Dietetica cinese: sesto volume del Trattato di Agopuntura e Medicina Cinese della CEA

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Presentazione del volume a cura del dott. Lucio Sotte*

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È con vero piacere che presento ai lettori il sesto volume della collana “Trattato di Agopuntura e Medicina Cinese”, intitolato Dietetica Cinese.

Quest’opera si differenzia da quelle che la precedonoper un motivo assai semplice: è dedicata – come tutti gli altri volumi della collana – al mondo medico dei cultori dell’agopuntura e della medicina cinese, ma credo possa essere di grande interesse anche per chi, pur non possedendo conoscenze mediche e scientifiche relative alla medicina cinese, sia incuriosito e interessato ad approfondire l’argomento della dietetica cinese e dei principi della grande tradizione culinaria

della Cina. È ovvio che questo secondo tipo di lettori dovrà fare i conti con i principi e fondamenti della medicina cinese, che in questo volume sono soltanto accennati e che invece è molto utile, se non addirittura necessario, conoscere adeguatamente per poter comprendere appieno il contenuto dell’opera.

Potrebbe essere in questo caso assai utile rifarsi al

primo volume della collana, dedicato ai Fondamenti di Agopuntura e Medicina Cinese.

Fin da quando, nel 1983, ho visitato la Cina per la

prima volta, sono stato colpito dalla sua grande tradizione culinaria e ho intuito che dietro di essa doveva esistere un grande tesoro nascosto: quello della dietetica cinese, che ha due differenti livelli di pratica e di lettura anche nel suo paese di origine. Da una parte troviamo il popolo cinese, in tutti i suoi strati sociali, che coltiva da millenni principi e abitudini culinarie e di igiene dell’alimentazione che sono un sapere tradizionale trasmesso da millenni per osmosi da una generazione alla successiva; dall’altra troviamo una conoscenza

colta e raffinata, fissata in testi scritti migliaia

di anni or sono e tramandata a livello accademico, che utilizza la dietetica non solo per prevenire, ma anche per curare numerose malattie secondo criteri ben definiti e perfezionati nel corso della lunga storia della medicina cinese.

Per questo motivo credo che il presente volume

possa essere affrontato con due possibilità di lettura: quella colta del mondo accademico e medico, che potrà approfondire tutti gli aspetti scientifici, e quella meno ricercata ma non meno accurata del lettore appassionato di medicina naturale e del cultore della cucina orientale, che potranno trovare molte interessanti risposte alle loro domande sui criteri dell’alimentazione cinese, sulle modalità di cottura in uso in questo lontano paese, sulla classificazione degli alimenti così diversa da quella della dietetica occidentale, sulle modalità di confezionamento di tisane, zuppe, vini medicinali. Un’altra considerazione da fare a proposito di questo volume e della dietetica cinese in generale riguarda il fatto che il suo studio e la sua conoscenza ci permettono di riscoprire degli aspetti purtroppo dimenticati delle nostre antiche tradizioni culturali e mediche. Tali conoscenze sono state utilizzate in Occidente per oltre un millennio, dai tempi dell’antica Grecia fino al

XV-XVI secolo d.C.; poi, a partire dal XVII secolo, sono state prima accantonate e quindi completamente neglette in nome della nuova «medicina organicistica».

Mi riferisco alle conoscenze della cosiddetta «medicina galenica», che si fondava sulla «teoria umorale», che è stata completamente abbandonata e che invece, a mio parere, aveva alcuni elementi di interesse e andrebbe riscoperta e valorizzata, ovviamente alla luce delle ultime

scoperte scientifiche. Le nuove frontiere della

psiconeuroendocrinoimmunologia ci hanno infatti dimostrato che la nostra salute dipende dal dialogo incessante tra sistemi del nostro organismo e tale dialogo avviene mediante meccanismi e «linguaggi» di natura elettrica, ionica, chimica, molecolare che sfruttano appunto i nostri liquidi, i nostri «umori» – distribuiti nei loro rispettivi compartimenti intracellulare, interstiziale, linfatico ed ematico – per colloquiare tra loro. Questo dialogo e questi equilibri potrebbero forse essere meglio indagati e compresi proprio rivalutando,

ovviamente con nuovi e moderni criteri, le antiche

«teorie» messe a punto da Galeno nei primi

secoli dopo Cristo. Avvalendoci proprio della «teoria umorale», potremmo immaginare meglio come il sangue e gli altri compartimenti dei liquidi siano dei «tessuti fluidi» con molti più compiti di quelli finora loro assegnati. Non solo dunque compiti nutritivi, respiratori, emuntori, ma anche grandi ruoli di input e output in ambito immunitario, nervoso ed endocrino. Avvicinarsi

e studiare il sangue e gli altri compartimenti

liquidi come sistemi informativi e distributivi dai quali i vari organi e tessuti del corpo ricevono e ai quali contemporaneamente inviano messaggi fisici, chimici, ionici, molecolari, cellulari, dialogando tra loro incessantemente, è certamente una delle nuove frontiere della nostra medicina.

Un altro aspetto da sottolineare del rapporto tra la

medicina cinese e l’antica medicina galenica riguarda la classificazione dei farmaci e dei cibi: le regole della dietetica cinese si fondano sulla «natura» (calda-fredda- tiepida-fresca), sui «sapori» (acido-amaro-piccantedolce- salato), sulla «tendenza direzionale» (emersioneimmersione-

salita-discesa) e sul «tropismo» dei cibi verso i vari organi e visceri e sono molto simili a quelle che la nostra antica medicina ha utilizzato in Occidente

fino a pochi secoli or sono.

Cito a questo proposito un testo edito a Venezia alla fine del Cinquecento opera di Pierandrea Mattioli, un famoso medico senese dell’epoca: si tratta dei Commentarii della materia medica di Dioscoride, in cui l’autore presenta numerosi rimedi farmacologici, ma anche molti cibi e spezie, in un modo assai simile a quello utilizzato in Cina. Questi farmaci, cibi e spezie erano stati descritti da Dioscoride nel I secolo d.C., cioè quattordici secoli prima, e impiegati ininterrottamente fino al XV secolo d.C. Nei Commentarii del Mattioli si parla delle «qualità primarie» dei cibi e dei farmaci che sono molto simili alle «nature» degli stessi descritti dalla medicina cinese. Mattioli distingue quattro qualità primarie: il freddo con effetto rinfrescante, il caldo con effetto riscaldante, il secco con azione essiccante e l’umido, che possiede ovviamente

effetto umidificante. Si parla anche delle «qualità secondarie», che sono assimilabili ai «sapori» della dietetica cinese. L’autore ci spiega che l’astringente e l’acido raddensano, l’acre raccoglie, il piccante taglia, il dolce ammorbidisce, il grasso dissolve, il salato essicca, l’amaro purifica, il pungente dissipa. Anche in tal caso esiste una notevole affinità tra quanto afferma la dietetica cinese e questa classificazione della nostra antica medicina galenica. Possiamo dunque asserire, senza ombra di dubbio, che la conoscenza della dietetica cinese ci permette «paradossalmente» di riprendere

confidenza con una serie di osservazioni che sono

state fatte anche in Occidente e poi successivamente messe in disparte prima e quindi dimenticate, diventando così completamente obsolete negli ultimi tre secoli.

Insomma, andando agli estremi confini dell’Oriente, siamo in grado di riscoprire elementi per noi ormai illeggibili della nostra tradizione dell’Occidente che, anche se superati e criticabili da diversi punti di vista, certamente hanno alcuni elementi di verità purtroppo dimenticati che forse può valere la pena di valorizzare.

Lo studio che è stato fatto in Cina a proposito dei

«sapori» e degli aromi dei cibi è certamente molto interessante: non esiste nulla di simile nella nostra attuale medicina e in Occidente l’unico ambito in cui si parla dei sapori e degli odori del cibo è quello dell’enologia e, più in generale, della gastronomia. Invece nell’antica medicina cinese a ogni sapore equivalgono una serie di effetti terapeutici, per cui il fatto che un cibo ne sia caratterizzato è indice della sua attività nutritiva nonché terapeutica. Anche in questo campo occorre integrare le antiche conoscenze della medicina cinese con quelle più moderne della biomedicina. Sono convinto che questo settore possa avere interessanti sviluppi in futuro non soltanto nella dietetica, nella fitoterapia e nella scienza della nutrizione, ma anche nella prevenzione, nella terapia e nella diagnostica.

Già ora si parla di alcune applicazioni in campo sanitario del «naso elettronico», che è capace, a partire dall’uso di otto soli recettori, di distinguere moltissimi odori. Per comprendere come questa disciplina possa avere un grande sviluppo, basta pensare che nel genere umano sono state individuate finora alcune centinaia di recettori olfattivi e in certi animali il numero è di gran lunga maggiore. È immaginabile che si possa insegnare al «naso elettronico» a riconoscere l’«odore» di alcune malattie e intervenire conseguentemente.

Oppure potrebbe essere applicato ai sistemi di riconoscimento personale: il «naso elettronico» potrebbe individuare la «firma olfattiva» che

ognuno di noi lascia e correlarla con una determinata costituzione.

Come più volte sottolineato lungo il testo, l’obiettivo del volume non è quello di creare una dietetica alternativa, ma piuttosto quello di spiegare al medico occidentale la dietetica cinese, sempre nell’ottica e nella ricerca di possibili sinergie. È mia opinione che la dietetica cinese debba essere adottata in associazione con la dietetica occidentale, dal momento che le due

discipline non solo non si escludono a vicenda, ma anzi possono, se utilizzate in coppia, creare un potenziamento dei loro rispettivi effetti.

Nel capitolo 11 del volume si affronta, ad esempio,

il trattamento delle obesità: è uno dei settori in cui si possono applicare delle utili sinergie da un uso combinato dei due modelli dietetici. Si può sfruttare la scienza biomedica per studiare la dieta da un punto di vista calorico, dell’indice glicemico, del fabbisogno di macro- e micronutrienti e, contemporaneamente, scegliere, in base a un inquadramento di medicina cinese, la natura degli alimenti in relazione alla costituzione yin o yang del paziente e i sapori in base alla logica dei

Cinque Movimenti.

La discussione del trattamento dietetico dei vari

quadri sindromici che viene fatta nel volume termina spesso con la presentazione di alcune ricette esemplificative che, nella maggior parte dei casi, sono mutuate dalla nostra tradizione alimentare. Sono esempi di come si possono utilizzare i «nostri» cibi per prevenire o curare le malattie secondo i criteri della dietetica cinese.

Infatti, applicare la dietetica cinese in Occidente

non significa imparare a mangiare con le bacchette, o stravolgere la nostra alimentazione tradizionale, inserendo per forza cibi che non appartengono alle nostre abitudini. Si può benissimo usare la dietetica cinese continuando a mangiare come mangiavano i nostri genitori o i nostri nonni, ma facendoci contaminare

culturalmente nell’impiego delle «sue regole» per la

scelta dei «nostri cibi». Le ricette che presentiamo alla fine del volume sono delle esemplificazioni sul modo di fruire della nostra tradizione culinaria alla luce della dietetica cinese.

Quanto affermato finora non esclude tuttavia che

la studio della dietetica cinese possa essere l’occasione per una feconda collaborazione e contaminazione culturale.

D’altra parte il pomodoro, il peperone, il mais e

la patata, prodotti che oggi sono fondamentali e insostituibili nella nostra gastronomia, erano sconosciuti in Europa prima della scoperta delle Americhe e i nostri antenati, nel Medioevo, non conoscevano né il cacao, né il tè, né il caffè, oggi largamente diffusi nel nostro continente. Lo stesso si può dire di alcuni tipi di frutta, come la nespola giapponese, il kiwi, l’arancia, il limone, attualmente coltivati nel nostro paese e che un tempo erano sconosciuti. Ricordo inoltre come il commercio delle spezie, che è stata la grande fortuna di Venezia, sia sempre stato fondato su proficui scambi commerciali con il Medio ed Estremo Oriente anche attraverso la Via della Seta.

Le tecniche di cottura dei cibi e gli strumenti della

cucina possono anch’essi essere mutuati da altre culture culinarie ed entrare a far parte del nostro quotidiano senza necessariamente abolire la nostra tradizione.

Quando per la prima volta ho visto un wok in

funzione in una cucina cinese, ho capito che poteva essere utile anche nella preparazione di alcuni nostri piatti, compresi quelli più tradizionali e mediterranei.

Ho cominciato quindi a consigliarne l’uso ai miei pazienti quando era necessario ottenere cotture veloci, senza uso eccessivo di grassi, in grado di mantenere inalterate le proprietà dei cibi.

La differenza tra dietetica cinese e occidentale ha

un suo corrispettivo non solo nella classificazione e

definizione dei cibi, non solo nelle modalità e tecniche di cottura, ma anche nella presentazione dei piatti e nelle regole del «mettersi a tavola».

Fin dai miei primi contatti con la Cina mi sono reso conto dell’estrema raffinatezza del «galateo cinese», che non ha nulla da invidiare a quello occidentale relativamente alla cortesia e signorilità. In Cina si allestisce la tavola in modo molto essenziale, con una ciotola per ogni commensale. Il piattino serve per assaggiare le varie portate, mentre la ciotola si adopera generalmente per contenere il riso. C’è poi una tazza per le bevande, che di solito vengono servite calde, e infine – al posto delle nostre posate – due bacchette di legno o di bambù o di altro materiale più o meno prezioso appoggiate su un sostegno di ceramica o porcellana.

Un allestimento alquanto semplice che si adatta

mirabilmente alla cucina cinese e alle usanze nel servire i cibi. In questo lontano paese i tavoli, soprattutto quelli dei ristoranti, sono generalmente rotondi, con al centro un largo piano girevole, che serve ai camerieri per appoggiare i piatti preparati. Facendo ruotare questo piano, ogni commensale può far arrivare il piatto da portata proprio davanti a sé per servirsi comodamente delle diverse pietanze.

Generalmente si inizia il pasto con qualche assaggio di antipasti freddi già disposti sul piano, terminati i quali inizia il rapido susseguirsi dei vari piatti, che vengono serviti uno dopo l’altro in veloce successione e normalmente sono in numero equivalente a quello dei commensali: 6 in un tavolo con 6 posti, 9 in un tavolo per 9 persone. Come bevande si utilizzano degli infusi caldi di tè in un numero infinito di tipologie o altre tisane a base di erbe aromatiche, come ad esempio il crisantemo cinese oppure il fiore di gelsomino.

Molto spesso il pasto termina con una tazza di zuppa assai liquida, speziata e calda, che ha lo scopo di favorire la digestione delle portate precedenti.

La raffinatezza del galateo cinese suggerisce a chi

ospita di servire direttamente chi è stato invitato: il

compito del cameriere sarà quello di portare in tavola il cibo, il compito di chi invita è invece quello di servire l’ospite presentandogli di volta in volta le varie pietanze. Ho sempre molto apprezzato questa forma di cortesia, sconosciuta in Occidente, che viene rivolta all’invitato d’onore dei banchetti cinesi, soprattutto se straniero e dunque inesperto degli usi di questo paese. Un’ultima considerazione sulle posate cinesi: le famose bacchette. Debbo confessare che, essendo un loro fautore, sarò un po’ di parte. Sono convinto che siano particolarmente versatili e comode, soprattutto se, come accade di regola in Cina, tutti i cibi sono tagliati prima della cottura e ridotti a dimensioni tali da poter essere facilmente afferrati. Le bacchette hanno un meccanismo di azione molto diverso da quello delle nostre forchette perché, mentre queste infilzano il cibo, le bacchette sono in grado di prenderlo senza deturparlo seguendo, com’è ovvio, la logica yin-yang. La bacchetta che viene tenuta ferma e fissa rappresenta il polo yin su cui lavora l’altra bacchetta, quella in movimento e dunque yang che, serrandosi sulla prima, afferra il cibo.

Le bacchette permettono di «spiccare» il cibo – come affermava padre Matteo Ricci alla fine del Cinquecento descrivendo i costumi cinesi nei suoi Commentari – e sono comodissime per mangiare qualsiasi alimento, ma soprattutto quelli che hanno bisogno di un’accurata pulizia come il pesce. Basta provare a togliere una spina da un pesce prima con la forchetta e poi con le bacchette per constatare l’assoluta maneggevolezza,

superiorità e comodità di queste posate cinesi.

Aggiungo un’ultima notazione per descrivere il

senso affidato all’uso delle bacchette: in Cina l’idea di «infilzare» il cibo o di «tagliarlo» una volta presentato sulla tavola (come noi comunemente facciamo utilizzando forchetta e coltello) è considerato assolutamente «sconveniente», una sorta di «offesa» fatta alle pietanze, che invece vanno trattate con grazia e perizia, prendendole delicatamente appunto con questi semplici bastoncini.

Un’ulteriore considerazione va fatta a proposito

del rapporto tra dietetica cinese e macrobiotica: si tratta di due discipline diversissime, se non addirittura agli antipodi. L’unico punto di contatto consiste nel fatto che vengono entrambe dall’Oriente, ma mentre la macrobiotica è di recente formulazione ed è stata «inventata» in Giappone da George Oshawa nella prima

metà del XX secolo, la dietetica cinese è nata in Cina e ha una storia millenaria. Sebbene in entrambe le dietetiche gli alimenti vengano classificati secondo la teoria yin-yang, tuttavia esistono più differenze che concordanze anche a questo livello e molti alimenti che in macrobiotica sono yin vengono classificati come yang in dietetica cinese, e viceversa. Un’altra sostanziale

diversità consiste nel fatto che la dietetica cinese

non ha mai messo al bando gli alimenti di origine animale: né le carni e tantomeno il pesce, i molluschi e i crostacei, e ancor meno i sottoprodotti animali. Anzi, esistono molte condizioni patologiche come quelle dei deficit di qi, di sangue, di yang in cui gli alimenti di origine animale sono particolarmente raccomandati.

L’unica notazione che si può fare a questo proposito è che in Cina, come d’altra parte nell’alimentazione tradizionale italiana, questi prodotti non sono mai stati consumati in quantità eccessive, come invece accade sempre più spesso negli ultimi decenni, per cui assai spesso vale la pena di raccomandare ai nostri pazienti di ridurne il consumo semplicemente perché si tende a eccedere nelle quantità.

Desidero terminare la presentazione del volume

con un ringraziamento a tutti gli autori e collaboratori, in primo luogo a Massimo Muccioli, che ha compilato una parte particolarmente importante del testo – quella relativa alla classificazione degli alimenti – e a Margherita Piastrelloni, che ha trattato, molto esaustivamente,

il capitolo dedicato ai principi della dietetica

cinese. Ringrazio Annunzio Matrà per il suo contributo relativo ai criteri per una corretta alimentazione, Attilio Bernini per aver affrontato in questo volume gli aspetti biomedici e trattato il confronto tra fisiologia dell’alimentazione cinese e occidentale. Ringrazio Emanuela Naticchi per la presentazione dei fitofarmaci cinesi che vengono comunemente utilizzati anche in

ambito alimentare, Alfredo Vannacci che ha presentato l’alimentazione in gravidanza, nel puerperio e nella primissima età della vita, e Piero Quaia al quale ho affidato la revisione generale del volume. Un ringraziamento è d’obbligo anche per Manuela Di Chiara, che è l’autrice della raccolta da cui sono tratte le ricette tradizionali italiane inserite nell’ultimo capitolo del testo.

Si conclude con il sesto volume il grande lavoro di

questa collana, che si è posta l’obiettivo di presentare per la prima volta al mondo medico italiano tutte le discipline della medicina tradizionale cinese. È stato un impegno importante, durato parecchi anni, e ha coinvolto tra autori e collaboratori quasi cinquanta colleghi che da moltissimi anni operano nelle più importanti Scuole di Agopuntura e Medicina Cinese in tutta Italia, li ringrazio per il loro fondamentale contributo.

Sono convinto che questa collana sia il punto di

arrivo del lungo processo di «importazione» e «traduzione» della medicina cinese in Italia iniziato più di trent’anni or sono – quando nel nostro paese non esisteva realmente nessuna edizione che affrontasse questi argomenti – e finalmente concluso. Mi auguro che sia anche il punto di partenza per il grande lavoro di

«integrazione» con la biomedicina: il compito del

prossimo futuro che spero possa essere intrapreso da coloro che studieranno su questi volumi e si appassioneranno alla medicina cinese, come è successo a noi, per continuare a costruire questo grande ponte culturale tra Oriente e Occidente.

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