La dietetica cinese in Occidente: editoriale del volume Dietetica Cinese II della Rivista Italiana di Medicina Cinese
Lucio Sotte
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Continuiamo nel 2001 il programma iniziato nel 2000 sulla dietetica cinese pubblicando “La Dietetica Tradizionale Cinese volume 2 – clinica e schede degli alimenti”.
Con questo secondo volume concludiamo l’introduzione a questo interessantissimo settore della medicina tradizionale cinese che ha riscosso – come d’altra parte era nei nostri auspici e nelle nostre previsioni – notevole interesse sia nel pubblico degli addetti ai lavori come in quello degli appassionati di cose orientali.
Abbiamo visto nel primo volume come la dietetica cinese si differenzi da quella occidentale in alcuni importanti elementi: in primo luogo è energetica e qualitativa invece che essere organica e quantitativa.
La medicina occidentale affronta il cibo con uno studio analitico – com’è ovvio utilizzando il metodo scientifico che ci caratterizza – che distingue in primo luogo le varie categorie degli alimenti partendo dalla loro struttura: le proteine, gli zuccheri, i grassi, le vitamine, i sali minerali, gli oligoelementi e l’acqua sono la base della nostra alimentazione. Essi, a loro volta, sono costituiti di elementi che la biochimica ci insegna a distinguere tra loro: gli aminoacidi sono i mattoni con cui sono costruite le proteine, i monosaccaridi e disaccaridi si legano in glucidi di struttura più complessa, acidi grassi e steroli sono alla base dei lipidi. In realtà si può osservare il fenomeno in maniera ancora più analitica e rendersi conto che tutti questi mattoni sono costruiti di atomi semplici che si legano tra loro come il carbonio, l’idrogeno e l’ossigeno come ci spiega la chimica.
In medicina cinese ci si disinteressa della struttura chimica o biochimica dei costituenti fondamentali dell’alimentazione e di come questi vengano assimilati allo scopo di sostituire quelli che mano a mano si deteriorano nel nostro corpo durante i processi di crescita e quelli puramente vitali. La dietetica cinese approfondisce invece gli aspetti qualitativi ed energetici della nostra alimentazione: di ogni cibo cerca di capire natura, sapore e movimento dell’energia. Si distinguono così le cinque nature (fredda, fresca, neutra, tiepida e calda), i cinque sapori (amaro, piccante, acido, dolce e salato) e le quattro tendenze (interiorizzazione e discesa, esteriorizzazione e salita).
Alla dietetica cinese – che è nata in era prescientifica – non interessa molto sapere che tipo di glucidi è presente nel cetriolo e quante e quali fibre e sali minerali o oligoelementi, le interessa invece riconoscere la natura ed il sapore di questo ortaggio: il cetriolo è di natura fresca e sapore dolce e perciò è adatto a pazienti che presentino segni di calore e di insufficienza dello yin. Lo stesso accade per il peperoncino di cui la dietetica occidentale studia farmacodinamica e farmacocinetica della capsaicina mentre quella cinese ne sottolinea il sapore piccante adatto a promuovere la sudorazione ed a trattare segni di ristagno.
Le regole delle due dietetiche (cinese ed occidentale) sono assai differenti ma, proprio perché studiano l’alimentazione da due versanti così lontani, né contrastano tra loro né, a maggior ragione, si oppongono. La mia opinione è che il settore dietetico sia uno degli ambiti in cui l’integrazione dei due sistemi medici sia possibile ed auspicabile fin da subito. Ad esempio, dovendo trattare un’obesità è certamente doveroso per un medico computare il numero delle calorie come si fa in Occidente, ma la distinzione cinese tra cibi caldi e freddi e tra cibi umidi o secchi conferisce alla dieta integrata quella marcia in più che permette al paziente di alimentarsi con razioni caloriche ridotte ma anche assecondando la sua costituzione e di ottenere risultati migliori e più stabili nel tempo.
Un’altro aspetto importante della dietetica cinese consiste nella sua capacità di farci recuperare una sorta di giusta istintività nel consumo degli cibi: il nostro organismo tende naturalmente a indirizzarsi verso gli alimenti che lo assecondano ed a rifiutare o moderare il consumo di quelli che lo contrastano. Mi capita assai spesso di fornire consigli dietetici ai miei pazienti e di verificare che essi già in parte si comportano “naturalmente” seguendo le norme che io propongo: ciò accade perché il nostro istinto ci difende e ci guida. È normale che chi soffre di una forma anemica tenda a nutrirsi con alimenti che “nutrono il sangue” o che chi presenta segni di calore ricerchi i cibi freschi: la dietetica cinese ci fa capire perché ciò accade e rilancia, potenzia e eventualmente corregge ed integra il nostro istinto naturale. La dietetica cinese ci spiega il motivo delle nostre naturali tendenze per certi cibi ed avversione per altri: questa spiegazione è spesso impossibile considerando i soli dettami della dietetica occidentale.
Un ulteriore elemento da evidenziare della dietetica cinese è la sua sottolineatura della natura, dei sapori degli alimenti e dei vari metodi di cottura che possono esaltare una caratteristica del cibo o alterarla. Mentre in Occidente il dietologo è un teorico dell’alimentazione chiuso negli Istituti Universitari, negli Ospedali e nelle Cliniche che non mette mai piede in cucina perché non gli compete, il suo collega cinese è una sorta di scienziato-cuoco-sommelier che studia le caratteristiche dei cibi con la stessa passione con cui li insegna a cucinare ai propri pazienti e sa parlare delle spezie non solo in termini biochimici ma anche sapendone dosare con sapienza natura, sapore e gusto nella preparazione di un piatto e sapendo insegnare ai propri pazienti come comportarsi davanti ai fornelli di casa.
La dietologia deve fornire al medico e, tramite questo, al paziente il know how per sapersi orientare nel fare la spesa, nel tagliare e confezionare i cibi ed i loro condimenti, nel cuocerli in modo che ne siano esaltate le capacità nutritive e farmacologiche e tamponati gli effetti spiacevoli. È tanto importante il saper scegliere i propri cibi, come il saperli cucinare: questo secondo aspetto è assai poco preso in considerazione nella dietetica occidentale ed invece va assolutamente valorizzato, come ci consigliano i nostri colleghi cinesi; ciò è vero a maggior ragione nei nostri paesi nei quali i metodi di cottura cinesi sono generalmente sconosciuti. A titolo esemplificativo cito la cottura saltata nel wok (si tratta della padella profonda e semisferica sempre presente sopra i fornelli in Cina) tipica della cucina cinese; questo tipo di cottura è straordinario per le verdure e gli ortaggi, è un metodo di preparazione sconosciuto in Occidente eppure assai raffinato che, mentre è in grado di preparare contorni saporiti e gustosi, è altrettanto adatto a conservare vitamine, sali minerali ed oligoelementi degli ingredienti che invece vengono persi con la bollitura o la cottura a vapore o con cotture troppo prolungate, come si usa generalmente nei nostri paesi.
Anche l’uso degli “odori” e delle “spezie” deve essere insegnato ai propri pazienti, due foglie di menta o di maggiorana possono infatti essere adatte a “rinfrescare” un cibo troppo focoso ed uno spicchio d’aglio o una fettina di zenzero a “riscaldarne” uno troppo freddo: in questa maniera la natura del piatto tenderà alla neutralità: una buona dote sia per il palato che per la digeribilità.
Tutte le preoccupazioni espresse fino ad ora sono valide a maggior ragione in un mondo come quello in cui viviamo in cui tutto sembra muoversi per farci dimenticare quel poco che ci ricordiamo dei nostri cibi e della nostra tradizione culinaria: l’industria alimentare ormai apparecchia se stessa sulle nostre tavole e corriamo tutti i giorni a pranzo e cena seri rischi di diventare le “mucche pazze” del genere umano. Queste sono impazzite perché a qualcuno ha fatto comodo che un erbivoro fosse alimentato con “fieno animale”, noi rischiamo di perdere il senno perché invece di utilizzare i nostri cibi di sempre e quelli importati dalle altre culture alla luce del buon senso, delle più moderne ricerche scientifiche e della nostra tradizione, siamo ogni giorno espropriati dei frutti della nostra cultura in ambito culinario per rendere il nostro doveroso omaggio ai proventi del fatturato del business agro-alimentare. Non è certo mia intenzione demonizzare l’industria che confeziona i nostri cibi, tuttavia mi sembra sia ragionevole alzare il nostro livello di attenzione a quello che sta accadendo sulle nostre mense.
Dalle nostre parti questa storia è iniziata subdolamente negli anni ’50 con la comparsa delle prime merendine che hanno sbaragliato i panini farciti delle nostre mamme scomparsi dalla cartella della scuola perché a ricreazione non andavano più di moda: infatti non erano sponsorizzati da nessuno eccetto che dal buon senso.
È stata poi la volta delle pappe per i neonati; anche questa battaglia è stata persa senza onore: la farmacia ha sbaragliato la drogheria ed il mercato della frutta. La nutrizione della prima infanzia è stata completamente medicalizzata persino nel luogo di acquisto dei cibi. Così la frutta in bottiglietta oltreché più comoda per una giovane mamma troppo indaffarata dai suoi ritmi di lavoro è diventata più fresca di quella raccolta dalla pianta come lo sfarinato di cereali in barattolo, magari conservato per mesi, se confrontato con il pancotto preparato sopra i fornelli dalla nostra nonna. Nel frattempo è anche scomparsa la nonna e la sua ricetta non la ricorda più nessuno!
La vera Waterloo è stata però il furto del ritmo e del tempo dei pasti che è la battaglia in corso in questo momento: non ce ne accorgiamo ma la colazione, il pranzo e la cena sono ormai sulla via del tramonto e stanno cedendo il passo ai numerosi snacks che tanto si adattano ai ritmi della vita moderna quanto contrastano con i bioritmi del nostro organismo e la fisiologia del nostro apparato digerente. I succhi gastrici ipereccitati dalla formosa interprete dell’ultimo spot della barretta Ipsilon-Y bruciano e mandano in fumo le mucose digerenti e di riflesso i neuroni surriscaldati si calmano solo con la comparsa del bellissimo, dolcissimo, amabilissimo nonnino di turno dello spot successivo che offre, di nascosto dalla mamma, la barretta Zeta-Z al suo nipote preferito tra note di cornamuse scozzesi e di arpe greche. Intanto si affaccia sullo schermo tra due seni Wonderbra il cono gelato Ics-X che poi scivola sul gluteo abbronzato della modella accanto e si scioglie tra sospiri di meraviglia ed ammiccamenti allusivi mentre la prosperosa bionda che non manca mai e si dimentica sempre un pezzo del bichini sorseggia uno schiumoso boccale di birra wudoppia-W.
In stato confusionale e definitivamente disorientati da un punto di vista temporo-spaziale non ci ricordiamo più né che ora è, né che giorno è, né dove ci troviamo e trangugiamo l’ultimo spot fino all’ultima goccia soddisfatti di immolarci: ci mangiamo lo snack Kappa-K, un hamburger Delta e se qualcuno ci chiede come ci chiamiamo sappiamo rispondere solo Coca-Cola.
Da quando il pensiero debole si è alleato con i poteri forti stanno succedendo fatti troppo curiosi per rimanere ancora in coma e non riprendere coscienza almeno per sorridere alla menzogna di cui spesso siamo circondati: l’agricultura biologica è stata ormai sponsorizzata persino dai produttori di insetticidi e diserbanti, l’ambientalismo è diventato di moda finanziato anche dall’industria dell’inquinamento e nel frattempo gli ecoterroristi compaiono sul piccolo schermo ai telegiornali travestiti da scolaresche dell’asilo.
Forse è ora di riprenderci dal stato stuporoso dismetabolico nel quale ci hanno stordito i media e di iniziare a chiamare le cose per nome con serenità e coraggio: buono ciò che è buono, veleno ciò che uccide, bello ciò che bello è, vero ciò che è vero.
Anche un piccolo volume di dietetica cinese può insegnarci a riprendere la retta via confrontandoci con i frutti di una tradizione consolidata e vera come quella cinese: aggiungerà alle poche ricette delle nostre nonne che ricordiamo ancora quelle delle loro colleghe con gli occhi a mandorla.
Me lo auguro e lo auguro a tutti i lettori e ciò sarà il frutto più degno della fatica degli Autori.
Anche questa volta, visto l’argomento del volume, voglio concludere con un brindisi e, visto che siamo arrivati alla fine della nostra fatica, usiamo una specie di digestivo-tonico: un dito di nocino, il liquore italiano più vicino alla tradizione cinese. Il mallo della noce – che è tiepida e dolce, ma il mallo è amaro e tannico – nutre il rene e ne riscalda lo yang, la cannella ed i fiori di garofano muovono l’energia e riscaldano il rene, ma anche il pancreas ed il cuore, la scorza di limone purifica il calore e bilancia la risalita dell’energia degli altri ingredienti indirizzandolo verso il basso e l’alcool mobilizza ma “calma e sostiene gli shen” armonizzando il nostro psichismo. Il calore del sole al quale deve essere esposto per 40 giorni da quando viene preparato nel giorno di San Giovanni (24 di giugno) al 3 di agosto “rifrulla” lo yang degli ingredienti e ne fa un elisir di lunga vita col quale brindo agli Autori, ai lettori ed anche alla mia salute visto che da anni lo preparo con una ricetta segreta.