In volo “co li farghitti”

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Lucio Sotte*

 

Civitanova Alta, a due passi da casa mia, è uno dei tanti bellissimi paesi delle Marche, circondato da alte mura medioevali. Si apre verso la montagna a Porta del Girone, verso Sud a Porta Zoppa – si chiama così perché le sue ripide scale si dividono in due rampe disuguali – e verso Est a Porta Marina che è certamente la più suggestiva.

Fuori Porta Marina il panorama della verde campagna degrada lentamente verso il mare azzurro, tra i merli della vecchia torre che la sovrasta si è insediato da tanti anni un cipresso che ormai ne è diventato il padrone incontestato oltreché il simbolo del paese.

Conosco bene Civitanova Alta perché la frequento da oltre 40 anni, da quando conobbi mia moglie: viveva in un vecchio palazzo cittadino del ‘700.

Era una sorta di piccolo maniero al quale si accedeva da un grande portone cigolante che dava su un lungo, alto e scuro corridoio con la volta a botte. Alla fine del corridoio sulla sinistra si apriva un’ampia e signorile scalinata a più rampe che portava al secondo piano dove si raggiungeva un ballatoio con un’ampia finestra: illuminava un vaso di mandarinetti cinesi e si apriva a Nord sul cortile e sul panorama verso il monte Conero. Sulla destra il portone d’ingresso. Per annunciarsi c’era un campanello, anzi – come si conviene negli antichi manieri – una “campanella” che si suonava tirando una catenella che la scuoteva fino a che il suono argentino segnalava l’arrivo dell’ospite. Erano gli Anni ’70, ma il suono della “campanella” era lo stesso dei tempi di una volta…

Avevo da poco preso la patente ed arrivavo in paese facendomi prestare da mio padre la sua Fiat 1300 azzurro aviazione. Spesso trovavo posto in un piccolo spiazzo davanti casa. Allora le macchine erano pochissime ed i parcheggi tutti liberi. Quando ero sfortunato lasciavo la macchina poco più su, in una piccola piazzetta ed imbucavo a piedi l’angusto e scuro “vicolo del Garofano” che portava in via Cavour dove, subito dopo aver incrociato “vicolo del Fagiano”, al numero 32 mi fermavo. Per entrare tiravo un cavetto che scendeva da un foro del portone per sollevare il pesante chiavistello. Poi lo aprivo facendolo cigolare sui vecchi cardini per imboccare infine il lungo corridonio.

In questo brevissimo tragitto a piedi ero sottoposto, come si conveniva in un piccolo paese dove “tutti sanno tutto di tutti” alle indagini “discrete” delle vecchiette del vicinato. I loro sguardi seguivano il mio percorso – perché ero un “forestiero” su cui indagare a fondo – da tutte le finestre che si affacciavano lungo i vicoli. Sembrava che stessero sempre lì di guardia. La coda dell’occhio si intravvedeva appena mentre scrutava il mio breve cammino da dietro le tendine “appena scostate di mezzo dito” per non far trapelare all’esterno la loro curiosità. Effettivamente mi sentivo “osservato”, forse “scrutato” o meglio “dissezionato”.

Le diagnosi fatte attraverso i raggi x, la TAC o la risonanza magnetica sono bazzeccole se confrontate con quelle fatte attraverso le attente pupille delle vecchiette che indagavano a fondo sulle abitudini del “forestiero”… da dietro le tendine tentavano di denudarmi anche l’anima, ma con delicatezza, senza spogliarmi di nessun indumento!

D’altra parte per noi abitanti di Civitanova Porto – la parte del comune in cui io vivevo che è adagiata vicino al mare a 5 chilometri dal paese in collina – quelli di Civitanova Alta erano “li farghitti” cioè i falchetti. Questo nomignolo derivava dal fatto che vivevano in collina, volavano in alto come i “falchi” ma io ho sempre amato pensare che invece derivasse dallo “sguardo acutissimo” delle vecchiette del vicinato della mia ragazza.

Una volta che avevano individuato, scrutato e “dissezionato” la loro vittima, iniziava…lentamente…il sommesso passa parola…che in breve si traformava in chiacchiera…in pettegolezzo, se non in vera e propria maldicenza. Come accade da sempre in molti piccoli paesi in cui tutti si sentono autorizzati a farsi gli affari di tutti gli altri! D’altra parte a quei tempi la televisione aveva un solo canale in bianco e nero e quelle chiacchiere – diciamo “ingenue” – per passare il tempo erano un ottimo succedaneo delle dichiarazioni, delle mezze verità o delle bugie dei politici, dei giornalisti, dei conduttori, degli intervistatori ed intervistati che in questi tempi preelettorali imperversano tutti giorni dentro e fuori dai notiziari dei mille canali che ci istruiscono quotidianamente su come va o non va o dovrebbe andare il mondo.

Le prime volte facevo sempre lo stesso percorso per arrivare al vecchio palazzo ma poi pensai che, se proprio dovevo dare spago agli sguardi nascosti ed alle chiacchiere sul “forestiero”, sarebbe stato divertente cambiare strada di tanto in tanto per moltiplicare le “osservatrici” e amplificare le loro “osservazioni” e le conseguenti “deduzioni”.

Così, mano a mano, ho scoperto tutti gli angoli più nascosti di questo piccolo paese.

Se era una bella giornata limpida e fresca, parcheggiavo vicino a Porta Marina per guardare il panorama verso il mare, poi mi incamminavo per vicolo dell’Aurora che, ovviamente – come dice il nome – guarda verso Est da dove sorge il sole. Mi inerpicavo poi per vicolo dell’Orto e vicolo del Giglio – lì venivo scrutato ogni volta da una finestrella un po’ nascosta in cui una tendina a fiori si scostava con gesto impeccabile di indice e medio per far comparire per pochi istanti l’iride azzurro dell’“agente segreto”. Incrociavo infine vicolo dell’Arancio prima di raggiungere via Cavour.

Se era d’inverno ed era freddo, parcheggiavo verso Sud, salivo le ripide scale di Porta Zoppa e raggiungevo il “pincio”, uno spiazzo con una pinetina dove al centro i ragazzi giocavano spesso a pallone e negli angoli i bambini a “muffa rialzo” e le bambine a “campanò”. Salivo sopra alle mura che si affacciano verso Sud che a Civitanova si chiamano giustamente “mura da sole”, lo stesso nome del vicolo che le percorre – anche lì c’erano numerose pupille indagatrici che comparivano al bordo delle tendine scostate appena per seguire il mio passaggio. Imboccavo poi vicolo del Pavone o vicolo della Notte o vicolo dell’Arco per raggiungere la piazza centrale del paese.

Nella stagione calda preferivo parcheggiare a Nord, lungo viale della Rimembranza, lasciavo la macchina all’ombra dei tigli e dei platani e, salita una ripida scala che portava sopra alle “mura da bora”, raggiungevo il paese da vicolo della Luna che ovviamente guarda a settentrione perché sta all’opposto di vicolo del Sole che si apre a mezzogiorno. Se avevo qualche esame imminente all’Università, facevo due passi su vicolo della Fortuna – un po’ di scaramanzia non fa mai male! – e, una volta raggiunto vicolo dell’Aquila, imboccavo vicolo del Vomere per giungere a destinazione con una scorciatoia.

Quando arrivavo nel tardo pomeriggio e me ne andava di fare due passi, parcheggiavo sotto porta del Girone e salivo per vicolo del Tramonto, che ovviamente guarda dove il sole declina dietro alle montagne schizzando di giallo, rosso, ocra, viola il cielo azzurro, salivo per vicolo del Mercato, per quello dei Sediari o per vicolo Napoleone – questo era il percorso più osservato perché le “telecamere” in azione erano veramente numerose. Poi di corsa per vicolo della Tramvia per raggiungere vicolo del Forno ed avvicinarmi finalmente al palazzo di mia moglie.

È così, “svicolando” qua e là, ho scoperto che a Civitanova Alta, mentre si fa il giro delle mura, si fa anche quello dei punti cardinali e delle fasi del giorno, passando da vicolo dell’Aurora, ai vicoli del Sole, del Tramonto e della Luna.

Oppure si può fare un tour nel piccolo zoo del paese facendo due passi per i vicoli del Fagiano, dell’Aquila, del Pavone. Si può scegliere un minuscolo giardino botanico camminando per i vicoli del Garofano, del Giglio, della Ginestra, dell’Arancio o fare una carrellata dei vecchi mestieri facendo due passi per i vicoli del Vomere, dei Sediari, del Forno, del Mercato, della Pescheria o della Tramvia.

Mentre io scoprivo palmo a palmo tutti gli angoli di questo piccolo paese che ha saputo conservare gli antichi nomi delle sue strade, ho certamente dato spago alle infinite indagini di tutte le “Sherlock Holmes” appostate dietro alle tendine scostate di un dito che hanno seguito passo passo tutte le mie peregrinazioni con i loro sguardi attenti ma soprattutto “discretissimi”: ho messo a dura prova l’occhio “de le farghitte”.

 

Sono passati tanti anni ma, quando ho un ritaglio di tempo, mi diverto ancora a passeggiare per gli stretti vicoli che raccontano la vita dei tempi andati fortunatamente conservata anche nei loro nomi: tra quelle vecchie mura si respira un’aria che sa di una storia antica. Mi piace rubare con gli occhi gli scorci più suggestivi e ripercorrere insieme con i miei passi il ricordo di quanto si è vissuto nel corso dei lunghi secoli trascorsi su quei selciati, tra quelle mura, dietro quei portoni. Perché ogni nostro paese ha la sua storia da raccontare…

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