Salute, malattia, guarigione

Paolo Bascioni*

 

Che cos’è la salute, che cos’è la malattia? In cosa esse consistono? E per conseguenza, quando l’individuo umano è sano o è malato? E la guarigione in cosa consiste? E soprattutto per quali vie e con quali mezzi si può ottenere?

Su queste tematiche o meglio su queste problematiche mi sono trovato di recente a confrontarmi con alcuni medici; e del resto si tratta oggi di interrogativi che da più parti vengono posti. Siamo infatti oramai consapevoli che le risposte non sono scontate né sempre concordi. L’appartenenza a contesti di culture o più ampiamente di civiltà diverse, come anche i presupposti di convinzioni personali circa la natura della vita umana ed il quadro di valori di riferimento che ci orienta nel nostro pensare e nel nostro operare, determinano posizioni differenti anche a riguardo di interrogativi tanto importanti come sono quelli che hanno a che fare con la salute e la malattia. Anche nel nostro linguaggio di appartenenti al mondo occidentale cosiddetto avanzato e caratterizzato da una visione delle cose profondamente segnata dalla scienza e dallo sviluppo che essa ha fatto registrare negli ultimi quattro secoli, e cioè dall’inizio della rivoluzione scientifica avventa dal XVII secolo ad oggi, il termine salute non è univoco, ma analogo. E così in ambito medico ed in riferimento alla scienza della nostra medicina occidentale, salute indica uno stato di benessere fisico e psichico proprio del corpo umano, che deriva dal corretto funzionamento di tutti gli organi e apparati che lo compongono; la salute è pertanto il risultato di un complesso di condizioni fisiche nelle quali si trova attualmente un organismo umano. Ma l’attenzione e la sottolineatura della precisazione attualmente richiama la possibilità della malattia quale opposizione e contrario della salute; la malattia come stato patologico per l’alterarsi della funzione di un organo o dell’intero organismo in cui consiste il corpo umano.

Oltre o fuori dalla prospettiva medica, salute può significare anche salvezza; e questa sia in senso storico-temporale e comunque immanente al mondo, come quando diciamo la “salvezza della patria”, la “salute-salvezza pubblica”, la “salvezza della società”, sia in prospettiva trascendente ed eterna, come nelle espressioni “la salute-salvezza dell’anima”, “l’ultima salute-salvezza”; e qui il discorso non può che fare riferimento alla prospettiva cristiana di salute-salvezza e quindi alla persona e all’opera di Gesù Cristo che segna in modo nuovo, originale ed unico il senso e la prospettiva di salute-salvezza. È nota l’espressione che si trova anche incisa in edifici monumentali del passato di carattere sacro come possono essere le chiese, o anche di finalità profana, che indica l’anno di costruzione con la dicitura: “anno (o secolo)…reparatae salutis” che significa: “anno (o secolo)…della restaurata salute”, dove il termine salute vale appunto salvezza e sta ad indicare proprio la redenzione compiuta da Gesù Cristo a vantaggio dell’intero genere umano e la possibilità offerta a tutti ed a ciascuno di ottenere la vita eterna, e tutto questo attraverso la passione, morte e Resurrezione di Lui.

 

Il ragionamento che stiamo facendo è per dire che nel mondo occidentale la salute, e dunque anche la malattia ed i mezzi messi in atto per la guarigione, sono intesi secondo un significato ed un contenuto che derivano fondamentalmente dalla visione dell’uomo propria delle Sacre Scritture e della fede cristiana. L’importanza, il valore, l’attenzione con le quali si guarda al corpo umano e ci si prende cura di esso, hanno il loro fondamento e la loro origine nelle dottrine cristiane della creazione e della resurrezione; senza questa origine da Dio della corporeità e senza il fine eterno e trascendente della stessa, non si spiegherebbe tutto quello che è avvenuto da duemila anni a questa parte a sostegno ed a protezione della vita fisica dell’uomo, con particolare attenzione ai deboli, ai malati ed ai bisognosi di ogni genere. Prima del cristianesimo un atteggiamento del genere era impensabile e non si trova in nessuna delle civiltà precristiane come non esiste neppure in quelle parti del mondo o in quelle culture coeve al cristianesimo che però non sono state pervase o animate dallo spirito dello stesso cristianesimo. È vero che le conquiste della scienza e le sue applicazioni tecniche della medicina hanno fatto raggiungere, soprattutto nell’ultimo secolo in Occidente, degli obiettivi nel campo della salute da conservare o da riconquistare in caso di malattia e della vita da prolungare, veramente straordinari, e benefici sempre maggiori ci si aspetta; però anche qui scienza e tecnica per il servizio dell’uomo, non a caso sono nate e si sono sviluppate nella parte del mondo segnata dalla presenza cristiana.

 

Se parliamo di salute in riferimento a contesti differenti da quello a cui ci siamo richiamati finora e che potremmo dire nostro, nel senso che è sorto dalla prospettiva cristiana sull’uomo ed è segnato dai risultati della scienza e della tecnica moderna applicata alla medicina, allora la prospettiva cambia ed anche i contenuti, le attese e le aspettative legate alla parola salute sono diverse.

Nel continente africano, ad esempio, ci si considera in condizione normali di salute, vivendo continuamente in compagnia di virus di ogni specie, di condizioni di igiene che da noi sarebbero considerate proibitive, con menomazioni di alcune funzioni fondamentali come la vista, l’udito e la deambulazione e con aspettative di longevità che supera appena la metà di quella dei paesi occidentali; senza dire della mortalità infantile elevatissima e dei supporti men che minimi alle persone in difficoltà perché malate, portatrici di handicap o avanzate negli anni. Eppure la vita in un contesto del genere e con un proprio particolare tipo di integrazione con l’ambiente naturale, è considerata dignitosa e comunque da accettare perché la vita umana è questo e non altro. È dunque giusto porsi la domanda: ma che cos’è propriamente la vita umana e dove sta l’essenziale del suo valore e della sua dignità?

 

Se si getta appena lo sguardo in quella che consideriamo la grande storia e civiltà dell’India che è segnata dalla sapienza, cultura, religiosità che conosciamo con i nomi di Induismo e Buddhismo, ci accorgiamo subito che qui il corpo con le sue vicende di nascita, salute, malattia, sofferenze di ogni tipo, comprese la servitù ed ogni sorta di stenti fino alla morte spesso in condizioni di assoluto abbandono e di dolori inauditi, non attira nessuna attenzione ed alcun interesse. Ogni essere umano deve vivere secondo il suo Karman che deve espiare; nessuno può fare e deve fare nulla per l’altro. Del resto il corpo non ha alcun valore ed importanza; è come una prigione o un involucro dal quale si deve uscire e ci si deve liberare per congiungere con l’assoluto Brahaman dopo una serie indefinita di trasmigrazioni di corpo in corpo, secondo gli Indù; o per entrare nel Nirvana, secondo i Buddhisti, dopo essere arrivati alla consapevolezza che il individuale non esiste in realtà, ma è solo illusione, frutto di ignoranza.

È celebre l’episodio, diventato noto in tutto il mondo, di Madre Teresa di Calcutta, che vedendo il corpo vecchio, malato, morente, di uno sventurato gettato sul marciapiede, mentre lei attraversava la città, e i passanti che non lo degnavano di alcuna attenzione perché niente si doveva fare per quell’uomo che stava vivendo una fase della vita segnata dal suo Karman, si fermò, lo sollevò nelle sue braccia, lo portò con sé, se ne prese cura. Da quel momento cambiò la sua vocazione: da suora brillante docente in scuole cattoliche dell’India, divenne la suora emblema dell’accoglienza ed assistenza dei sofferenti più dimenticati dell’India stessa e del mondo. Questo lei poté fare perché motivata dalla fede cristiana per la quale il corpo sofferente dell’uomo è il Corpo di Cristo flagellato e crocifisso.

 

Nella più volte millenaria storia e civiltà della Cina, il concetto di salute-benessere è legato all’ordine e all’armonia; ordine ed armonia che regnano nel Cielo e che debbono essere instaurati sulla terra, nel senso del Celeste Impero, e che si realizzano attraverso la relazione dei due principi fondamentali: il principio o forza maschile (lo yang) ed il principio o forza femminile (lo yin). Essi si concretizzano in cinque fondamentali rapporti: marito – moglie (uomo – donna), padre – figlio, fratello maggiore – fratello minore, amico – amico, principe – suddito. Dove è salvato l’equilibrio, anche nella vita e nel corpo individuale, c’è salute; dove l’equilibrio è rotto, c’è, ed in questo consiste la malattia. L’equilibrio restaurato riporta alla condizione di salute-benessere.

 

Differenti modi dunque di concepire la salute e differenti vie di salvaguardarla o recuperarla. Torna quindi la domanda circa lo specifico della vita umana e la salvaguardia della sua assolutezza di cui la salute è parte essenziale.

Qualche tempo addietro, un illustre chirurgo di notoria competenza professionale, di apprezzata ricchezza umana e di riconosciuta sensibilità morale, mi spiegava certa presunzione e autosufficienza di fronte ai processi della vita, e perfino atteggiamenti di onnipotenza, specie a proposito di interventi in casi di vita umana nascente o giunta al termine, che si registrano in alcuni ambienti clinici o in professionisti della medicina che vi esercitano la loro magari indubbia bravura. Essi sono, diceva, come quei medici dell’ottocento, di formazione positivista ed evoluzionista: credevano di aver capito tutto della vita perché oramai conoscevano tutti gli organi del corpo umano e come essi sono strutturati in un unico organismo. Oggi c’è chi pensa di sapere tutto, di spiegare tutto e di capire tutto della vita

perché è stato scoperto il dna. Ma come allora risultò poi chiaro che la vita non è la somma degli organi che compongono il corpo, così essa non è riducibile e spiegabile sulla base del dna. La vita, e sommamente la vita umana, è sempre di più di quello che ci dice e ci potrà dire la scienza; la vita rimanda sempre ad un oltre rispetto a quello che noi vediamo e constatiamo, e sarà sempre così per quante scoperte possa fare la scienza su come essa funzioni e sui nostri possibili interventi nei suoi meccanismi.

Così a me quell’illustre chirurgo. Lo interrogai – e ci interrogammo insieme -, formulando a lui la domanda nel modo seguente: la vita umana rimanda sempre ad un oltre o anche ad un Altro, magari con la lettera maiuscola, perché ci sono quelli che lo chiamano Dio?

È scritto nel secondo libro dei Maccabei: “Non so come siete apparsi nel mio seno, non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come ora voi per le sue leggi non vi curate di voi stessi” ( 2Mac 7,22-23). È il racconto del martirio dei sette fratelli e della loro madre; sono le parole con le quali lei li esorta ad essere fedeli a Dio e ad affrontare la morte inflitta dal persecutore re Antioco IV Epifane pur di non rinnegarlo.

 

Di fronte ai processi della vita umana, dal suo inizio fino al raggiungimento della consapevolezza di sé, dell’intelligenza, della ragione e della volontà, ivi comprese le ragioni ed i perché della malattia, del dolore e della morte, siamo posti dinanzi al mistero che ci interroga. L’atteggiamento più consono, soprattutto per uno scienziato, un ricercatore della medicina, un medico, mi sembra essere quello dell’umiltà, dell’attenzione e particolarmente del servizio. La vita dell’uomo va servita, sempre e comunque; in particolare quando è malata, sofferente, debole, abbandonata. Il confronto fra le civiltà, le culture e in special modo le religioni, nel modo di intendere e sostenere la vita, può aiutare a comprenderne forse meglio la preziosità, il valore ed a favorire una mentalità ed un atteggiamento, appunto, di vita, a fronte dello spirito di morte che sembra sempre più diffondersi nel nostro mondo della ricchezza, del benessere, dell’edonismo e della presunzione di un certo tipo di scienza che pone se stessa come arbitro e padrone della vita. Non so se di scienza si tratti o di pseudoscienza.

Credo comunque che alcuni atteggiamenti che sembrano a volte emergere nella nostra medicina occidentale secondo i quali tutto nell’uomo si riduce al solo biologismo, e cioè non c’è nell’uomo stesso niente altro di ciò che avviene e si spiega con la riproduzione cellulare e le sue leggi, non colgono la ricchezza, l’unicità e si può anche dire il mistero che è la vita umana e che fa anche la sua grandezza e fonda il suo valore assoluto.