Venti squali per amici

Paola Poli, Carlo Moiraghi *

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Lo stile di vita quale prevenzione del processo involutivo da invecchiamento

Alfredo Calligaris*

Le società avanzate dei paesi ricchi, probabilmente, per il consolidarsi di una forma di immaturità collettiva, condividono l’assunto che la condizione normale dell’uomo, comprese le donne, ovviamente, debba essere quello di godere di buona salute, di vivere il più a lungo possibile, nel pieno controllo della propria vita e d’essere in buone condizioni materiali.

In parte il problema del prolungamento del vivere è stato risolto, e l’aspettativa di vita si è quasi raddoppiata nel giro di un cinquantennio, ma il fenomeno della longevità si è amplificato più per l’intervento terapeutico sulle patologie provocate dall’invecchiamento, che è dimostrato dal fatto che anche oggi abbiamo dedicato i quattro quinti del convegno alla trattazione delle evenienze fisiopatologiche che lo contrastano, piuttosto che per il miglioramento dello stile di vita. Vale a dire, per la diffusione dell’aspetto culturale che attiene a questo fondamentale atteggiamento comportamentale.

È probabile che l’immortalità non sia sconosciuta al nostro patrimonio genetico e la ricerca per la sua identificazione avanza a passo spedito. La morte potrebbe dipendere, effettivamente, da errori di trascrizione del DNA, ma probabilmente anche l’errore deve far parte della cultura biologica dell’uomo. Jeremy Rifkin sostiene che l’uomo è sacro proprio per la sua imperfezione.

Due nostri amici dell’International Center for Genetic Engineering and Biotecnhology di Trieste, Carlo Rubbia e Claudio Schneider, sono convinti, però, che il “Progetto Faust”, ce ne sono più d’uno, non galleggi più sulle nuvole del futuribile, ma sia già futuro. E negli incontri dei biologi di “formula 1” si parla già del prolungamento della vita ben oltre i due secoli e che, forse, proprio grazie o a causa della genetica, siamo alle soglie della conquista dell’eternità. Perché la scienza, fortunatamente o purtroppo, quando impara a fare una cosa la fa.

Ricordiamo, però, che nonostante tutti i progressi, nessun uomo del XX secolo è vissuto più di quanto viveva un longevo nell’antica Roma e che, oggi, l’arco della vita termina, mediamente a 85 anni. Spesso, confondiamo i dati statistici sulla così detta “speranza di vita”, che cresce mediamente di 1 anno ogni 5 anni, con il prolungamento della vita, verso quell’eternità, cui la scienza ambisce.

La legge biologica è apodittica, ed afferma che “ciò che ha avuto un principio deve avere una fine”, anche se i molti profanatori della stessa, Pasteur, Koch, Fleming, Salk, Sabin hanno contribuito in maniera decisiva al prolungamento della vita umana.

Gli esperti di futuro hanno fatto, a volte, previsioni che si sono dimostrate errate perché campate in aria, altre volte, invece, si sono dimostrate errate per l’eccesso di prudenza speculativa con cui erano state proposte. Una loro valutazione, nel pro e nel contro, sarebbe interessante, ma troppo lunga e troppo complessa per essere trattata in questa circostanza.

In genere, i ricercatori più giovani lottano senza porsi limiti, mentre i più vecchi, sono più accorti e cercano soluzioni meno imprevedibili. I giovani non hanno paura di morire, perché il pensiero della morte è del tutto assente dalle loro considerazioni esistenziali e da ciò deriva l’atteggiamento di sfida nei confronti del pericolo. I vecchi, invece, non hanno paura di vivere, perché desiderano godere a lungo il regalo della vita e questo li rende prudenti e previdenti.

I due estremi di sfida e di prudenza si compendiano, per entrambi, in quell’elemento comune che li rende capaci di agire, lo stato di salute.

Salute che non è solo un bene individuale, ma un bene collettivo che implica il diritto-dovere di conservarla per le complesse implicazioni etiche, morali ed economiche che il perderla comporta.

Tutto questo giustifica l’opportunità, meglio la necessità, dell’applicarsi ad un ragionevole comportamento igienico in genere e ad una corretta pratica fisica e sportiva per favorire il mantenimento di quella quota d’efficienza psicofisica e d’autosufficienza motoria che è l’espressione dello stare bene.

Comportamenti igienici e motori che si compendiano nell’atteggiamento individuale del vivere quotidiano, che abbiamo scelto di definire “stile di vita”, consapevoli che la definizione non deve esaurirsi in uno sterile significato pseudoestetico.

Contro l’ineluttabilità dell’invecchiamento, possiamo opporci, volontariamente, attuando procedure comportamentali igieniche e motorie che garantiscano l’attuarsi di un preciso ruolo preventivo e conservativo.

Le cause dell’invecchiamento sono molte, non del tutto chiare, interpretabili come entità che determinano un deterioramento complessivo del Sistema Uomo, tra le quali predominano:

– la tesi dell’origine genetica della senescenza,

– quella del reiterarsi di errori informazionali nella gestione dell’attività biologica individuale,

– quella dell’azione di deterioramento delle strutture cellulari da parte di agenti esterni.

Sarebbe interessante trattarle tutte per soddisfare la nostra curiosità conoscitiva, ma il farlo ci distoglierebbe dal compito che ci siamo prefissati. Che è quello di offrire suggerimenti d’igiene di vita, ed in particolare quelli sull’orientamento al perseguimento di una pratica fisica abitudinaria, quale criterio di gestione della longevità.

Il concetto filosofico di longevità è cambiato gradualmente, passando dall’accettazione passiva del decadimento strutturale ad un atteggiamento di contrasto prima e di superamento poi utilizzando tutte le indicazioni esperite dalle scienze biologiche e cognitive.

Invecchiare comporta il verificarsi di progressivi decadimenti organici e funzionali, che compromettono il contenuto quantitativo e qualitativo delle disponibilità comportamentali dell’individuo.

Alcuni dati indicano che:

– il V02 max si riduce fino al 20% del massimo raggiunto,

– il polso d’ossigeno aumenta gradualmente,

– la F.C. max sotto sforzo diminuisce (circa 220-età),

– la differenza a-v è maggiore, ma diminuisce sottosforzo,

– la gittata sistolica diminuisce, progressivamente, da circa 6 l a 3.5 l,

– le funzioni respiratorie diminuiscono, invece, così:

a- la C. V. diminuisce del 50%

b – la V. M. V diminuisce del 60%,

c – il valore residuo aumenta fino al 100%,

– diminuiscono gli scambi gassosi in genere,

– la forza si riduce del 30-40 % negli arti superiori e del 40-50% per gli arti inferiori,

– la mobilità articolare si riduce del 30-40%

Le capacità cardiorespiratorie diminuiscono:

35 anni      –   3.00 %

45 anni      – 10.48 %

55 anni      – 21.40 %

60 anni      – 28.08 %

65 anni      – 35.38 %

70 anni      – 42.70 %

oltre:          – in crescendo.

Tutti questi dati ci suggeriscono osservazioni importanti.

– la prima, che quanto più consistenti sono i valori acquisiti in gioventù, tanto minori sono i cali,

– la seconda, che i soggetti che si allenano mantengono valori più alti,

– la terza, che la velocità di decadimento aumenta con l’età.

Per quanto attiene la muscolatura

– diminuisce la massa,

– diminuisce il volume,

– diminuisce il peso,

– diminuisce l’acqua intercellulare,

– cresce l’acqua extracellulare,

– aumenta la rigidità del tessuto,

– aumenta l’ipotrofia delle fibre,

– aumenta la componente grassa,

– aumenta il tessuto connettivo.

In termini biochimici, tutto il dispositivo ormono-enzimatico ed immunitario si depaupera dai 30 agli 80 anni per cui si denota:

– una ridotta capacità a produrre proteine per fare fronte alle esigenze metaboliche,

– l’attività enzimatica (ATPasi) si riduce del 50%,

– diminuisce l’entità degli acidi nucleici (DNA e RNA), il che comporta una diminuzione della forza e la perdita della coordinazione neuromuscolare,

– diminuisce l’attività degli ormoni tiroidei,

– diminuisce la glicemia a digiuno,

– diminuisce la velocità di conduzione nervosa (enzimi cellulari),

– diminuisce l’indice cardiaco a riposo,

– diminuisce la capacità vitale,

– diminuisce il flusso ematico renale,

– diminuisce la capacità respiratoria max,

– diminuisce il ritmo di lavoro massimale in rapporto alla massima assunzione di ossigeno

Cosa possiamo fare?

Le più recenti acquisizioni in tema di attività fisica per l’anziano indicano che i programmi devono essere correlati con le differenti situazioni individuali e deve essere sviluppato uno specifico atteggiamento culturale che deve essere regolato sugli:

– obiettivi da perseguire,

– indicazioni e controindicazioni,

– definizione dei contenuti,

– motivazioni operative,

– metodologie e tecniche applicative

L’uomo attuale è prevalentemente un sedentario e necessita sicuramente di una qualificazione motoria meno importante di un tempo, ma non sappiamo se i livelli di decadenza siano dovuti ai processi naturali d’invecchiamento, che sono irreversibili, o alla mancanza di movimento la cui applicazione renderebbe i fenomeni  reversibili

La riduzione progressiva della quantità e qualità della pratica motoria dipende, spesso, dall’atteggiamento che assumiamo nei confronti del movimento, vale a dire, del rapporto che s’instaura tra l’abitudine alla pratica di una certa quota di attività fisica, anche agonistica, e la disponibilità più mentale che fisica a realizzarla.

Troppo spesso ci si convince che le sollecitazioni delle strutture organiche e muscolari debbano essere ridotte progredendo con l’età, il che facilita proprio quel decadimento dello stato di “forma” che si vorrebbe mantenere e che ci fa stare bene. Importante in questa situazione è incentrare l’attenzione sulla qualità piuttosto che sulla quantità applicativa.

L’attività fisica contenuta nei limiti delle potenzialità possedute e soddisfacendo un livello d’impegno che sentiamo, e che dobbiamo assolutamente imparare a sentire, essere “piacevole” deve essere perseguito “vita naturale durante”.

Perché la macchina corporea si deteriora se non è usata.

La pratica fisico-sportiva di prevenzione e di mantenimento deve essere orientata alla soddisfazione di esigenze globali piuttosto che soddisfare formule motorie che preferenziano di volta in volta l’impegno di settori corporei specifici, magari seguendo mode che lasciano il tempo che trovano e distolgono dal compito principale che è quello del perseguimento dello stato di benessere generale.

Riteniamo superfluo suggerire essere fondamentale l’analisi della situazione individuale prima di affrontare qualsiasi programma formativo, preventivo o di mantenimento, mentre la frequenza applicativa, pur dipendendo dalla disponibilità temporale individuale, non deve ridursi alla pratica estemporanea ed occasionale, ma deve essere parte di un comportamento abituale e regolata, quindi, sui sintomi soggettivi di affaticamento o, rispettivamente, di piacere esecutivo.

Consideriamo, comunque, che anche la pratica ridotta al minimo sia valida nella sicura convinzione che anche poco sia meglio di niente.

Metodologicamente bisognerà orientarsi all’acquisizione di quelle qualificazioni che più rispondono alle esigenze di vita dell’individuo e puntare al mantenimento della mobilità articolare e della scioltezza piuttosto che al conseguimento della forza e della resistenza o di condizionamenti organici o muscolari che soddisfino solo l’aspetto morfologico del soggetto.

Nella prassi :

– preferire gli impegni di tipo aerobico,

– evitare gli esercizi strenui,

– preferire le ginnastiche dolci,

– preferire gli esercizi di rilassamento,

– applicarsi anche agli esercizi di forza con pesi leggeri,

– applicarsi ad esercizi di danza, individuali, in coppia, collettivi

– giuochi

Paradossalmente, teniamo conto che la sola attività fisica che può fare veramente male è quella che non si fa.




Salute, malattia, guarigione

Paolo Bascioni*

 

Che cos’è la salute, che cos’è la malattia? In cosa esse consistono? E per conseguenza, quando l’individuo umano è sano o è malato? E la guarigione in cosa consiste? E soprattutto per quali vie e con quali mezzi si può ottenere?

Su queste tematiche o meglio su queste problematiche mi sono trovato di recente a confrontarmi con alcuni medici; e del resto si tratta oggi di interrogativi che da più parti vengono posti. Siamo infatti oramai consapevoli che le risposte non sono scontate né sempre concordi. L’appartenenza a contesti di culture o più ampiamente di civiltà diverse, come anche i presupposti di convinzioni personali circa la natura della vita umana ed il quadro di valori di riferimento che ci orienta nel nostro pensare e nel nostro operare, determinano posizioni differenti anche a riguardo di interrogativi tanto importanti come sono quelli che hanno a che fare con la salute e la malattia. Anche nel nostro linguaggio di appartenenti al mondo occidentale cosiddetto avanzato e caratterizzato da una visione delle cose profondamente segnata dalla scienza e dallo sviluppo che essa ha fatto registrare negli ultimi quattro secoli, e cioè dall’inizio della rivoluzione scientifica avventa dal XVII secolo ad oggi, il termine salute non è univoco, ma analogo. E così in ambito medico ed in riferimento alla scienza della nostra medicina occidentale, salute indica uno stato di benessere fisico e psichico proprio del corpo umano, che deriva dal corretto funzionamento di tutti gli organi e apparati che lo compongono; la salute è pertanto il risultato di un complesso di condizioni fisiche nelle quali si trova attualmente un organismo umano. Ma l’attenzione e la sottolineatura della precisazione attualmente richiama la possibilità della malattia quale opposizione e contrario della salute; la malattia come stato patologico per l’alterarsi della funzione di un organo o dell’intero organismo in cui consiste il corpo umano.

Oltre o fuori dalla prospettiva medica, salute può significare anche salvezza; e questa sia in senso storico-temporale e comunque immanente al mondo, come quando diciamo la “salvezza della patria”, la “salute-salvezza pubblica”, la “salvezza della società”, sia in prospettiva trascendente ed eterna, come nelle espressioni “la salute-salvezza dell’anima”, “l’ultima salute-salvezza”; e qui il discorso non può che fare riferimento alla prospettiva cristiana di salute-salvezza e quindi alla persona e all’opera di Gesù Cristo che segna in modo nuovo, originale ed unico il senso e la prospettiva di salute-salvezza. È nota l’espressione che si trova anche incisa in edifici monumentali del passato di carattere sacro come possono essere le chiese, o anche di finalità profana, che indica l’anno di costruzione con la dicitura: “anno (o secolo)…reparatae salutis” che significa: “anno (o secolo)…della restaurata salute”, dove il termine salute vale appunto salvezza e sta ad indicare proprio la redenzione compiuta da Gesù Cristo a vantaggio dell’intero genere umano e la possibilità offerta a tutti ed a ciascuno di ottenere la vita eterna, e tutto questo attraverso la passione, morte e Resurrezione di Lui.

 

Il ragionamento che stiamo facendo è per dire che nel mondo occidentale la salute, e dunque anche la malattia ed i mezzi messi in atto per la guarigione, sono intesi secondo un significato ed un contenuto che derivano fondamentalmente dalla visione dell’uomo propria delle Sacre Scritture e della fede cristiana. L’importanza, il valore, l’attenzione con le quali si guarda al corpo umano e ci si prende cura di esso, hanno il loro fondamento e la loro origine nelle dottrine cristiane della creazione e della resurrezione; senza questa origine da Dio della corporeità e senza il fine eterno e trascendente della stessa, non si spiegherebbe tutto quello che è avvenuto da duemila anni a questa parte a sostegno ed a protezione della vita fisica dell’uomo, con particolare attenzione ai deboli, ai malati ed ai bisognosi di ogni genere. Prima del cristianesimo un atteggiamento del genere era impensabile e non si trova in nessuna delle civiltà precristiane come non esiste neppure in quelle parti del mondo o in quelle culture coeve al cristianesimo che però non sono state pervase o animate dallo spirito dello stesso cristianesimo. È vero che le conquiste della scienza e le sue applicazioni tecniche della medicina hanno fatto raggiungere, soprattutto nell’ultimo secolo in Occidente, degli obiettivi nel campo della salute da conservare o da riconquistare in caso di malattia e della vita da prolungare, veramente straordinari, e benefici sempre maggiori ci si aspetta; però anche qui scienza e tecnica per il servizio dell’uomo, non a caso sono nate e si sono sviluppate nella parte del mondo segnata dalla presenza cristiana.

 

Se parliamo di salute in riferimento a contesti differenti da quello a cui ci siamo richiamati finora e che potremmo dire nostro, nel senso che è sorto dalla prospettiva cristiana sull’uomo ed è segnato dai risultati della scienza e della tecnica moderna applicata alla medicina, allora la prospettiva cambia ed anche i contenuti, le attese e le aspettative legate alla parola salute sono diverse.

Nel continente africano, ad esempio, ci si considera in condizione normali di salute, vivendo continuamente in compagnia di virus di ogni specie, di condizioni di igiene che da noi sarebbero considerate proibitive, con menomazioni di alcune funzioni fondamentali come la vista, l’udito e la deambulazione e con aspettative di longevità che supera appena la metà di quella dei paesi occidentali; senza dire della mortalità infantile elevatissima e dei supporti men che minimi alle persone in difficoltà perché malate, portatrici di handicap o avanzate negli anni. Eppure la vita in un contesto del genere e con un proprio particolare tipo di integrazione con l’ambiente naturale, è considerata dignitosa e comunque da accettare perché la vita umana è questo e non altro. È dunque giusto porsi la domanda: ma che cos’è propriamente la vita umana e dove sta l’essenziale del suo valore e della sua dignità?

 

Se si getta appena lo sguardo in quella che consideriamo la grande storia e civiltà dell’India che è segnata dalla sapienza, cultura, religiosità che conosciamo con i nomi di Induismo e Buddhismo, ci accorgiamo subito che qui il corpo con le sue vicende di nascita, salute, malattia, sofferenze di ogni tipo, comprese la servitù ed ogni sorta di stenti fino alla morte spesso in condizioni di assoluto abbandono e di dolori inauditi, non attira nessuna attenzione ed alcun interesse. Ogni essere umano deve vivere secondo il suo Karman che deve espiare; nessuno può fare e deve fare nulla per l’altro. Del resto il corpo non ha alcun valore ed importanza; è come una prigione o un involucro dal quale si deve uscire e ci si deve liberare per congiungere con l’assoluto Brahaman dopo una serie indefinita di trasmigrazioni di corpo in corpo, secondo gli Indù; o per entrare nel Nirvana, secondo i Buddhisti, dopo essere arrivati alla consapevolezza che il individuale non esiste in realtà, ma è solo illusione, frutto di ignoranza.

È celebre l’episodio, diventato noto in tutto il mondo, di Madre Teresa di Calcutta, che vedendo il corpo vecchio, malato, morente, di uno sventurato gettato sul marciapiede, mentre lei attraversava la città, e i passanti che non lo degnavano di alcuna attenzione perché niente si doveva fare per quell’uomo che stava vivendo una fase della vita segnata dal suo Karman, si fermò, lo sollevò nelle sue braccia, lo portò con sé, se ne prese cura. Da quel momento cambiò la sua vocazione: da suora brillante docente in scuole cattoliche dell’India, divenne la suora emblema dell’accoglienza ed assistenza dei sofferenti più dimenticati dell’India stessa e del mondo. Questo lei poté fare perché motivata dalla fede cristiana per la quale il corpo sofferente dell’uomo è il Corpo di Cristo flagellato e crocifisso.

 

Nella più volte millenaria storia e civiltà della Cina, il concetto di salute-benessere è legato all’ordine e all’armonia; ordine ed armonia che regnano nel Cielo e che debbono essere instaurati sulla terra, nel senso del Celeste Impero, e che si realizzano attraverso la relazione dei due principi fondamentali: il principio o forza maschile (lo yang) ed il principio o forza femminile (lo yin). Essi si concretizzano in cinque fondamentali rapporti: marito – moglie (uomo – donna), padre – figlio, fratello maggiore – fratello minore, amico – amico, principe – suddito. Dove è salvato l’equilibrio, anche nella vita e nel corpo individuale, c’è salute; dove l’equilibrio è rotto, c’è, ed in questo consiste la malattia. L’equilibrio restaurato riporta alla condizione di salute-benessere.

 

Differenti modi dunque di concepire la salute e differenti vie di salvaguardarla o recuperarla. Torna quindi la domanda circa lo specifico della vita umana e la salvaguardia della sua assolutezza di cui la salute è parte essenziale.

Qualche tempo addietro, un illustre chirurgo di notoria competenza professionale, di apprezzata ricchezza umana e di riconosciuta sensibilità morale, mi spiegava certa presunzione e autosufficienza di fronte ai processi della vita, e perfino atteggiamenti di onnipotenza, specie a proposito di interventi in casi di vita umana nascente o giunta al termine, che si registrano in alcuni ambienti clinici o in professionisti della medicina che vi esercitano la loro magari indubbia bravura. Essi sono, diceva, come quei medici dell’ottocento, di formazione positivista ed evoluzionista: credevano di aver capito tutto della vita perché oramai conoscevano tutti gli organi del corpo umano e come essi sono strutturati in un unico organismo. Oggi c’è chi pensa di sapere tutto, di spiegare tutto e di capire tutto della vita

perché è stato scoperto il dna. Ma come allora risultò poi chiaro che la vita non è la somma degli organi che compongono il corpo, così essa non è riducibile e spiegabile sulla base del dna. La vita, e sommamente la vita umana, è sempre di più di quello che ci dice e ci potrà dire la scienza; la vita rimanda sempre ad un oltre rispetto a quello che noi vediamo e constatiamo, e sarà sempre così per quante scoperte possa fare la scienza su come essa funzioni e sui nostri possibili interventi nei suoi meccanismi.

Così a me quell’illustre chirurgo. Lo interrogai – e ci interrogammo insieme -, formulando a lui la domanda nel modo seguente: la vita umana rimanda sempre ad un oltre o anche ad un Altro, magari con la lettera maiuscola, perché ci sono quelli che lo chiamano Dio?

È scritto nel secondo libro dei Maccabei: “Non so come siete apparsi nel mio seno, non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come ora voi per le sue leggi non vi curate di voi stessi” ( 2Mac 7,22-23). È il racconto del martirio dei sette fratelli e della loro madre; sono le parole con le quali lei li esorta ad essere fedeli a Dio e ad affrontare la morte inflitta dal persecutore re Antioco IV Epifane pur di non rinnegarlo.

 

Di fronte ai processi della vita umana, dal suo inizio fino al raggiungimento della consapevolezza di sé, dell’intelligenza, della ragione e della volontà, ivi comprese le ragioni ed i perché della malattia, del dolore e della morte, siamo posti dinanzi al mistero che ci interroga. L’atteggiamento più consono, soprattutto per uno scienziato, un ricercatore della medicina, un medico, mi sembra essere quello dell’umiltà, dell’attenzione e particolarmente del servizio. La vita dell’uomo va servita, sempre e comunque; in particolare quando è malata, sofferente, debole, abbandonata. Il confronto fra le civiltà, le culture e in special modo le religioni, nel modo di intendere e sostenere la vita, può aiutare a comprenderne forse meglio la preziosità, il valore ed a favorire una mentalità ed un atteggiamento, appunto, di vita, a fronte dello spirito di morte che sembra sempre più diffondersi nel nostro mondo della ricchezza, del benessere, dell’edonismo e della presunzione di un certo tipo di scienza che pone se stessa come arbitro e padrone della vita. Non so se di scienza si tratti o di pseudoscienza.

Credo comunque che alcuni atteggiamenti che sembrano a volte emergere nella nostra medicina occidentale secondo i quali tutto nell’uomo si riduce al solo biologismo, e cioè non c’è nell’uomo stesso niente altro di ciò che avviene e si spiega con la riproduzione cellulare e le sue leggi, non colgono la ricchezza, l’unicità e si può anche dire il mistero che è la vita umana e che fa anche la sua grandezza e fonda il suo valore assoluto.




“Smoke free” corsi per smettere di fumare per operatori sociosanitari

Stefano Berti,* M.A. Pizzichini**, Pamela Barbadoro***, Isidoro Annino****

*Sociologo/Psicologo Responsabile Ufficio Promozione Salute  Dipartimento Prevenzione Area Vasta 2 Ancona ASUR Marche

**Medico Chirurgo,esperto in Promozione della Salute

***Medico chirurgo, ricercatore presso Dipartimento Scienze Biomediche UNIVPM

****Medico chirurgo Specialista in Igiene e medicina preventiva, già Ordinario Igiene UNIVPM

 

Nel corso del tempo le rappresentazioni sociali e i significati legati al fumo di tabacco si sono profondamente trasformati. Questo cambiamento sembra essere in gran parte legato all’emergente consapevolezza, non solo della non innocuità di tale comportamento, ma della sua tossicità oltre che per il fumatore anche per chi non fuma ma condivide con lui ambienti di vita e/o di lavoro. Inoltre, l’inserimento del fumo di tabacco nel DSM-IV come ‘patologia da dipendenza’ con l’evidenza degli effetti psicoattivi e tossici della nicotina, della sua capacità di provocare modificazioni comportamentali e organiche, della facoltà di indurre, in caso di privazione, un comportamento finalizzato alla ricerca della sostanza, ha connotato il fumo di sigaretta come una vera e propria patologia, indirizzando l’approfondimento scientifico verso lo sviluppo di possibilità terapeutiche in ambiti diversi – farmacologico, psicologico e comportamentale – e ipotizzando la possibilità di una loro integrazione.

La combinazione, infatti, degli effetti psicofarmacologici delle numerosissime sostanze contenute nelle sigarette e di quelli psicosociali induce, oltre alla già citata dipendenza, una serie di rinforzi positivi immediati che consolidano il comportamento stesso mentre gli effetti negativi sono dilazionati nel tempo e considerati come probabilistici. Ciò rende particolarmente difficoltosa la disassuefazione dal fumo evidenziando la necessità di un approccio integrato al fumatore e di una sua presa in carico in senso ‘olistico’.

Sulla base di tali presupposti e considerato l’elevato impatto che la dipendenza da fumo produce all’interno dell’ambiente di lavoro, sia riguardo la salute del fumatore attivo, sia riguardo quella dei colleghi astinenti, sia in termini di perdita economica e produttiva per le aziende, si è considerato importante incentivare il trattamento terapeutico della dipendenza da nicotina tra gli operatori sanitari e i lavoratori del comparto sanità attraverso la realizzazione di attività di counseling motivazionale di gruppo.

In particolare, nell’ambito del progetto/ricerca ‘Applicazione di interventi di counseling per gli abusi da alcol e da fumo in lavoratori del comparto sanità’ finanziato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e attuato in collaborazione con la casa di cura Villa Silvia di Senigallia, sono stati organizzati due corsi per smettere di fumare ‘Smoke free’.

 

Materiali e metodi

I corsi ‘Smoke free’ si rivolgono a tabagisti di ambo i sessi con priorità di trattamento per le persone affette da patologie fumo correlate.

Per ogni corso è previsto un numero di 15-20

partecipanti.

Ogni fumatore è inserito in un ciclo di attività

comprendenti 9 incontri di gruppo della durata di 2 ore ciascuno, a cui seguono 3 incontri di gruppo (follow-up) a distanza di 3, 6, 12 mesi dall’inizio del corso e una verifica

telefonica a 24 mesi.

All’interno del colloquio e al fine di una migliore definizione diagnostica è prevista la somministrazione del test di Fagerström, del MAC-T, della scala BDS (Beck Depression Scale) e del test ‘Perché fumo?’ con la compilazione di una cartella clinico-anamnestica. Il trattamento ‘Smoke free’ prevede, in una fase preliminare, anche una visita medica specialistica con prove di funzionalità respiratoria e misurazione del monossido di carbonio (CO) espirato, che è ripetuta anche nei follow-up previsti.

I sostituti nicotinici e il bupropione sono gli strumenti farmacologici utilizzati come supporti terapeutici; soprattutto il bupropione è consigliato a quei fumatori che presentano particolari difficoltà ad aderire alle indicazioni terapeutiche di tipo cognitivo-comportamentale. È stata proposta anche la possibilità di utilizzo, a carico dei corsisti perché non prevista dal progetto originario, della nuova molecola antifumo (Vareniclina-Champix).

Fondamentale importanza nella strategia terapeutica utilizzata è stata attribuita all’auricoloterapia secondo il protocollo Acudetox. Le applicazioni, in totale 12, vengono eseguite a giorni alterni nelle prime 4 settimane di corso per una durata di 45 minuti l’una. A essa, sempre in campo di medicina non convenzionale, sono stati affiancati esercizi di respirazione/rilassamento (pratica dei ‘Cinque tibetani’) e preparazioni fitoterapiche (tisane). Durante il trattamento, come strategia di supporto al disagio della disassuefazione, che spesso assume la forma di modificazione del comportamento alimentare, vengono proposti due incontri di gruppo con un dietologo. Analizzando le abitudini alimentari dei partecipanti, raccolte mediante un apposito questionario, lo specialista fornisce raccomandazioni dietologiche e indicazioni di buona pratica alimentare allo scopo di evitare l’aumento ponderale che spesso inficia il mantenimento dell’astinenza dal fumo. Inoltre si promuove l’attività motoria da svolgere con regolarità in modo strutturato o libero, come rinforzo al cambiamento del proprio stile di vita. Tra gli strumenti operativi impiegati e messi a disposizione dei partecipanti, particolare risalto è stato dato: al ‘diario del fumatore’, in cui trascrivere le sigarette fumate, l’ora, lo stato d’animo, il grado di bisogno o la motivazione che ne hanno indotto l’accensione o, al contrario, che hanno portato a rinunciarvi; e al ‘contratto’, in

cui ciascuno sottoscrive il proprio impegno, riconosce di aver sperimentato la propria astinenza e si impegna a continuarla per un periodo di tempo ritenuto idoneo.

In sintesi ogni corso ha avuto la seguente sintetica organizzazione.

1. Fase di accoglienza

1 colloquio individuale di valutazione della motivazione al cambiamento con la metodologia del colloquio motivazionale;

somministrazione di test psicodiagnostici (‘Perché fumo?’, MAC-T, BDS); compilazione della cartella clinico-anamnestica; prove di funzionalità respiratoria; misurazione della dipendenza fisica da tabacco attraverso il test di Fagerström; misurazione del CO espirato.

2. Fase delle terapie

9 sedute di terapia di gruppo;

12 applicazioni di agopuntura (auricoloterapia secondo il protocollo Acudetox);

NRT (sostituti nicotinici prescritti per tutta la durata del programma);

bupropione (uso facoltativo a partire dalla quinta seduta per chi mostra particolare difficoltà a ridurre o smettere di fumare).

(follow-up) a distanza di 3, 6, 12 mesi dall’inizio del corso e una verifica

telefonica a 24 mesi.

All’interno del colloquio e al fine di una migliore definizione diagnostica è prevista la somministrazione del test di Fagerström, del MAC-T, della scala BDS (Beck Depression Scale) e del test ‘Perché fumo?’ con la compilazione di una cartella clinico-anamnestica. Il trattamento ‘Smoke free’ prevede, in una fase preliminare, anche una visita medica specialistica con prove di funzionalità respiratoria e misurazione del monossido di carbonio (CO) espirato, che è ripetuta anche nei follow-up previsti.

I sostituti nicotinici e il bupropione sono gli strumenti farmacologici utilizzati come supporti terapeutici; soprattutto il bupropione è consigliato a quei fumatori che presentano particolari difficoltà ad aderire alle indicazioni terapeutiche di tipo cognitivo-comportamentale. È stata proposta anche la possibilità di utilizzo, a carico dei corsisti perché non prevista dal progetto originario, della nuova molecola antifumo (Vareniclina-Champix).

Fondamentale importanza nella strategia terapeutica utilizzata è stata attribuita all’auricoloterapia secondo il protocollo Acudetox. Le applicazioni, in totale 12, vengono eseguite a giorni alterni nelle prime 4 settimane di corso per una durata di 45 minuti l’una. A essa, sempre in campo di medicina non convenzionale, sono stati affiancati esercizi di respirazione/rilassamento (pratica dei ‘Cinque tibetani’) e preparazioni fitoterapiche (tisane). Durante il trattamento, come strategia di supporto al disagio della disassuefazione, che spesso assume la forma di modificazione del comportamento alimentare, vengono proposti due incontri di gruppo con un dietologo. Analizzando le abitudini alimentari dei partecipanti, raccolte mediante un apposito questionario, lo specialista fornisce raccomandazioni dietologiche e indicazioni di buona pratica alimentare allo scopo di evitare l’aumento ponderale che spesso inficia il mantenimento dell’astinenza dal fumo. Inoltre si promuove l’attività motoria da svolgere con regolarità in modo strutturato o libero, come rinforzo al cambiamento del proprio stile di vita. Tra gli strumenti operativi impiegati e messi a disposizione dei partecipanti, particolare risalto è stato dato: al ‘diario del fumatore’, in cui trascrivere le sigarette fumate, l’ora, lo stato d’animo, il grado di bisogno o la motivazione che ne hanno indotto l’accensione o, al contrario, che hanno portato a rinunciarvi; e al ‘contratto’, in

cui ciascuno sottoscrive il proprio impegno, riconosce di aver sperimentato la propria astinenza e si impegna a continuarla per un periodo di tempo ritenuto idoneo.

In sintesi ogni corso ha avuto la seguente sintetica organizzazione.

1. Fase di accoglienza

1 colloquio individuale di valutazione della motivazione al cambiamento con la metodologia del colloquio motivazionale;

somministrazione di test psicodiagnostici (‘Perché fumo?’, MAC-T, BDS); compilazione della cartella clinico-anamnestica; prove di funzionalità respiratoria; misurazione della dipendenza fisica da tabacco attraverso il test di Fagerström; misurazione del CO espirato.

2. Fase delle terapie

9 sedute di terapia di gruppo;

12 applicazioni di agopuntura (auricoloterapia secondo il protocollo Acudetox);

NRT (sostituti nicotinici prescritti per tutta la durata del programma);

bupropione (uso facoltativo a partire dalla quinta seduta per chi mostra particolare difficoltà a ridurre o smettere di fumare).

I risultati di efficacia a 6 mesi per il Gruppo A (50%) e per il Gruppo B (53,8%) e a 12 mesi per il Gruppo A (30%) e per il Gruppo

B (46%) mostrano, nel Gruppo B una maggiore tenuta del tasso di ricaduta nel tempo. Raggiungere e mantenere la condizione di non fumatore sono i due obiettivi prioritari di un programma di trattamento antifumo.

Numerosi sono i fattori che vengono chiamati in causa affinché tali obiettivi si realizzino, e molti sono i determinanti ancora non chiariti soprattutto relativamente alla possibilità di evitare le ricadute. Ormai indiscussa è la capacità della nicotina di indurre dipendenza con un’azione sia centrale sia periferica.

Tali proprietà sembrerebbero, però, risultare rilevanti se inserite all’interno di un complesso contesto di fattori ambientali e individuali che, associati agli stimoli neurobiologici, sarebbero responsabili della formazione di uno schema cognitivo proprio del fumatore. Tra i trattamenti di cosiddetto secondo livello, il counseling è ritenuto da molti primario nei processi di disassuefazione e il colloquio motivazionale presenta caratteristiche tali da risultare particolarmente appropriato per i fumatori. Tra gli strumenti di supporto, l’agopuntura, in particolare il metodo Acudetox, è una delle tecniche della medicina tradizionale cinese maggiormente usata e, nonostante i risultati a volte contraddittori, è provato che agisca sulle basi neurobiologiche delle tossicomanie, con una funzione lenitiva della crisi di astinenza grazie al rilascio di endorfine.

Partendo da questi presupposti, nella presente sperimentazione, si è dunque osservato che il fumo di sigaretta e la dipendenza che esso produce rappresentano un sistema complesso in quanto caratterizzato da numerosi elementi, non solo biochimici o neurobiologici, ma anche psicologici, comportamentali, ambientali e sociali che interagiscono in modo non lineare e che non è possibile prevedere una condizione causa-effetto nel produrre la disassuefazione, bensì è necessario considerare le relazioni dei singoli elementi tra loro e con l’ambiente.

La raccolta e lo studio degli strumenti efficaci sulla pratica clinica ha portato quindi alla scelta

di un’integrazione tra strumenti ‘tradizionali’ e ‘non convenzionali’ con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia delle prestazioni, rendere appropriato il consumo di farmaci e aumentare il livello della compartecipazione dei fumatori alla gestione della propria salute. Tale approccio si inserisce a pieno titolo in quello della medicina integrata, cioè una medicina orientata alla salute, che mette in primo piano il rapporto medico-paziente e integra il meglio delle medicine cosiddette ‘alternative’ con il meglio della medicina convenzionale. I corsi ‘Smoke free’ si collocano, appunto, come una sperimentazione dell’integrazione di varie tecniche centrate il più possibile sulla persona che è cuore e motore del proprio cambiamento, sia nell’utilizzo del colloquio motivazionale come stile di counseling, sia nella scelta del protocollo Acudetox e degli esercizi di respirazione, senza dimenticare l’importanza dell’approccio farmacologico nella triplice forma dei sostituti nicotinici, del bupropione, della vareniclina, per permettere una scelta individualizzata sulla base del grado di dipendenza, delle caratteristiche personali, relazionali e ambientali di ciascuno.

Analizzando le dinamiche osservate nei due gruppi e i risultati ottenuti in seguito all’utilizzo dell’approccio sopra descritto, è possibile sostenere che l’importanza dei fattori ambientali è stata elevatissima. In primo luogo la distribuzione oraria del lavoro: la turnazione e soprattutto il lavoro in orario notturno, con alternanza di momenti di ‘emergenza’ ad altri di ‘attesa’, attivano come risposta immediata il ricorso al fumo di sigaretta come modalità elettiva sia rilassante sia stimolante. Questi meccanismi, associati alla ritualità del gesto, al ripetersi delle stesse situazioni e la già citata dipendenza, risultano difficoltà da non sottovalutare nel mantenimento dello stato di non fumatore anche una volta sperimentata e superata l’astinenza. A ciò va ad aggiungersi l’elevatissima presenza di colleghi di lavoro fumatori (sottolineata da tutti i partecipanti del secondo gruppo) che hanno un significato di rinforzo al comportamento di consumo e alla ricaduta, di trasgressione condivisa rispetto alle norme e di ostacolo alla disassuefazione, in quanto la mancanza della sigaretta va ad associarsi a una modificazione del significato dei momenti di pausa e socializzazione. Altro fattore importante emerso può essere identificato nella situazione affettiva del partecipante con particolare riferimento alla presenza di persone conviventi: sia che essi condividano e supportino il fumatore nel suo tentativo, sia che ne rimangano indifferenti, svolgono comunque un’importante funzione di contenimento delle ansie, dei malesseri, delle difficoltà che s’incontrano nella primissima fase di dismissione, soprattutto in età matura. Tra le persone che nella nostra esperienza hanno avuto maggiore difficoltà a mantenere la cessazione si segnalano almeno 3 persone che vivono da sole. Su questa linea, e in accordo a quanto verificatosi in precedenti esperienze, le persone che intraprendono un percorso di dismissione dal fumo di sigaretta difficilmente comprendono fin dall’inizio la necessità di investire nel cambiamento per un periodo di tempo sufficientemente lungo e considerano il momento della dismissione come quello più difficile, dimenticando, o non volendo considerare e tollerare, la fase della mancanza nel medio periodo e la possibilità che episodi di ‘memoria’ del piacere della sigaretta sono possibili, in forma intensa anche a distanza di tempo. In questo senso la frequenza costante alle sedute di counseling in gruppo rappresenta, anche secondo quanto affermato dai partecipanti, un elemento di rinforzo della motivazione e del sostegno reciproco e lo scoprirsi a vivere situazioni difficili in compagnia permette uno scambio di risposte,

strategie e risorse a cui attingere. D’altra parte la fase relativa al mantenimento della cessazione, presenta forse un minor numero di strumenti di aiuto da utilizzare soprattutto per chi sceglie di non fare ricorso ai supporti farmacologici. In tale fase anche il protocollo di agopuntura auricolare Acudetox è di fatto concluso e, nonostante la disponibilità dei terapeuti a procrastinarlo per chi ne avesse fatto esplicita richiesta, la possibilità di aderirvi si scontra spesso con problemi

pratici di disponibilità a livello organizzativo e di tempo. Resta il fatto che quello dell’agopuntura ha

rappresentato un importante supporto alle sedute. Nonostante l’impegno richiesto ai partecipanti in termini di tempo, 20 persone sulle 23 che sono giunte a fine trattamento si sono sottoposte con assiduità a tale protocollo dichiarando di ottenerne benefici in termini di serenità e gestione dei ‘momenti difficili’, specie durante la fase di riduzione del numero di sigarette.

In conclusione l’esperienza effettuata evidenzia l’importanza di un approccio di trattamento integrato in cui strumenti diversi possono essere più facilmente accettati e insieme produrre, come dimostrato da revisioni cliniche e progetti di ricerca, un’efficacia maggiore rispetto al loro utilizzo singolo. Tale sperimentazione riafferma inoltre la necessità di proseguire nella conoscenza sempre più accurata dei fattori neurobiologici che stanno alla base della dipendenza da nicotina e della migliore definizione dei fattori socio-demografici, clinici e di tipo cognitivo che sembrano poter essere in relazione tra loro nel favorire oppure ostacolare il processo di cessazione, mantenendolo nel tempo.

 

Bibliografia

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BANDURA A. (ed.), Il senso di autoefficacia, Erickson, Trento, 1999.

BERTOLOTTI, G., BETTINARDI O., GREMIGNI P., Approccio psicologico nell’intervento di disassuefazione dal fumo di tabacco, Rassegna di Patologia dell’apparato respiratorio, 2002;17: 293-297.

FAGERSTRÖM K.O., SCHNEIDER N., Measuring nicotine dependence: a review of Fagerstrom Tolerance Questionnaire, J Behav Med, 1989; 12: 159-182.

MACKENZIE R.K., Psicoterapia breve di gruppo, Erickson, Trento, 2002.

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PROCHASKA J., DI CLEMENTE C., Stages and processes of self-change of smoking: toward an integrative model of change, J Consult Clin Psychol, 1983; 51: 390-395.

SPILLER V., SCAGLIA M., GUELFI G.P., Il colloquio motivazionale: uno stile di lavoro per aumentare la motivazione al cambiamento, in

Brignoli O., Cibin M., Gentile N., Vantini I., Alcol e medico di famiglia, Centro Scientifico Editore, Torino, 1998, pp. 59-71.

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Gli estremi della parabola: i patriarchi della memoria

Riccardo Bosi*

*pediatra di famiglia

Affascinato dalla varietà delle culture e impegnato in situazioni di disagio dell’infanzia, crede in un approccio antropologico e inter-culturale alle sfide della sua professione – Roma

Osservando dei neonati in particolare le teste, le teste una accanto all’altra come si vedono al Nido, in maternità, non si può non riconoscere che sono tutte molto simili. La stessa circonferenza, le fontanelle aperte, i capelli lanuginosi, qualche bozza o asimmetria di troppo.

Un lattante di pochi mesi è venuto alcuni giorni fa nel mio studio portato dal nonno: i genitori si scusano, ma sa, lavorano sempre, così sono venuto io…. È impacciato. Ci sorridiamo. È un nonno di campagna, abbronzato, rughe, le mani callose. Stavolta è la somiglianza della testa del vecchio con quella del bambino che balza agli occhi. In entrambe – pelate – campeggiano come fari due occhi limpidi, d’un azzurro di cielo d’alba il primo, di un celeste lacrimoso, tenero e antico il secondo. Si somigliano davvero tanto.

Teste simili, certo, eppure ovvie le enormi differenze di contenuto di quelle due scatole craniche. Differenze – mi dico – custodite nelle pieghe delle meningi, nascoste chissà dove tra le circonvoluzioni della corteccia. 

Mentre visitavo il bimbo, e valutavo – erano lì per questo – l’integrità delle competenze neuro-motorie, mi sono sorpreso a riflettere a lungo. La mente parte. La sera stessa avevo già messo giù – di getto – alcune idee nel mio taccuino “di viaggio”. Eccole. Pretesa di teorizzare? Per carità. Piuttosto una provocazione a me stesso. Mai perdere la capacità di sapersi stupire dell’ovvio, perché l’ovvio sovente cela il mistero. Ecco tutto. Il mistero degli estremi della parabola, ad esempio. Mistero che è nel contempo miracolo, così discreto che avviene sotto i nostri occhi ogni giorno e non ce ne accorgiamo. Milioni di volte. Da milioni di anni. Dovunque.

La vita va dal totalmente elastico, modificabile, leggero, plastico, idratato, intercambiabile, originale, iperattivo dell’età del bambino piccolo fino alla rigidità, fissità, strutturazione, pacatezza, secchezza, “pesantezza”, scarsa modificabilità  dell’anziano.

Si nasce totalmente “plastici” e nel contempo “vuoti”, leggeri, “acquosi”, disponibili ad incamerare dati, a capitalizzare esperienze, a memorizzare emozioni, competenze, immagini, procedure, volti, strategie, modelli di comportamento. Si deve imparare tutto: dal linguaggio alle prassie più elementari (le prassie sono comportamenti e schemi motori), come legarsi le stringhe o dare un calcio ad un pallone; dalla gestione degli affetti e delle emozioni alla scoperta del proprio corpo, dell’esistenza, del proprio “sé”, del mondo e degli altri, fino alle scelte più decisive della vita.

Mentre il bambino è “elastico ma vuoto”, l’anziano è “rigido ma pieno”.

Ha combattuto la sua battaglia: ha fatto le sue scelte, ha imparato dai suoi errori, si è saziato dei suoi amori. Le infinite strutture cerebrali, i collegamenti neuronali, le reti di pensiero, le ragnatele della memoria, i labirinti delle emozioni, i sentieri coraggiosi delle scelte mano a mano si cristallizzano, si vetrificano, si strutturano. L’uomo comincia dalla prima infanza a “riempire” e plasmare i suoi circuiti che divengono sempre più fitti, interdipendenti, strettamente correlati tra loro. La “memoria” di tutto ciò che è avvenuto durante la vita va trovando, (anche attraverso delle operazioni di cancellazione di dati) un suo originalissimo equilibrio, va prendendo la sua “forma”, forma apparentemente invisibile eppure assai più reale ed essenziale di quella esterna, somatica (di quanto siamo belli o brutti, insomma).

Tutte queste misteriose connessioni (che “ospitano” emozioni, memoria, affetti, intelligenza) diventano col passare del tempo rami sempre più solidi, sempre più antichi, più complessi e immodificabili.

Potremmo paragonarli ad un albero che, dopo avere vissuto la stagione della crescita, il momento della gemmazione, la fioritura e l’abbondanza dei frutti, tende ad una forma definitiva. Con l’architettura dei suoi rami, con la larghezza dei suoi anelli, con la complessità delle sue radici, l’albero parla, è la voce narrante di una vita. Dopo avere ospitato uccelli di ogni tipo, salutato cieli e stagioni, sofferto gelate, mutilazioni e potature, il tronco ormai vecchio – spesso custode di secoli – rimane alfine spoglio ed inerte, patriarca della memoria.

Contorti e feriti da venti e tempeste, ma belli come coralli e unici come frattàli, anche i rami del vecchio – la linfa vitale apparentemente esaurita –  si stagliano essenziali e definitivi nel cielo. L’uomo, quell’uomo, è pronto a restituire “pieno” quel contenitore misterioso ed affascinante quale è la sua mente, ospitata ormai da un corpo cadente.

Appare “naturale” che, dopo aver vissuto infinite esperienze, conosciuto migliaia di volti, provato amori, affetti, separazioni, lutti, distacchi, gioie e dolori di ogni tipo, ad un certo punto si reclami l’infinito e l’eterno come libertà dai limiti del tempo e dello spazio.

È la vita stessa, radice ormai troppo grande, bella e ricca per poter dimorare in un vaso diventato così piccolo e fragile, che chiede di cambiare “stato”, di avere una definitiva “muta”. Non entrando più nell’involucro che l’ha contenuta – ormai fragilissima teca – manda il suo ultimo segnale.

La  visita è terminata. Colgo un dolcissimo sguardo d’amore del vecchio per il bambino. Vorrei dire tante cose, ma non c’è tempo, non è il caso, la gente fuori aspetta, altri bambini piangono. “Addio nonno, ma lo sa che lei è prezioso per suo nipote, lei è come un albero secolare, potrebbe insegnargli tante cose…la giusta forma dei rami, l’importanza dei frutti, o la bellezza del poter fare ombra”. Mi legge nel pensiero? Non lo so, ma incrocio un suo ultimo sguardo così limpido e grato che mi fa piacere pensare di sì.

 

 




“Vita buona” e salute, il progetto

Lucio Sotte

Lo stato di benessere e la salute dipendono dal nostro equilibrio psico-fisico che a sua volta è influenzato da elementi ambientali che incidono attraverso il clima ed i cosiddetti fattori cosmopatogeni, l’inquinamento nelle sue varie forme (elettromagnetiche, fisiche, chimiche, parassitarie, microbiche), la qualità e quantità del cibo etc. Esiste tuttavia un altro importantissimo fattore ambientale che influenza le condizioni del nostro organismo ed è l’insieme dei rapporti interpersonali.

La medicina occidentale ha studiato a lungo le cause psichiche di malattia per correlarle allo sviluppo della patologia mentale, sia nelle forme più lievi delle nevrosi che nelle forme più gravi delle psicosi ed ha coniato il termine di medicina psicosomatica per riunificare psiche e soma dopo averli separati per approfondirne lo studio. La PNEI psico-neruro-endocrino-immunologia è l’ultima nata delle discipline che cercano di ritrovare l’unità nei complessi sistemi di governo delle funzioni psicocorporee.

Questa rubrica “vita buona e salute” vuole sottolineare che esistono aspetti fondamentali della nostra esistenza come la famiglia, le amicizie, il lavoro e la gestione del tempo della “festa” che, se vissuti bene, sono l’occasione per la nostra realizzazione che si riflette nel nostro stato di benessere e che invece, se vissuti con disagio, con difficoltà, sono spesso la causa di vicissitudini che si riflettono anch’esse, ma negativamente questa volta, sul nostro stato di salute.

Una riflessione anche su questo aspetto di “medicina preventiva” è necessario perché il ruolo del medico continui ad essere quello di accompagnare i sani ed i malati a perseguire il loro stato di benessere anche attraverso uno sguardo attento a questi aspetti della vita che incidono non solo dal punto di vista puramente psicologico, ma anche nella vera e propria igiene fisica e mentale di ognuno di noi.

La famiglia, il lavoro ed il riposo sono per la maggior parte di noi gli ambiti in cui si intrattengono e si giocano questi rapporti interpersonali che sono alla base della nostra esistenza sia nello stato di salute che in quello di malattia.