla diversificazione strutturante delle cellule staminali, che ancora una volta ci fanno collegare l’energia del Legno all’energia Yuan nella sua funzione di interprete e messaggera del programma genetico originario

Ma il Legno-Vento è anche armonia del vivere, oltre che armonia dello sviluppo, e si ricollega all’altra fondamentale funzione della energia Yuan di regolazione della vita, nella realizzazione di una armonia che è ritmo yin/yang in perpetuo movimento, dalle oscillazioni degli atomi dentro una molecola ai lunghi periodismi dei picchi ormonali, fino a periodismi ancora più lunghi, ma nella loro essenza sempre uguali, come il periodismo mestruale.

I Trigrammi dello Schema 2, principi archetipici delle leggi dello sch. 1, si calano poi nella realtà vivente tramite la c.d. “penta-coordinazione”, che realizza i 5 Movimenti, dove Fuoco e Acqua sono a Sud e Nord (yang, Cuore, yin, Rene), mentre Lago e Cielo a Ovest sono il Metallo (Polmone); Tuono e Vento, a Est, rappresentano il Legno (Fegato), e Monte e Terra, con funzione centrale di fulcro di rotazione, realizzano l’asse SO/NE, ma nella pratica clinica si considera solo la zona di SO, ossia la Terra (MP-ST).

Conclusioni

“IMMAGINE DI SHIVA DANZANTE

La materia, la vita, il pensiero non sono che relazioni energetiche,

ritmo, movimento e attrazione reciproca:

E’ solo luce!

Il principio che dà origine ai mondi, alle varie forme dell’essere

Può dunque essere concepito come un principio armonico e ritmico

Simboleggiato dal ritmo dei tamburi, dai movimenti della danza.

In quanto principio creatore,

Shiva non proferisce il mondo.

LO DANZA”

(Alain Daniélou)

Bibliografia

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– Alain Daniélou, Shiva e Dioniso, Astrolabio, Roma, 1980

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– Yogananda P: Autobiography of a Yogi, Trad. It.: Autobiografia di uno Yogi. Astrolabio, Roma, 1971

 




Dea Madre e Confucianesimo: femminilità conflittuale in Vietnam


Alessandra Chiricosta*

Contributo per “ Ri-conoscer-si. Scuola Estiva della Differenza”, convegno organizzato dall’Università degli Studi di Lecce e dall’Università Roma Tre presso il convento delle Benedettine di Lecce, 11-15 settembre 2006.

Approssimarsi, aprirsi alla differenza, intraprendere un dialogo autentico, nel rispetto degli inter-locutori, significa creare un tempo ed uno spazio originali. Se l’originale è, al contempo, “nuovo” e “all’origine”, lo spazio –tempo che si apre in un dialogo autentico è una dimensione creativa, in cui ci si libera di pre-giudizi e ci si mette in discussione, un atto di amore fondato sul rispetto e sulla responsabilità reciproca. Creazione che mi pone in essere, rispondendo alla chiamata di quel “tu”, di quell’Altro che da sempre mi precede. Ma perché sia autentico, un dialogo si deve attuare in un gioco di interpretazioni reciproche, di ridefinizione delle proprie categorie concettuali, del proprio orizzonte di senso. L’interpretazione dialogica è, in atto, una sorta di “semiosi illimitata”: il “testo” tessuto nel dialogo è trama e ordito di carne, di vita, di sensibilità senziente, di passioni, di logica, di accettazione e di rifiuto. È un’interpretazione destinata ad essere sempre incompleta, fatta anche di silenzi, di negazione, di incomprensioni che, purtuttavia, mantengono viva l’Alterità, come necessaria presenza all’Identità.

Nell’approssimarsi, nell’interim della comunicazione, i due inter-locutori operano una decostruzione e ricostruzione di tipo ermeneutico, destrutturando quei pre-giudizi che si pongono “a monte” del dialogo (pur essendone prerequisito) e riconfigurando il senso nel e del dialogo grazie a quel “nuovo”, a quel di “originale” che si disvela “a valle”. Il pre-giudizio con cui mi accosto all’Altro è parte integrante di me: modificarlo significa sottopormi ad un’operazione violenta e traumatica, fonte di notevoli resistenze spesso infide e occulte.

E tanto più distante da me, in termini di senso, si pone il mio interlocutore, tanto più difficile e insidioso diviene l’approssimarsi: le sue parole sono solo echi lontani, mentre chiare ed evidenti sono le immagini che qualcun altro ha iconizzato per me.Ma quanto queste cristallizzazioni, che occupano il mio ingenuo immaginario, sono frutto di un autentico dialogo, e quante sono la disperata resistenza di una persona, di un gruppo, di una cultura autisticamente chiusa in un monologo?

La storia dei rapporti con l’Oriente è emblematica in tal senso: categoria “creata”, a detta di Edward Said, dalle culture europea e statunitense per poter definire se stesse, l’Oriente è stato da sempre ricettacolo di proiezioni funzionali ad un desiderio di dominio e di contrasto con ciò che si è autodefinito Occidente.

Nell’immaginario occidentale il Viet Nam riveste il ruolo di un paese piccolo ed arretrato che è riuscito nell’immane compito di liberarsi dal giogo del colonialismo e di contrapporsi vittoriosamente ad una delle potenze egemoni della contemporaneità. Il suo nome evoca giungle insidiose irte di combattenti nascosti, arse dal Napalm, culle di civiltà dedit ea culti di divinità oscure e sanguigne. E in termini femminili ci sono state proposte immagini di esili ma indomite combattenti, nascoste sotto cappelli a cono, curve nelle risaie (ma non per questo meno temibili), o seducenti prostitute in fumosi e sudati postriboli, geishe del sud pronte a compiacere gli invasori occidentali. Ma tutto questo è solo una piccolissima parte di ciò che una cultura millenaria ha da offrire alla nostra riflessione, una parte, tra l’altro, voluta e veicolata da una propaganda colonialista prima e di guerra poi, e prodotta da un pensiero etnocentrico, chiuso in se stesso e autocelebrantesi in un monologo.

E se l’Estremo Oriente e il Sud est asiatico rappresentano quell’Alterità culturale che sfugge sempre di più alle nostre griglie concettuali, e che sempre più ci si rende prossima, ma non per questo più intelligibile, proprio ora, e qui, in un luogo in cui ci si apre alla differenza, occorre mettersi in dialogo e ripensare in termini diversi proprio quelle immagini che una categorizzazione non critica ci hanno consegnato.

Il titolo di questo intervento chiama in causa un conflitto, ma non quello che l’Occidente ha strumentalmente iconizzato: si tratta di una guerra ben più subdola e lunga che la cultura vietnamita, e ancor di più le donne che in essa si sono formate, vittime, per la nostra prospettiva, di almeno un triplice livello di pregiudizi, hanno combattuto, e tuttora affrontano, con stigmatizzazioni culturali che ne hanno offeso e limitato la libertà, così come è accaduto, e continua ad accadere, in molte altre parti del mondo. Ma, a differenza che altrove, la resistenza vietnamita ha saputo dare frutti insperati e offrire, nei limiti, un orizzonte nuovo di riflessione.

Occorre innanzi tutto, vista la scarsa attenzione che fino ad oggi gli studi italiani hanno rivolto a questo paese, delineare brevemente il panorama religioso vietnamita. Si tratta di una realtà assai complessa e ricca, frutto dell’incontro delle maggiori culture dell’Oriente, fortemente sincretica e fertile: basti pensare che le più recenti religioni ufficialmente riconosciute (Caodaismo e Hoa Hảo) sono nate nella prima metà del 1900. Si parla, dunque, di millenni di tradizione religiosa, ancora oggi tenuta in gran conto nella vita quotidiana della popolazione.

Il territorio che costituisce l’attuale Vietnam ha ospitato tre differenti civiltà: la Viet al Nord, nel bacino del Fiume Rosso, fortemente influenzata dall’Impero Cinese; la Cham al centro e la Khmer a Sud, entrambe legate all’India; nonché le oltre 50 delle popolazioni definite oggi come minoranze etniche, presenti soprattutto nelle aree di confine. L’espansione del regno dei Viet, attraverso i secoli, ha determinato l’assimilazione dei regni del Centro-Sud, che hanno mantenuto, comunque, i propri tratti peculiari. Caratteristica della cultura vietnamita è, poi, di reinserire gli stimoli provenienti da altre culture nel tessuto organico della propria, riadattando e conciliando gli elementi di dissonanza. Così, nel tempo, alle religioni autoctone, incentrate sui diversi culti delle dee madri e degli elementi naturali, nonché degli eroi culturali di ogni singolo paese o villaggio (in quello che lo studioso Đoàn Lâm definisce come un sistema aperto e democratico, in cui si assumono al rango di divinità uomini e donne, giovani e vecchi, aristocratici e plebei, creature celesti e terrestri) si sono unite prima il Buddhismo – sia di scuola Theravada, proveniente dall’India, che di scuola Mahayana, proveniente dalla Cina – poi le religioni cinesi, a seguito dei dieci secoli di colonizzazione. Queste ultime si presentavano già potenzialmente legate in un pensiero unitario (consolidato, però, solo col neo-confucianesimo nel 1200 d.C.): Daoismo, Confucianesimo e la versione sinizzata del Buddhismo costituivano tre aspetti di una realtà che voleva sempre più concepirsi come unica (“le tre scuole sono una scuola” recita un noto detto cinese, adottato anche in Vietnam). Essendo, difatti, totalmente assente il concetto di “Religione rivelata” (arriverà solo, blandamente, con i missionari Gesuiti nel 1600 prima, e troverà una reale applicazione con il colonialismo francese nel 1800), il vissuto religioso vietnamita tende più ad una forma di integrazione reciproca di differenti stimoli, a seconda dei campi di applicazione: così, nella religiosità popolare ci si rivolge a Confucio per superare degli esami, mentre si pregano Bodhisatva buddhisti o la Dea Madre per assicurarsi una prole; nelle più raffinate teorizzazione si cercherà di trovare linee conduttrici che tessano fili di dialogo e convergenza tra realtà apparentemente contrastanti.

Non potendoci soffermare su ogni aspetto di una realtà così varia, tratteremo del confronto tra le due (tre, sotto certi aspetti) religioni che più hanno influenzato la cultura vietnamita, ovvero quella della Dea Madre e il Confucianesimo.

Sotto la dicitura “Religione della Dea Madre” sono compresi una notevole quantità di differenti forme di culto, che vanno da pratiche circoscritte a piccole realtà locali a miti fondatori e culti di Stato: in ogni caso questi culti rappresentano la religione autoctona più antica del Vietnam. Il Confucianesimo viene imposto, più che importato, dalla dominazione Cinese, durata circa dieci secoli (dal 111 a.C. al 939 d.C.): i riti e i principi confuciani infatti, rappresentando l’ossatura del potere politico dell’Impero Celeste, vengono giocoforza a strutturare la realtà socio-politica e culturale dei territori invasi, che risentono di una fortissima opera di sinizzazione. La terza religione a cui si è accennato è il Buddhismo, ma solo in quanto sincretizzato con i Culti della Dea. In Vietnam il Buddhismo arriva sia propriamente dall’India, sia dalla Cina stessa, in una forma già a sua volta sincretizzata con il Daoismo e le religioni popolari cinesi. In quest’ultima forma, a Nord, si troverà a svolgere un’analoga funzione di “protezione” e, talvolta, di sistematizzazione dottrinaria nei confronti dei culti autoctoni, andando a stringere con essi un sodalizio ancora perdurante.

Ma procediamo con ordine. Molti studiosi asiatici ravvisano una forte connessione tra la base economica della civiltà vietnamita (come della maggior parte del Sudest asiatico), ovvero la risicoltura, e il culto della Madre: così la troviamo rappresentata come Madre Terra (Mu Địa) a Láng Hạ (vicino Hà Nội), Madre dell’Acqua (Mu Thoi)) e Madre del Riso nella provincia di Phú Thọ. Le sue quattro figlie, poi, Nuvola, Pioggia, Tuono e Fulmine, hanno tutt’oggi un culto particolare nella provincia di Kinh Bắc. La risicoltura nelle zone pianeggianti si basa sull’acqua e su di un clima umido: da qui la forte enfasi sui fattori climatici “acquatici”. A margine ricordiamo che nel vietnamita contemporaneo uno stesso termine, “nước” significa sia “Paese” che “acqua”, laddove le lingue indoeuropee giocano sull’anfibologia di “Terra”.

Nelle zone più montuose, in cui si sono sviluppate società di cacciatori e raccoglitori, troviamo poi culti della Madre della Foresta e della Montagna (Mu Thượng Ngàn), come custode dalle e delle forme più ferine e orrorifiche della natura. In questa forma la Madre è circondata da serpenti e tigri, che la proteggono e agiscono come sua emanazione. Al Centro troviamo poi la Madre Yana dei Cham, Dea del Mare. Benché non sia stato ancora compilato un inventario completo delle dee legate a tale culto, le studiose Đỗ Thị Hảo e Mai Thị Ngọc Chúc ne hanno registrate ben 75.

In questo contesto economico-culturale, il ruolo assolto dalla donna-madre era preponderante, così come ci attestano le espressioni con cui la si connotava: ni tướng (capo degli affari “interni”, cioè familiari) e tay hòm chìa khóa (detentrice delle chiavi). La famiglia vietnamita costituisce, sin dalle origini, il fulcro dell’organizzazione del villaggio, che, a sua volta, è il principio fondante dello Stato: un antico proverbio vietnamita recita “la legge del re cede alla regola del villaggio”. Vedremo in seguito quanto questo contrasti diametralmente con il sistema imperiale di stampo confuciano.

Per comprendere il ruolo fondante della famiglia nel sistema delle interrelazioni sociali vietnamita, basti pensare che la totalità dei modi – assai numerosi – che traducono i termini “tu” ed “io” sono utilizzati, ancora oggi, anche per identificare le relazioni parentali. Così ci si rivolge ad un uomo anziano o molto importante chiamandolo “Ông”, stesso termine che si usa per definire il “nonno”; “”, con cui si appella una signora di una cera età, e quindi degna del sommo rispetto, indica la “nonna”, e così via, lungo una linea di lignaggio che racchiude tutta la popolazione in un’ipotetica grande famiglia. Quindi la posizione sociale rivestita all’interno della famiglia vietnamita non è di certo secondaria a quella della vita “esterna”, andando, idealmente, a coincidere con essa.

Ben altra posizione era, invece, assegnata alle donne dal sistema di valori confuciano. Tralasciando qui la questione della definizione di Confucianesimo come religione o filosofia, basterà qui sottolineare il fatto che l’etica confuciana permeava il senso stesso dell’Impero Cinese: l’imperatore, come Figlio del Cielo insignito del Tian Ming, ovvero il Mandato Celeste, era il vertice, la chiave di volta di un sistema di interrelazioni basato su di un’idea di sudditanza, speculare in Cielo e in Terra. L’obbedienza dovuta all’imperatore da un Ministro era la medesima dovuta da un figlio nei confronti del padre, che si perpetuava anche dopo la morte, nel culto degli antenati. La ricognizione di questi ultimi avveniva in linea maschile, e l’intera società era regolata dal più rigido dei patriarcati. L’etica confuciana vedeva, infatti, la donna come asservita ai dettami del sancong, ovvero “le tre persone da seguire”: padre, marito, figlio. Ciò significa che , in linea di principio, la donna non possedesse un suo status in quanto tale, ma che fosse totalmente dipendente dalla linea maschile della sua famiglia di nascita prima e di acquisizione poi. Il termine cong è stato spesso interpretato dagli studiosi come una dipendenza totale, sia fisica che psicologica, che avrebbe recluso la donna in una prigione di sudditanza e sottomissione, fatta di vessazioni e “piedi fasciati”.

Anche se fortemente misogina, l’etica confuciana non sembra, storicamente, potersi ridurre a questa bruta coercizione: una più grande flessibilità, data dall’appartenenza a classi sociali diverse, ad esempio, o al luogo di provenienza, permetteva alla donna di mantenere una propria dignità.

Dorothy Ko sostiene che il sancong sottraeva alla donna un’identità legale, formale e sociale, ma non la propria personalità e dignità soggettiva. Uomini e donne venivano così a trovarsi a vivere in due sfere di azione separate, definite rispettivamente “esterna” e “interna”, indicando con ciò sia una reale dimensione fisica di gestione della propria vita – l’interno della casa, del tempio per le donne, il mondo dei rapporti sociali, dei viaggi, del commercio, della gestione statale per gli uomini – sia una prospettiva interpretativa e di priorità. Ben diverso da ciò che accadeva in Vietnam.

La teoria delle due sfere d’azione pone in essere due universi paralleli, che, però, andrebbero letti non come una categoria assoluta di una presunta immobile “cultura cinese”, ma storicamente determinati e analizzati nel loro effettivo attuarsi in determinati contesti socio, storico-culturali.

Si viene così a osservare non più un universo dicotomicamente diviso, polarizzato, bensì un terreno di interazione assai più dinamico e fluido, in cui le due sfere interagiscono non solo ad un livello pratico, ma anche nella costituzione stessa delle reciproche identità.

Non si intende, beninteso, con ciò affermare una totale libertà della donna Han, pur sempre educata a conformarsi ad un codice di valori stabilito da uomini, in cui la somma virtù è costituita dall’obbedienza e la fedeltà, dalla castità e dal decoro; a cui veniva pur sempre preclusa una carriera politica reale, non potendo sostenere gli esami di Stato, e via dicendo. Si vuole, però, affermare un ruolo attivo femminile, anche nella gestione del sistema culturale stesso, che le vedeva creare degli spazi di libertà, senza mettere in discussione le regole etico-sociali, ma reinterpretandole, a volte proprio grazie ad una sostanziale accettazione di esse, riscrivendole tramite una pratica costante, ma personale.

Vogliamo, con ciò, affermare la validità di un “Nuovo Paradigma”che interpreti la storia delle donne in Cina, contrastando con una visione, come si è detto, forse troppo riduttivistica proposta dall’ottica del movimento del Quattro Maggio e da un pensiero femminista occidentale non critico, che, in ragione di una prospettiva sostanzialmente ideologica – che non si intende in alcun modo mettere qui in discussione – tralascia un piano di osservazione critico-storico.

Non era, ad esempio, prevista per la donna un’educazione letteraria, conditio sine qua non per l’accesso alle cariche pubbliche: oltre alle nozioni che ne avrebbero fatto una moglie perfetta, non era consigliato dall’etica confuciana di istruire la donna, per non fomentare in lei presunzione ed arroganza. Ma la storia letteraria cinese smentisce, per fortuna, l’assolutezza di questi dettami, regalandoci splendide pagine di scrittura femminile. Non solo. Proprio l’abilità di alcune donne di utilizzare codici letterari, culturali ed etici di stampo maschile, pur non provocando una modificazione sostanziale di questi ultimi, introdusse però concetti e forme differenti, come, ad esempio la valorizzazione del qing (sentimento, emozione) sia come tematica letteraria, sia come forma di una letteratura maggiormente focalizzata sull’introspezione.

Si tratta, qui, comunque, di una realtà minoritaria nel contesto Han: tali “eccezioni” letterarie trovavano luogo d’essere all’interno di famiglie altolocate, o comunque talmente benestanti da poter permettere di affrontare gli alti costi di un’educazione: difficilmente una contadina avrebbe potuto coltivare talenti poetici, tantomeno essere oggetto anche di culti di Stato.

 

Cosa accade, dunque, all’indomani della conquista cinese del Vietnam, quando ordini di valori così differenti si trovano a convivere nel medesimo territorio?

In realtà troviamo subito delle sacche di resistenza molto decise, sia, come ovvio, come ribellione militare, sia come mantenimento di una propria visione sociale: la Cina era comunque una potenza colonizzatrice, e benché foriera di una cultura più raffinata e complessa, che ha indubbiamente segnato la totalità delle istituzioni e della concezione del mondo vietnamita, è stata da sempre vista come il maggior nemico, nei confronti del quale occorreva mantenere una propria specifica identità, pena l’assimilazione totale.

E non è forse casuale che tale resistenza abbia una fortissima connotazione femminile. Tra i maggiori eroi che hanno capeggiato spedizioni militari anti-cinesi nel corso dei secoli vengono annoverate ben tre donne, assurte al livello di protettrici della patria e oggetto di culti di Stato: le due sorelle Trưng, che guidarono una rivolta tra il 40 e il 42 d.C.; e Bà Triệu, che, nel 248 d.C., si mise a capo di un esercito che conduceva cavalcando un elefante, come ci mostra un’ampia iconografia. Le sue parole sono diventate quasi leggendarie: “Vorrei cavalcare la tempesta, uccidere squali nel mare aperto, cacciare gli aggressori, riconquistare il mio paese, rompere le catene della schiavitù, e non piegare mai la mia schiena ad essere la concubina di un qualsiasi uomo”.

Anche da un punto di vista politico-amministrativo le donne vietnamite continueranno a mantenere diritti inconcepibili per la visione generalmente diffusa in Estremo Oriente: benché la struttura patriarcale, presente già dal 3 secolo d.C., fosse stata ufficializzata con la promozione del Confucianesimo a dottrina di Stato sotto la dinastia Lý (10 secolo), nel codice Hồng Đức promulgato dal re Lê Thánh Tông (1422-1497) leggiamo che nessun matrimonio poteva essere stipulato senza il consenso della donna. Anche dopo il fidanzamento ufficiale, aveva il diritto di rompere la promessa matrimoniale semplicemente restituendo i doni di fidanzamento, allorché il futuro marito fosse stato infermo, o avesse commesso un crimine, o avesse dilapidato i beni della famiglia. Se l’uomo l’avesse forzata al matrimonio, sarebbe stato punito con 50 frustate. Inoltre l’uomo non avrebbe potuto divorziare se lei si fosse ammalata o se fosse rimasta inferma, o se avesse commesso un crimine non tanto grave da essere discusso in un tribunale. Mentre la moglie poteva ottenere il divorzio se il marito si fosse allontanato da casa, eccezion fatta per le missioni ufficiali, per un periodo superiore a 5 mesi, o un anno se la coppia avesse già avuto figli. La donna sposata non poteva essere condotta in schiavitù anche se i suoi genitori si fossero macchiati di gravi reati e continuava a mantenere in diritto di ricevere eredità dalla propria famiglia di origine. Ogni eredità doveva essere equamente divisa tra figli e figlie, e in assenza di figli maschi, la primogenita avrebbe ottenuto, oltre alla propria quota, anche la parte riservata al culto degli antenati, di cui diveniva responsabile.

Quest’ultimo è uno dei tratti più significativi: il principio confuciano di ricognizione degli antenati seguiva un lignaggio rigidamente patrilineare che, come abbiamo accennato, manteneva e si manteneva nell’organizzazione dello Stato. Derogare da questo presupposto significava destrutturare l’intero apparato politico e, nel contempo, cosmologico. Benché, infatti, Confucio avesse affermato di non curarsi dell’oltremondano, il culto degli antenati sanciva il principio fondante dell’essere-nel-mondo confuciano. Ogni individuo aveva infatti senso non individualmente, bensì come parte di un continuum dato dal lignaggio, che legava il passato degli antenati al futuro dei discendenti. Per questa ragione in Cina l’assenza di eredi maschi era considerata una delle calamità più gravi che potesse colpire una famiglia (a tutt’oggi, nonostante il mutato assetto politico-culturale e i provvedimenti contro tale barbaro costume, è presente nelle campagne cinesi l’uso del ”bagno” alle neonate femmine, ovvero l’uccisione tramite affogamento subito dopo il parto), e la mancanza di pietà filiale uno dei crimini più deprecati.

Il lignaggio dell’Imperatore rispecchiava, poi, direttamente quello del Cielo: gli antenati imperiali erano le divinità celesti, nonostante i cambiamenti di stirpe motivati dal concetto del Mandato Celeste.

L’attribuire alla donna il diritto di essere responsabile del culto degli antenati voleva dire assegnarle un posto nevralgico nella costruzione del senso della propria cultura e dell’intero ordine cosmico.

Tale principio assume portate ancora più grandi ed evidenti nella sistematizzazione e nella nazionalizzazione del Culto della Dea Madre, attuatisi proprio quando il confucianesimo era ormai stato assimilato in Vietnam.

Prima di allora, infatti, il Culto era molto legato alle realtà locali e, come accadeva per il Daoismo religioso in Cina, conviveva con la religione ufficiale di Stato senza mischiarsi con essa, coprendo ambiti differenti (il soprannaturale, le problematiche quotidiane, ecc) nella forma di una dialettica pubblico/privato. Ma tale separazione, per quello che si è detto, era tutt’altro che netta in Vietnam: ciò determinò l’entrata a tutto diritto dei culti femminili nella più alta delle ufficialità, creando una varietà impressionante di modalità in cui si adorava l’aspetto muliebre.

Đoàn Lâm propone queste classificazioni, di cui denuncia anche la relatività, per fornire una sommaria comprensione di tale variegato universo:

 

1)      Origine. La Dea Madre ha origini differenti

a)       Sovraumane: come lo spirito della Catena montuosa Tam Đảo, la Madre Terra, La Madre delle Acque, la Madre del Riso, la Madre delle Foreste e delle Montagne, ecc.

a) Umane:tra queste personaggi storici, come le sorelle Trưng, Ba Triệu, Ỷ Lan (11 secolo), e mitici, come Âu Cơ, Madre del popolo e dello Stato vietnamita.

b) 

2)      Appellativi. Il modo in cui ci si rivolge alle divinità ne sottolinea il ruolo e la sfera d’azione.

a)       Thánh Mu, Dea Madre, la più antica e sovrumana manifestazione della Dea.

b)       Quc Mu, Madre della Nazione o Vương Mu, Madre del Regno, titolo assegnato a mogli o figlie di re che si sono distinte per meriti particolari tali da determinarne un culto.

c)       Bà Chúa, Nobile Signora, appellativo di una divinità femminile che si è distinta per particolari azioni, sia al livello locale che nazionale.

 

Si evince subito l’importanza politica di tali figure, in cui non si relega l’autorità femminile solo ad un livello mitico, aurorale, sottratto al divenire storico e, dunque, non più attualizzabile, ma ne estende il campo d’azione fino alla contemporaneità, inserendosi come ordito in quelle fitte trame che il sistema confuciano aveva tessuto per escluderla.

Già la storia di Âu Cơ, mito fondatore dello Stato del Vietnam, pone la donna in una posizione chiave nell’istituzione della regalità, quindi dello Stato.

Si narra che un uomo di incredibile forza e astuzia, di nome Lạc Long Quân, figlio del Re Drago che vive nel Mar Cinese Meridionale (Long significa, appunto, drago), sconfisse una serie di mostri che imperversavano nel territorio del bacino del Fiume Rosso, rendendolo inabitabile. Dopo aver reso coltivabile l’area coperta da dense foreste, uccise lo Spirito Pesce, consentendo ai pescatori di riprendere la loro attività; lo Spirito Volpe, dotato di nove code; infine lo Spirito Albero. Dopo di ciò istruì gli abitanti su come sostentarsi tramite l’agricoltura, e si ritirò nel suo palazzo marino, pronto, comunque, ad intervenire in caso di necessità. Giunse, poi, dal Nord un potente re, deciso a invadere il territorio finalmente vivibile. Insieme ad un copioso esercito, il re portò con sé anche la sua amata figlia, Âu Cơ, di straordinaria bellezza e intelligenza, la cui madre era un’immortale delle Montagne. Lạc Long Quân, rispondendo al disperato appello degli invasi, giunse nell’accampamento del re in un momento in cui questi era assente, sotto le spoglie di un bellissimo uomo. Ovviamente i due giovani si innamorano immediatamente, e decidono di fuggire insieme sulle montagne. Il re, scoperto il rapimento della figlia, si getta all’inseguimento insieme all’esercito, che viene però sconfitto dagli animali che la giovane coppia scaglia contro di lui, costringendolo a tornare a Nord.

Dopo molti anni di vita insieme, Âu Cơ rimane incinta: partorisce una sacca (o una zucca, secondo altre versioni) che dopo sette giorni si apre, scoprendo 100 uova. Da queste nasceranno 100 figli, che cresceranno con rapidità. La famiglia vive felicemente, fino a quando Lạc Long Quân sente la necessità di ritornare nel suo palazzo marino.

Sebbene viva negli agi e tra gli affetti, Âu Cơ soffre per la mancanza del marito, perciò decide di richiamarlo ai suoi doveri di padre. Dopo essersi incontrati su di uno scoglio, i due decidono di proseguire per vite separate, non riuscendo nessuno dei due a fare a meno della propria dimora e comprendendo di appartenere a mondi troppo diversi. Âu Cơ richiama, però, il marito ai suoi doveri quantomeno parentali: così 50 dei figli lo seguiranno al mare, mentre altri cinquanta vivranno con lei nella terraferma. Di questi ultimi, il primogenito diverrà il primo re del Văn Lang (l’area abitata dai Viet, nel Nord dell’attuale paese), con il nome di Hùng Vương, (re Hùng): egli dividerà il territorio in quindici regioni, ciascuna controllata da un governatore. Al figlio del re spetterà il titolo di Quan Lang, ed alla figlia quello di My Nương.

 

Questa storia è stata oggetto di molte interpretazioni, fornendo un repertorio assai ricco da un punto di vista antropologico e storico-religioso: la divisione dei figli adombra i diversi costumi della popolazione costiera e di quella dell’entroterra, pronti, comunque, a soccorrersi mutuamente in caso di pericolo. Ma per quanto riguarda ciò che concerne la posizione delle donne, vi è in questo mito un qualcosa di eccedente rispetto alla solita dicotomia femminino-naturale versus maschile-culturale presente in altre civiltà (o meglio, nella rilettura parziale che certa storiografia ha dato di altre civiltà). Âu Cơ non partorisce meramente dei figli che popoleranno una terra, ma genera ed educa una stirpe di re, la prima che trasformerà il territorio vietnamita in un regno, ovvero in uno Stato. Âu Cơ, quindi, dall’alto della montagna in cui si è ritirata, mantiene sia un’autorità naturale, generatrice, ferina; sia sovrumana, in quanto Tiên, essere sovrumano benché agente sulla terra in un preciso momento storico; sia umana, come madre di re che sono divenuti tali proprio in quanto suoi discendenti. Non è marginale, infatti, che Lạc Long Quân non abbia un culto analogo a quello della sua sposa, benché anch’egli genitore dei re vietnamiti.

Si rende qui, come in molte altre storie che, purtroppo, non abbiamo tempo di narrare, come la concezione della regalità e dell’autorità vietnamita differisca radicalmente dalla patrilinearità e dall’autoritarismo maschile di stampo confuciano. Ma sarà comunque il confucianesimo a dare un’impronta decisiva allo sviluppo della politica e della cultura việt. Nell’anno mille verrà fondata, a Thăng Long, l’odierna Hà Nội, la prima Università Nazionale, impostata secondo i dettami degli studi confuciani, concepita come preparazione per gli esami Stato, il cui superamento avrebbe dischiuso le porte alla carriera mandarinale. L’elite confuciana vietnamita tenterà continuamente di ricalcare il modello cinese, ma non vi riuscirà mai completamente: il femmineo non solo si manterrà nella cultura popolare come elemento imprescindibile, ma si insinuerà nelle maglie dell’organizzazione confuciana, riuscendo ad adire a titoli e posizioni inaspettati. E se nel Buddhismo i culti femminili troveranno un prezioso alleato, sincretizzandosi nel culto, ad esempio, della Bodhisatva Quan Âm, o in quello delle Quattro figlie della Dea, che diverranno Quattro Sante buddiste, solo per citarne alcuni, col Confucianesimo si manterrà sempre questa particolare forma di conflitto, in una lunga opera di rifiuto e accettazione che condurrà fino ai nostri giorni.

La produzione di miti, leggende, storie in Vietnam è di una sconvolgente ricchezza: la vis narrativa việt si esprime da sempre in canti, teatro, spettacoli di marionette sull’acqua, fino a giungere, in tempi più recenti, alla forma romanzistica. E anche qui vediamo che quello che viene ritenuto il maggior romanzo in versi vietnamita di tutti i tempi, il Kim Vân Kiêu, scritto nella seconda metà del 1700 da Nguyên Zu, ha come protagonista una ragazza bella, virtuosa e intelligente, Kiêu, che nella sua lunga storia di sventure riflette proprio questa strana dicotomia tra etica confuciana e autorità femminile. Sarà lei, infatti, ad incarnare la perfezione della pietà filiale, fino a degradare se stessa e rinunciare al suo amore, per poi risalire la china, nella migliore delle catarsi. Ma agirà sempre in quanto protagonista, dimostrando un’ ostinatezza e forza emotiva sconosciuti a gran parte dei personaggi maschili del romanzo.

 

L’escursus finora compiuto non rappresenta che un fugace sguardo rivolto ad una cultura ricca e densa di questioni di indubbio interesse, che ha avuto lo scopo di mostrare la complessità di una lotta culturale diversa da quella intrapresa in Occidente, le cui modalità, mutatis mutandis, caratterizzano ancora oggi la situazione femminile in Vietnam.

È a tutti noto il ruolo attivo delle donne durante la guerra indocinese, la loro forte azione nella scena politica (grazie anche all’opera dell’Unione delle Donne, organismo istituito al tempo di Hồ Chí Minh e ancora attivo) che le ha portate ad avere, ai giorni nostri, una presenza di oltre il trenta per cento nel Governo. Ma sono meno note le grandi barriere culturali che ancora permangono, eredità della misoginia confuciana, e che mantengono viva questa antica conflittualità all’interno della quale si costruisce l’identità femminile in Vietnam. Innumerevoli sono i casi documentati di eroismo femminile non solo durante la guerra, ma all’indomani di essa, quando molte donne si sono trovate a ricostruire una nazione, dopo un’esperienza devastante, in cui molti uomini le volevano nuovamente relegare in una posizione ancillare, facendo accettare loro, ad esempio, una condizione di bigamia sorta durante il conflitto. La politica del Đoi Mơi (rinnovamento), l’apertura economica e la globalizzazione sta prospettando al mondo femminile vietnamita delle nuove sfide, molte delle quali, a mio avviso, si giocheranno proprio nei termini di una nuova costruzione di identità, in cui la ferma flessibilità dimostrata finora sarà sicuramente un’arma vincente.