La ricerca medica in agopuntura a cura dell’AIRAS di Padova

Lucio Sotte*

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Second International Symposium on Research in Acupunture

Maria Letizia Barbanera*

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Ricerca medica: il contributo della farmacologia cinese nel trattamento del paziente oncologico

Relazione del dott. Lucio Sotte presentata al Congresso “Agopuntura e medicina integrata in oncologia”, 23-24 settembre 2017, organizzato da ALMA (Associazione Lombarda Medici Agopuntori)




Il Nobel per la medicina assegnato alla dott.ssa Tu Youyou per la “riscoperta” di un antico farmaco della medicina tradizionale cinese

 Lucio Sotte*, Direttore di Olos e Logos, Dialoghi di Medicina Integrata

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Il premio Nobel per la medicina è stato assegnato il 5 ottobre 2015 a Tu Youyou, una dottoressa cinese che ha scoperto l’artemisina, la molecola utilizzata ormai in tutto il mondo per la cura della malaria che ha[*] salvato e sta salvando milioni di vite dai danni di questa pericolosa malattia.

Dopo Ronald Ross nel 1902 e Alphonse Laveran nel 1907, la professoressa Tu Youyou è la terza scienziata ad essersi distinta con un Nobel per un lavoro sulla malaria (200 milioni di casi e più di mezzo milione di decessi registrati nel 2013, una delle principali cause di mortalità nel Mezzogiorno del mondo. L’Africa è il continente più colpito: il 90% dei decessi, soprattutto dei bambini).

Tu Youyou ha dedicato gran parte della sua carriera e passato gran parte della sua vita nei laboratori dell’Accademia di Medicina Tradizionale Cinese di Pechino, studiando numerose piante della tradizione cinese e tra queste appunto l’Artemisia annua. L’artemisina è stata da lei isolata nel 1972 e nel tempo ha sostituito il chinino nelle forme più gravi della malattia.

Il premio Nobel la dottoressa Tu Youyou se l’è proprio meritato, ma una citazione andrebbe fatta anche ad altri due medici cinesi ai cui studi Tu Youyou si è rifatta per “riscoprire” l’azione antimalarica dell’artemisina: Ge Hong, del III secolo dopo Cristo e Li Shi Zhen vissuto nel XVI secolo. Senza le loro osservazioni sugli effetti antimalarici dell’Artemisia annua, tramandati fino ad oggi attraverso le loro opere redatte rispettivamente 400 e 1700 anni or sono, gli studi di Tu Youyou non si sarebbero mai avviati e la malaria sarebbe ancora intrattabile nei casi resistenti.

Ma come si è arrivati a questa scoperta?

È molto interessante ed istruttivo raccontare l’intreccio di questa vicenda che mescola la storia della Cina e dell’Indocina degli Anni ’60 e ‘70, la moderna ricerca della biomedicina e le antichissime conoscenze della medicina tradizionale cinese.

Negli Anni ’60, mentre in Vietnam si combatteva la feroce guerra tra Nord e Sud, i vietcong, i soldati del Vietnam del Nord del generale Ho Chi Minh, venivano falcidiati dalla malaria più ancora che dai bombardamenti delle truppe americane. Il territorio in cui erano costretti a combattere infatti era infestato dal Plasmodium falciparum, agente infettivo della malaria. Fu per questo motivo che la Cina, che appoggiava l’esercito del Nord Vietnam, avviò un progetto di ricerca per verificare se fosse possibile mettere a punto qualche nuova cura per aiutare i soldati malati.

Il progetto di studio venne deciso il 23 di maggio del 1967 e prese il nome di “progetto 523” unendo le cifre del mese di maggio (5) e quelle del giorno del mese (23) in cui era stato deciso il suo avvio. Vennero analizzate numerose molecole di sintesi che tuttavia non dimostrarono di possedere effetti rilevanti sulla malaria e si decise allora di verificare se non fosse possibile fare tesoro delle antiche conoscenze della farmacologia tradizionale cinese che tutt’oggi viene studiata ed utilizzata in Cina e che annovera 5000 differenti erbe medicinali prescritte in base a centinaia di ricette spesso tramandate per secoli e talora per millenni.

L’incarico venne affidato all’Accademia di Medicina Tradizionale Cinese di Pechino, la più importante istituzione cinese del settore, che affidò la ricerca alla dottoressa Tu Youyou e ad un piccolo gruppo di esperti da lei diretto.

La dottoressa testò migliaia di piante senza ottenere grandi risultati fino a che non decise di rifarsi ad alcune antiche formule fitoterapiche cinesi utilizzate da millenni per la cura delle cosiddette “febbri intermittenti” o “febbri alternate a brividi”. In questo gruppo di patologie definite in cinese “nue” era classificata anticamente la sintomatologia con cui si presenta la malaria. Alla fine Tu Youyou scelse di fare tesoro delle conoscenze che nel III secolo dopo Cristo un famoso medico cinese di nome Ge Hong (283-343 d.C.) aveva tramandato ai posteri.

Ge Hong è l’autore di varie opere tra cui un testo che tutt’ora viene studiato nelle Facoltà di Medicina Tradizionale Cinese: il Zhou hou bei ji fang o Manuale di prescrizioni per le emergenze, redatto nel 321 d.C. Un volume di medicina che ha dunque 1700 anni di storia. In questa opera vengono presentate ed analizzate decine di ricette tradizionali della farmacologia cinese tra le quali quelle utilizzate per trattare le “febbri intermittenti” e dunque la “malaria”.

Molte di queste ricette contenevano l’Artemisia annua, un’erba medicinale che in cinese si chiama Qinghao. In particolare in una di queste formule si raccomandava di non utilizzare la decozione del farmaco ma una semplice immersione in acqua seguita da macerazione, spremitura e filtraggio. Tu Youyou provò a verificare nel ratto l’efficacia del farmaco ottenuto utilizzando questo antico metodo e, una volta compreso che l’estratto di Qinghao possedeva degli effetti terapeutici sulla malaria nell’animale da esperimento, pensò di mettere punto un metodo di estrazione che permettessero alla molecola originale contenuta nella pianta di conservarsi intatta senza alterazioni per mantenerne l’efficacia. Dal momento che l’antico testo di Ge Hong suggeriva di non sottoporre il Qinghao a decozione (metodo generalmente usato per la preparazione dei fitoterapici) ma ad una semplice macerazione in acqua e spremitura, Tu Youyou pensò che tanto più bassa sarebbe stata la temperatura utilizzata per la solubilizzazione e tanto più puro ed intatto sarebbe stato il principio attivo estratto dalla pianta. Decise dunque di utilizzare dei metodi che utilizzavano temperature più basse di quelle di ebollizione tipiche dei decotti (100° C) per ottenere l’estrazione del principio attivo. A questo scopo provò prima la soluzione alcolica (etanolo) e successivamente quella eterea (la temperatura di evaporazione dell’etere è di poco superiore ai 30°C). Si accorse che utilizzando queste metodiche il farmaco estratto era assai più potente e verificò che in realtà la molecola efficace sulla malaria era l’artemisina, uno dei principi attivi estratti dal Qinghao che definì in cinese Qinghaosu, sostanzialmente estratto di Qinghao.

La dottoressa venne trasferita a proseguire i suoi studi nell’isola di Hainan che si trova nel Sud della Cina, un territorio dove la malaria era endemica. Dovette abbandonare la sua bambina (che racconta che al suo ritorno non riusciva nemmeno a riconoscerla) ed il marito (un ingegnere che nel frattempo era stato inviato in un campo di rieducazione lontano da Pechino). Erano gli Anni ’60, i tempi della “rivoluzione culturale” e molti intellettuali erano costretti a vivere in campi di rieducazione dove trascorsero mesi e talora anni.

L’artemisina fu testata prima direttamente dalla dottoressa Tu e dai membri del gruppo di studio sulla malaria per verificarne l’assenza di effetti collaterali e poi in vivo su una popolazione più ampia affetta da malaria per verificarne l’azione terapeutica. Ci si rese conto che in realtà la nuova molecola era in grado di combattere efficacemente la malattia perché l’artemisina è uno schizonticida ematico molto potente e rapido la cui struttura chimica è diversa da qualsiasi altro farmaco anti-malarico e pertanto non presenta ancora problemi di farmaco-resistenza. Successivamente, all’inizio degli Anni ’70, iniziò la produzione industriale del farmaco che fu utilizzato con grande efficacia e sempre più ampia diffusione in particolare nelle forme di malaria clorochina resistenti.

La notizia dell’efficacia della nuova terapia cominciò a trapelare anche all’estero fino a che anche le case farmaceutiche occidentali tra cui la Novartis non iniziarono a produrre farmaci a base di artemisina per il trattamento della malaria in tutto il mondo.

Nel frattempo la vicenda di come si era arrivati alla scoperta di questa molecola fu dimenticata fino a che, nel 2007, nel corso di un congresso sulla malaria e che si teneva a Shanghai, un gruppo dei ricercatori degli Stati Uniti non chiese ragguagli a proposito della scoperta dell’artemisina ai colleghi cinesi. Fu soltanto alla fine di una lunga ricerca avviata a seguito di questa richiesta che la storia della dottoressa Tu Youyou venne finalmente alla luce.

È molto suggestivo pensare che questa scoperta realizzata del 1972 si sia avvalsa delle conoscenze descritte da Ge Hong nel III secolo dopo Cristo, cioè oltre 1700 anni or sono. Forse varrebbe la pena di farlo resuscitare per assegnare anche a lui almeno una citazione per il Nobel!!!

 

I colleghi che come me si interessano dalla fine degli Anni ’80 di questi argomenti hanno appreso con grande soddisfazione questa notizia che inizia a dare lustro ad uno dei più gradi “tesori” che medicina cinese offre alla scienza medica: la sua antica farmacologia!

Sono anni che sosteniamo la grande efficacia di questa antichissima farmacologia che ha superato la prova del tempo dal momento che moltissime delle ricette tuttora in uso sono state “inventate” 200, 500 ma anche 1800 anni or sono. Ciò significa che sono state testate su milioni di persone per centinaia e talora migliaia di anni ed hanno dimostrato di possedere grandi effetti preventivi e terapeutici. Ovviamente vanno studiate anche in termini biomedici e questa è la sfida attuale ormai da tempo iniziata in Cina nei laboratori delle numerose Facoltà di Medicina Tradizionale Cinese e delle grandi ditte produttrici di fitofarmaci.

La farmacologia cinese è un magnifico “tesoro” che l’antica tradizione medica estremo orientale offre al mondo medico occidentale sia per un suo uso tradizionale che per l’avvio di un grande progetto di ricerca scientifica. Basta pensare che nell’ultima edizione della farmacopea cinese sono citate 4952 differenti sostanze medicinali naturali per intuire quali grandi prospettive si possono avviare approfondendo con le moderne tecniche di analisi  gli effetti delle migliaia di principi attivi in esse contenuti, la loro farmacodinamica e farmacocinetica.

La scoperta dell’artemisina è soltanto un esempio di come le antiche conoscenze possano essere sfruttate nel III millennio.

 

Dalla Prefazione alla Collana Trattato di Agopuntura e Medicina Cinese

del Prof. Paolo Mantegazza,

Ordinario di Farmacologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia e Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Milano

 

La medicina cinese è nata più di duemila anni orsono e si è sviluppata al di fuori del contesto della scienza biomedica; ciò significa che i suoi fondamenti, le sue procedure e i suoi risultati debbono essere interpretati e analizzati, per poter essere validati, anche attraverso i procedimenti scientifici tipici del mondo medico occidentale. D’altra parte, lo sviluppo di questo sapere medico si fonda su una modalità di ragionamento di natura analogico-simbolica, che è assai differente da quella analitico-sperimentale della biomedicina, e talora il dialogo tra i due sistemi risulta assai difficile.

Questo è il motivo per cui una conoscenza approfondita della MTC e un confronto serio tra i due sistemi di cura costituiscono la base fondamentale per un’integrazione della medicina tradizionale cinese in Occidente.

L’integrazione dei due sistemi di cura è un obiettivo ambizioso per raggiungere il quale occorre un grande lavoro. Tale lavoro è appena iniziato e non può prescindere dalla necessità di accogliere senza preconcetti gli effetti di metodi di affronto del problema salute-malattia differenti da quelli da noi in uso e, contemporaneamente, dalla necessità di vagliare e validare tali metodi, affidandosi alle procedure più sofisticate della ricerca clinico-sperimentale.



[*] Direttore di Olos e Logos: Dialoghi di Medicina Integrata




Psiche, cervello e natura umana, le influenze dei paradigmi neurobiologici contemporanei sulle prospettive della medicina integrata

Francesco Bottaccioli*

La psiche è parte integrante del meta-sistema uomo. È il prodotto dell’organizzazione biologica e, ad un tempo, è una fondamentale fonte di condizionamento della stessa. Occorre cogliere appieno questo intreccio inestricabile tra livello biologico e livello psicologico, perché se lo perdiamo, a mio parere, ! abbiamo di fronte a noi due derive: quella biologista e quella soggettivista idealista. Chi in sostanza considera la psiche nient’altro che sinonimo di cervello e chi, dall’altro lato, ricicla il vecchio concetto metafisico di!Anima o Spirito. In questo terreno incerto del soggettivismo convergono singolarmente approcci ultrameccanicisti come quelli del matematico inglese Penrose (che propone di ridurre la coscienza “a un processo fisico di base rappresentato dai microtubuli” -! che sono microscopiche strutture cellulari deputate al trasporto molecolare) e approcci francamente idealistici imperniati sull’Anima o Spirito come tertium immateriale tra psiche e corpo, che tra l’altro hanno il grave torto di dare dignità culturale al riciclaggio di pratiche terapeutiche senza fondamento: dai pendolini alle cure a distanza tramite le fotografia, fino alle invenzioni di meravigliose macchine di “riprogrammazione energetica”. Le riflessioni che qui propongo, e che ho sviluppato ampiamente anche in un mio recente lavoro (2014), su cui quest’articolo si basa, hanno lo scopo di tracciare una strada per la definizione

di un solido e scientificamente avanzato modello di medicina e di cura integrata. ! Nell’Oriente e nell’Occidente antico, l’uomo era intero

Prima dell’era cristiana, per limitare l’analisi all’Occidente, l’essere umano era visto, dalla grande maggioranza dei filosofi e dei medici greci e latini, in modo unitario, senza per questo negare la centralità della dimensione psichica e!culturale in genere, anzi assegnando ad essa un posto di grande rilievo anche ai fini del mantenimento e del ristabilimento della salute, cosa che del resto avveniva, nella stessa epoca, anche in Cina (Bottaccioli 2010).

Con l’imporsi della filosofia e della religione cristiana, il paradigma dominante fino alla metà del XIX secolo, è stato di tipo dualistico che, a partire dal XVII secolo, ha assunto la forma del dualismo cartesiano. Negli ultimi 170 anni, il paradigma dominante è di tipo monista riduzionista materialistico. Le forme che ha assunto sono varie e differenti nel corso dei secoli: in particolare nel Novecento, stando alla classificazione di John Searle (2005, p. 68), si è manifestato come comportamentismo, fisicalismo, funzionalismo classico e computazionale (o intelligenza artificiale forte) fino alle forme contemporanee di tipo “identitario” (eventi mentali ed eventi neurali sono identici) ed “eliminativistico” (i fatti mentali non esistono, esistono solo quelli cerebrali). Al di là delle bizzarrie linguistiche dei filosofi della mente, nelle sue varie forme, l’approccio di fondo può essere così riassunto: gli eventi mentali sono eventi fisici e come tali sono riducibili all’attività del sistema nervoso.

Il filosofo della mente John R. Searle (2005, p. 3) scrive che “tutte le più famose e influenti teorie della mente sono false”. Affermazione che, per la sua autorevolezza, consola la mia personale condivisione. Searle chiarisce che è scontato che la mente dipenda dall’attività cerebrale e che quindi abbia un fondamento materiale: in questo senso non si può non essere materialisti, a meno di ricadere in una visione metafisica dell’anima. Ma, al tempo stesso l’attività mentale non può essere ridotta all’attività dei neuroni, nel senso che essa è il prodotto emergente dell’attività nervosa. L’attività mentale “può essere spiegata completamente tramite l’attività dei neuroni, ma questo non dimostra che non sia altro che attività dei neuroni” (p. 108) La mente quindi è distinta dal cervello. Sta qui il suo essere né materialista (riduzionista) né dualista.

La teoria del filosofo di Berkeley è certamente quella che apprezzo di più, ma, a mio modesto avviso, risente di alcuni limiti. Vediamoli: 1. Searle come tutti gli altri filosofi della mente riduce la questione delle relazioni mente-corpo alla relazione mente-cervello che, invece, è un aspetto del problema, non tutto il problema

2. Conseguentemente cita spesso il corpo, ma nei suoi testi il corpo, nella sua complessità biologica che influenza ed è influenzato dalla psiche, non c’è; al massimo c’è qualche circuito od area cerebrale

3. Identifica la mente con la psiche, laddove è platealmente un’operazione arbitraria,anche se largamente condivisa nella cultura anglo- americana

4. Nemmeno intravvede la possibilità che la psiche possa influenzare, cambiandola, la macchina cerebrale da cui emerge. Ma in questo, Searle è in compagnia di molti importanti neuroscienziati, anche se la situazione sta cambiando

La neurobiologia contemporanea nella morsa dell’identità mente-cervello L’esempio più chiaro delle idee che hanno dominato per decenni nella neurobiologia contemporanea sta in un libro di Michael Gazzaniga della fine del secolo scorso. Gazzaniga è un illustre scienziato, direttore di importanti istituti e programmi di ricerca universitaria degli Stati Uniti d’America, nonché editor di un classico Textbook! internazionale The Cognitive Neurosciences. Ecco come il neuroscienziato tratta la questione del rapporto mente-cervello:

La mia opinione su come funziona il cervello è basata su una prospettiva evolutiva che muove dalla considerazione che la nostra vita mentale riflette le azioni di molti dispositivi nervosi, forse da decine a migliaia, installati nel nostro cervello sin dalla nascita. Questi dispositivi compiono per noi operazioni cruciali, dal guidarci quando camminiamo o respiriamo all’aiutarci quando formuliamo sillogismi. Si tratta di dispositivi nervosi di ogni genere e forma e tutti

ingegnosi (Gazzaniga 1999, p. 22) ! È davvero sorprendente l’analogia !tra l’approccio di un neuroscienziato contemporaneo, di grandissimo prestigio, e la visione “ingenua” di Julien O. De La Mettrie. Nelle teorie cognitive del medico-filosofo francese, il cui libro L’homme machine lo rese celebre a metà del Settecento, c’erano le molle che in automatico guidavano la macchina umana, nella neurobiologia dello scienziato americano ci sono i dispositivi nervosi che svolgono la stessa funzione. E affinché non ci siano equivoci, Gazzaniga chiarisce: “Agli inizi può essere difficile accettare che la maggior parte di questi dispositivi svolgano il proprio lavoro prima che noi ne siamo consapevoli. Noi esseri umani abbiamo una visione antropocentrica del mondo. Riteniamo di essere noi stessi a dirigere lo spettacolo […] Ciò non è vero, anche se sembra esserlo in virtù di un dispositivo speciale, chiamato interprete, collocato nell’emisfero sinistro. Interpretando il nostro passato – le azioni già compiute dal sistema nervoso- questo dispositivo ci dà l’illusione di avere il dominio delle nostre azioni” (ibidem, corsivo nel testo). Il pensiero di Gazzaniga è racchiuso in queste frasi: il nostro cervello è una macchina geneticamente predeterminata, dotata di congegni che comandano le nostre attività, da quelle fisiologiche e vegetative fino a quelle comportamentali. In realtà, non siamo padroni di noi stessi: ci sembra di esserlo perché abbiamo un altro congegno in testa che ci dà l’illusione di decidere ciò che in realtà ha già deciso per noi il nostro cervello. Questo modello dell’ Home machine, questa linea del predominio assoluto dell’automatismo biologico, che ha dominato nell’ultimo mezzo secolo la neurobiologia (e la mente di Gazzaniga), privando la psicologia di una biologia di riferimento affidabile, oggi sta scricchiolando, come lo stesso Gazzaniga confessa. !

Una teoria troppo stretta

Nel suo ultimo libro (2013), Gazzaniga ammette che “le cose non sono così semplici” e che “la mente prodotta dai processi fisici del cervello, pone ad esso dei limiti” (p. XIII). Cioè la mente retroagisce sul cervello che l’ha prodotta.

Oltre a questo argomento cruciale, che vedremo nel prossimo paragrafo, Gazzaniga va al cuore del paradigma dell’identità mente cervello. Pur tra molte debolezze argomentative, che appaiono vestigia del peso di una carriera scientifica segnata dall’automatismo cerebrale, il neuroscienziato così riassume le sue opinioni attuali:

a)!!!! Tutti i cervelli sono diversi l’uno dall’altro. Diventa impossibile determinare un pattern di attività in un individuo sia normale che anormale b)!!!! La mente, le emozioni e il modo con cui pensiamo cambiano di continuo. Ciò che viene misurato nel cervello nel momento della scansione (di immagine cerebrale, nota mia) non riflette ciò che è successo nel momento in cui magari uno ha commesso un crimine (p. 220) individui che all’interno di uno stesso individuo. Precedentemente aveva fatto notare che le nuove tecniche di neuroimmagini, come le Immagini del tensore di diffusione e altre ci consentono di capire che la stessa operazione mentale può essere svolta da due individui usando circuiti cerebrali diversi (p. 219).

Gazzaniga,con queste parole, suona la campana a morto della teoria dell’identità così come del funzionalismo e di ogni concezione riduzionista delle attività psichiche.

Searle in un articolo recente (2013), pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle scienze degli USA, sostiene che la ricerca sul tema mente- cervello va a rilento perché la tecnologia di indagine non invasiva del cervello è arretrata. Affermazione solo parzialmente vera, perché le tecniche di neuroimaging !a cui si riferisce Gazzaniga[1], che vanno a misurare il flusso dell’acqua!nel cervello, consentono una visione più precisa delle connessioni cerebrali, soprattutto quelle, per così dire, a lunga gittata che sono realizzate dalla sostanza bianca. Queste tecniche hanno dato vita a un rinnovamento della neuroanatomia in vivo tramite lo studio delle connessioni all’interno degli emisferi, tra gli emisferi e tra aree corticali e sottocorticali, conosciuto come trattografia ( Catani 2012; Catani, Thiebaut de Schotten 2012).

Inoltre, la combinazione di tecniche di Risonanza magnetica funzionale (fRMI) con tecniche di Stimolazione magnetica transcranica (TMS) o di altre metodiche simili, che consentono, in modo non invasivo, di interferire su una precisa area corticale (attivandola o inibendola), ci danno la possibilità sia di stabilire il ruolo di quell’area all’interno del circuito sia di visualizzare il circuito, tramite appunto l’utilizzo combinato di fRMI. Già da questa prima fase di studi di neurofisiologia, utilizzando la combinazione delle tecniche di visualizzazione accennate e di altre, emergono alcune caratteristiche del funzionamento del cervello che spazzano via le speculazioni sul cervello modulare, sull’identità di circuiti neurali- funzione e mostrano invece che la regola è la connessione e l’integrazione tra aree distanti e spazialmente disomogenee (corticali e sottocorticali), che la sincronia di scarica dei neuroni è la modalità di collegamento, che grandissima è la variabilità interindividuale e anche intra-individuale, come suggeriva Gazzaniga nel suo testo.

Dimostrano infine che il cervello è il principale destinatario delle funzioni psichiche che emergono dai suoi circuiti. Le funzioni psichiche, infatti, servono non solo a produrre attività cognitive, sentimenti, emozioni, comportamenti, servono anche e soprattutto a strutturare i circuiti da cui queste attività emergono. La ricerca epigenetica (Bottaccioli 2014) ci ha aperto la via per comprendere come l’ambiente, fin dalle prime fasi di vita, modelli e strutturi l’epigenoma dei principali sistemi cerebrali deputati alle organizzazione dei comportamenti, all’apprendimento e!alla memoria, alle relazioni, in definitiva all’interfaccia con il mondo (McEwen, Morrison 2013). Vediamo meglio questo aspetto, che è anche un punto dolente della neurobiologia contemporanea

e su cui la filosofia della mente, anche quella di Searle, semplicemente sorvola. ! L’ultimo tabù: può la psiche retroagire sul cervello?

Uno dei più celebri neurobiologi contemporanei, Gerald Edelman, premio Nobel per la medicina, che ha dedicato gli ultimi 40 anni allo studio dei meccanismi di produzione della coscienza scrivendo lavori scientifici e libri di grande impatto internazionale, manifesta il suo dissenso radicale verso l’approccio allo studio delle relazioni mente- cervello, che il grande psicologo e filosofo americano William James ha proposto alla fine dell’Ottocento.

Per James la coscienza emerge nel corso dell’evoluzione proprio per governare un sistema nervoso divenuto troppo complesso per regolarsi da sé. Quindi la coscienza retroagisce “sulle correnti nervose”, anche se, ammette, “al momento non sappiamo come questo accada”. Più di un secolo dopo, Edelman (2004) senza mezzi termini dichiara che, pur essendo un ammiratore di James e condividendo sempre! le sue visioni sulla coscienza, il suo punto di vista sulle relazioni tra coscienza e cervello è opposto a quello dello psicologo. Quindi, secondo Edelman, la dimensione psichica non retroagisce sulle condizioni cerebrali da cui emerge. Ma già quando Edelman scriveva queste cose, c’erano neurobiologi che affermavano esattamente il contrario: Francisco Varela e Joseph LeDoux. Sia per Varela (1985) che per LeDoux (2003, p. 444) la questione è chiara: la psiche retroagisce sul cervello, anche se, ammettono, le prove empiriche sul finire del secolo scorso non erano proprio abbondanti.

Antonio Damasio, l’altro grande protagonista della ricerca e del dibattito neurobiologico contemporaneo, dopo aver dedicato diversi libri allo studio delle relazioni cervello-emozioni- cognizione, quindi allo studio delle relazioni che vanno dal basso all’alto (buttom-up) in coerenza con la sua lettura di Baruch Spinoza sulla centralità del corpo che è l’ “oggetto costituente la

mente” (Damasio 2003, p. 254), dedica alcune battute finali del suo ultimo libro! all’ “interattività di biologia e cultura”, al fatto che “gli sviluppi culturali possono portare profonde modificazioni del genoma umano” (Damasio 2012, p. 366).

Anche se è davvero pochino, in un volume di quasi 400 pagine largamente dedicato ancora una volta alla sua ossessione spinoziana, al “cervello che ha in mente il corpo”, resta il fatto che mi pare un segno dei tempi.

Le prove che invocavano Varela e LeDoux oggi cominciano ad esserci. Prove che combinano le tecniche di neuroimaging e quelle di epigenetica.

Come la dimensione psichica e sociale cambia il cervello Dall’epigenetica sappiamo (Bottaccioli 2014) che un comportamento materno o una condizione stressante possono segnare epigeneticamente aree cerebrali fondamentali come l’ipotalamo, l’ippocampo, l’amigdala, le cortecce prefrontali, con conseguenze tendenzialmente stabili nel corso dello sviluppo e, addirittura, in alcuni casi, anche trasmissibili per via transgenerazionale. Il cervello è quindi l’interfaccia flessibile verso l’ambiente, le sue cure, minacce, risorse e opportunità. La via molecolare che gli eventi esterni e interni seguono per modulare il cervello è di tipo epigenetico.

Il cervello è quindi il grande adattatore all’interno della rete dell’organismo. Abbiamo prove che praticare regolarmente un’attività che impegna il cervello!- musica, golf, scacchi, oppure un esame scolastico particolarmente impegnativo o una professione culturalmente impegnativa – modifica aree cerebrali, cambia il volume totale della materia grigia, ristruttura circuiti cerebrali, in una parola induce plasticità cerebrale.

Abbiamo prove che lo stesso accade nel cervello di persone dedite alla meditazione (riassunte in Carosella, Bottaccioli 2012). Abbiamo infine prove che vivere una condizione sociale di esclusione e di povertà lascia segni nel cervello. Al riguardo, un recente studio realizzato in aree disagiate di Glasgow in Scozia, mostra che lo svantaggio sociale è associato a una riduzione della superficie delle cortecce parietali e dell’area di Wernicke, fondamentali, rispettivamente, per le attività esecutive e linguistiche (Krishnadas 2013). Altre ricerche hanno associato anche svantaggio sociale, architettura della materia bianca e infiammazione sistemica (Gianaros 2013). E qui il cerchio va a chiudersi.

La dimensione psichica e il cervello sono davvero nel corpo, che non è solo comunicatore di sensazioni e bisogni da cui emergono emozioni e sentimenti, secondo la prospettiva di Damasio. Il corpo ha i suoi grandi sistemi di regolazione fisiologica, tra cui in primis il sistema immunitario che è condizionato da e condiziona l’attività psichica e nervosa.

Arrivati a questo punto, posso riassumere i punti fondamentali della nuova visione delle relazioni mente-corpo, fondata sulla rivoluzione scientifica in corso.!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! !!!!!!!!!!!!!!!!! !

Una visione più ampia e profonda

C’è una relazione indubitabile tra cervello, psiche e mente[2]. Tradizionalmente, la difficoltà ad accettare questa relazione è legata all’idea che l’emergenza di uno stato mentale, giudicato immateriale, non possa provenire da un substrato biologico, materiale per antonomasia.

Questa difficoltà si fonda sulla logica occidentale antica, ma negli ultimi cinquanta anni è diventato chiaro che modificazioni che intervengono in un livello possono far emergere realtà, le cui caratteristiche non sono contenute nel livello da cui sono emerse. È il principio della complessità. Le relazioni mente corpo non sono più relazioni tra sostanze diverse (dualismo), ma non sono nemmeno la fine di ogni relazione: la psiche non è un epifenomeno dell’attività nervosa. La psiche emerge come imponente multisistema dall’attività delle reti neurali, ma ha una sua vita, i suoi codici, la sua relativa autonomia e retroagisce sulla biologia condizionandola nel bene e nel male.

I meccanismi con cui l’attività psichica emerge si fondano su circuiti nervosi, che, pur avendo dei nodi fondamentali, che potremmo chiamare hub

secondo la terminologia della systems biology, normalmente coinvolgono gruppi di neuroni anche molto distanti tra loro e collocati in aree diverse (corticali e sottocorticali). Neuroni che vengono reclutati nel circuito entrando in risonanza e cioè “scaricando” (attivandosi) alle medesime frequenze elettriche. Di fronte a un evento, questa modalità consente di produrre un circuito che, per esempio, coinvolge aree corticali (esecutive prefrontali), aree emozionali sottocorticali (amigdala), aree limbiche legate alla memoria (ippocampo) e allo stress (ipotalamo). È un superamento della mente modulare che però non annulla la specificità funzionale delle diverse aree cerebrali.

Le vie tramite cui il livello psichico influenza gli altri livelli sono raggruppate nel sistema nervoso centrale e periferico e in particolare nel sistema dello stress, con le sue correlazioni neuroendocrine, nervose e immunitarie,

Le modalità con cui opera il livello psichico sono, con tutta probabilità, centrate sulle immagini. Come ha proposto Gregory Bateson (1984), l’immagine è forse il modo più economico, che ha il cervello dei mammiferi, per far passare rapidamente informazioni tramite varie interfaccia cerebrali.

Nell’immagine c’è una informazione sintetica capace di attivare vari circuiti, ma in modo particolare i circuiti che collegano il sistema limbico (amigdala, ippocampo e ipotalamo) con le aree corticali elaborative ed esecutive.

Le immagini, che attivano modelli interpretativi e di comportamento, sono strettamente personali, hanno i nostri colori, il nostro odore, il nostro calore, come dice William James. Vengono costruite dando il nostro segno al vasto materiale proveniente dal contesto storico evolutivo, sociale e interpersonale.

Il livello psichico è influenzato non solo dal sistema nervoso centrale, ma anche dagli altri sistemi, che reagiscono a stimoli ambientali e a comportamenti individuali. La psiche può essere influenzata dall’alimentazione, dall’attività fisica, dall’attività del sistema immunitario.

La psiche non è riducibile alla mente intesa come attività cosciente. Nelle sue dimensioni inconscia, emozionale e cosciente, è il frutto dell’evoluzione che si realizza tramite un contesto umano, che è sociale, culturale e storicamente determinato, che interagisce con contesti naturali più ampi. In questo senso, come ha giustamente notato il neuropsicologo russo Alexander Lurija (1999, pp. 7-10), non è possibile ridurre l’evoluzione della psiche umana all’evoluzione del cervello. Occorre invece inquadrare il formidabile contributo che la psiche umana, tramite la trasmissione culturale intergenerazionale, ha fornito all’evoluzione del cervello e dell’organismo umano nel suo insieme. !

In conclusione

Il dibattito contemporaneo sulla relazione psiche- cervello è estremamente rilevante per il rinnovamento delle scienze e delle professioni della cura. Il nuovo paradigma è quella della costruzione di una Scienza della cura integrata che si basa sulla conoscenza dell’essere umano come un intero, come un network in cui la dimensione psichica e i sistemi biologici s’influenzano vicendevolmente (Psiconeuroendocrinoimmunologia). Questa è la versione forte della “medicina integrata”, scientificamente fondata (che quindi non vende illusioni né magie), per la quale direi vale la pena impegnarsi. La versione debole, quella che aggiunge agopuntura e/o omeopatia e/o fitoterapia alla medicina corrente, personalmente non mi entusiasma e mi pare che questo sentimento sia sempre più largamente diffuso tra gli operatori e a livello d’opinione pubblica.! Con il rischio che, tramontando (come mi pare stia accadendo) la luna di miele tra settori dinamici dell’opinione pubblica e le medicine non convenzionali, si ripiombi nella più bieca ortodossia. Per combattere questa prospettica deleteria e salvare i preziosi patrimoni culturali e clinici rappresentati dalle medicina antiche ed eterodosse, occorre, a mio avviso,!alzare lo sguardo e attrezzarsi sempre meglio a una battaglia scientifica !e culturale di alto livello. ! Riferimenti bibliografici Bateson G. (1984) Mente e natura, Adelphi, Milano Bottaccioli F. (2005) Psiconeuroendocrinoimmunologia. I fondamenti scientifici delle relazioni mente-corpo. Le basi razionali della medicina integrata, II ed., RED, Milano Bottaccioli F (2010) Filosofia per la medicina. Medicina per la filosofia. Grecia e Cina a confronto, Tecniche Nuove , Milano Bottaccioli F (2014) Epigenetica e Psiconeuroendocrinoimmunologia. Le due facce nella rivoluzione in corso nelle scienze della vita, Edra-Elsevier, Milano Carosella A., Bottaccioli F (2012) Meditazione, psiche e cervello, II ed, Tecniche Nuove, Milano Catani M et al. (2012) Beyond cortical localization in clinico-anatomical correlation, Cortex 48: 1272-1287 Catani M, Thiebaut de Schotten M. (2012) Atlas of Human Brain Connections, Oxford University Press, Oxford Damasio A. (2003), Alla ricerca di Spinoza, Adelphi, Milano, Damasio A. (2012)! Il sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, Adelphi, Milano. Edelman G. (2004) Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, Einaudi, Torino, Gazzaniga M. (1999) La mente inventata, Le basi biologiche dell’identità e della conoscenza, Guerini, Milano, Gazzaniga M. (2013) Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio, Codice, Torino, !Gianaros PJ et al (2013) Inflammatory pathways link socioeconomic inequalities to white mater architecture, Cerebral Cortex 23: 2058-71 Krishnadas R et al (2013) Socioeconomic deprivation and cortical morphology: psychological, social and biological determinants of ill health study, Psychosomatic Medicine 75: 616-623 LeDoux J (2003) Il sé sinaptico, Cortina, Milano Lurija A. (1999), Corso di psicologia generale, 2a ed., Editori Riuniti, Roma McEwen BS, Morrison JH (2013) Brain on stress: vulnerability and plasticity of the prefrontal cortex over the life course,Neuron 79: 16-29 Searle J.R. (2005) La mente, Cortina Editore, Milano Searle J.R. (2013) Theory of mind and Darwin’s legacy, PNAS 110 (suppl 2):10343-10348

Varela F. (1985), Complessità del cervello e autonomia del vivente, in La sfida della complessità, a cura di Bocchi G., Ceruti M. Feltrinelli, Milano.

[1] Le Tecniche di diffusione rilevano il movimento delle molecole d’acqua (diffusione) che viene diversamente ostacolato dai diversi comparti cerebrali (sostanza bianca, grigia, liquor). Quindi lo studio della diffusione delle molecole d’acqua può fornirci informazioni sui tessuti. DWI (Diffusion Weighted Imaging Immagini pesate sulla diffusione) consentono di identificare un contrasto tra aree, mentre quelle pesate sul tensore di diffusione DTI ! identificano la direzione del flusso che, in particolare per la sostanza bianca dove il flusso è più direzionato (anisotropico) , possono fornire la base per costruire immagini trattografiche e quindi identificare le connessioni cerebrali.

! [2] Ho trattato ampiamente questo aspetto delle relazioni psiche cervello, anche nella sua dimensione di storia delle idee, in Bottaccioli 2005, pp.145-172




La mindfulness è uno strumento di prevenzione primaria o secondaria? Primi risultati di un intervento psicologico in un gruppo di soggetti sani

Isidoro Annino* Yannick Hainaut** Elisa Ponzio***

Una serie di studi clinici ha da tempo dimostrato l’efficacia degli Interventi psicologici basati sulla piena coscienza (IBPC), la mindfulness degli anglosassoni, nella prevenzione delle ricadute depressive in pazienti in remissione da episodi depressivi maggiori ricorrenti, nel trattamento di turbe depressive croniche ricorrenti, delle turbe ansiose generalizzate, della bulimia, dello stress psicologico e del nervosismo, nonché del deficit di attenzione con iperattività. Un miglioramento della qualità della vita in risposta a questo tipo di interventi è stato osservato in soggetti affetti da dolore cronico, fibromialgia, cancro, e ancora nella riabilitazione cardiaca negli adulti e nei bambini ed adolescenti affetti da malattie croniche invalidanti. Nell’ambito di campioni non clinici, l’apprendimento della piena coscienza è associato ad una riduzione del livello di psicopatologia generale, ad una riduzione dell’intensità e della frequenza delle emozioni negative, ad una diminuzione del livello generale d’ansia.

Anche se i programmi di apprendimento della piena coscienza possono essere qualificati di intervento psicologico, la comunità scientifica è d’accordo oggi sul fatto che questo intervento non costituisce una forma di psicoterapia (1). Sebbene le terapie psicologiche dette di “terza generazione” riposino in gran parte sull’inclusione di esercizi di piena coscienza, i programmi di apprendimento esclusivamente basati sulla piena coscienza, cioè MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy) e MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction),

costituirebbero, secondo alcuni, prima di tutto degli interventi psicologici di prevenzione primaria e secondaria (2). In questo senso, meritano di essere citati tra gli altri : lo studio clinico controllato di Shapiro e coll. (3), che hanno valutato se le persone in possesso di livelli elevati di capacità di attenzione potessero beneficiare di un intervento di MBSR, mostrando che, rispetto ad un gruppo di controllo, soprattutto nei soggetti con maggiori livelli attenzionali di partenza, il trattamento ha degli effetti importanti su più aspetti, compreso l’aumento della capacità di attenzione, il benessere soggettivo e l’empatia misurata dopo 2 e 12 mesi dopo il trattamento; ancora, gli studi che hanno valutato gli effetti di IBPC su professionisti della sanità e gruppi di insegnanti per verificare l’eventuale abbattimento degli effetti dello stress e l’aumento del benessere soggettivo, hanno evidenziato un netto miglioramento della sensazione di rilassamento e della soddisfazione in rapporto alla vita, nonché una specifica tendenza ad una migliore capacità di gestione delle emozioni (4); infine, alcune metanalisi, come quella condotta da Grossman e coll. (5), hanno confermato che questo tipo di interventi è in grado di rinforzare le caratteristiche generali per far fronte agli stress della vita quotidiana ed alle turbe connesse con situazioni di stress grave. In realtà, allo stato, non sono molti gli studi sperimentali che hanno preso in considerazione gli effetti della Mindfulness nel campo della della vita di popolazioni generali sane. Per queste motivazioni abbiamo ritenuto interessante condurre uno studio destinato a valutare gli effetti, immediati e a distanza di tre e sei mesi, sulla percezione della salute e la qualità della vita, di un intervento di Mindfulness in gruppi di popolazione eterogenea di adulti sani. Il nostro obiettivo è stato primariamente quello di verificare la possibilità che questa pratica possa rappresentare, oltre a quanto già noto, anche un pratico e valido strumento di promozione della salute.

Il presente articolo si riferisce ai primi risultati, cioè a quelli ottenuti alla conclusione del periodo di apprendimento di 8 settimane di un primo gruppo di praticanti, mentre per i risultati del follow-up a 3 e 6 mesi dalla conclusione della formazione e per quelli di ulteriori gruppi rimandiamo ad una successiva pubblicazione.

Metodi

Lo studio sperimentale, prospettico, longitudinale è stato attivato nel Novembre 2013 e ne è dunque tuttora in corso il follow-up. Esso ha previsto una variabile inter-soggetti (soggetti ad iscrizione spontanea aperta): gruppo di partecipanti vs gruppo controlli (partecipanti potenziali in lista di attesa per successivi gruppi) appaiati uno a uno per sesso, età (+2 a.) e categoria professionale; e una variabile intra-soggetto (pre-test vs post-test). L’intervento basato sulla piena coscienza ha una durata di 8 settimane e consiste in 8 sessioni in gruppo di 2 ore e 30 minuti. Esso è basato sul manuale di Segal e coll. (6), predisposto per la prevenzione delle ricadute depressive, ma è stato adattato per le conseguenze legate allo stress psicologico ed all’ansia, introducendo, secondo le indicazioni di Kabat-Zinn (7), la psico-educazione nelle sessioni 4 e 5. Nel corso delle sedute di gruppo vengono insegnate e praticate numerose e svariate forme di meditazione : scan corporale, piena coscienza della respirazione, esercizi di hata yoga, meditare mangiando, meditazione dei suoni e dei pensieri, marcia cosciente. I tempi di classe sono suddivisi tra la pratica, piccole e grandi discussioni di gruppo sulle esperienze dei partecipanti nel corso delle pratiche meditative, in sede, a domicilio, e nella vita quotidiana, ed attività di rinforzo delle competenze di piena coscienza al fine di: migliorare la consapevolezza del proprio corpo e della propria mente; rimpiazzare le reazioni automatiche con risposte consapevolmente scelte; realizzare una maggiore consapevolezza nelle abilità di comunicazione interpersonale. Per le pratiche a domicilio i partecipanti hanno ricevuto dei files audio, appositamente registrati dall’istruttore certificato, e sono stati invitati a praticare per almeno 45 minuti al giorno per i 6 giorni tra una sessione e l’altra. Al fine di registrare quotidianamente tale attività pratica i partecipanti hanno ricevuto degli appositi fogli di auto-osservazione che sono stati di volta in volta raccolti in occasione delle sessioni di gruppo.

Prima di essere ammessi al gruppo, gli iscritti sono stati invitati ad una seduta di valutazione con l’istruttore certificato. Nel corso della stessa essi hanno compilato i questionari pre-test e sono stati indagati, secondo le indicazioni della letteratura,

per i seguenti criteri di esclusione alla partecipazione: dissociazione, turbe bipolari non stabilizzate, sequele psicologiche di abuso fisico, emozionale o sessuale non trattate, depressione grave in fase acuta, attacchi di panico violenti ricorrenti, turbe psicotiche (allucinazioni, deliri, etc.), dipendenze patologiche da droghe o sostanze psicoattive, lesioni cerebrali note, tumore cerebrale, uso di psicotropi. Inoltre è stato ottenuto, sia per i partecipanti che per i controlli, un consenso informato alla partecipazione allo studio sperimentale. Nel corso di una sessione preliminare, i soggetti selezionati a far parte del gruppo dei praticanti hanno assistito ad un incontro informativo sulle basi scientifiche della Mindfulness e sul programma di svolgimento dell’intervento, con un marcato invito alla pratica quotidiana della Mindfulness nel corso del periodo di apprendimento e successivamente allo stesso. Il gruppo di cui si riferisce nel presente lavoro, dopo alcune esclusioni connesse con i citati criteri, è risultato costituito da 13 soggetti (11 donne e 2 uomini), con un’età media di 51 anni ed appartenenti prevalentemente alle categorie degli insegnanti e degli impiegati. Corrispondentemente il gruppo dei 13 controlli aveva un’età media di 50,8 anni ed identica distribuzione di sesso e professionalità. I questionari pre-test/post-test utilizzati per lo studio, tutti validati, sono del tipo autosomministrato: per la valutazione della salute mentale, il! Symptom Check-list-90 revisionato (8) (SCL-90-R); per la percezione della qualità della vita, il WHOQOL-Short (9); per lo stile di ruminazione mentale, una specifica modalità di pensare che quando disadattiva, è caratterizzata da una forma di pensiero ripetitivo che consiste nel rimuginare su sintomi sgradevoli ed esperienze interiori negative, e che è presente, anche, in molti disturbi mentali, !il Mini-CERTS (10); infine, per la misura delle capacità di essere in stato di piena coscienza, è stato usato il Five Facets Mindfulness Questionnaire (FFMQ) (11). Gli stessi questionari sono stati somministrati ai partecipanti ed ai loro controlli, raggiunti per via elettronica, al termine delle 8 sessioni (in media dopo 56,5 giorni).

Risultati

Prima dello svolgimento dell’IBPC le analisi dei questionari somministrati ai due gruppi di partecipanti e di controlli non mostravano significative differenze tra i soggetti coinvolti circa i diversi paramentri in studio. Durante le 8 settimane di apprendimento i partecipanti hanno dimostrato, attraverso la compilazione dei fogli di auto-osservazione, di aver seguito con molta assiduità le istruzioni ricevute per le pratiche a domicilio : la percentuale media di pratica meditativa è stata del 82% (intervallo : 58-100%) e quella di pratica respiratoria del 71% (intervallo : 50-99%).

I risultati ottenuti dopo il periodo di svolgimento dell’IBPC sono in questa sede, per brevità espositiva, così riassumibili : ·!!!!!! La Salute mentale!: la gravità globale dei sintomi percepiti nel gruppo dei partecipanti si è ridotta in media, in modo statisticamente altamente significativo (a.s.), del 64%, contro una riduzione del 16% nei controlli; in particolare i disturbi dasomatizzazione si sono abbassati mediamente del 38% (a.s.), contro un non significativo (n.s.) 5% tra i controlli (c); quelli dadepressione si sono ridotti del 34% (a.s.) (c : 6% n.s.); e quelli da ansietà del 40% (a.s.) (c : 5% n.s); ·!!!!!! La Qualità della vita percepita : è cresciuta, come dato generale, tra i partecipanti di uno statisticamente significativo (s) +13% (c : + 6 n.s.); come valore di Salute fisica di un + 31% (a.s.) (c : +2% n.s.); come dato di Salute biologica di un +16% (a.s.) (c : -4% n.s); come misura di Salute psicologica di un +19% (a.s.) (c : +1% n.s); come valore concernente le Relazioni sociali di un +7% (s) (c : 2% n.s.); ed, infine, come dato relativo alle Condizioni! ambientali di un! 9% (a.s.) (c : +1 n.s.); ·!!!!!! La Ruminazione mentale : la dimensione relativa alla ruminazione disadattiva, con le sue conseguenze ed implicazioni passive ed improduttive, si è ridotta in media del 22% (a.s.) tra i partecipanti e di un 5% (n.s.) tra i controlli; corrispondentemente la cosiddetta ruminazione adattiva, quella utile e costruttiva per il controllo dei disturbi dell’umore, è aumentata del 19% (a.s.) nei primi e diminuita di un 4% (n.s.) nei secondi; ·!!!!!! La Capacità a vivere in piena coscienza, suddivisa nelle sue cinque componenti fondamentali, ha subito importanti e positive modifiche : con la capacità di Osservazione, misurata come abilità a percepire le esperienze interne e quelle esterne (sensazioni, sentimenti, emozioni, suoni, odori, etc.), cresciuta mediamente del 14% (a.s.) (c : -3%, n.s.); la capacità di Descrizione, cioè l’attitudine a saper etichettare le esperienze interne, aumentata di un 13% (s) (c : -1% n.s.); la capacità ad Agire con consapevolezza, che comprende il non essere preda del proprio pilota automatico, sviluppatasi del 25% (a.s.) (c : 1% n.s.); la capacità a Non giudicare l’esperienza interiore, cioè l’attitudine a non valutare i propri pensieri e sentimenti, passata ad un + 21% (a.s.)

(c : +3% n.s.); ed, infine, la capacità a Non reagire all’esperienza interiore, cioè la tendenza a permettere ai pensieri ed ai sentimenti di andare e venire liberamente, che è esplosa di un +33% (a.s.) (c : +3 n.s.).

Conclusioni

I primi risultati di questo nostro studio clinico controllato, in accordo con altri studi (12), (13), dimostrano, al termine del programma di 8 settimane di un intervento psicologico basato sulla piena coscienza, che i soggetti praticanti riconoscono un netto e statisticamente significativo miglioramento dei livelli percepiti di qualità della vita, sia in senso fisico, che biologico, che psichico ed una consistente diminuzione dei sintomi da stress psicologico. In particolare, sono state evidenziate riduzioni significative dei livelli di somatizzazione, di ansietà e di depressione ed è stato confermato il fatto che la formazione della piena coscienza sviluppa una competenza di base nell’autoregolazione psicologica e nella capacità ad essere consapevoli di quel che accade nel qui ed ora. La valutazione del pensiero ruminante ha dimostrato la netta riduzione della componente disadattiva e ripetitiva e la crescita di quella adattiva. Come noto queste due dimensioni sono moderatamente e negativamente correlate, poiché

l’aumento della seconda inibisce l’altra e consente alla persona di riacquisire il controllo sul flusso dei propri pensieri dai quali apprende a distaccarsi limitandosi ad osservarli ed a lasciarli andare, senza esserne catturato e senza lasciarsi travolgere dalle emozioni che questi portano sempre con loro. In tal senso, con i suoi numerosi cambiamenti positivi in ambito psichico, questo studio conferma l’idea che l’allenamento ad uno stato di piena coscienza inibisca la trasformazione secondaria e più elaborativa del pensiero (14).!

Un’esame minuzioso delle schede di auto- osservazione sulle pratiche effettuate a domicilio, compilate quotidianamente dai partecipanti, ha confermato la stretta associazione esistente tra l’assiduità e la qualità delle pratiche !meditative e respiratorie dei singoli ed i miglioramenti da ciascuno di essi ottenuti. Cambiamenti percepiti nella tensione muscolare corporea e nei sentimenti di benessere e di trasformazione positiva dello stato psichico sono stati rilevati, fin dalle prime settimane, nei praticanti più attenti e perseveranti, ed hanno continuato a progredire successivamente,! lungo tutto il periodo delle 8 settimane di pratica meditativa, estendendosi !all’ambiente di vita e di lavoro degli stessi. A nostro avviso, questi indubbi effetti di prevenzione primaria e secondaria della Mindfulness, dovrebbero incitare i medici : da una parte, come uno di noi ebbe già modo di affermare nel lontano 2008 in occasione del I Congresso Nazionale della Società Italiana di Psico Neuro Endocrino Immunologia (15), a prendere in considerazione e diffondere tra la popolazione, al fine di promuovere la propria salute, l’utilizzo anche di questo strumento, tra gli altri più tradizionalmente noti a disposizione dell’individuo – attività fisica, corretta alimentazione, comportamenti sani, etc.-; dall’altro, ad integrare i trattamenti biomedici classici dei soggetti che soffrono di psicopatologie in fase iniziale e di grado modesto, con approcci meno convenzionali e più olistici come quello, appunto, degli Interventi psicologici basati sulla piena coscienza. Sarà interessante vedere cosa accade ai soggetti partecipanti nel corso del periodo successivo alla fase di formazione. Quanti di loro sapranno effettivamente perseverare nella pratica meditativa anche dopo 3 e 6 mesi ? Quanti avranno fatto di essa una abitudine irrinunciabile ? Quali ulteriori benefici ne possono derivare ? Ed, al contrario, quali sono gli eventuali ostacoli all’installazione di questo “stile di vita” per promuovere la propria salute ? Ci auguriamo di trovare le giuste risposte a queste domande grazie alle valutazioni che potranno derivare dal follow-up in corso.

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15.! Annino I., Ripensare Igea. Promuovere la salute nell’Era delle evidenze scientifiche della ricerca in campo Pnei. In Geni e comportamenti!: scienza ed arte della vita, Red Ed., Milano 2009, pgg. 131-138.




Sul placebo e sui suoi insegnamenti

Carlo Di Stanislao*

“Senza entusiasmo non si è mai compiuto niente” Ralph Waldo Emerson “La natura umana ha, anche lei, strane ragioni

bicornute che il cuore certamente ignora”

Graham Greene

La parola placebo si riferisce ad una sostanza che non ha alcun effetto curativo né alcun effetto nocivo. Nella medicina moderna questa pillola fa parte delle ricerche cliniche sull’efficacia reale dei farmaci che vengono proposti dai laboratori dove si sintetizzano chimicamente molecole nuove. Si vuole eliminare in tal modo la componente emotiva, psichica, legata nel terapeuta al desiderio di vedere dei successi e nel paziente ad un parallelo desiderio di ricevere una sostanza finalmente capace di alleviare le sue sofferenze. Il modello di medicina che predomina in Occidente (e spesso la pratica che ne deriva) si alimenta di una visione dualista dell’essere umano, quella del corpo-macchina separato dalla mente. Ma gli uomini non sono macchine. L’influsso di questo mondo dei significati sulla biologia umana è un fenomeno da considerare con attenzione nella cura del malato. Nell’opinione comune l’efficacia della terapia è attribuita a fattori specifici come i farmaci o gli interventi chirurgici. Ma molte cose accadono in medicina che non hanno quest’unica spiegazione; ad esempio, l’effetto placebo. Nell’antichità i farmaci in uso erano pressoché tutti dei placebo, cioè sostanze o insiemi di sostanze prive di qualsiasi autentica efficacia, che venivano assunte dai malati sulla base della fiducia nel sacerdote, che spesso era anche medico, o nello sciamano, talvolta con risultati eccellenti. In tempi recenti i placebo hanno assunto sempre maggiore importanza, spesso per una sfiducia nei risultati della medicina “ufficiale”, e con il diffondersi delle cure omeopatiche, scatenando polemiche tra fautori

e detrattori. Decidere di recarsi dal medico, essere visitati, rassicurati, ottenere una prescrizione, seguire le indicazioni ricevute, eccetera, tranquillizza il malato, ne riduce l’ansia e lo stress, e ne rafforza di conseguenza le capacità di auto guarigione. L’effetto placebo è sorprendente. Una pastiglia finta può ridurre i dolori cronici, l’asma, l’ipertensione, angina pectoris. Se si somministra a dei soggetti una bevanda analcolica, dicendo che invece contiene alcool, molti si sentiranno leggermente ebbri. Anche certe piccole operazioni chirurgiche comuni negli anni ’50, come la legatura di alcune arterie nella cura dell’angina pectoris si sono dimostrate inutili quando confrontate con una specie di placebo chirurgico: un’incisione superficiale. È dimostrato che qualunque terapia medica 8ed anche, come si è visto, chirurgica), comprese quelle complementari alternative, se attuata in un clima di fiducia reciproca tra paziente e terapeuta, anche grazie all’effetto placebo, può apportare benefici al paziente stesso. Tuttavia, poiché la consapevolezza dell’effetto placebo da parte del paziente determinerebbe un annullamento dell’effetto stesso, non è possibile alcuna terapia “alternativa” che dichiari espressamente di utilizzare il placebo come proprio metodo di cura. Molti ricercatori non amano sentirsi ricordare che ogni farmaco, anche il più efficace, può agire almeno in parte grazie all’effetto placebo, ma è un fatto che la seduta del dentista o le medicazioni in ambulatorio sono più dolorose se mentre aspettiamo in sala di attesa sentiamo che qualcuno urla o si lamenta. Un dato di cui medici e personale sanitario dovrebbero tenere conto. Oggi la medicina tende a concentrarsi sulle cause molecolari e biochimiche della malattia, guarda meno all’aspetto umano e psicologico. Ma stiamo cominciando a capire che la psiche gioca un ruolo importante sulla genesi e la percezione di ogni patologia. Secondo Ellen Langer, docente di psicologia ad Harvard e un’autorità degli studi sulla mente e la consapevolezza, il placebo è “un meccanismo che, convincendoci che staremo meglio, attiva le potenzialità del nostro organismo”. Gli studi sul dolore aiutano a capire come questo possa accadere.”L’analgesia da placebo mostra come aspettative o credenze possono influenzare la percezione del dolore”, spiega Porro:”Abbiamo visto chiaramente che l’assunzione del placebo riduce l’attività di aree cerebrali che rispondono agli stimoli dolorosi, in modo coerente con la riduzione di dolore riportata dal soggetto”. È la prima volta che da uno studio emerge così chiaramente il parallelo tra riduzione del processo sensoriale che genera i segnali alla base del dolore (effetto del placebo), e riduzione dell’intensità percepita del dolore stesso”.Altri studi mostrano che il niente che cura funziona anche attraverso l’apprendimento sociale, grazie a un meccanismo neuronale che i ricercatori definiscono “specchio”: se vediamo qualcuno che trae beneficio da una terapia, quando ci viene somministrato qualcosa di apparentemente identico ci sentiamo meglio, anche se si tratta di un placebo. Un’ampia rassegna pubblicata su “Lancet da! un gruppo di ricercatori, tra cui Damien Finniss dell’Università di Sidney e il neurofisiologo italiano Fabrizio Benedetti, suggeriscono che il “niente” può davvero curare. Il meccanismo alla base dell’effetto placebo è “psicosomatico” nel senso che il sistema nervoso, in risposta al significato pieno di attese dato alla terapia placebica prescrittagli, induce modificazioni neurovegetative e produce una serie numerosa di endorfine, ormoni, mediatori, capaci di modificare la sua percezione del dolore, i suoi equilibri ormonali, la sua risposta cardiovascolare e la sua reazione immunitaria. In una certa misura possono confondersi con l’effetto placebo anche la guarigione spontanea di un sintomo o di una malattia, così come pure il fenomeno della regressione verso la media. In altre parole il paziente si rivolge al medico “quando proprio non ne può più” e poi i suoi disturbi rientrerebbero comunque nella media. Questo ritorno ai livelli normali del disturbo può essere scambiato per effetto placebo. Va ricordato che l’impatto vero del placebo emerge quando si esce dal mondo dei laboratori e delle sperimentazioni. Le interazioni psico-sociali sono fondamentali per l’evoluzione della modulazione cognitiva del dolore, e quindi per l’esito clinico. Non possiamo pensare che un distributore automatico di farmaci funzioni come un medico attento e premuroso in camice bianco. A confermarlo, una serie di studi che mostrano come una terapia antidolorifica somministrata all’insaputa del paziente risulti molto meno efficace della stessa terapia, ma assunta con il supporto e la presenza attenta del personale sanitario. Non solo: durante alcune sperimentazioni è stato detto ai pazienti che la sostanza che assumevano avrebbe potuto essere indifferentemente un placebo o un farmaco, e si è visto che questa informazione ha condizionato la risposta alla terapia. Sappiamo che più il paziente riceve spiegazioni convincenti, più la terapia è efficace. Anche quando si tratta di un vero farmaco. L’effetto placebo non è circoscritto solo ad alcune patologie ma si può manifestare nel corso di terapie sia di malattie mentali che di psicosomatiche e somatiche, potendo coinvolgere quindi ogni sistema o organo del paziente. Per

rispondere sia a grande successo del Power Bilance (su cui l’Antitrust ha appena aperto un’indagine) che per dimostrare l’importanza della mente nella percezione del benessere,! Gilberto Di Benedetto, fisioterapista e psicologo che ha messo a punto un nuovo “baccelletto” denominato Power Keys (Pk), ha dichiarato che lo stesso “non sarà in vendita, ma sarà dato in omaggio come gadget per promuovere corsi di un centro studi tecniche ipnotiche”, per dimostrare come l’effetto placebo possa influire positivamente equilibrio,mobilità e forza, solo basandosi sull’effetto placebo. Questo braccialetto, assicura l’esperto in una nota, è un “amplificatore naturale di energia che sintonizza il corpo e lo prepara a grandi prestazioni. Aumento di resistenza, equilibrio, forza, flessibilità sono solo alcuni dei vantaggi descritti dalle persone che usano la tecnologia naturale Pk.! Molti dei volontari che hanno partecipato alla sperimentazione del braccialetto hanno riportano con grande soddisfazione che li aiuta a recuperare più velocemente, a ridurre stress, a migliorare la concentrazione e a sentirsi tonici ed elastici. I medici che hanno testato Pk, hanno riscontrato che amplifica istantaneamente gli stati di energia positiva del nostro corpo diminuendo lo spreco di energia causato da diversi fattori. Insomma, a differenza del più noto braccialetto americano, il Pk usa in maniera del tutto lecita i meccanismi del placebo, regolarmente studiati in medicina. Ma il placebo ha anche i suoi risvolti negativi. Chi prende un placebo spesso accuserà anche effetti collaterali spiacevoli (nausea, capogiri, eczemi, ecc.). Si parla di effetto “nocebo”, e addirittura di un “effetto stregone”. Credendosi colpiti da una maledizione , o più banalmente dal “malocchio” o da una “fattura”, ci si sentirà davvero male, fino a conseguenze tragiche, anche perché si adotterà una serie di comportamenti dettati dall’ansia e dalla paura.

Letture consigliate:

Bassi R.: L’effetto placebo, Ed. Libreria Cafoscarina, Venezia, 2010.

Benedetti F.. Placebo effects, Ed. Oxford University Press, Oxford, 2008.

Benedetti F.: Realtà incantata. L’effetto placebo nella vita di tutti i giorni, Ed. Zelig, Milano, 2000.

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Efficacia dell’agopuntura nella prevenzione delle recidive di fibrillazione atriale dopo cardioversione elettrica esterna

Alberto Lomuscio*°, Sebastiano Belletti*, Federico Lombardi*

“È con immenso piacere che presento questo lavoro dell’amico Alberto Lomuscio che, in collaborazione con i colleghi Belletti e Lombardi, ci presenta l’“efficacia dell’agopuntura nella prevenzione delle recidive di fibrillazione atriale dopo cardioversione”. Si tratta di una concreta dimostrazione delle possibilità terapeutiche dell’agopuntura in un settore – quello della cardiologia – in cui a molti sembra che solo pesanti terapie farmacologiche o chirurgiche possano essere efficaci. Lo studio è stato condotto secondo i più inattaccabili criteri della ricerca biomedica”
Lucio Sotte

Abstract
Objective: To evaluate whether acupuncture might prevent or reduce the rate of arrhythmias recurrences in patients with persistent AF.
Background: In the Traditional Chinese Medicine, stimulation of the Neiguan spot has been utilised to treat palpitations.
Methods: We studied 80 patients with persistent AF after restoring sinus rhythm with electrical CV. Twenty-six subjects who were already on amiodarone treatment constituted the AMIO reference group. The remaining 54 patients were randomised in 3 groups: 17 were treated with acupuncture (ACU group), 13 constituted the sham acupuncture group (ACU-sham) and 24 with no acupuncture or any anti-arrhythmic therapy were considered as controls. Patients randomised to ACU and ACU-sham attended 10 acupuncture sessions on a once a week basis. Only in the former group Neiguan spot was punctured. Pair-wise comparisons were carried out with Fisher’s exact tests.Results: During a 12-month follow-up, AF recurred in 35 of 80 patients. AF recurrence rate was 35 % in the ACU group, 69% in the ACU- sham, 27% in the AMIO group and 54% in the CONTROL patients. There was a significant difference (p< 0.05) between ACU and ACU- sham or CONTROL groups as well as between AMIO and ACU-sham or CONTROL groups (p<0.05). There were no differences between ACUand AMIO as well as between ACU-sham and CONTROL groups.
Conclusions: These data indicate that acupuncture appears as effective as amiodarone in preventing arrhythmic recurrences after CV in patients with persistent AF. This minimally invasive procedure appears to be safe and well tolerated in all patients. Patients with thyroid troubles caused by amiodarone treatment are particularly prone to acupuncture treatment.
Key words: Atrial fibrillation, Neiguan, Sham- acupuncture
Riassunto
Obiettivo: Valutare se l’agopuntura può prevenire o ridure l’incidenza di recidive aritmiche in pazienti con fibrillazione atriale persistente.
Premesse: Nella Medicina Tradizionale Cinese la stimolazione di Neiguan (PE-6) viene utilizata per trattare le palpitazioni
Metodi: Abbiamo studiato 80 pazienti con fibrillazione atriale persistente dopo averli riportati in ritmo sinusale tramite cardioversione elettrica esterna. Ventisei soggetti che erano già in terapia amiodaronica sono stati considerati gruppo di controllo con amiodarone (gruppo AMIO). I rimanenti 54 pazienti sono stati randomizzati in tre gruppi: 17 sono stati trattati con agopuntura vera (gruppo ACU), 13 formavano il gruppo di controllo con agopuntura falsa (gruppo ACU- sham) e 24 non hanno ricevuto alcun trattamento antiaritmico né agopunturistico (gruppo CONTROLLO). I pazienti trattati con agopuntura vera e quelli trattati con agopuntura falsa (sham) hanno ricevuto 10 sedute monosettimanali. Il punto Neiguan è stato trattato solo nei pazienti del gruppo ACU (agopuntura vera). L’analisi statistica si è basata sul test di Fisher.
Risultati: Durante un periodo di follow-up di 12 mesi, la fibrillazione atriale si è ripresentata in 35 degli 80 pazienti. L’incidenza delle recidive è stata 35% nel gruppo ACU, 69% nel gruppo ACU- sham, 27% nel gruppo AMIO, e 54% nel gruppo di CONTROLLO. Vi era una differenza statisticamente significativa (p<0,05) tra il gruppo ACU e i gruppi ACU-sham e CONTROLLO, come pure tra il gruppo AMIO e i gruppi ACU- sham e CONTROLLO. Non vi era invece differenza significativa tra i gruppi AMIO e ACU né tra i gruppi ACU-sham e CONTROLLO.
Conclusioni: Questi dati indicano che l’agopuntura appare come una metodica efficace come l’amiodarone nel prevenire le recidive dopo cardioversione elettrica esterna nei pazienti con fibrillazione atriale persistente. Trattandosi di una procedura minimamente invasiva essa si rivela sicura e ben tollerata in qualsiasi paziente. Un sottogruppo di pazienti particlarmente adatti a questa terapia è rappresentato dai pazienti con distiroidismo conseguente all’uso di amiodarone.
Parole chiavi: Fibrillazione atriale, Neiguan, Agopuntura falsa.
Consulta il testo completo dell’articolo nel sito www.oloselogos.it all’interno della rubrica “ricerca medica”

Puoi scaricare qui il PDF dell’articolo




Education in Traditional and Non Conventional Medicine: a Growing Trend in Italian Schools of Medicine

Mara Tognetti Bordogna*, Annunziato Gentiluomo**, Paolo Roberti di Sarsina***

È la prima ricerca svolta in Italia concernente l’offerta formativa post-lauream di Medicine Tradizionali e Non Convenzionali nelle Università italiane. La ricerca è parte di un’analisi più vasta condotta nell’ambito della prima edizione del Master in “Sistemi Sanitari, Medicine Tradizionali e Non Convenzionali” dell’Università di Milano-Bicocca, analisi che ha fotografato lo stato dell’arte dell’offerta universitaria italiana in Medicine Tradizionali e Non Convenzionali (MT/MNC), includendo nella ricerca sia l’offerta formativa post-lauream delle Scuole di Medicina e anche quanto proposto dalla Facoltà di Farmacia e da quella di Medicina Veterinaria. La ricerca prende in considerazione  l’offerta formativa in MT/MNC proposta nell’Anno Accademico 2011-2012 dalle Scuole di Medicine Italiane pubbliche e private, in una fase di ridefinizione organizzativa e strutturale in seguito all’attuazione della Legge n.240/2010. I sistemi di salute su base antropologica si contrappongono, in un certo qual senso, alla medicina ufficiale e stanno sempre più interessando il mondo della sociologia e non solo, in quanto fenomeno sociale e perché rilanciano la questione della relazione medico-paziente, uno dei temi fondanti della sociologia della salute. Il ricorso alle MT/MNC sottolinea l’importanza dell’umanizzazione e della personalizzazione del rapporto col medico, che vede il paziente nella sua dimensione organica, psicologica, sociale e relazionale. Inoltre legittima il diritto alla libera scelta terapeutica della persona, restituendo al paziente la responsabilità della propria condizione. Infatti la malattia e la guarigione sono espressioni della biografia della persona, sono eventi dotati di senso, un senso ricostruito attraverso questi saperi tradizionali di cura. In particolare la guarigione, secondo questo approccio, non è un atto meccanico piuttosto un processo strettamente coerente con la propria biografia. La presa in carico dei medici non convenzionali vede nel dialogo, nella comunicazione, nell’ascolto attivo, nell’attenzione alla storia del paziente, nella libera narrazione della malattia, gli ingredienti fondanti del proprio essere, perfettamente coniugati con la registrazione dei parametri biologici. Le risposte che le Medicine Tradizionali e Non Convenzionali danno sono personalizzate e appropriate, e si basano sulla considerazione dell’unicità dell’individuo. Le Medicine Tradizionali e Non Convenzionali sono dunque sistemi di salute veri e propri, saperi capaci di generare guarigione, nonostante la loro legittimazione e il loro grado di inclusione sia ancora differenziato nei welfare regionali italiani. Per tutte queste ragioni, diventa importante e socialmente urgente ragionare sui percorsi formativi che portano a tali figure professionali, in particolare in un’ottica di tutela dei pazienti, omologazione degli standard formativi, sinergie con le realtà private soprattutto in un momento di grave e perdurante vuoto legislativo nazionale in tal senso.

 

Tognetti Bordogna M, Gentiluomo A, Roberti di Sarsina P. Education in Traditional and Non Conventional Medicine. A Growing Trend in Italian Schools of Medicine. Alternative & Integrative Medicine 2013;2:7.

È possibile scaricare tramite il link evidenziato di seguito l’articolo completo

http://www.esciencecentral.org/journals/education-in-traditional-and-non-conventional-medicine-a-growing-trend-in-italian-schools-of-medicine-2327-5162.1000131.pdf




Energia e materia: la medicina tradizionale cinese e le concezioni della fisica moderna – prima parte

Renata Mersica*

Panorama

La filosofia cartesiana, che considera spirito e materia come due realtà distinte, ha profondamente plasmato il pensiero occidentale portandolo ad approfondire quasi esclusivamente l’aspetto materiale osservabile sperimentalmente. Il corpo come una macchina, la natura un nemico da domare, l’universo un perfetto e immenso meccanismo governato da leggi fisse. Queste concezioni meccanicistiche e riduzionistiche hanno favorito secoli di innegabili progressi nella conoscenza degli esseri viventi e nel trattamento delle loro patologie e un enorme e impensabile sviluppo tecnologico.

Nel Novecento i fisici affrontarono sperimentalmente il problema della natura intima della materia, alla ricerca dei suoi “mattoni” elementari; fu così verificata l’esistenza dell’atomo e vennero scoperti i suoi costituenti, nucleo ed elettroni, i componenti del nucleo, protoni e neutroni, e molte altre particelle subatomiche.

Il “sogno atomistico”, i “mattoni fondamentali”, la descrizione scientifica delle componenti ultime della materia (gli atomi e le molecole che interagivano seguendo le leggi della meccanica newtoniana) che avrebbero dovuto spiegare e quindi permettere di controllare ogni aspetto del mondo e del comportamento degli esseri viventi, e poi si sono infranti di fronte alla teoria della relatività di Einstein e alle sconvolgenti implicazioni della fisica quantistica. L’universo non è formato da mattoni elementari che interagiscono fra loro secondo le semplici leggi del moto e della termodinamica, e gli esseri viventi non sono il risultato di un’insieme di reazioni chimiche riproducibili in laboratorio.

L’universo è una globalità indivisa interagente con se stessa, dove sono le proprietà del tutto a determinare il comportamento delle parti, e non viceversa. È un universo dove il tempo rallenta in presenza di masse gravitazionali e cessa di scorrere all’interno dei buchi neri, dove null’altro avviene se non continui cambiamenti della curvatura dello spazio-tempo (Einstein), dove la materia ne rappresenta un inquinamento (Prigogine); è un universo che noi vediamo abitato da particelle subatomiche, che particelle non sono, che possono essere pacchetti d’onda, che non sono né l’uno né l’altro o possono essere tutte e due contemporaneamente……

Lo studio della realtà, anche quella medica, non può avvenire se non attraverso la ricerca delle interrelazioni delle diversi componenti, comprese quelle dell’osservatore, che non è astrattamente obbiettivo e questo approccio è esattamente quello che la Medicina Tradizionale Cinese (MTC) ha proposto storicamente nella sua teoria ed attuazione.

I fenomeni sopraccennati danno vita nella realtà a complessi campi di forze che formano gli esseri viventi e i loro corpi fisici, i quali interagiscono con gli altri campi grossolani e sottili, naturali e non, che li circondano, quindi anche con i sistemi energetici degli altri esseri od oggetti e vanno a formare una rete globale reale che connette ogni cosa al tutto. L’energia, dicevano gli antichi taoisti, è la sostanza della coscienza, ma oggi possiamo dire che l’energia è la “sostanza più informata” della coscienza, in quanto in ultima analisi, tutto è energia; “l’energia segue l’intenzione” o per meglio dire l’informazione.

Questa energia sottile esiste nel corpo in una dimensione parallela alla realtà cosiddetta fisica, più grossolana e la informa attraverso una rete di comunicazione (canali energetici) e si concentra in determinate zone del corpo (in cinese jiao, in sanscrito chakra). Il corpo fisico è perciò formato da particelle subatomiche che si muovono molto velocemente, vibrando su innumerevoli frequenze, scambiando messaggi e informazioni, collegando il tutto che esse stesse formano. Come dice la MTC ogni organo, viscere o sistema ha una sua frequenza; ma soprattutto ogni cellula, molecola e atomo ha una sua coscienza e intelligenza, un suo programma genetico ed un “programma” acquisito dall’ambiente (“cielo anteriore” e “cielo posteriore”).

È la fusione di infinite intelligenze che struttura gli esseri e tutto ciò avviene all’interno di un sistema macrocosmico, in continua “risonanza” con il microcosmo, dove campi energetici di grandezza incalcolabile si scambiano di continuo informazioni.

 

La meccanica quantistica

La meccanica quantistica nacque al principio del secolo scorso e crebbe come una teoria completamente rivoluzionaria che rovesciò le idee prevalenti fra i fisici dell’epoca vittoriana. Il modello classico sosteneva che l’atomo fosse composto di un nucleo attorno al quale orbitavano gli elettroni, come un sistema solare in miniatura. Si sapeva che gli elettroni hanno una massa pari a circa un millesimo di quella del protone (uno dei costituenti del nucleo) e che possiedono una carica negativa in grado di bilanciare quella del protone, che è positiva.

Durante i primi decenni del 1900 si capì che questo modello non poteva funzionare. I matematici dimostrarono che gli elettroni non avrebbero potuto mantenere la propria orbita stabilmente come fossero stati pianeti, e si sarebbero fusi coi protoni del nucleo. Poiché era chiaro che nell’universo in cui viviamo ciò non accade, si assunse, correttamente, che il modello fino ad allora accettato doveva essere sbagliato. Grazie all’opera pionieristica di fisici come Plank, Bohr e Schrodinger, emerse un modello che descriveva la natura del regno subatomico in modo di gran lunga più sofisticato; questo nuovo modello portò con sé un certo numero di conseguenze apparentemente astruse che, da allora, hanno gettato non solo i profani nella confusione. Uno dei padri della meccanica quantistica, Niels Bohr, giunse persino ad affermare che chiunque non resti scioccato dalla teoria dei quanti non l’ha capita. Il nome della teoria deriva dal concetto di “quanto”, introdotto dallo stesso Planck nel 1900, il quale ipotizzò che l’energia della radiazione elettromagnetica (luce, onde radio, raggi X etc. ) non è emessa in modo continuo ma si presenta sotto forma di “pacchetti di energia”, particelle di tipo speciale, prive di massa e sempre in moto alla velocità della luce (fotoni). Ma l’emissione e la propagazione della luce per “quanti” era solo una delle caratteristiche particolari della nascente meccanica quantistica, che nei 20-30 anni successivi avrebbe evidenziato aspetti molto più strani. Infatti, mentre la fisica classica può misurare le caratteristiche di un sistema fisico (la posizione di un certo oggetto in movimento, la sua velocità, la sua energia, ecc. ), per la meccanica quantistica non è così, gli oggetti “quantistici” (atomi, elettroni, fotoni, ecc.) si trovano in stati indefiniti, descritti da entità matematiche (la funzione d’onda).

I problemi cominciarono davvero quando i fisici delle particelle si resero conto che l’elettrone non era una sferula di materia carica negativamente, ma poteva essere descritto solo in termini probabilistici. In altre parole, esiste un’elevata probabilità che un elettrone si trovi a una determinata distanza dal nucleo e una bassa probabilità che sia molto più distante o molto più vicino a esso. Legato a questo concetto è il “principio di indeterminazione” annunciato da Werner Heisenberg nel 1927. Secondo questo principio esistono dei limiti all’accuratezza con cui possono essere misurate delle coppie di quantità fisiche, non è possibile in alcun modo prevedere quale valore effettivo si avrà all’atto della misura, ma si ha solo una rosa di probabilità su certi valori, definiti con grande precisione. Vi è quindi una indeterminazione sui valori della misura. Ad esempio, se cerchiamo di misurare la posizione e la velocità di una particella subatomica, lo stesso atto disturberà la particella a tal punto che non sarà possibile attribuire un valore preciso a entrambe le quantità nello stesso istante (paradosso del “gatto di Schrödinger”, esperimento ideale ideato da Erwin Schrödinger allo scopo di dimostrare come l’interpretazione classica della meccanica quantistica risulta essere incompleta quando deve descrivere sistemi fisici in cui il livello subatomico interagisce con il livello macroscopico).

Questa nebulosità è descritta dalla funzione d’onda – in altre parole, si tratta di una descrizione basata unicamente sulle probabilità. Cosa accade se non riusciamo a definire con precisione l’esatta posizione delle particelle subatomiche? Questa è l’essenza stessa della meccanica quantistica.

Al posto della conoscenza certa della meccanica classica, la meccanica quantistica ci offre una conoscenza probabilistica e incerta, che studia una natura indeterminata in cui gli eventi non sono regolati da nessi causali ma dal caso. La meccanica dei quanti ha messo in discussione alcuni caposaldi della conoscenza: l’idea della realtà oggettiva, il determinismo, la completezza, rappresenta la fine del “realismo” oggettivo a favore di una concezione in cui gli oggetti esistono in uno stato ideale che rimane teorico finché non interviene la percezione a renderlo reale.

Cosa è dunque “realtà” del mondo per la fisica quantistica? Quella che noi percepiamo come realtà è semplicemente una serie di incidenti di percorso. Se crediamo alla fisica quantistica, il mondo è nelle mani di queste onde di probabilità. Ogni tanto una di queste onde “collassa”, e allora, e soltanto allora, succede qualcosa e le quantità fisiche assumono dei valori osservabili. La sequenza di questi “qualcosa” costituisce la realtà che noi percepiamo.

Fu Von Neumann a chiarire gli estremi del problema. A far collassare la funzione d’onda è, secondo la fisica quantistica, l’interferenza di un altro sistema. Per esempio, se cerco di misurare una quantità di un sistema (la sua velocità, per esempio), faccio collassare la funzione d’onda del sistema, e pertanto leggo un valore per quella quantità che prima era semplicemente una delle tante possibilità. È l’atto di osservare a causare la “scelta” di quel particolare valore della velocità fra tutti quelli possibili. Ma quando si verifica quel collasso? C’è una catena di eventi che porta dalla particella al mio cervello: la particella è a contatto con qualche strumento, che è a contatto con qualche altro strumento, che è a contatto con il microscopio, che è a contatto con il mio occhio, che è a contatto con la mia coscienza… dove avviene di preciso il collasso? A che punto la particella smette di essere una funzione d’onda e diventa un oggetto con una velocità ben precisa?

Il problema può essere riformulato così: che cosa causa il collasso di una funzione d’onda? Basta la semplice presenza di un’altra particella nei dintorni del sistema? Oppure deve essere un oggetto di grandi dimensioni? Oppure deve essere per forza un oggetto in grado di osservare? O una mente umana? Sappiamo che un uomo è in grado di far collassare una funzione d’onda, in quanto gli scienziati possono misurare le particelle. Ma un insetto? Un insetto-scienziato sarebbe in grado di compiere le stesse osservazioni? Sarebbe in grado di far collassare una funzione d’onda? E un virus? Una pietra? Un albero? Il vento?…

Von Neumann si domandava cosa promuove un oggetto a “collassatore”. La fisica quantistica concede questo privilegio: i sistemi classici (come gli strumenti di misurazione o gli esseri umani, oggetti che hanno una posizione, una forma e un volume ben definiti) sono capaci di far collassare la funzione d’onda di sistemi quantistici (che sono invece pure onde di probabilità) e pertanto di misurarli. Ma cosa determina se un sistema è classico o quantistico? ….

Wojciech Zurek pensa che tutto contribuisca al collasso, e che il collasso possa avvenire per gradi successivi. L’ambiente distrugge quella che lui chiama “coerenza quantistica”. E per “ambiente” intende proprio tutto, dalla singola particella che transita per caso fino al microscopio. L’ambiente causa “decoerenza” e la decoerenza causa una sorta di selezione naturale alla Darwin: lo stato classico che emerge da uno stato quantistico è quello che meglio si “adatta” all’ambiente. Non sorprende pertanto che, studiando questo fenomeno, Zurek stia pervenendo a intriganti paralleli con il fenomeno della vita (l’altro grande mistero della natura è, ovviamente, quello di come la materia vivente emerga dalla materia non vivente). Come fa il mondo classico, fatto di oggetti e forme e confini e pesi e altezze, ad emergere da un mondo quantistico, fatto soltanto di onde e di probabilità?….

Questa tematica è molto controversa e viene ignorata, sottovalutata e anche rifiutata da una cospicua parte del mondo scientifico. Ci si avvicina verso una concezione di “universo mentale”, una grande mente, o quantomeno una struttura “software”. James Jeans, celebre fisico ed astronomo britannico della prima metà del ‘900 disse: “L’universo comincia a sembrare molto più un grande pensiero che una grande macchina”.

 

Einstein – Le teorie della relatività

La critica di Einstein, e di altri fisici, fu radicale: essi sostennero che la meccanica quantistica era una teoria “incompleta”; col senno di poi si può forse dire che è stata una delle poche intuizioni errate di Einstein. La sua fedeltà alla concezione puramente oggettiva dell’universo (“Dio non gioca a dadi con l’universo”) lo indusse a dubitare di una teoria che lui stesso aveva contribuito a fondare!

Con due articoli pubblicati entrambi nel 1905, Einstein avviò due linee di pensiero rivoluzionarie: la prima era la sua teoria della relatività speciale, l’altra era un nuovo modo di concepire la radiazione elettromagnetica che avrebbe in seguito caratterizzato la meccanica quantistica, la teoria dei fenomeni atomici. Quest’ultima venne elaborata solo successivamente ad opera di un gruppo di fisici mentre la teoria della relatività fu costruita quasi completamente dal solo Einstein che, profondamente convinto dell’armonia della natura, si propose nel corso di tutta la sua vita di trovare una fondazione unificata della fisica.

La teoria della relatività speciale (o ristretta) unificava e completava la fisica classica, comportando grossi cambiamenti nei concetti tradizionali di spazio e tempo e scartando il concetto di etere, che oggi non viene più utilizzato dai fisici, anche se informalmente si parla ancora di etere per indicare lo spazio in cui si propagano le onde elettromagnetiche. Grazie all’esperimento di Michelson- Morley fu dimostrato che la velocità della luce è costante in tutte le direzioni, indipendentemente dal moto della Terra, non risentendo così del “vento di etere”.

La relatività speciale prende in esame ciò che accade quando gli osservatori si muovono l’uno rispetto all’altro ma non prende in considerazione gli effetti del campo gravitazionale che verranno invece introdotti nella teoria della relatività generale. La teoria della relatività generale venne presentata come serie di letture presso l’Accademia Prussiana delle Scienze a partire dal 25 novembre 1915, dopo una lunga fase di elaborazione. C’è un’annosa polemica sulla pubblicazione delle equazioni di campo tra il matematico tedesco David Hilbert ed Einstein: tuttavia documenti ritrovati recentemente attribuiscono con una certa sicurezza il primato ad Einstein. Lo schema della relatività speciale viene generalizzato in modo da renderlo utilizzabile indipendentemente dal moto dell’osservatore. Il punto di partenza dello scienziato fu il campo gravitazionale, cioè l’attrazione reciproca tra tutti i corpi dotati di massa. L’accelerazione gravitazionale può essere interpretata come un effetto puramente geometrico e la traiettoria dei corpi cadenti è causata da curve geometriche imposte su di essi dalla curvatura dello spazio. Poiché un corpo si muove nello spazio e nel tempo, la sua traiettoria è definita da quattro variabili, tre spaziali e una temporale. La traiettoria risulta una curva nello spazio-tempo quadridimensionale nel quale tutte le misure perdono un significato assoluto. Uno spazio-tempo che diventa essenzialmente elemento di linguaggio dell’osservatore che descriva i fenomeni dal proprio punto di vista. La dimostrazione delle leggi formulate solo teoricamente da Einstein avvenne intorno al 1960 con l’avvento di strumenti più sofisticati e per questo, mentre la teoria della relatività ristretta costituì subito uno dei pilastri della fisica moderna, fu solo con le grandi scoperte dell’astrofisica che la relatività generale acquistò quel ruolo preminente che oggi le compete. Dice Henry Margenau: “Al centro della teoria della relatività c’è il riconoscimento che la geometria… è una costruzione dell’intelletto. Solo accettando questa scoperta, la mente può sentirsi libera di modificare le nozioni tradizionali di spazio e tempo, di riesaminare tutte le possibilità utilizzabili per definirle, e di scegliere quella formulazione che più concorda con l’esperienza”. Scrive Chuang-tzu: “Dimentichiamo il trascorrere del tempo; dimentichiamo i contrasti di opinioni. Facciamoci assorbire dall’infinito e occupiamo in esso il nostro posto”.

 

Cose simpatiche sulla fisica moderna

– La teoria è quando si sa tutto ma non funziona niente. La pratica è quando funziona tutto ma non si sa il perché. In ogni caso si finisce sempre con il coniugare la teoria con la pratica: non funziona niente e non si sa il perché (Albert Einstein)

– Dio non gioca a dadi con l’universo (Albert Einstein)

– Einstein, non dire a Dio cosa deve fare (Niels Bohr, rispondendo ad Einstein)

– Ci sono solo due modi di vivere la propria vita: uno come se tutto fosse un miracolo; l’altro come se tutto fosse un miracolo (Albert Einstein)

– Penso si possa tranquillamente affermare che nessuno capisce la meccanica quantistica (R.P. Feynman)

– Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l’avete capita (R.P. Feynman)

– Non mi piace, e mi spiace di averci avuto a che fare (Erwin Schrödinger, parlando della meccanica quantistica)

– Quelli che non rimangono scioccati, la prima volta che si imbattono nella meccanica quantistica, non possono averla compresa (Niels Bohr)

Curiosità

Nel 1906 Joseph John Thomson ricevette il premio Nobel per aver identificato, durante i suoi studi sulla radioattività, la natura corpuscolare dei raggi beta (costituiti da elettroni). Nel 1937, 31 anni più tardi, suo figlio George Paget Thomson ricevette (condividendolo con Clinton Davisson) a sua volta il premio Nobel per avere dimostrato le proprietà ondulatorie dell’elettrone!

 

Prima parte – continua nel numero 7

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

somiglianza risulti più marcata quando si osservano i recenti tentativi di unificare queste due teorie al fine di descrivere i fenomeni del mondo submicroscopico, cioè le proprietà e le interazioni delle particelle subatomiche dalle quali è costituita tutta la materia. Qui le corrispondenze tra la fisica moderna e il misticismo orientale si fanno addirittura sorprendenti…. La nascita della scienza moderna fu preceduta e accompagnata da uno sviluppo del pensiero filosofico che portò a una formulazione estrema del dualismo spirito – materia. Questa formulazione comparve nel Seicento con la filosofia di René Descartes, il quale fondò la propria concezione della natura su una fondamentale separazione tra due realtà distinte e indipendenti, quella della mente (res cogitans) e quella della materia (res extensa). La separazione ‘cartesiana’ permise agli scienziati di considerare la materia come inerte e completamente distinta da se stessi e di raffigurarsi il mondo materiale come una moltitudine di oggetti differenti riuniti insieme in un’immensa macchina. Una siffatta concezione meccanicistica del mondo fu sostenuta da Isaac Newton, che su questa base costruì la sua scienza della meccanica e la pose a fondamento della fisica classica. Dalla seconda metà del Seicento alla fine dell’Ottocento il modello meccanicistico newtoniano dell’universo dominò tutto il pensiero scientifico… le leggi fondamentali della natura ricercate dagli scienziati vennero considerate le leggi divine, invariabili ed eterne, alle quali il mondo era soggetto….La separazione operata da Cartesio e la concezione meccanicistica del mondo hanno… portato nello stesso tempo benefici e danni; si sono rivelate estremamente utili per lo sviluppo della fisica classica e della tecnologia, ma hanno avuto molte conseguenze nocive per la nostra civiltà. E’ affascinante osservare come la scienza del ventesimo secolo, nata dalla separazione introdotta da Cartesio e dalla concezione meccanicistica del mondo, e che anzi poté svilupparsi solo sulla base di una concezione del genere, superi oggi questa frammentazione e ritorni nuovamente all’idea di unità espressa nelle prime filosofie greche e orientali. Al contrario della concezione meccanicistica occidentale, la concezione orientale è di tipo organicistico. Per il mistico orientale, tutte le cose e tutti gli eventi percepiti dai sensi sono interconnessi, collegati tra loro, e sono soltanto differenti aspetti o manifestazioni della stessa realtà ultima. La nostra tendenza a dividere il mondo percepito in cose singole e distinte e a sentire noi stessi come unità separate in questo mondo è considerata

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un’illusione che deriva dalla propensione della nostra mente a misurare e a classificare….Nella concezione orientale, quindi, la divisione della natura in oggetti separati non è fondamentale e ciascuno di tali oggetti ha un carattere fluido e continuamente mutevole. La concezione orientale del mondo è perciò intrinsecamente dinamica, e il tempo e il mutamento ne sono elementi essenziali. Il cosmo è visto come una unica realtà indivisibile, in eterno movimento, animata, organica: materiale e spirituale nello stesso tempoPoiché il movimento e il mutamento sono proprietà essenziali delle cose, le forze che causano il movimento non sono esterne agli oggetti, come nella concezione della Grecia classica, ma sono una proprietà intrinseca della materia… Quanto più profondamente penetriamo nel mondo submicroscopico, tanto più ci rendiamo conto che il fisico moderno, parimenti al mistico orientale, è giunto a considerare il mondo come un insieme di componenti inseparabili, interagenti e in moto continuo, e che l’uomo è parte integrante di questo sistema. La concezione del mondo organicistica, ‘ecologica’, delle filosofie orientali è senza dubbio una delle principali ragioni dell’immensa popolarità che esse hanno recentemente ottenuto in Occidente, specialmente tra i giovani. Nella nostra cultura occidentale, che è ancora dominata da una visione meccanicistica e frammentata del mondo, un numero crescente di persone ha visto in essa la ragione che sta alla base della diffusa insoddisfazione presente nella nostra società e molti si sono rivolti alle vie orientali di liberazione.”(cap.1)

“…A livello atomico, quindi, gli oggetti materiali solidi della fisica classica si dissolvono in distribuzioni di probabilità che non rappresentano probabilità di cose, ma piuttosto probabilità di interconnessioni. La meccanica quantistica ci costringe a vedere l’universo non come una collezione di oggetti fisici separati, bensì come una complicata rete di relazioni tra le varie parti di un tutto unificato. Questo, peraltro, è anche il tipo di esperienza che i mistici orientali hanno del mondo, e alcuni di essi hanno espresso tale esperienza con parole che sono quasi identiche a quelle usate dai fisici atomici.” (p.157)

“… Attualmente, nella fisica moderna si è manifestato un atteggiamento molto diverso. I fisici sono giunti a comprendere che tutte le loro teorie dei fenomeni naturali, comprese le “leggi” che formulano, sono creazioni della mente dell’uomo; proprietà della nostra mappa concettuale della realtà, più che proprietà della realtà stessaQuesto schema concettuale è necessariamente limitato e approssimato, come lo sono tutte le teorie scientifiche e le leggi della natura che esso contiene. Tutti i fenomeni naturali sono in definitiva interconnessi, e per spiegare uno qualsiasi di essi dobbiamo comprendere tutti gli altri il che, ovviamente, è impossibile. I grandi successi della scienza sono dovuti alla possibilità di introdurre approssimazioni. In tal modo, se ci si accontenta di una conoscenza approssimata della natura, si possono descrivere gruppi di fenomeni opportunamente scelti, ignorandone altri meno importanti. Così è possibile spiegare un gran numero di fenomeni a partire da alcuni di essi, e di conseguenza si possono capire diversi aspetti della natura in modo approssimativo senza dover comprendere tutto quanto in una volta sola.

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Questo è il metodo scientifico; tutte le teorie e i modelli scientifici sono approssimazioni della vera natura delle cose, ma l’errore che si introduce con l’approssimazione è spesso sufficientemente piccolo da giustificare questo modo di procedere. I fisici costruiscono quindi una sequenza di teorie parziali e approssimate, ognuna delle quali, pur essendo più precisa della precedente, non rappresenta una descrizione completa e definitiva dei fenomeni naturali. come queste teorie, anche le leggi della natura che esse delineano sono mutevoli destinate a essere sostituite da leggi più precise quando le teorie vengono perfezionate.Di solito, il carattere incompleto di una teoria si rispecchia nei suoi parametri arbitrari, o “costanti fondamentali”, cioè in quantità i cui valori numerici non sono spiegati dalla teoria, ma devono essere inclusi in essa dopo essere stati determinati empiricamente. La meccanica quantistica non è in grado di spiegare il valore usato per la massa dell’elettrone, né la teoria dei campi rende conto della carica dell’elettrone, e neppure la teoria della relatività spiega il valore della velocità della luce. Nella concezione classica queste quantità erano considerate costanti fondamentali della natura che non richiedevano alcuna spiegazione ulteriore. Nella concezione moderna si ritiene che il loro ruolo di costanti fondamentali sia temporaneo e rispecchi i limiti delle teorie attuali. Secondo la filosofia del bootstrap le teorie future, a mano a mano che aumenterà la loro precisione e il loro campo d’applicazione, dovrebbero essere in grado di spiegare, una dopo l’altra, queste costantiQuindi ci si dovrebbe avvicinare alla situazione ideale – senza mai raggiungerla – nella quale la teoria non contiene alcuna costante fondamentale non spiegata, e tutte le sue leggi derivano dalla condizione di coerenza interna complessiva. Tuttavia è importante rendersi conto che anche questa teoria ideale deve contenere qualcosa di non spiegato, sebbene non necessariamente nella forma di costanti numeriche. Fino a quando continuerà ad essere una teoria scientifica, essa richiederà che vengano accettati senza spiegazione alcuni dei concetti sui quali si basa il linguaggio scientificoSpingere alle sue estreme conseguenze l’idea del bootstrap significherebbe andare al di là della scienza. … E’ evidente che una concezione della natura di tipo completamente bootstrap, nella quale tutti i fenomeni dell’universo siano determinati unicamente dalla loro coerenza reciproca, si avvicina molto alla visione orientale del mondo. Un universo indivisibile, nel quale tutte le cose e tutti gli eventi sono interconnessi, difficilmente avrebbe senso se non possedesse una coerenza interna. Da un certo punto di vista, la condizione della coerenza interna, che costituisce la base dell’ipotesi del bootstrap, e l’unità e l’interrelazione di tutti i fenomeni, posti in così grande rilievo nel misticismo orientale, sono soltanto aspetti diversi della stessa idea.Questa stretta connessione è espressa nel modo più chiaro nel Taoismo. Per i saggi taoisti, tutti i fenomeni nel mondo facevano parte della Via cosmica, il Tao, e le leggi seguite dal Tao non erano state date da alcun legislatore divino, ma erano inerenti alla sua stessa natura.” (pag 331)

Il “Tao della fisica” è stato certamente un’opera rivoluzionaria, benché avesse fatto storcere il naso a molti “riduzionisti”. Vi si afferma che la fisica ci porta oggi a una concezione del mondo che somiglia sostanzialmente alla mistica orientale. Vent’anni dopo Capra offre una nuova opera, “La

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rete della vita” in cui l’autore è maggiormente proiettato verso il futuro anziché rivolto ai misteri del passato. Annuncia un cambiamento di paradigma della scienza da una visione meccanicistica ad una visione ecologica. Una ecologia che vede il mondo come una rete di fenomeni interconnessi e interdipendenti; la rete connette, e nello stesso tempo “crea” la realtà. Il riguardo per il contesto, più che per gli oggetti distinti, si risolve in quel rispetto per la natura che è il primo obiettivo dell’ecologia.

“Il Tao dell’ecologia” di Edward Goldsmith presenta una visione più inaudita: rinunciare alla Scienza, non alla conoscenza ma all’apparato e alla metodologia della scienza positivista e riduzionista. Secondo l’autore è proprio la mentalità della scienza moderna e la sua pretesa di separare la conoscenza che ha generato la crisi ecologica. La natura non è cieca, la Terra sa quello che vuole, la stabilità, l’equilibrio verso cui essa torno ogni volta che viene allontanata. La natura ha uno scopo, una logica, un’etica, la natura vivente è conservatrice: mentre la geografia della Terra cambia, le specie viventi resistono identiche per centinaia di milioni di anni. Una specie di ammonimento contro l’ossessione del progresso…

La Medicina Tradizionale Cinese

Come ormai noto, alla fine della Rivoluzione Culturale iniziò una serie di scoperte archeologiche che hanno gettato luce sulla fase di gestazione del corpus teorico della MTC, situata attorno al III secolo a.C. (e non duemila anni prima come molti continuano a sostenere): si ricordino i testi di Huang Ti (il leggendario Imperatore Giallo) e di Wuwei, il libro intitolato ”Miriade di cose” trovato nella tomba di Xiahou Zao (1977), i testi della tomba 247 di Zhangjiashan (1983) cui vanno aggiunti i trattati di emerologia, divinazione e magia di Fangmatan (1983). Gli altri classici superstiti hanno subito numerose modifiche, censure ed omissioni nel processo di trasmissione; mentre questi originali venuti alla luce hanno per la prima volta aperto una piccola finestra per sbirciare la medicina classica, nel momento del completarsi del suo impianto teorico di base, senza le lenti deformanti dei commentatori e copiatori delle generazioni successive. Ne emerge una medicina in cui i due terzi dei precetti non riguardano il “come operare sui pazienti” bensì il “come potenziare se stessi”, coniugando l’uso di determinate sostanze ed alimenti con tecniche meditative (di respirazione e movimento) e con l’arte del rapporto sessuale. Quanto alla medicina in senso stretto, se la fisiologia dei canali energetici (meridiani) è già ben definita, l’agopuntura risulta ancora in gestazione (nonché del tutto assente dai testi di Huang Ti). Le tecniche terapeutiche spaziano da una concretissima traumatologia con dettagliate istruzioni chirurgiche a tecniche esorcistiche e magico-religiose di matrice sciamanica, passando per una farmacopea che contempla bagni medicati, fumigazioni e semplice contatto prolungato oltre alla somministrazione orale. Nel libro classico “Huangdi neijing” la Medicina Tradizionale Cinese (MTC) viene illustrata e descritta sotto

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forma di dialogo con il medico di corte Qi Bo. In questo trattato Qi Bo espone le leggi che regolano il cosmo, lo yin e lo yang, i 5 elementi (movimenti), le loro applicazioni nel campo della fisiologia, della patologia, della diagnosi, del trattamento e della prevenzione delle malattie e in particolare illustra la ricerca dello stato di salute e dell’equilibrio psicofisico. È una medicina globale, dialettica, basata sull’osservazione della relazione che intercorre tra uomo e natura. Il pensiero cinese, infatti, si distingue notevolmente dal nostro modo di pensare “logico”, per causa ed effetto. In oriente si ragione per analogia, non vengono misurati effetti o cercati nessi causali, ma osservate corrispondenze. Il corpo umano può essere descritto come un paese fatto di montagne, fiumi, mari e palazzi, gli organi come fienili, i vasi come strade. L’analogia permette la trasposizione della conoscenza delle relazioni fra oggetti del macrocosmo all’uomo.

Nel corso dell’evoluzione, questa medicina empirica si è arricchita e confrontata con le diverse scuole filosofiche; in particolare il pensiero taoista e quello confuciano hanno dato l’impronta definitiva che ancora oggi caratterizza questa scienza medica. La stretta correlazione tra filosofia della natura e medicina è un dato che ritroviamo all’origine di ogni tradizione culturale. La medicina cinese resterà nel tempo legata ai principi della filosofia che l’hanno generata, quindi fondamentalmente costruita come una fenomenologia dell’uomo. Secondo la filosofia taoista cinese, l’intero cosmo é espressione di un principio fondamentale chiamato Tao, origine, motore e fine di tutto ciò che esiste, onnipresente ma impercettibile e indefinibile, metafora che indica ad un tempo la totalità dell’essere e la via per immergersi in essa. Tutto il creato e ogni essere vivente costituiscono emanazioni del Tao, che si manifesta tramite l’azione di una forza di trasformazione e mutamento: il qi. E’ la vibrazione vitale dell’universo e scorre incessantemente ovunque, in ogni aspetto della natura così come nell’uomo. Il qi si esprime tramite l’attività dinamica di due forze o polarità primordiali, lo yin e lo yang, opposti ma complementari.

气 氣 Soffio – Energia – Etere – Potenza Vitale – Forza Vitale

“La Via produce l’Uno, l’Uno produce il Due, il Due produce il Tre, il Tre produce i Diecimila esseri” (Tao Te Ching   opera fondamentale di Lao-Tzu del VI secolo a.C): il Tao (la Via) genera il qi (Uno) che si manifesta come yin e yang (Due), che produce il Tre, Cielo Terra e Uomo… La vita biologica esiste nell’effimera congiunzione delle componenti Cielo/Terra e la morte non è altro che il ritorno di ciascuna delle due parti alla loro origine. Il Tao, “emettendo il qi, disponendo le trasformazioni, producendo nel vuoto, non agendo, è principio e fondamento del Cielo e della Terra” (Tao Te Ching).

Il termine qi caratterizza la medicina cinese, è stato tradotto con il termine energia, o Soffi vitali, perché la vita produce, mantiene, consuma, economizza, libera energia. Come non ricordare, in questo contesto, che dopo Einstein per il mondo occidentale, la massa non è che una forma di energia? Allo stesso modo, già nell’antichità, i cinesi consideravano i corpi e i loro dinamismi come

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una stessa realtà formata di energia, una realtà visibile in quanto condensazione e manifestazione del qi.

“ Il Qi produce il corpo umano allo stesso modo in cui l’acqua diventa ghiaccio. Come l’acqua si condensa in ghiaccio, così il Qi si condensa e forma il corpo umano. Quando il ghiaccio si scioglie diventa acqua. Quando la persona muore diventa spirito. È chiamato Spirito come il ghiaccio sciolto è chiamato Acqua.” Wang Chong (27-97 d.C)

“Il Grande Vuoto consiste di Qi. Il Qi si condensa trasformandosi nella miriade delle cose. Le cose inevitabilmente si disintegrano e tornano al Grande Vuoto….Ogni nascita è una condensazione, ogni morte una dispersione. Ma nella nascita non c’è guadagno e nella morte non c’è perdita….Il Qi in dispersione è sostanza, e così anche nella condensazione” Zhang Zai (1020-1077)

La MTC è una scienza che studia gli scambi dei Soffi e contemporaneamente un’arte che ristabilisce l’armonia funzionale di questi scambi. Riconosce e privilegia nell’uomo il suo continuo “essere costituito e ricostituito dai soffi del Cielo/Terra”, un uomo come sistema aperto, il microcosmo in stretta relazione con il macrocosmo. La MTC offre i mezzi naturali per condurre le operazioni della natura nell’uomo: dalla vita alla morte attraverso le fasi di sviluppo che sono le stagioni nell’uomo, ponendo rimedio agli squilibri energetici che possono man mano causare malattie. Il qi circola grazie ai meridiani. L’agopuntura, ad esempio, modifica i passaggi del qi nel corpo e lo riporta in uno stato di equilibrio. Esistono Soffi normali e patologici, tra i primi ci sono quelli innati (Cielo anteriore) e quelli acquisiti (Cielo posteriore). Ci sono Soffi ereditari (originari o del concepimento, ancestrali o propri della specie e essenziali, dei genitori) e ordinari (alimentazione e respirazione). Tra le energie ereditarie sono da includere gli Shen, di volta in volta istanza psichica e spirituale che anima l’uomo, la coscienza di sé, il suo spirito vitale.

Secondo la MTC l’osservazione deve saper cogliere il movimento dei Soffi che ci costituiscono e ci ricostituiscono indefinitamente. L’uomo è un nocciolo di influssi incrociati Cielo/Terra, yin/yang, e le interazioni dei Soffi si esprimono in mutazioni permanenti che costituiscono la vita. Scrive Larre: “Ogni accumulo di qi ubbidisce a ritmi che hanno un momento di crescita, di apogeo e di declino, la vita di un uomo, la durata di una dinastia, i mesi di una stagione, le ore di una giornata… sono tante realtà particolari, animate da movimento proprio che tuttavia sono in risonanza con il movimento della vita universale… Non essendovi altro che i tempi dell’uomo e i tempi del cosmo, il tempo è semplicemente il scivolare del qi da una qualità ad un’altra”.

Alcune conclusioni

Malgrado percorsi differenti le attuali riflessioni sui principi di filosofia della scienza elaborati in occidente in biologia, matematica e fisica, hanno messo in luce sorprendenti analogie con le filosofie della natura della cultura orientale. Il taoismo, il confucianesimo, il buddismo, sebbene differiscano in molteplici aspetti, hanno in comune una visione dell’unità dell’universo: il cosmo è una realtà indivisibile, animata, in movimento, manifestazione di una realtà ultima chiamata Tao per taoisti e confuciani o Dharmakaya per i buddisti, di cui tutti gli esseri e le cose sono parte. Vi sono forti analogie tra questa concezione del mondo e la filosofia greca classica, in particolare con Eraclito, filosofo ionico di stirpe reale del V secolo a.C. per il quale “tutto scorre” e “nello stesso fiume non è mai possibile bagnarsi due volte”. Una realtà fatta di opposti che si alternano, in continuo divenire da uno stato al suo opposto, un divenire che ha in sé una stabilità per la tensione all’unità dei contrari. Ritroviamo in Cina, nello stesso periodo, questa complementarià di opposti, in perenne divenire, nella teoria yin/yang.

Nel trascorrere dei secoli in occidente, con lo sviluppo della medicina e del metodo induttivo- sperimentale, questa concezione si è persa per essere recuperate solo durante il 1900, in modo particolare dalla fisica, che ha riscoperto l’unità e l’interdipendenza di tutti i fenomeni e la natura intrinsecamente dinamica dell’universo. La fisica moderna ha condotto al superamento della concezione classica, della nozione di spazio e tempo assoluti, delle particelle solide elementari, della natura causale dei fenomeni fisici. La teoria della relatività di Einstein ha dimostrato che la massa non ha nulla a che vedere con una qualsiasi sostanza, ma è una forma di energia, così come sostenevano i filosofi taoisti: l’universo, la natura, l’uomo, gli esseri viventi non sono altro che strutture energetiche in cui la differenza fenomenologica è data dal rapporto tra differenti tipi di energie, di cui la materia è uno. Si è creato così un potente fattore di crisi rappresentato dalla distanza che separa la medicina dal suo fondamentale serbatoio teorico, dalla fisica. In effetti, la fisica contemporanea, che dalla teoria della relatività e dalla meccanica quantistica sta approdando allo studio dei sistemi lontani dall’equilibrio e delle leggi del caos, funziona da generatore di crisi di un modello medico tuttora fondato sul meccanicismo newtoniano. Al posto di una visione lineare della realtà, basata sul rapporto causa-effetto, emerge una complessità circolare, un punto di vista che studia sia le relazioni reciproche sia l’apparire di nuove proprietà della materia legate all’emergere di nuovi livelli di complessità. E’ evidente che questo nuovo punto di vista scientifico urta contro un modello biomedico basato su una visione meccanicistica della fisiopatologia umana e su una clinica settorializzata e iperspecialistica.

Così lo sviluppo della fisica quantistica offre spunti importanti per la comprensione di alcuni meccanismi secondo un approccio che si avvicina molto al modello energetico che sta alla base dell’antica medicina orientale. In occidente sta lentamente emergendo un nuovo paradigma biomedico, incardinato sulla visione dell’organismo umano come rete di comunicazione integrata. Se si vorrà seguirà questa tendenza di pensiero, la medicina ufficiale non verrà stravolta né

33abbandonata ma dovrà necessariamente impegnarsi a mutare se stessa in un percorso evolutivo importante. Il punto di partenza di tale percorso dovrà consistere nel superamento dell’accettazione incondizionata dell’approccio tecnico, chimico, meccanico all’oggetto della sua attività: gli esseri viventi, il corpo, la salute, la malattia, in definitiva la vita stessa. Durante questo processo di evoluzione, la scienza moderna occidentale dovrà integrare in se stessa l’approccio sistemico ed energetico tipicamente orientale. Grazie all’impegno di seri ricercatori e anche alle più evolute tecnologie, sempre più spesso i principi della medicina orientale che, con diffidenza, venivano considerati frutto della tradizione popolare ed in molti casi pura superstizione, trovano riscontri oggettivi e quindi, secondo la nostra cultura, scientifici. È infatti ormai dimostrato da un considerevole numero di studi che le funzioni e gli eventi energetici sia endogeni che esogeni sono di estrema rilevanza per la comprensione della vita e sono misurabili e rilevabili (PNEI, bioenergia).

Alcuni esempi: se, da un lato, Pierre de Vernejoul ha dimostrato la coincidenza del movimento di sostanze lungo i meridiani di agopuntura cinese, esistono studi sulle informazioni scambiate tra cellule e molecole mediante biofotoni. La teoria dei “biofotoni”, insegnata dal fisico Franz Popp, sulle tracce di un intuizione ardita del russo Gurwitsch circa 70 anni fa, offre una interpretazione del fatto che l’evento biologico primario alla base della vita e anche delle alterazioni che portano alla malattia, è un evento fisico di natura informazionale e quindi elettromagnetica. Ancora, sono stati realizzati scanner per il magnetocardiogramma, cioè la registrazione grafica del campo magnetico generato dall’attività elettrica del miocardio.

Il benessere e la vita sono il risultato di un equilibrio, la malattia è invece l’evento conseguente di uno squilibrio in questo complesso sistema di interazioni energetiche. L’essere vivente è un “sistema energetico” immerso in un ambiente di complesse forze e di campi, ben diverso da quello naturale nel quale l’antica tradizione orientale si è sviluppata; anche per questo molti rimedi tradizionali orientali oggi non riescono ad ottenere il risultato atteso risultando decontestualizzati in un ambiente moderno, inquinato chimicamente ed energeticamente. La salute risulta essere un fenomeno multidimensionale, che implica aspetti fisici, o più propriamente biologici, psicologici e sociali interdipendenti. Il concetto di salute non si identifica, tout court, con l’assenza di malattia: esistono differenti livelli di benessere e spesso la salute include anche la malattia. Infatti, la malattia non è aprioristicamente un male, ma una situazione transitoria che può favorire il benessere stesso. Il rapporto tra salute e malattia può essere quindi rappresentato come equilibrio dinamico, che rivaluta la tendenza naturale dell’organismo a passare da stati di equilibrio a stati di equilibrio: ciò in corrispondenza con le diverse fasi e con i cambiamenti della vita.

In questo stato di salute, inteso come benessere condizionato da processi interagenti, il campo di ricerca si allarga dalle discipline dell’area medica a tutte le scienze implicate nello studio della vita. L’auspicata e, credo, inevitabile evoluzione della medicina occidentale, potrà far tesoro della

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sapienza antica orientale per affrontare in maniera adeguata, e soprattutto integrata, le nuove interazioni dei sistemi viventi in un ambiente fisico e socio-culturale profondamente mutato.

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