Il cuore secondo la teoria degli zang fu: generalità, sindromi e trattamento con piante cinesi ed occidentali e dietetica energetica

Carlo Di Stanislao*, Rosa Brotzu** e Maurizio Corradin**

“Nel vero amore è l’anima che abbraccia il corpo”

Freidrich Wilhlem Nietzsche

 

“In questo mondo è importante non aver l’aria di ciò che si è”

André Gide

Riassunto: In breve si definisce il ruolo attribuito al Cuore in Medicina Tradizionale Cinese e si esaminano le caratteristiche delle principali sindromi da Vuoto, Pieno e Complesse, individuando e descrivendo i trattamenti fitoterapici (con piante cinesi e occidentali) e quelli dietetici. Una ampia panoramica dei principi e delle precauzioni d’uso è fornita per molti rimedi della erboristeria cinese.

Parole chiave: Cuore, fitoterapia, dietetica

 

Summary: In short the role attributed to the Heart in Chinese Traditional Medicine is defined and the characteristics of the main syndromes from Empty, Full and Complex are taken an examination, characterizing and describing to the phytotherapic treatments (with Chinese and Western plants) and those dietetic ones. One wide panoramic of the principles and the precautions of use is supplied for many remedies of the Chinese pharmacology.

Key words: Heart, phytotherapy, dietetic.

Secondo la teoria degli Zang Fu, il Cuore è definito da tre diversi ideogrammi che si legano a nozioni e funzioni differenti:

– Xin (Cuore Centro, Cuore Sovrano, deposito dello Shen , ideogramma Ricci 1990)

– Xin Zhu (Cuore pompa, apparato cardiocircolatorio)

– Xin Bao (Lao) (Busta d’equilibrio fra Energia e Sangue, forse piccola circolazione o circolazione polmonare)

Il Cuore regge lo Shen (ideogramma Ricci 4317), governa il Sangue ed i Vasi, s’apre alla lingua (she), il suo secreto è il sudore (han) ed il suo stato  s’esprime a livello del colorito del viso (ma). Le Enciclopedie Mediche della Cina attuale  affermano che il cuore regola il sistema nervoso  centrale, soprattutto sul versante psichico ed emotivo e l’apparato circolatorio ed ancora sottolineano che i due termini Xin Zhu e Xin Bao hanno a che vedere con il Ministro del Cuore (definito Pericardio) ma, tuttavia, essi sono connessi, in patologia, con manie, insonnia, delirio, oltre che con palpitazioni ed angina. Il Sowen al cap. 8 definisce il Ministro del Cuore Tan Zhong ed afferma che esso “ha l’incarico degli agenti in sede ed in missione, emana allegria e gioia”. Secondo vari commentatori il Ministro del Cuore ha il ruolo di diffondere ovunque la presenza misteriosa e vivificatrice del Cuore e dei suoi Spiriti, tramite tutte le circolazioni che sono comandate dal Triplice Riscaldatore Superiore: Yin e Yang, Sangue e Soffi, nutrizione e difesa.

Sempre lo stesso capitolo del Sowen ci dice che Xin, invece,  ha la carica di Signore (Jiun) e di maestro (Zhu) ed emana lo splendore degli Spiriti (Shen). Il sovrano comunica con il Cielo e con i suoi Spiriti. In lui vi è contemporaneamente la comunicazione con il Cielo e l’ esercizio del potere.  Zhan Zhong Jing, poi, ci avverte che, il pensiero eccessivo provoca apprensione e l’apprensione danneggia il Cuore (Xin). Il Cuore (Xin)  danneggiato dà origine ad una perdita dello spirito e lo spirito danneggiato provoca spavento e paura.

 

In patologia il Cuore può essere interessato sia da turbe da Pieno (shi) che da forme da Vuoto (xu), oltre a dar luogo, in molti casi, a situazioni complesse che lo vedono coinvolto con il Polmone, il Rene e la Milza. Le forme da Vuoto sono caratterizzate da:   astenia, pallore, voce debole, traspirazione diurna, dispnea da sforzo, capogiri, vertigini, cefalea, turbe visive, lingua pallida e polso vuoto. Le cause possono essere malattie debilitanti acute e croniche, affaticamento fisico, psichico o sessuale, carenze alimentari qualitative e quantitative, numerose gravidanze o gravidanze ravvicinate, vecchiaia, sedentarietà estrema. Spesso alla base vi è una carenza costituzionale di energia ancestrale (jing e yuan qi).

 

Vuoto di Qi e di Yang

Sono considerate fasi di differente gravità appartenenti alla medesima nosografia. Tali condizioni sono causate dall’età, da disequilibri (quali-quantitativi) alimentari o strapazzi fisici. I sintomi sono: palpitazioni associate a senso di vuoto interno o di paura, dispnea da sforzo, oppressione toracica, dolore al cuore, arti freddi (soprattutto mani), lingua pallida, polso debole e vuoto. A volte polso annodato o rapido e irregolare. Aggravamento con lo sforzo e la posizione sdraiata. In erboristeria tradizionale occorre scaldare lo Yang e tonificare il Qi (wen xin yang bu qi).  I rimedi principali sono:

– radix Aconiti carmicaeli (Fuzi): ranuncolacea tossica per la presenza di aconitina che determina arresto cardiorespiratorio da ipertono colinergico). Il rimedio è inserito fra i rimedi che riscaldano l’interno e scacciano il freddo (wenli quhan yao). Ricordiamo che l’Aconito è la più tossica fra le ranuncolacee e, pertanto, se ne sconsiglia l’impiego. L’aconitina è un potentissimo veleno che agisce anche a piccolissime dosi di 5-6 mg; se ingerito colpisce il cuore, il sistema nervoso centrale e periferico. L’avvelenamento è molto rapido e si manifesta con parestesie diffuse in tutto il corpo, vomito, diarrea, shock, depressione respiratoria.

– rhizoma Zinziberis officinalis (Gangjiang): inserito anch’esso nei wenli quhan yao, controindicato in gravidanza, nelle emorraggie e nei vuoto di yin con segni di calore. Contiene dall’1 al 3% di olio volatile con gingerone, fellantrene, canfene, cineolo, borneolo ed una sostanza non volatile, detta gingerolo (massa giallastra sciropposa di sapore amaro ed aspro).

radice di Aconito – fuzi

 

 

 

Ha dimostrate azioni toniche ed eupeptiche. La Formula più in uso è: Yang Xing Tang (Decotto per nutrire il Cuore)  che si compone di Angelica chinensis radix (Danggui), Rehmannia glutinosa radix praeparata (Shu Di Huang), Rehmannia glutinosa radix (Sheng Di Huang), sclerotium Poriae cocos (Fushen), radix Ginseng (Renshen), radix Ophiopogonis (Maimendong), semen Zyzyphi spinosae (Suanzaoren), semen Biotae (Baiziren), fructus Schizandrae (Wuweizi), radix Glycyrrhizae (Gangcao). Il primo rimedio tonifica il sangue, il secondo lo yin, il terzo chiarifica il calore. Fushen e Renshen tonificano il Qi e sedano il Cuore, mentre Maimendong tonifica lo yin di Cuore e di  Polmone (da cui deriva la circolazione del Qi), mentre gli ultimi tre sono fortemente attivi in senso psichico (soprattutto Suanzaoren e Baiziren sulla coppia Hun-Shen). La Scuola di Nanjing prevede l’impiego, al posto di Shu e Sheng Di Huang, di tue tonici del Qi e dello yang: Cinnammomum cassia radix (Rougui) e Atragalus membranaceus radix (Huangqi). Inoltre aggiunge anche rhizoma Ligustici wallichii (Chuangxiong) che muove il Qi ed il sangue. Questo principio, che nell’olio volatile contiene ligustrina, cnidium-lattone ed acido ferulico, è dotato di azione antispastica, sedativa, ipotensiva e vasodilatatoria (sopratutto sulle arterie coronarie). Nei casi più severi di vuoto di yang si aggiungono cortex Eucommiae (Duzhong) e semen Cuscutae (Tusizi). Comunque è sempre corretto tonificare assieme yin e yang per un maggior equilibrio. In Fitoterapia Energetica con principi occidentali potremo dare piante vasoattive (vasocostrittori periferici), tanniche e ricche di glicosidi cardiaci: Hamamelis virginiana e Stellaria media. In dietetica si usano tonici incisivi come grano, latte, cavolo e carota, oltre ad eliminare o ridurre cibi freddi e crudi.

 

Vuoto di Yin e di Sangue

Soprattutto le malattie croniche, le emorragie e le troppe preoccupazioni causano questo tipo di Vuoto. Si hanno palpitazioni, agitazione mentale, insonnia, grande emotività, iperonirismo. La lingua è rossa e con poco induito o rossa e secca. Il polso sottile (xin) e rapido (shuo). Il trattamento prevede di nutrire lo yin del Cuore (yang xin yin) e calmare la mente (an xin shen). Pianta attiva sulla nutrizione e tonificazione dello yin del Cuore (bu yin xin yao) è l’ Ophiopogonis jaoponici tuber (Maimendong, Foto 2) che è una Lilacea che tonifica lo yin ed umidifica il Polmone, ma è controindicata nei deficit di Milza e Stomaco.

 

tubero di Ophiopogon – Maimendong

È dolce, lievemente amara e fresca e si può dare in assoluta tranquillità.  Viene così chiamata perché “non deperisce in inverno” (men significa frumento e men dong non deperire in inverno). Contiene una saponina steroidea detta ophiopogonine, isoflavoinidi, glucosio, fruttosio ed inulina. Svolge azione bechica, espettorante, diuretica e cardiotonica. Svolge nei ratti azione antinfiammatoria, è ipoglicemizzante ed antibatterica (Staphylococcus aureus, Escherichia coli e Salmonella tiphy). Altro utilissimo rimedio è la radix Polygalae tenuifoliae (Yuanzhi), che è amara e tiepida, agisce su Cuore, Polmone e Fegato, rinvigorisce il sangue e calma la mente, è contenuta in molte formule tradizionali di largo uso, ma può interagire con fentoinici ed altri armaci analoghi. Altre piante che possono sostenere e tonificare il sangue di Cuore sono: Angelica chinensis radix (Danggui) e Rehmannia glutinosa radix praeparata (Shu Di Huang). Detta anche Angelica anomala la radice contiene un olio volatile con fellandrene dotato di azione analgesica. Svolge azione antispastica e tonico-stimolante. Come altre Apiacee della stessa famiglia ha azione ipnoinducente e tranquillizzante. La Rehmannia glutinosa radix preaparata (Shu Dihuang) agisce su Cuore, Fegato e Rene ed è una Scrophulariacea già descritta nelle Enciclopedie classiche (Sheng Nun Ben Cao Jing, 500 d.C.) come rimedio di prima qualità che controlla e nutre il sangue e migliora lo yin. Svolge vigorosa azione emostatica, cardiotonica, diuretica ed ipoglicemizzante. Svolge azione vasodilante sistemica (sopratutto cardiaca e renale; prof. Yuan Shiun Chang, Illinois University of Chicago). Il principio attivo più interessante (eteroside eterociclico) e’ definito “catalpol”. Contiene inoltre vari glicidi (stachioso, D-glucosio, succrosio e D-fruttosio), mannitolo, bestasitosterolo e vitamina A. La Formula più in uso è Tian Wang Bu Xin Dan (Formula dell’Imperatore Celeste per Nutrire il Cuore) estratta dal testo She Sheng Mi Pou, (Indagini segrete per ottenere la salute). Si compone di radix Rehmanniae (Shen Di Huang), radix Scrophulariae (Xuanshen), radix Ophipogonis (Maimendong), radix Asparagi (Tianmendong), radix Salviae meltiorrhizae (Danshen), radix Angelicae chinensis (Danggui), sclerotium Poriae (Fuling) semen Biotae (Baiziren) radix Polygalae (Yuanzi) semen Zyzyphi spinosae (Suanzaoren), fructus Schizandrae (Wuweizi) radix Platycodi (Jiegeng) radix Codonopsis pilosulae (Dangshen). I primi quattro rimedi tonificano lo yin. Danshen (Salvia) muove il sangue, dangui (Angelica chinesis) lo nutre e lo muove ed insieme i due rimedi sedano lo Shen (il mentale) e rinforzano l’azione psicoattiva di Baiziren, Suanzaoren e Wuweizi. Sedativi sono anche Fuling e (Poria cocos sclerotium) e Dangshen (radix Codonopsis)  che tonificano anche il Qi (assieme al sangue). Infine l’azione dei principi e’ indirizzata verso il cuore (al Jiao Superiore) da Jiegeng (radix Platycodi) che funziona da “cavaliere”.  Va infine detto che la radix Polygolae per alcuni è solo sedativa, per altri (Hu Lie, Nanjing) tonifica anche lo yin (bu yin yao) di Cuore. Gli studi scientifico compendiati da E. Massarani, anche se datati,  dimostrano che la radice de Polygola tenuifolia (vista prima e detta anche Bozzolina cinese) contiene due diverse saponine glicosidiche amare (senergina ed acido poligalo) con azione cardiotonica e di incremento della filtrazione renale. Invece in studi di altri ricercatori (University of Illinois, China Medical College of Taipei) svolge un’azione sulla psiche e sulla capacità di concentrazione. Infine gli oncologi tradizionali cinesi (Jia Kun, 1980-1985) affermano che è in grado di rimuovere le neoplasie. Interessante e’ qui esaminare l’azione di Dangshen, Fuling, Wuweizi e Danshen sotto il profilo farmacologico. La Salvia milthiorriza svolge azione reonormalizzante ed antiradicalica con spiccato trospismo per il SNC. in corso di ictus sperimentale. Ha azione estrogenica meno incisiva della Salvia officinalis.Inoltre svolge azione bradicardizzante, coronarodilatatrice e riduce la richiesta di ossigeno da parte del miocardio. Svolge una incisiva azione antiaggregante e si è dimostrata efficace nel corso di coagulopatia intravasale disseminata. Con Angelica Danggui, Rehmannia praeparata ed Akebia trifoliata cura le dismenoree con sindrome premestruale. Con Polygonum multiflora, cornu Cervi parvi, Ligustichum wallichii ed Euphorbia longan è indicata in tutta la patologia vascolare (ipertensione, sindrome ischemica cardiaca, ipercoagulabilità, insufficienza cerebrovascolare, sindrome di Neri e Leiu-Barré, ecc.). Lo sclerotio di Poria svolge debole azione gastroprotettiva ed ipoglicemizzante, vigorosa azione tonica ed assieme sedativa. Si tratta di un fungo della famiglia Polyporacee che parassita la radice di molte Pinacee. Fuling significa “cuore del Pino” poiché si riteneva, anticamente, che fosse una resina legata o trasudata dal cuore della pianta. Ancora oggi l’uso tradizionale lo considera rimedio dolce e neutro, attivo su Polmone, Milza, Stomaco e Reni, diuretico, rinfrescante, sedativo. Gli studi farmacologici  e sperimentali dimostrano che la ricchezza in polisaccaridi ed ergasterolo deterina azione nutritiva ed anabolizzante, mentre sono sopratutto gli acidi organici tumulosico, eburicoico e pachimico ad avere azione diuretica e tranquilizzante.  L’iperina, inoltre, ha azione stomacica ed antinevralgica. Dangshen (che si chiama anche con i toponimi Lung Dan, Tai Dang, Mien Dang, Foto 3) è una Campanulacea (C. nervosa, C. pilosula, C. clematidea) dal sapore dolce e dalla natura calda e tiepida, che si indirizza verso il Polmone e la Milza, tonifica il Qi ed aumenta i fluidi corpoei.

radice di Codonopsis – Dangshen

Molti medici cinesi la usano come sostituto del Ginseng perché meno eccitante e di più basso costo. Nelle sindromi da vuoto di energia con secchezza e debolezza digestiva o nel caso di affaticamento con sete e molta fame Dangshen è il rimedio d’elezione. Come potenza tonica sul Qi la successione (secondo Zuo Yang Fu, vicedirettore del College of Traditional Chinese Medicine di Nanjing) è la seguente: Renshen,  Huangqi, Dangshen, Gancao. Nei vuoti di Qi non disturbi mentali è il principio d’elezione. Studi farmacologici cinesi, statunitensi e taiwanesi dimostrano che contiene alcaloidi, saponine, proteine, tiamina, riboflavina ed amidi. Svolge azione sedativa, emopoietica, ipotensiva e tranquollizzante (inibisce il rilascio di ormoni dalla midollare del surrene). Wuweizi è il frutto maturo della Schizandra chinensis (settentrionale o Bei wuweizi o meridianale detto Nan wuweizi, Foto 4)), dal sapore acido (aspro) e dalla natura calda (in verità la polpa è dolce, la scorza aspra, il gheriglio piccante, amaro e sopratutto salato). Si dirige verso Polmone e Stomaco, tonifica i fluidi e lo yin, aiuta i reni, tratta la diarrea, conserva il jing. Contiene olio volatile, vari acidi (citrico, ascorbico, malico, tartarico, protocateutico, fumarico) e dei principi peculiari detti gommina A e schizandrina. Stimola il SNC, aumenta la capacita’ di attenzione e svolge ruolo ansiolitico. Svolge inoltre vigorosa azione cardiotonica.

 

frutti di Schizandra – Wuweizi

 

 

Nel Vuoto di Sangue ce chi consiglia Si Wu Tang (Decotto delle 4 sostanze (estratto dal Tai Ping Hui Min He Ji Ju Fang, Formulario della Grazia Imperiale dell’epoca Tai Ping) con  principi che tonificano il sangue (Dangui e Shudihuang e Baishao)  ed altri che muovono il sangue (Ligustucum wallachii Chuanxiong). Nei vuoti combinati di energia e sangue e di yin (con aritmie cardiache, tachicardie, cardiopatia reumatica, stenoinsufficienza valvolare, astenia, lingua pallida con patina sottile, polso intermittente, vuoto e rapito) si usa la formula (molto enfatizzata anche da aluni AA) Zhi Gan Cao Tang (Decotto di Glycyrrhiza praeparata, originaria dell’antichissimo Shang Han Lun di Zhang Zhong Jin) con Glychyrriza (Gancao) e Ginseng (Renshen)  che tonificano il qi ed attivano la circolazione di energia e sangue; colla corri Asini (Ejiao), Shengdi (radix Rehmanniae) e Maimendong (radix Ophipogonis) che tonificano lo yin ed il sangue; Guizi (ramulus Cinnammomi) che scalda lo yang e muove il sangue ed infine Dazao (fructus Ziziphi jujubae) e Shenjiang (rizhoma Zinziberis recens) che tonificano il TR-medio e fanno produrre sia energia che sangue. In caso, invece, di vuoto di sangue ed energia (palpitazioni, testa vuota, vista offuscata, affanno, respiro corto, scarso appetito, feci molli, lingua pallida con patina sottile e bianca, polso fine e debole o grande e vuoto, si usa Ba Zhen Tang (Decotto degli Otto Tesori, estratto dal Ji Sheng Fang, Formulario dell’Aiuto alla vita) composto da Si Wu Tang (vedi sopra) più Si Jun Zi Tang (con i tonici del qi Renshen Fuling, Gancao e Baizhu). Alcune scuole aggiungono, come per Zhi Gancao Tang Shenjiang e Dazao. Sotto il profilo farmacologico vanno analizzati sia La Glycyrrhiza uralensis sia la radix Panax Ginseng. Gancao è ricco di saponine (dal 6 al 14%) fra cui l’acido glicirretico, l’acido glabrico, il 18-beta ed il 28 idrossiglicirretico, flavonoidi ed aminoicaidi, oltre che di glucosio, saccarosio, mannitolo, ecc. Svolge azione cortison-like per aumento del tempo endogeno di cortisolo, riduce l’acidità gastrica, ha azione antinfiammatoria (acido glicirretico), detossicante (grazie alla glicirrizina), espettorante e mucolitica e tonificante il sistema immunitario. Il Ginseng contiene lo 0.05% di olii essenziali, zuccheri semplici (mono e di o trisaccardi), vitamine del complesso B, colina, betasisterolo e beta-sisteryl-glucoside, ma sopratutto saponine note come gensonidi. Non meno di 50 lavori sono stati rubricati dalla letteratura internazionale dal 1990 al 1995 ed elencati sulla monografia Dispense di Fitoterapia Scientifica. Stimola il sistema nervoso aumentando la trasduzione del segnale e il passaggio sinaptico degli impulsi nervosi. Riduce il senso di fatica muscolare ed è eccitante. Fa contrarre la diuresi ed incremente la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. Stimola l’emopioiesi con azione midollare ed ha una riconosciuta azione antiallergica ed ipoglicemizzante. Intressante e’ il rimedio Guizi (ramulus Cinnamomium) che oltre a liberare la supericie (diaforetico, antipiritico poiché fresco e piccante) possiede aldeide cinnamica (o cinnamaldeide) che nei ratti ha effetto sedativo e tranquilizzante, oltre che reonormalizzante. In Fitoterapia Energetica con principi Occidentali si possono usare Angelica archangelica, Urtica urens e Salvia officinalis. In Dietetica Latte di mucca, grano, mais., frumento, miele, uova, giuggiola.

Passiamo ora ad esaminare le forme da Pieno, ricordando che esse necessitano, per un radicale trattamento, di combinazioni terapeutiche con tecniche sia esterne (agopuntura, tuina) che interne (piante, dieta, ecc.).

 

Cuore Yang depresso dal Flegma

La condizione di si deve a difetti alimentari e di vita (orario dei pasti, preoccupazioni, affaticamento). Il flegma si accumula nel torace (xiong) e determina blocco dello yang e del qi di cuore. I sintomi più frequenti sono palpitazione con senso di oppressione toracica, vertigini, nausea, vomito, anoressia. La lingua è umidità o con induito bianco più o meno appiccicoso. il polso è teso e scivoloso. Il principio di trattamento consiste nell’eliminare il flegma (yin) e rimuovere la ritenzione di liquidi (speso il volto e’ gonfio come nelle ins. cardiache destre acute). La formula più in uso è Dan Tan Tang che deriva dalla decozione classica contro la ritenzione di fluidi: Er Chen Tang (decotto dei due vecchi). La formula è tratta dal classico Tai pin hui min he ji ju fang (Formula della grazia imperiale dell’era Tai pin, 907-960 d.C.) e si compone di 4 rimedi: Pinelliae ternata rhizoma (Banxia), piericarpium Citri reticulatae (Chenpi), sclerotium Poria cocos (Fuling) e Glycyrrhiza urlensis radix (Gancao). A volte si aggiungono fructus Mume (Wumei) e Zinziber recens rhizoma (shenjiang). La formula trasforma le mucosità, ha effetto bechico ed antiemetico, regolarizza lo stomaco. Banxia è rimedio molto vigoroso ma anche tossico a causa di un alcaloide, simile alla coinina, ad azione sedativa ed antispasmodica. Molto usata la formula è Dan Tan Tang, che si compone di Er Chen Tang base (senza aggiunte) con in piu Ziziber recens rhizoma,  Citrus arantium pericarpum (Zishi) e rhizoma Arisaematis (Tiannanxing) che dissipa l’umidità ed il vento ed apre gli orifizi del cervello e del cuore (arresta le convulsioni). Ricordiamo che l’Arisema thunbergii è dotata di attività analgesiche ed antispasmodiche, è ricca di saponine, acido benzoico ed  amido e fresca è molto tossica (se cotta perde la sua tossicità). Le sue proprieta’ analgesiche e sedative sono rinforzate dalla cottura in bile di manzo. Si possono anche impiegare formule che contengono principi che eliminano l’umidita’ con azione diretta sul cuore (Fuling g 5, Akebia Mutong g 5), rimedi che dissipa l’umidità agendo sulla milza (Atractylodes macrocephala rhizoma Baizhu g 5; Gancao g 5) altri che aprono gli orifizi del Cuore poiche’ aromatici ( Acorus raminei rhizoma Shichangpu g 7 e Magnolia officinalis Houpo g 3), rimedi che muovo in qi e regolarizzano il TR-medio (pericarpium Citri reticulatae Chenpi g 10) ed infini principi che scaldano o tonificano lo yang di Cuore come Zinziber off. rhizoma recens (Shenjiang) g 3. La Magnolia officinalis (o medicinale) si coltiva sopratutto nella Cina centrale. La corteccia e’ di sapore amaro e contiene una droga ad azione mioparalizzante di tipo curarico. In fitoterapia occidentale si possono usare:  Crysanthellum americanum, Passiflora incarnata, Angelica arcanghelica, Fumaria officinalis, Carum carvi, Gentiana lutea. In dietetica,  elimare latte e latticini, cibi troppo conditi, grassi o speziati,  elimare gli arrosti ed i fritti e dare carne di pecora (anche latte di questo animale), lumaca e tuorlo d’uovo. Utile il grano, il formaggio di soja, le alghe e gli asparagi. Utile la carne di anatra che fa circolare i liquidi e riduce i tan ed il tè (sopratutto verde) che elimina i tan calore. Eliminare tutti gli alimenti che aumentano i liquidi interni: pera, olive, pomodori, albicocche, giuggiole, limone, pesca e noce, carne di maiale.  Naturalmente è proibito l’eccesso di alcolici, il caffè ed il fumo.

Invasione da parte del Flegma Fuoco

Si deve soprattutto  a turbe psichiche depressive in fase avanzata con stasi di Qi, sviluppo di fuoco e consunzione dei liquidi. Si avranno palpitazioni intermittenti con estrema agitazione, insonnia, manie, fasi disforiche. La lingua sarà di colorito rosso scuro, oppure  secca e con fenditure (sopratutto alla punta). I polsi si presentano rapidi (shuo) e scivolosi (hua). Il trattamento precede di chiarificare il cuore (qingxin) risolvere il flegma e ridurre il fuoco. Le piante che riducono il fuoco del cuore e chiarificano il calore (qingxinhuo) sono:

– Coptis chinensis rhizoma (Huanglian, Foto 5), amara e fredda, attiva su Cuore, Fegato, Stomaco e Grosso Intestino, capace di spegnere il fuoco del cuore ma anche di scacciare l’umidità. È controindicata nelle deblezze gastriche con nausea e vomito e nei vuoti di yin  o nel caso di freddo allo stomaco. Poco usata per l’alto costo è sovente sostituita da Huhuanglian (rhizoma Picorrhizae). Questa ranuncolacea (usata anche in India ed i Giappone dove si impiega la varità jiaponica Makino) è dotata di vari alcaloidi (coptisina, worenina e berberina) con azione antiflogistica, stomacico-digestiva ed antidissenterica.

 

rhizoma di Coptis chinensis, – Huanglian

–  Gardenia jiasminoidis fructus (Zhizi, Foto 6), frutto essiccato di una Rubiacea che elimina il calore e l’umidità dai “tre riscaldatori”. È amara e fredda ed agisce su Polmone, Fegato, Stomaco e Cuore. è antipiretico, antitterico, antidiarroico e decongestionante oculare. E’ controindicato per diarrea e feci malformate con deficit di milza. A dosaggi superiori ai 12 g o per lunghi periodi di tempo può risultare principio tossico. Si usa in Giappone ed a Taiwan anche come antipiretico ed emostatico. Per uso esterno la polvere mescolata con bianco d’uovo svolge un buon ruolo risolvente sugli ematomi post-traumatici. Contiene vari alcaloidi come gardenina, cronica e clorogenina.  È anche ricco di acido tannico e mannitolo.

 

frutti di Gardenia Zhizi

– I rimedi che aprono gli orifizi del Cuore (turbe psichice e difficoltà di concentrazione) sono per lo più aromatici e portano il suffisso (xiang: odore, profumo). Si definiscono Fanxiang Kaiqiao Yao (rimedi profumati che aprono gli orifici del cuore). Il più utilizzato è il secretio Muschus moschiferus (Shexiang, Foto 7), rimedio derivante dal secreto di ghiandole ferormoniche del cervo maschio, piccante e tiepido, attivo su Cuore, Milza e Fegato. È molto costoso e sovente usata per via inalatorio o, in caso di angina acuta, sublinguale. È’ fortemente abortivo (quindi controindicato in gravidanza). Altro rimedio “xiang” attivo sugli “orifizi del cuore” e’ la resina di Dryobalonops aromatica o albero della Canfora del Borneo-Longnaoxiang, Foto 8-, piccante ed amaro, di sapore fresco, che agisce su Cuore, Milza e Polmone, con azione sedativa, antipiretica e coronarodilatatrice. Altri rimedi profumati che penetrano le mucosità ma non sono molto incisi sul Cuore sono Saussurea lappa-Muxiang- e Agastache rugosa-Huoxiang-.Si usano anche, ma soprattutto per il circolo periferico e la cute, la resina Olibani (Ruxiang) e la resina Myrrae (Moyao). Entranbe sono piccanti, amare e tiepide ed attive su Cuore, Fegato e Milza-Pancreas, ma Ruxiang fa circolare sopratutto il Qi, Moyao fa invece circolare il sangue. Gli altri rimedi sono rhizoma Acori graminei (Shicangpu) che costa poco ed e’ molto indicato nel purificare il calore e calculus Bovis (Niuhuang) (calcolo biliare di bue domestico) che non viene consigliato per ovvi motivi microbiologici e medico-legali. In Cina si usa il prodotto pronto Shexiang Bing Pian con 0.5 g. di secretio Muschus muschifera. Shicangpu (Acori graminei, detto anche Chang-Pu o Canpu) si appende in Cina, Giappone e Taiwan durante la festa del dragone per allontanare gli spiriti malvagi o cattivi. Anche l’Acarus calamus rhizoma (essiccato, detto più propriamente Shicanpu) contiene sopratutto olii essenziali (come altri rimedi piccanti e caldi) con eugenolo, metileugenolo, calamene, calameone ed acorone. L’olio volatile riduce l’attività spontanea dei topi e seda il SNC. Aumenta la circolazione sanguigna ed ha effetto analgesico, miorilassante, ipersecretivo gastrico e diuretico.

Gli altri rimedi sono rhizoma Acori graminei (Shicangpu) che costa poco ed e’ molto indicato nel purificare il calore e calculus Bovis (Niuhuang) (calcolo biliare di bue domestico) che non viene consigliato per ovvi motivi microbiologici e medico-legali.

 

Ghiandole secretorie di Muschus, Shexian

In Cina si usa il prodotto pronto Shexiang Bing Pian con 0.5 g. di secretio Muschus muschifera. Shicangpu (Acori graminei, detto anche Chang-Pu o Canpu) si appende in Cina, Giappone e Taiwan durante la festa del dragone per allontanare gli spiriti malvagi o cattivi. Anche l’Acarus calamus rhizoma (essiccato, detto più propriamente Shicanpu) contiene sopratutto olii essenziali (come altri rimedi piccanti e caldi) con eugenolo, metileugenolo, calamene, calameone ed acorone. L’olio volatile riduce l’attività spontanea dei topi e seda il SNC. Aumenta la circolazione sanguigna ed ha effetto analgesico, miorilassante, ipersecretivo gastrico e diuretico.

La formulazione consigliata è Meng Shi Gun Tan Wan con radix et rhizoma Rhei (Dahuang) che evacua il calore verso il basso (xiexiayao), detossicando e drenando anche l’umidità (si tratta di un purgante drastico controindicato in gravidanza e durante l’allattamento e, tradizinalmente, in caso di vuoto di energia e sangue o freddo e vuoto di milza e pancreas), Scutellaria baicalensis radix (Huangqin), Labiata amara e fredda che purifica il calore e spegne il fuoco al Riscaldatore Superiore (ma è controindicata se vi sono segni di calore vuoto al pomone), Chlorite o Cloruro di Mercurio (Qingfen, rimedio minerale piccante, freddo e tossico usato come dissipante l’umidità e che riduce il calore e l’umidità al Cuore) e Aquilaria agalloca lignum resinatum (Chenxiang) rimedio aromatico dal sapore amaro-piccante e di natura tiepida che dissipa le mucosità del torace e non ha controindicazioni. In caso di semplice ostruzione degli orifizi del cuore da parte dei catarri i sintomi saranno parole senza senso, turbe mnemoniche, non riconoscimento delle persone note, palpitazioni, lipotimie e svenimenti improvvisi. Mancano i segni di calore (sete, lingua rossa e secca, ecc.). La lingua mostra induito abbondante e bianco ed il polso è profondo (chen), teso (xian) e scivoloso (hua). In questi casi si usa la formula Su He Xiang Wan con Atractylodes macrocephala rhizoma (Baizhu), Aristolochia debilis fructus (Mudouling) che elimina i catarri dal TR-Superiore, Cyperus rotundus (Xiangfu) che fa circolare il qi, Solfuro di mercurio (Zhusha) molto tossico e da evitare, Santalum album lignum (Tanxiang) aromatico, piccante e tiepido e fa circolare il qi (shuqi), Styrax benjoin (Anxixiang) che apre gli orifizi e fa circolare sangue ed energia, Aquilaria lignum resinatum (chenxiang) vista sopra, Syzygium aromaticum flos (Dingxiang, il fiore di garofano, una Myrtacea) che cura il controcorrente, rinforza lo yang, tratta il Rene e riscalda il TR-medio, Muschus muschiferus (Shexiang) rimedio aromatico ad azione elettiva sl cuore (vedi sopra), Piper longum fructus (Bibo) dal sapore piccante e dalla natura calda che rinforza la zona mediana e dissipa il freddo,  Dryobalonps aromatica. resina (rimedio aromatico come Shexiang esaminato prima), Liquidambar aromaticum (o taiwaniana) fructus (Lulutong) che sblocca i meridiani ed i collaterali dissipando vento ed umidità e Boswella carterii resina (Ruxiang) che riduce l’umidità attiva la circolazione del sangue e favorisce la circolazione (assieme all’Angelica chinesis radix, il Cyperus rotundus, la Salvia melthiorriza e la Corydalis Yanhusuo combatte tutte le algie post-truamatiche; le pillole pronte si chiamano Xing Xiao Wan e sono citate nel testo moderno He Ju Ji Fang. Importanti, in questa sindrome, sono anche i rimedi che sedano lo Shen (an shen yao) e che si dividono in calmanti pesanti (zhongzhen) e rimedi che nutrono il cuore (yangxin). In generale, i primi sono minerali, tossici o difficili da digerire i secondi vegetali e molto più maneggevoli. Le nostre ricerche ed osservazioni  ci fanno assolutamente escludere (tossicità acuta e cronica anche di tipo mortale o fortemente invalidante) Zhusha (Cinnabarsi, solfuro rosso di mercurio) anche combinanto allo Zenzero (che ne aumenta la digeribilità). Difficili da digerire, freddi e tossici a lungo andare sono altri due rimedi animali:

– os Dragonis (Longgu) (dovrebbe essere composto da ossa fossili di antichi mammiferi, ma oggi si usano ossa di cani e gatti). Ricco di carbonato di calcio è antiipertensivo, sedativo e contro incubi ed insonnia. Riduce i sanguinamenti uterini. È controindicato nelle sindromi da calore ed umidità.  Contiene dal 46 all’82% di carbonato di calcio, inoltre fosfato di calcio, diosiddo di silicio, ossido di magnesio e fosforo, ossido di sodio e di potassio, oltre a vari acidi organic come il borneolo, l’acido acetico, l’aido proprionico ed il valerico. Ha dimostrate azioni sedative, emostatiche, antinfiammatorie ed astringenti. Ed in grado di causare  dispepsia ipostenica, stipisi, ipertono vagale (bradicardia, ipotensione, broncospasmo).

– conca Ostreae (Muli) conchiglie tritate (attive su Fegato e Rene  e quindi su Hun e Zhi), usate come antineoplastici (studi anche sul Kaposi non AIDS correlato), controindicato nelle pienezze interne di freddo. Il rimedio ha dimostrato azioni antipertensive, normalizzanti la frequenza ed il ritmo cardiaco e anticefalgiche. Poiché contiene (varieta revularis) il 70-75% di carbonato di calcio è molto usato per le osteopenie o le ipocalcemie delle donne in gravidanza, ma anche è molto difficile da digerire, causando dispepsie come il precedente.

Altri interessanti rimedi come forti sedativi sono:

– ossido Ferrosoferrico (Magnetite), si tratta di un comune minerale piccante e freddo, attivo sul Rene e sul Fegato, sedativo (placa Zhi ed Hun) e tonico del sangue e del Rene. Si usa sopratutto se vi sono isteria, insonnia e disturbi auricolari (vertigo, ronzii).

Ambra (Hupo, Foto 9), si tratta dell’ambra grigia, concrezione grigiastra e grassosa (o cerea) dell’intestino posteriore dei copodogli, molto profumata (odore muschiato), derivante dalla degradazione di cefalopodi che sono il principale alimento delle balene. Il rimedio, che è ricco i acidi grassi polinsaturi di tipo omega-3, i qualli si oppongono alla lipeoperossidazione, apre gli orifizi del cuore e calma le convulsioni. Associata ad Angelica Danggui, Curcuma zedoaria, Peonia lactiflora e Renshen in polvere cura le angine e svolge una vigorosa azione coronarodilatatrice (la formula detiva dal classico Ling Yuan Fang).

 

Ambra grigia, Hupo

Invece i rimedi che “nutrono il Cuore” sono vegetali, molto maneggevoli e privi di gravi effetti collaterali anche se usata per lunghi periodi di tempo. Si usano negli eccessi di fuoco di Cuore e nei vuoti di energia e sangue di Cuore e trattano nevrosi, isteria, insonnia, neurastenia e somatizzazioni cardiocircolatorie. Vediamo i più importanti:

 

– Ziziphus jujuba (spinosa) semen (Suanzaoren) è una Rhamnacea acida-dolce e neutra, attiva su Cuore e Fegato, capace di calmare lo Shen, nutrire il Fegato ed il Cuore (lo yin) e ridurre la traspirazione. Già descritta come rimedio di alto livello nell’Enciclopedia Shennong Bencao Jing (V sec a. C.) il suo nome significa giuggiola acerba e contiene varie saponine (giugioboside A,B,.C,) acidi grassi (stearico, miristico, oleiico, palmitolico, linoleico) ed inoltre acido betulino e betulenico. Il principio attivo più interessante è il Giuggioboside B ad effetto sedativo e calmante (i semi freschi ne contengono maggiormente di quelli essiccati),ipotensiva con vasodilatazione periferica, miorilassanti e di inbizione sinaptica ransitoria. Sembra dotata di azione miolitica uterina ed è quindi pericolosa in gravidanza. Con Anemarrhena asfeloides (Zhimu) e Poria cocos (Fuling) forma il decotto Suanzaoren Tang che cura insonnia, agitazione ed ansietà da vuoto di yin di Fegato e Cuore con turba di Hun e di Shen.

Biota orientalis semen (Baiziren, Foto 10) è una Pinacea dolce e neutra che si dirige al Cuore, al Rene ed al Grosso Intestino, tranquillizza lo spirito, nutre il cuore, lubrifica l’intestino e favorisce la eliminazione delle feci. Non è dotata di tossicità e se ne possono dare fino a 18 g al dì. Mancano studi farmacologici accurati sui principi attivi e la loro specifica azione.

 

Biota orientalis – cebaiye

 

– Triticum aestivum (Xiaomai) dolce e neutro, capace di nutrire il cuore con azione carditonica e sedativa. Cura l’insonnia e l’ipertensione e favorisce (sopratutto i grani immaturi) la digestione riducendo il senso di pienezza da alimenti. Può causare sindrome orale allergica o bruciore in bocca nei portatori di allergia alle graminacee.

– Polygola tenuifolia (Yuanzhi) già vista sopra, che tonifica lo yin di Rene, Core e Polmone, svolge azione espettorante ed elimina l’eccesso di flegma e ripienezza al petto dei fumatori. Studi sperimentali dimostrano che e’ ricca di principi irritanti mucosali.

Autori europei  inseriscono fra i sedativi che “nutrono il cuore” (buxinyao) anche:

– radix Polygoni multiflora (Yejiateng), o falsa gramigna,  di sapore dolce e natura neutra, che si dirige al Cuore ed al Fegato, calma lo spirito, tonifica il cuore, dissipa il vento e sblocca i canali ed i collaterali . Gli studi farmacologici dimostrano che contiene alte concentrazioni di tannino, un derivato dell’antrochinone, un olio essenziale volatile, un alcaloide etero detto avicularina, quercitina ed infine rutina. Svolge dimostrate azione diuretiche, antielmintiche ed antidiarroiche, astringenti e, per uso esterno, emollienti ed antipruriginose. Si è mostrato attivo (per uso esterno) sull’ulcera venerea.

– cortex et flos Albitiae julibrissin (Hehuan) una  leguminosa dolce e neutra, nota come mimosa rosa o falsa mimosa, molto coltivata in Cina, India, Giappone, Iran ed Etiopia. È  attiva sullo yin di Cuore e Fegato, attiva sullo Shen, sul sangue e sulle cute e con spiccate funzioni digestive. Sopratutto la corteccia è ricca di tannini  e saponine, amara e pungente, tonica e stimolante, antielminta e cicatrizzante.

 

In Fitoterapia Occidentale si possono impiegare come principi sedativi Cratageus oxyacanta, Passiflora incarnata, Valeriana officinalis,  Matricaria camomilla, Melilotus officinalis. Y. Requena magnifica  il cosidetto “infuso dei cinque fiori” composto (secondo la ricetta di Isabella d’Ungheria) di Bianscopino, Meliloto, Tilia, Valeriana e Biancospino (eretismo psichico ed insonnia ribelle).  Fra il 1990 ed il 1995 abbiamo potuto dimostrare l’effetto positivo di due infusioni di cinque piante ciascuna:

– per forte conponente ansiosa con agitazione, sensazione penosa di attesa, paurosità: radice di Valeriana rossa, fiori e foglie di Biancospino, parte aerea di Passiflora, fiore di Citrus arantium amaro, pianta fresca intera di Escholtia californica;

– in caso di depressione, tristezza, melanconia foglie di Rosmarino, radice di Eleutherococco, foglie di Melissa, sommità di Hypericum perforatum (grano saraceno), seme di Trigonella foenum grecum, e polvere di Renshen (può indurre fotodermatosi, anemie emolitiche ed insonnia).

Se vi sono catarri e fuoco dare in combinazione Salix alba e Crysanthellum americanum (estratto secco 1,5/3 g die).

Gli alimenti che sedano lo Shen sono lattuga, grano ed arancia sia dolce che amara. Per aprire gli orifizi del Cuore (kaiqiaoxin) usare carne di pecora, latte di pecora, tuorlo d’uovo e ruta graveolens (come spezia).

 

Stasi di Sangue di Cuore

Si deve o a deficit di Qi e di yang (strapazzi fisici ed errori dietetici) o a ristagno di catarri (turbe psichiche o alimentazione errata). Determina stasi secondaria nei vasi e nei meridiani con palpitazione, oppressione toracica, angina, dolori intermittenti come una pugnalata, parestesie, sudurazione, pallore, ipotensione, lipotimie. La lingua è rosso scura, a volte porpora con vari “spots”. Il polso è rugoso ed annodato. Il principio terapeutico si propone di: attivare la circolazione, disperdere la fissità e rimuovere la stasi. La formula più in uso è Xue Fu Zhu Yu Tang (decotto per rimuore la stasi di sangue nel torace) composto da semen Persicae (Taoren, con glicosidi cianogeni potenzialmente tossici), flos Carthami (Honghua, controindicato in gravidanza), Angelica chinensi radix (Danggui), rhizoma Ligustici wallichii (Chuanxiong), radix Paenia rubra (Chishao, può avere vigorosa azione anticoagulante ed e’ abortiva), radix Achyranthes bidentata (Nuixi, tossica ad alti dosaggi), radix Bupleuri (Chaihu), radix Platycodi (Jiegeng), fructus Citri (Xiangyuan), radix Rehmanniae (Shengdihuang), radix Glycyrrhizae (Gancao). L’Achyrantis radix (Niuxi, Foto 11) (o anche il suo omologo e sostituto Ciuatula chinensis) è di sapore amaro ed aspro, di natura neutra (amaro e dolce la Ciatula) con meridiani destinatari il Fegato ed il Rene. Sblocca la stasi del sangue e diuretica, tonifica fegato e reni e, preparato con vino, ha azione sui tendini. Cura i disturbi urinari ed agisce come diuretico, antidolorifico ed antispastico (inibisce la peristalsi intestinale), ipotensivo (per vasodilatazione però di breve durata) ed antiallergico.

Sopratutto la Cyathula capitata è ticotonica ed aumenta frequenza e forza di contrazione uterina. I principi più attivi sono saponine con acido oleanico come aglicone, fitosteroli (betasistosterolo-glucoside) ad azione vigorosamente ormonale, acido gammanibutirrico (ad azione eccitante sul SNC), succinati, ossalati e betaina (ad azione sulla peristalsi intestinale).

 

Achyrantis pianta e radici, Niuxi

La Cyathula contiene inoltre cyasterone ad azione sulla muscolatura liscia uterina. Meno incisiva appare la formula Taohong Si Wu Tang (Si Wu Tang che tonifica il sangue piu’ Honghua e Taoren: incisa più in sede pelvica che toracica). Ancora più attiva nelle problematiche di stasi di sangue del sesso femminile e la Leonorus cardiaca (Yi Nu Cao) alle dosi di 10-30 g, imperatore della formula Yimucao Gao (una delle principali in campo ginecologico). Il prof. Hu Lie ed Eric Marie ricordano che la radix Curcumae longae (Yujin), pianta piccante, amara e fresca, attiva su Cuore, fegato e V.B., svolge azione antistenocardica ed antianginosa. Inoltre regolarizza la VB e riduce l’ittero. Quindi a dosi di 5-10 g può essere utilizzato nelle tachiaritmie da spina irritativa colecistica. Nel decotto Si Jing Tan (detto dei Quattro Ori) si combina con Jin Qiao Cao, Hai Jin Sha e Jin Nei Jin e compone un principio contro le colelitiasi da calore ed umidità. In caso di deficit di yin e di sangue (grande emotività, ipertensione, incubi, insonnia, tachicardie ad alta frequenza) ce chi consiglia Tian Wang Bu Xin Dan. Nel caso di liberazione di fuoco (volto arrossato, delirio, estrema agitazione, afte buccolinguali, sete, tachicardia, ipertensione) si impiega (secondo le Scuole di Canton e Xian) la formula Dao Chi San (polvere per condurre in basso il fuoco del Cuore) con radix  Rehmanniae (Shengdihuang), caulis Akebiae trifoliate (Mutong), rhizoma Coptis (Huanglian) e folium Phillostachis (Zhuye). Quest’ultimo rimedio (che non è altro che il bambù) contiene silice, idrato di potassio, ossido di alluminio, ossido di ferro e calcio, con azione sedativa (agisce sulla corea minor), antipiretica ed antispastica. Va qui ricordato che, in definitiva, la stasi di sangue con depressione dello yang e sopratutto con catarri determina la maggior parte dei disturbi cardiaci di tipo ischemico. Sul J. Trad. Chin. Med voll 12 e 13 del 1992 e 13 del 1993 sono stati prodotti una serie di studi clinici su decotti cinesi nelle diverse sindromi cardiache. Le conclusioni dei gruppi di lavoro della Zhenjian Accademy of TCM di Hangzhou, dello Xijuan Hospital di Beijing e della Chinese Medicine and Pharmacy e che bisogna distinguere le forme con vuoto di qi e yang (con sindrome del nodo seno-atriale, bradicardia sinusale, miocardite, miocardosi) dalle forme con catarro e stasi del sangue (angina, infarto, ipertensione). Nel caso di deficit dello yang si usa la nuova formulazione  Fu Ben Zeng Mai Tang che deriva dalla classica Si Ni Tang (decotto dei 4 arti freddi, tratto dallo Shang Han Lun e composto da radix Aconiti Fuzi, rizhoma Zinziberis Gangjiang e radix Glycyrrhizae Gancao) con l’aggiunta di Astragali seu Hedysary rhizoma (Huangqi), ramulus Cinnamomi (Rougui), radix Ligustici (Chuanxiong), radix Angelicae sinensis (Danggui), fructus Psoraleae (Buguzi) e  herba Asari (Xixin). Quest’ultimo principio (così chiamato perchédotato di piccolissime radici) e’ piccante e caldo e scalda polmoni, fegato e reni, togliendo al contempo i fluidi (shui) accumulati. Contiene un olio essenziale ricco di principi aromatici (quindi diaforetici e vasodilatatori) come mentolo, alfa-pinene, metil-eugenolo, eucarvone, safrolo. Si usa in generale per il flemma del petto (tosse con dispnea e catarri fluidi) e per le sinusiti con rinorrea fluida e chiara.  Nei casi di stasi di sangue e catarri si usano combinazioni di varie formule fra cui Shen Fu Tang, Zhen Wu Tang, Wu Ling San, Wu Pi Yin, Bao Yuan Tang, Shen Ce Tang e Ting Li da Zao Xie Fei Tang che danno, tuttavia,  minori risultati. Torniamo ora alle generalità della sindrome. In fitoterapia occidentale daremo: Angelica Archangelica, Stellaria medi, Cratageugus oxyacantha e Salvia officinalis. In  dietetica evitare i cibi o troppo freddi o acidi o salati. Dare i cibi caldi, tiepidi e piccanti. Sono utili il grano, il cavolo ed il latte (a meno della presenza di catarri).

Passiamo ora alle “forme complesse”, molto frequenti in geriatria, cardiologia, ematologia, pneumologia e nelle turbe psichiche più gravi e persistenti.

 

Deficit di Milza e Cuore

Si definisce anche deficit di Qi di milza e sangue di cuore. Le turbe psichiche protratte ed il superlavoro ne possono essere alla base. La diagnosi differenziale deve comprendere il deficit generale di energia e sangue. La faccia e’ smorta, opaca, giallognola. Si hanno palpitazioni aggravate dallo sforzo, astenia psicofisica, anoressia, respiro corto, foce flebile, assenza di volontà, scarsa memoria, insonnia, disturbi del sonno, molti sogni ed incubi, mestruazioni irregolari e scarse e decolorate. Il polso e’ sottile, la lingua pallida con induito bianco. Bisogna tonificare il qi ed il sangue di Cuore e Milza. La formula in uso in tutta la Cina è Gui Pi Tang (Decotto per rinforzare la Milza) tratta dal testo Ji Sheng Fang (Formule per salvare la vita). In essa Renshen, Baizhu, Huangqi e Gancao tonificano i rinvigoriscono il qi fortificando la Milza, Danggui e Longyuanrou (Arillus longgan) nutrono il sangue, Suanzaoren svolge azione sedativa ed anidrotica, Yuanzhi (radix Polygalae) e Fuling fortificano il Cuore e calmano la mente, Dazao (fructus Ziziphi jujube) e Shengjiang tonificano la milza e fanno produrre energia e sangue, infene Muxiang (radix Aucklandiae) promuove la circolazione dell’energia ed evita i ristagni da prodotti tonici. L’Astragalo cinese (Foto 12) è una pianta erbacea che cresce nel Nord della Cina in Mongolia ed in Manciuria, che ha dimostrato su modelli sperimentali animali vigorosa azione immunomodulante (incremento linfociti T helper 1 e 2 e Natural Killer). Ha anche azione diuretica (ma se ne sconosce il principio responsabile). Dopo il Ginseng si considera il più poderoso tonico del Qi .  Siccome determina incremento nella sintesi delle IgE, va evitato negli atopici. In fitoterapia occidentale daremo Fumaria e Angelica assieme e in dietetica carne di bue, cereali, uva, melone, cocomero, licio, evitando gli alimenti tiepidi e freddi.

 

radici di Astragalo cinese – Huangqi

 

Vuoto di Qi di Polmone e Cuore

Si hanno palpitazioni con senso di paura o di caduta, dispnea, tosse cronica, asma o respiro asmatiforme, oppressione toracica, faccia pallida. Il polso e’ sottile e debole la lingua rosa o rosso chiaro. Molte cardiopatie reumatiche, vizi valvolari o forme di COPD rientrano in questo gruppo. Il principio di trattamento consiste nel tonificare (bu) il Qi, nutrire (yang) il Cuore, tonificare il Rene e produrre i liquidi (che sono una riserva di energia). La prescrizione dei tre Collegi riuniti (Nanjing, Shanghai, Beijing) è Sheng Mai San (Polvere per produrre il polso). La formula è contenuta nel testo Nei Wai Shang Bian Huo Lun (Chiarificazione dei dubbi inerenti le patologie da cause esterne ed interne) e rinforza il qi (sopratutto lo yin) e trattiene i liquidi. Si compone di Renshen (radix Ginseng), Maimendong (radix Ophiopogonis) e Wuweizi (fructus Schisandrae). In fitoterapia occidentale si usano, in combinazione, Pulmonaria e Stellaria media, in dietetica alimenti dolci e piccanti, evitando quelli freddi e crudi.

Vuoto di Cuore e Rene

Detta anche Cuore e Rene non comunicano o Vuoto di Yin di Rene e Cuore o anche conflitto fra Acqua e Fuoco. Gli AA moderni cinesi (Lie, Yangfu, Fei, ecc.) parlano di disarmonia fra Cuore e Rene. L’eccessiva attività mentale, le delusioni ne sono la causa principale (ma anche, ad esempio le diete troppo rigide). Molte forme di nevrosi cardiaca, tachicardia semplice o da ipertiroidismo, ipertensione idiopatica o nefrovascolare o nefroparenchimale, rientrano in questo gruppo. I sintomi sono ansia, agitazione, papitazioni, aritmie ad alta frequenza, poca memoria (anterograda e retrograda), vertigini, sete, gola secca, tinnitus, debolezza e dolore ai lombi ed alle ginocchia, incubi, iperonirismo, difficoltà all’addormentamento, sudorazione calda notturna. Il polso è sottile (xi) e rapido (shuo), la lingua (she) rossa e secca o, spesso, con  incisure sul rafe mediano, Il trattamento si attua armonizzando il Cuore ed il Rene, nutrendo lo yin e abbassando il calore. Alcuni AA fanno ricorso a Tian wang bu xin dan, ma sia la scuola di Canton che quelle di Hong Kong e Nanjing indicano la formula Huanglian Ejiao Tang.  Per nostra esperienza la formula “Dell’Imperatore Celeste” aggiunta a Long dan xie gan tang (o wan), o con aggiunta solo di Huanglian (rhizoma Coptis, g 9 in decotto) è eccellente per curare la sindrome, senza dover ricorrere a rimedi animali come Ejiao. In fitoterapia occidentale si impiegano Achillea e Passiflora e in dietetica pesce, carne rossa, evitando di dare alimenti riscaldandi e proibendo alcolici, fumo e caffè o altri nervini.

 

 

Indirizzo per chiarimenti

Carlo Di Stanislao

mailto: amsaaq@tin.it; c.distanislao@agopuntura.org

 

 

 

 

 

 




Il 2016: anno della scimmia, Fuoco Yang

Carlo Di Stanislao*

“Verrà un giorno in cui l’uomo rinnegherà ogni attività con noi così come noi oggi rinneghiamo ogni affinità con le scimmie”Khalil Gibran

 

Con un colpo di coda nefasto di cui tutti abbiamo visto gli effetti, lo Scorpione ha chiuso il 2015, anno cinese della Capra e, dal 9 febbraio a dominare il nuovo anno sarà la Scimmia, il Re Mono, che balza da un ramo all’altro, spericolatamente,  come un trapezista, re singolare ed unico, imprevedibile nelle sue decisioni, carattere instabile poiché è molto irascibile, che cambia molto rapidamente sia nelle emozioni che nelle passioni, che può creare qualcosa di buono, ma può anche immediatamente distruggerlo. La Scimmia dona la sua simpatia e i suoi doni ai forti, a chi non ha paura degli ostacoli Il simbolo principale del 2016 è l’elemento del Fuoco, che è un ciclo quinquennale degli elementi – Fuoco, Acqua, Aria, Legno, Metallo,  dominati rispettivamente da Giove, Marte, Saturno, Venere e Mercurio. Il Fuoco è un elemento forte, va gestito con delicatezza e con attenzione, in questo caso, esso porterà il meglio di ciò che possiede, a chi va dritto verso il suo obbiettivo, il suo sogno, lasciando indietro le paure e i dubbi. Tuttavia, se ci si lascia prendere  troppo dal gioco di spontaneità, si otterranno da un lato scaltrezza, dall’altro  vanagloria e amoralità. Se si reagisce in modo eccessivo, la curiosità, la prontezza d’ingegno, l’intelligenza e la fiducia in se stessi si trasformeranno in egoismo, alterigia e avidità. La politica, la diplomazia, l’alta finanza e gli affari giocheranno a poker, ognuno di essi cercando di bleffare. Saranno tempi divertenti e emozionanti e se alla Scimmia piace giocare, ognuno avrà la sua occasione per sfidare la sorte. I colori principali del 2016 sono tutti quelli collegati con il Fuoco – rosso, arancione e tutte le sfumature di questi colori. Le pietre-talismano di quest’anno sono caratterizzate da tutte le sfumature di rosso e cioè rubino, granate, opale. Si possono includere anche tutte le pietre (di qui l’origine associata con l’elemento del Fuoco) come il vetro vulcanico ossidiana e l’ambra.  Circa gli effetti bioclimatologici su natura ed uomo, il Libro XIX cap 66 del Sowen ricorda che la presidenza celeste è generata da Shao Yang, mentre il cap 71 del libro XX ci ricorda che e la risposta terrestre è legata a Jue Yin. Disperdere il Calore e tonificare i Meridiani di Fegato e Ministro del Cuore saranno gli scopi preventivi sia delle tecniche esterne (agopuntura, tuina, coppette, guasha), che interne (dietetica e farmacologica, qi gong e meditazione). Sempre il Sowen al libro 21, cap. 71, ci ricorda che vil fuoco in eccesso può fondere il metallo e saranno frequenti dermopatie suppurative, ostruzioni nasali, epistassi, tosse, asma, dispnea, febbri intermittenti ed edema dei piedi, per la cattiva relazione fra Polmone e Rene. Punto principe dell’anno, da usare in ogni caso e per stimolazioni lunghe (7 cicli respiratori), sarà il 9SP (Sowen, cap. 72, libro 21). il cui nome è Yin Ling Quang, collocato sul bordo posteriore della tibia dove essa si allarga a formare il piatto tibiale e sulla linea orizzontale che passa per il punto GB 34. Per combattere l’eccesso di calore usare alimenti e tisane amare e tiepide. Per curare e prevenire le malattie da calore, vuoto di sangue, vuoto di yin (molto frequenti in questo anno), si consigliano alimenti come i fiori di crisantemo, il caprifoglio, la menta, il sedano, tutti i tè verdi non fermentati, i tè che contengono anche fiori e quello semifermentato Oolong ed anche il tè bianco perché vengono utilizzate i germogli ancora piccoli e quindi freschi. Utili anche le lumache ed il granchio.

Per ridurre il Calore si useranno soprattutto Zhi Zi Dou Chi Tang a base di Gardenia; Zhu Ye Shi Gao Tang a base di Gypsum fibrosum e Bai Hu Tang. Sempre il  Sowen al libro 21, capitolo 71, avverte che l’invenso sarà freddo e piovoso e la primavera tarda e scarna di vegetazione. In Inverno, quindi, usare molto le moxe ed i punti attivi sullo Yang (23BL, 6CV, 36ST, 10LI, 67BL, 8TB), in primavera tonificare il Fegato con aghi e moxe sul punto di tonificazione 8LR (Ququan), che si localizza medialmente all’articolazione del ginocchio a ginocchio flesso, sopra la piega trasversa poplitea, posteriormente al condilo mediale della tibia, anteriormente all’inserzione di muscoli semitendinoso e semimenbranoso. Per espellere il Freddo in Inverno si useranno le formule Cong Chi Tang e Xiang Su San a base di Cyperus e Perillia. Se il freddo è penetrato in profondità Jiu Wei Qiang Huo Tang, il cui rimedio principale è il Notopterygium. Per aiutare il Fegato in Primavera sarà utile Xiao Chai Hu Tang  a base di Blupeurum. In fitoterapia energetica con rimedi occidentali, per proteggere il Polmone dal Fuoco usare Malva sylvestris, Mentha piperita, Juglans regia, Urtica urens. Ricordiamo che in pericolo è il Metallo, quindi il Polmone ed il Grosso Intestino. Quest’ultimo appartiene al TR-Inferiore e ha, su polso, occhio e lingua, le stesse proiezioni del Polmone. Nei denti ai molari e premolari superiore destri. Controlla le gengive delle arcate superiori. Turbe del Ministero controllo dei Cammini e delle Trasmissioni: incoordinazione, andatura dinoccolata, turbe neurologiche, intolleranza al latte e ai latticini, alvo alterno. Foeniculum vulgaris, Carum carvi e Tymus vulgaris. Secchezza nel Grosso Intestino: Malva sylvestris.Umidità e Calore nel Grosso Intestino: Geranium odorantissimum.

 

Letture consigliate

– Bonanomi F.: Introduzione al pensiero e alla medicina classica cinese, Ed. Bellavite, Milano, 2012.

– Derek W.: Il libro completo dell’astrologia cinese, Ed. Gremese, Milano, 2004.

– Di Stanislaao C., Paoluzzi L.: Phytos, Ed. Morphema, 2014.

– Husson A.: Huandi Di Nei King Sowen, Ed. ASMAF, 1974.

– Junying H., Huang W., Ren T. and Ma X.: Pratical Tradicional Chinese & Pharmacology, Herbal Formulas, New Word Press, Beijing, 1991.

– Paoluzzi L., Deodato F., Di Stanislao C.: La dieta per tutti, Ed. Morphema, 2015.

– Reid P.: Chinese Herbal Medicine, CFW PublicazionsLimited, Hong Kong, 1987

– Simongini E., Bultrini L.: Le Lezioni di Jeffrey Yuen – Volume XI (doppio). Il Su Wen, Ed. XCentro Studi Xinshu, Roma, 2012.

–  Starck M.: Guarire con l’astrologia.

–  Corrispondenze astrologiche e sistemi di cura naturali, Ed. Il Punto D’Incontro, Roma, 2000.

 

Indirizzo per chiarimenti

Carlo Di Stanislao

mailto:carlo.distanislao@gmail.com; amsaaaq@tin.it

 




I Commentari della Cina di Padre Matteo Ricci, Cap X, di varie sette che nella Cina sono intorno alla religione

Matteo Ricci*

1. Primitiva religione della Cina abbastanza pura e non inferiore a quella dei Greci e dei Romani. 2. Maomettani oriundi della Persia, ora moltiplicati in parecchie migliaia di famiglie, in tutto equiparati agli altri Cinesi. 3. Ebrei ritrovati in Kaifeng e Hangchow. 4. Adoratori della Croce ritrovati; loro apostasia; loro culto della Croce; loro origine straniera. 5. Nomi cinesi delle religioni straniere. 6. Le tre sette religiose della Cina: confucianesimo, buddhismo e taoismo. 7. Il confucianesimo: sua dottrina e sua pratica. 8. Il buddhismo: dottrina, pratica, storia, culto, pagode, bonzi, bonzesse, digiunatori. 9. Il taoismo: origine, taosce, dottrina, pratiche superstiziose, capo. 10. Grande molteplicità di sette che arrivano già a più di 300. 11. Favore degli Imperatori per le tre sette. Grande moltitudine di idoli. 12. Perfetto indifferentismo religioso e ateismo della maggioranza.

 

Di tutte le gentilità venute a notitia della nostra Europa non so di nessuna che avesse manco errori intorno alle cose della religione di quello che ebbe la Cina nella sua prima antichità. Percioché ritruovo ne’ sui libri, che sempre adorono un suppremo nume, che chiamano Re del cielo, o Cielo e Terra, parendo forse a loro che il cielo e la terra erano una cosa animata, e che con il suppremo nume, come sua anima, facevano un corpo vivo. Veneravano anco varij spiriti protectori de’ monti, e de’ fiumi, e di tutte le quattro parti del mondo.

Fecero sempre molto caso di seguire in tutte le loro opere il dettame della ragione che dicevano avere ricevuta dal cielo, e mai credettero del Re del cielo e degli altri spiriti, suoi ministri, cose tanto sconcie, quanto credettero i nostri Romani, i Greci, gli Egittij et altre strane nationi. Di dove si può sperare dalla immensa bontà del Signore, che molti di quegli antichi si salvassero nella legge naturale, con quello agiuto particolare che suole Iddio porgere, a quegli che di sua parte fanno quanto possono per riceverlo. E di ciò danno assai chiaro inditio le loro croniche di quattro milia anni addietro, dove si contano le buone opere che fecero quei primi Cinesi per amore della patria, del ben pubblico et utilità del popolo. Si può anco questo cavare da molti belli libri, che restano sino a questi tempi, di quei loro philosophi antichi, pieni di moltà pietà e buoni avisi per la vita humana et acquistare le virtù, senza niente cedere ai più famosi de’ nostri philosophi antichi.

Ma conciosia che la natura corrotta, se non viene agiuatata dalla gratia divina, sempre da se stessa se ne corre al basso,  vennero poi questi miseri huomini puoco a puoco spegnendo tanto di quel primo lume et ad allargarsi in una libertà sì grande, che dicono e fanno già quanto vogliono de dritto e di torto senza nessuna paura; a talché quei che in questi tempi scappano dall’idolatria, puochi sono che non cadono nell’atheismo.

 

A questo male se ne aggiunse un altro, e fu che, con la vicinanza della Persia, per la parte di ponente, entrorno in questo regno in varij tempi molti della legge maomettana, e si moltiplicorno tanto per generatione ne’ suo figliuoli e nipoti, che già hanno impita tutta la Cina con molte migliaia di famiglie; et quasi in tutte le provincie stanno con molto sumptuose meschite, dove recitano, si circoncidono, e fanno le loro cerimonie. Ma per quello che ho saputo, loro, né seminano, né procurano di divulgare la sua legge, anzi vivono assai soggetti alle leggi della Cina et in grande ignorantia della loro setta, e sono tenuti in puoco conto da’ Cinesi. Con tutto ciò, per esser già tutti naturali, non sospettano di loro nessuna ribellione, e già li lasciano studiare et entrare ne’ gradi et magistrati del regno; e molti di loro, riceuto il grado, lasciano anco la loro antica setta, non gli restando altro di essa che il non mangiare carne di porco per non esser avvezzi a essa.

 

Ritrovassimo parimenti in questo regno, come di poi si dirà, giudei che vivono nella legge antica di Mosè; ma sono puoche famiglie, e non sappiamo avere sinagoga in altra parte che nella metropoli della provincia di Honan, detta Chaifumfù e in quella di Cechiano, detta Hanceufu. In essa guardano con grande veneratione il Pentateuco di Mosè in lettera hebraica, scritto in carta pecora, senza punti al modo antico, irrolati. Degli altri libri del Testamento Vecchio non habbiamo anco saputo quanti ne habbino. Conservano la cirimonia della circoncisione et si astengono dal mangiar porco e d’ogni carne con nervi, conforme al loro antico rito.

Puochi anni sono sapessimo di certo che vi forno anco christiani, specialmente in queste provincie settentrionali, sotto il nome di adoratori della croce, e fiorivano tanto in numero di famiglie, lettere et armi che, sessanta anni fa, i Cinesi vennero ad avere cattiva sospitione di essi, mossa forse dagli maomettani che in ogni parte sono nostri inimici. Per il che li volsero prendere; e così si nascosero tutti, facendosi alcuni turchi e giudei e la magior parte gentili, e le loro chiese furono fatte tempi de’ idoli. Et i suoi discendenti ancorché molti conservino il custume di far la croce nelle cose che mangiano e bevono, restorno con tanta paura che non vogliono confessare esser loro posteri. E nessuno vi è, né tra loro, né di altri, che sappino dare nessuna causa del fare queste croci. Ma nella loro figura chiaramente dimostrano esser figliuoli di gente forastiera nella Cina.

Né anco potessimo sinhora sapere che imagini e che lettera usavano. Solo veddi in mano di un antiquario, che vendeva cose antiche, una campanella assai galante di bronzo, in cima della quale vi era una chiesietta scolpita con una croce inanzi a essa, e all’intorno vi erano parecchie lettere greche, che pare restarebbe di quei christiani antiqui.

 

A tutti questi forastieri chiamano i Cinesi hoeihoei, del qual nome non potessimo sapere l’origine. Ai maomettani chiamano hoeihoei di tre leggi; ai giudei chiamano hoeihoei che togliono i nervi della carne che mangiano; ai christiani chiamano hoeihoei della lettera di dieci, percioché la lettera di dieci nella Cina è una croce perfetta, e qua non vi è né nome né uso della croce.

I maomettani, oltre il nome de isai, che vuol dire iesuini chiamano anco a quei christiani terzai; et uditti dire a un Armenio che nella Persia così chiamavano gli Armenij. Può ben essere che questi christiani originalmente venissero dall’Armenia.

I Cinesi non pongono in numero di leggi nessuna di queste tre, né parlano né disputano di esse ne’ loro libri.

 

E solo dicono esser nel mondo tre leggi diverse cioè: de’ letterati, di Sciechia e di Lauzu, i cui seguaci sono chiamati tausu. Et in queste tre sta divisa tutta la Cina, et i regni vicini che usano della lettera della Cina, come sono Giapponi, Coriani, Leuchiei e Cocincinesi.

 

Quella de’ letterati è la propria antica della Cina, e per questo sempre hebbe et ha oggidì il governo di essa nelle mani; per questo è quella che più fiorisce, tiene più libri et è più stimata. Questa legge pigliano loro non per elettione, ma con lo studio delle lettere la bevono, e nessuno graduato né magistrato lascia di professarla. Il suo autore o restauratore e capo è il Confuzo, del qual parlai sopra nel Cap. (V). Questa legge non tiene idoli, ma solo riverisce il Cielo e la terra o il Re del cielo, come habbiamo già detto, per parergli che governa e sostenta tutte queste cose inferiori. Riverisce anco altri spiriti, ma non gli danno tanto potere quanto danno al Signore del cielo.

I veri letterati niente parlano di quando fu creato questo mondo, né da chi, né come hebbe il suo principio. E dissi i veri letterati; percioché alcuni di puoca autorità fanno certi suoi giudicij assai frivoli e mal fundati; di che si fa puoco caso tra essi.

In questa legge si parla del castigo divino e del premio che hanno da ricevere i cattivi et i buoni; ma il più commune è pensare che ha d’essere in questa vita: o nella stessa persona degli autori del bene e del male, o ne’ suoi discendenti.

Della immortalità dell’anima pare che gli antichi dubitassero manco, anzi derono ad intendere che vivevano molti anni doppo la morte là nel cielo, ma non parlorno punto di stare alcuno nell’inferno. Solo i letterati di questo tempo estinsero a fatto l’anima doppo la morte, et non credono né paradiso né inferno nell’altra vita. Ad alcuni, parendo questo assai duro, dicono che solo l’anima de’ buoni si conserva viva, perché questi con l’essercitio delle buone opere la uniscono e fortificano; il che, non potendo fare i cattivi, usciendo essa dal corpo, dicono che si sparge et annulla.

Ma l’oppinione che adesso è più seguita, pare a me pigliata dalla setta degli idoli da cinquecento anni in qua, è che tutto questo mondo sta composto di una sola sustantia, e che il creatore di esso con il cielo e la terra, gli huomini e gli animali, alberi et herbe con i quattro elementi, tutti fanno un corpo continuo, e tutti sono membri di questo corpo; e da questa unità di sustantia cavano la charità che habbiamo d’aver gli uni con gli altri; con il che tutti gli huomini possono venire a esser simili a Dio per esser della stessa sustantia con esso lui. Il che noi procuriamo di confutare non solo con ragioni, ma anco con autorità de’ loro antichi, che assai chiaramente insegnorno assai differente dottrina.

I letterati, sebene ricognoscono questo suppremo nume del Cielo, non gli fanno però nessun tempio, né gli hanno diputato nessun luogo per adorarlo; e per il conseguente non hanno sacerdoti, né ministri della religione, né riti solenni per guardarsi da tutti, né precetti o comandamenti dati per osservare, né prelato che habbi il carico di dichiarare, promulgare la loro dottrina, o gastigare quei che fanno qualche cosa contra essa; per questo mai recitano niente né in commune né in particulare.

Anzi vogliono che a questo Re del Cielo solo il Re gli deva servire e sacrificare, e se altri lo volessero fare sarebbono gastigati come usurpatori della iurisditione regia; e per questo il Re tiene tempi assai suntuosi nelle due Corti di Pacchino e di Nanchino, del Cielo e della Terra, dove egli in persona gli soleva sacrificare, a certi tempi dell’anno; e adesso manda altri mandarini gravi, che in suo luogo faccino questo offitio, amazando per questo molti bovi e pecore, e facendo molte altre cerimonie in questi doi tempi.

Agli altri spiriti de’ monti e de’ fiumi e delle quattro parti del mondo solo sacrificano certi magistrati grandi e potentati del regno; e nessuno particulare si può mettere in questo.

I libri di questa legge sono li Quattro Libri e le Cinque Dottrine per dove imparano le loro lettere; e non vi è altra cosa di autorità se non commenti sopre questi.

La cosa più solenne tra questi letterati, et usata dal Re sino ad ogni minimo, è le offerte che ogn’anno fanno di carne, di frutte, profumi, e pezze di seta – o di carta nei più poveri –, e di profumi, ai loro antepassati già morti, in certi tempi dell’anno. Et in questo pongono la loro observantia a’ suoi parenti, cioè di «servirgli morti come se fossero vivi». Né per questo pensano che i morti venghino a mangiare le dette cose, o che habbino bisogno di esse; ma dicono far questo per non saper altro modo con che mostrino l’amore e grato animo che hanno verso di loro. E ci dissero alcuni che questa cirimonia fu instituita più per i vivi che per i morti, cioè per insegnare ai figliuoli et alla gente ignorante che honorino e servano ai loro parenti vivi, vedendo che le persone gravi sino a doppo la morte gli fanno gli offitij che gli solevano fare quando erano vivi. E conciosiacosaché né loro riconoschino in questi morti nessuna divinità, né gli chiadano, né sperino da essi niente, sta tutto questo fuori di ogni idolatria, e forse che anco si possi dire non esser nessuna superstitione, sebene serà meglio commutar questo in limosine ai poveri per le anime di tali defunti, quando saranno christiani.

Il proprio tempio de’ letterati è quello del Confuzo, che per legge se gli fa in ogni città, nel luogo che chiamiamo la scuola, molto sontuoso, al quale sta attaccato il palazzo del magistrato che governa quei che hanno già il primo grado nelle sue lettere. Nel più eminente luogo del tempio sta la statua del Confuzo, o in una tavola ben lavorata il suo nome con lettere di oro, et al suo lato le statue o i nomi di altri suoi discepoli, che pur sono tenuti per santi. Nel qual luogo tutti i novilunij e plenilunij vengono i magistrati della città con i detti graduati a fargli riverentia con le sue genuflessioni solite, e gli acendono candele e pongono incenso nel incensiero che tiene avanti l’altare. E parimente nel anniversario del suo natale e certi tempi dell’anno gli offriscono animali morti et altre cose da mangiare con molta solennità, per aggradirgli la buona doctrina che gli lasciò ne’ suoi libri, per mezzo de’ quali conseguittero i loro magistrati e gradi, senza anco recitargli nessuna oratione né chiedergli nessuna cosa, come dicessimo de’ loro morti. Hanno anco altri tempij, fatti agli spiriti protettori di quella città e del palazzo dove fanno audientia; dove anco fanno un giuramento solenne di guardare la giustitia ed administrare fedelmente il suo offitio, quando la prima volta (uno) entra in esso che qua chiamano pigliare il sigillo, e gli fanno altre offerte di carne e profumi. Ma in questi riconoscono podere di premiare e castigare. Il fine di questa legge de’ letterati è la pace e quiete del regno e buon governo delle case e de’ particolari; per le qual cose danno assai buoni avisi, tutti conformi al lume naturale et alla verità catholica. Fanno grande caso delle cinque correlationi che loro chiamano communi agli huomini: cioè di padre e figlio, di marito e moglie, di signore e vassallo, di fratello maggiore e minore, di compagno e compagno; pensando che gli altri regni forastieri non faccino caso di queste relationi.

Vietano il celibato e concedono la poligamia. Hanno molto expresso in tutti i loro libri il 2° precetto della carità, ch’è fare ad altri quello che vogliamo che gli altri ci faccino a noi. E ingrandiscono molto la obedientia de’ figliuoli a suo padre e madre, e la fideltà de’ vassalli a suoi sudditi e maggiori.

E conciosiacosaché loro né comandino, né prohibiscano niente di quello che si ha da credere delle cose dell’altra vita, e molti di loro seguono, insieme con questa sua, le altre due sette, venessimo a conchiudere che non è questa una legge formata, ma solo è propriamente una academia, insituita per il buon governo della republica. E così ben possono esser di questa academia e farsi christiani, posciaché nel suo essentiale non contiene niente contra l’essentia della Fede catholica, né la Fede catholica impedisce niente, anzi agiuta molto alla quiete e pace della repubblica, che i suoi libri pretendono. La 2a setta è quella di Sciechia e Omitofe, che nel Giappone, scrivendoli con l’istesse lettere, pronunciano Sciacca e Amidabu, e chiamano la legge degli fatochei. Questa legge venne alla Cina dalla sua parte ponentale, dal regno che chiamano Thiencio o Scinto, che adesso chiamano i nostri Industano, posto tra il Fiume Indo e Gange, et arrivò alla Cina l’anno sessantacinque doppo la venuta di Christo Nostro Signore al mondo; e scrivono che il Re stesso della Cina là mandò ambasciatori a chiederla per un sogno che aveva hauto. E hebbero da quel regno i libri della legge tradotti in lettera sinica, senza venire ad essa né Sciechia né Omitofe, che in quel tempo erano già morti. Per la qual cosa, essendo cosa certa che questa setta dalla Cina passò al Giappone, non so con che fundamento dicono là i settatori di questa setta che gl’istessi Sciechia e Omitofe furno al Giappone e che questa setta venne dal regno di Siam, per esser questo regno ben conosciuto nella Cina per assai distinto da questo, che gli stessi libri de’ pagodi chiamano Tiencio. Dal sodetto si vede che venne a questi regni questa setta nel tempo che si cominciava la predicatione del Santo Evangelio, e l’apostolo S. Bartolomeo predicava nella India Superiore, che o è l’istesso Industani, o i regni a esso contermini, e l’apostolo S. Tommaso predicava nella India Inferiore al mezzogiorno. E così si può credere che i Cinesi udissero la fama del santo Evangelio, et a questa fama mandassero a chiedere doctrina al ponente, e che, o per errore o per malitia di quei regni dove arrivorno, riportorno in luogo del Evangelio questa falsa dottrina alla Cina.

Gli autori di questa dottrina pare che hebbero notitia de’ nostri philosophi; e così parlano degli quattro elementi, di che è composto questo mondo inferiore, l’huomo e gli altri animali, piante e misti; cosa mai udita prima nella Cina. Parla della molteplicità de’ mondi di Democrito et altri philosophi. Sopra tutto divulgò per queste parti la trasmigratione delle anime di un corpo all’altro, aggiungendo alla opinione di Pittagora molte altre favole per far la loro oppinione più verisimile. E quel che è più, che pare hebbe anco notitia delle cose della christianità assai chiaramente, perché parla di un modo di trinità di tre dei che vengono ad essere un solo. Promettono il paradiso ai buoni e minacciano l’inferno ai cattivi; insegnano a patire e far penitentia; e lodano la vita del celibato, anzi pare che prohibiscono a fatto il matrimonio, e che lascino le loro case e vadino chidendo limosina poveramente in varie peregrinationi. Et hanno in molte cose grandissima combinatione con i nostri riti ecclesiastici. Il loro canto, quando recitano, pare esser propriamente il nostro canto fermo. E tengono ne’ tempij imagini e spere. Vestono i loro ministri certe cappe assai simili a quelle de’ nostri sacerdoti. Hanno nella loro dottrina in molti luoghi il nome di Tolome, che pare con il nome del Santo Apostolo volessero autorizare quello che dicevano in essa.

Ma con questo dicono tante falsità che oscurano tutta la luce che, dalla verità delle cose pigliate da noi, si potrebbe scorgere; perché confusero il cielo e la terra, il paradiso e l’inferno, insegnando che né nell’uno, né nell’altro stanno eternamente le anime, ma vengono di poi di tanti anni a rinascere in diversi mondi che loro pongono, e si possono emendare delli peccati passati; con il che fecero infinito male a questo povero regno. Prohibiscono mangiare carne o altra cosa viva; ma né tutti loro si astengono di essa, e facilmente assolvono di questo et altri peccati con limosine che gli danno, promettendo per mezzo de’ loro offitij liberare quanti vogliono dall’istesso inferno.

Questa setta fu nel principio assai bene riceuta da tutti per parlare sì chiaramente delle immortalità dell’anima e del paradiso doppo la morte.

Ma, come ben notano i loro letterati, quanto parlò più conforme alla ragione di altre sette manifestamente false, tanto magior fu il male che, con le falsitadi che insieme divulgò, fece nel popolo.

Ma quello che più gli fa perdere il credito, e che spesso rinfacciano i letterati ai seguaci di questa setta, fu che il Re et altri principi che nel principio ricevettero questa dottrina, tutti finittero la loro vita con morte violenta, e gli successero molto male tutte le cose, talché, in luogo di buona ventura che questi idoli promettono, ricevettero loro molte disgratie e calamitadi.

Da quel tempo in qua hebbe varij soccessi fiorendo o discadendo in diversi tempi, come flusso e reflusso di mare; ma sempre fu crescendo in libri che, o vennero di novo dalle stesse parti e furno voltati in lettera sinica, o, quello che pare più vero, furno fatti dagli stessi Cinesi. Con che formentorno sempre questo fuoco, senza mai si potere smorciare; anzi fecero una babilonia di dottrina tanto intricata, che non vi è chi la possa ben intendere né dichiarare.

Quello che adesso si vede degli antichi sono moltissimi tempij, e molti di loro assai suntuosi e grandi con idoli di bronzo, di legno, di marmo e di stucco, di smisurata grandezza; a’ quali tempi stanno attaccate grandissime torri di pietra e di mattoni, dove sono molte campane di bronzo e di ferro colato et altri ornamenti di grande valore.

Gli ministri di questa setta sono chiamati osciani. Vanno tutti rasi nella testa e nella barba, contra del custume della Cina; e parte di essi vanno peregrinando e chiedendo limosina per il mondo, parte stanno ne’ monti facendo penitentia: ma la magior parte, che saranno doi o tre milioni, stanno ne’ sopradetti tempi sostentati dalle rendite assegnate anticamente a tali tempij e di limosine che continuamente gli danno, o con quello che guadagnano con sua industria.

Questi ministri sono, e sono tenuti, per la più bassa e vitiosa gente della Cina: sì per la sua origine, perché tutti sono figliuoli di gente bassa e povera, che, essendo fanciulli, sono venduti da’ loro parenti ai osciani vecchi, ai quali dipoi soccedono nella rendita et offitio; sì anco per la ignorantia e mala educatione che tengono fra (i) suoi maestri. E così né sanno lettere, né politia, se non fusse alcuno di qualche ingegno che si dà allo studio e viene a sapere qualche cosa.

E, seben non hanno moglie, sono quegli che manco guardano la castità; sebene, quanto tocca a cosa di donne, lo fanno quanto più nascostamente possono, per non esser castigato dagli magistrati, che gli mettono prigioni, frustano e amazzano senza tenergli nessun rispetto, quando fanno qualche male che si possa provare in giudicio.

Questi tempij, o i conventi di questi tempij, sono divisi in varie stanze, conforme alla loro grandezza; et in ogni stanza vi è uno di quei ministri administratore perpetuo, al quale succedono i suoi discepoli, de’ quali compra egli quanti ne vuole, e può sostentare con sua rendita et industria; et in nessuno di questi conventi vi è prelato di tutti, che habbi molta autorità sopra degli altri.

In tutte queste stanze di questi tempij, per tutta la Cina e molto più nelle Corti, procurano di fare molte camere, per dare a pigione, come tra noi camere locande, a’ forastieri che vengono di altre terre; con che guadagnano molto, perché molti le pigliano e pagano molto bene. E viene adesso un grande convento  ad essere una grande hostaria con grande trafico e matinata di gente di diverse parti. Et il meno che si fa in questi luoghi è l’adoratione degli idoli, o predicare, e trattare della religione.

Con questa loro bassezza sono chiamati da molti alle essequie et offitij di morti, con che guadagnano qualche cosa. Sono ancora chiamati a certe cerimonie di dar libertà ad animali silvestri, sì volatili e terrestri, come aquatili, che gli huomini divoti di questa setta comprano vivi e dipoi li lasciano liberi, o nell’acqua, o nel campo, pensando con questo fare un’opera molto meritoria.

In questi tempi cominciò questa setta a fiorire assai, facendosi molti tempij di novo e rinovandosi i vecchi. Ma la magior parte sono donne, eunuchi e gente rude, specialmente certi huomini che chiamano ciaicuni che, stando in sue case, fanno tutta la sua vita il loro digiuno, astenendosi dalla carne e pesce, e tenendo molti idoli in sua casa, ai quali recitano ogni giorno, et alcuni vanno a recitare alla casa delli altri; con che anco guadagnano qualche limosina.

Vi sono anco donne religiose, che si radono i capelli e non pigliano marito, come osciami, che chiamano nicu, ma in comparatione degli osciani sono assai manco e non stanno molto insieme.

 

La 3a setta è di Laozu, che fu un philosopho contemporaneo di Confuzo, del quale fingono che stette ottanta anni nel ventre de sua madre prima di nascere; per questo lo chiamano Laozu che vuol dire il Filosopho vecchio. Questo né lasciò libro della sua setta, né pare che pretendesse far setta nova; ma dipoi di sua morte i suoi seguaci che chiamano tausu lo pigliorno per suo capo, fingendo varij libri, diversi delle altre sette, con molte favole dette con molto apparato.

I seguaci di questa setta, parte stanno in vari tempij, senza pigliar moglie, allo stesso modo che dicessimo degli osciani, con l’istesso modo di far discepoli de’ putti comprati, e con l’istessa autorità, dissolutione e modo di vivere, ma tengono i capelli e la barba come tutti gli altri Cinesi; solo nella testa, sopre i capelli, tengono un cappelletto di legno con che alquanto si distinguono dagli secolari. Altri sono che pigliano moglie e stanno in sue case, ma recitano per sé e per gli altri la sua dottrina.

Pretendono questi tra gli altri suoi idoli adorare anco il Signore del cielo in figura corporea.

Et in una dottrina fatta da loro stessi finsero molte cose che sono accadute, nel cielo, assai desdicevoli da quel luogo, che sarebbe fuora de mio proposito contarle qui. Solo ne dirò una di dove si potranno congetturare le altre. Et è che dicono il Re del cielo che adesso regna, esser di cognome Ciam, essendo prima un altro di cognome Leu. Questo Re Leu dicono che venne un giorno alla terra a cavallo di un dragone bianco. Et quello di cognome Ciam, che sapeva indovinare le cose future, gli fece un pasto e l’invitò a sua casa; e mentre il Re Leu stava mangiando, nascostamente cavalcò nel dragone bianco e se ne fu al cielo occupando il regno celeste. Laonde, ritornando poi là il Re Leu, ritrovò il suo regno occupato e non potè entrare in esso; solo ottenne dal novo Re Ciam di esse presidente di un monte qua nella Cina, dove se ne sta privato della sua antica dignità. Di modo che quello che questi adesso adorano, confessano loro stessi avere con inganno usurpato il cielo.

Sopre questo Re vi è un altro ternario di numi, uno de’ quali è Laozu che fanno autore di questa setta.

Ambedue queste sette finsero il suo ternario, accioché si vegga chiaro esser il padre della bugia autore di tutte queste, il quale non ha anco lasciato la superba pretensione di voler essere simile al suo Creatore.

Questa setta parla anco del paradiso, che promette a’ suoi, et anco dell’inferno dove vanno i malfattori. Ma sono differenti nel modo di parlare dalla setta di Sciechia; perciocché questi promettono far ire i suoi al paradiso in anima et in corpo, e ne’ suoi tempij tengono le figure di alcuni che finsero essere  di questa guisa volati su nel cielo. A questo fine insegnano fare varij essercitij, sedendo in varie foggie, dicendo certe orationi, e bevendo anco medicine, con le quali, e con l’agiuto de’ loro santi, possono conseguire il vivere eternamente nel cielo, o almeno molti anni in questo mondo. Con essere di queste cose facili a vedere la vanità e bugia, è tanta l’ingordagine che hanno i Cinesi di viver lungo tempo nelle delitie di questo mondo, che molti sono quei che si lasciano persuadere esser cosa possibile, e vivono sino alla morte in questo inganno, facendo tanto fantastichi essercitij, che con essi, molti anco accelerano la morte.

Il proprio offitio di questi tansu è scongiurare i demonij e cacciarli fuora delle case dove si sentono apparire; e fanno questo di doi modi. L’uno è dare certe figure bruttissime degli stessi demonij per attaccare nelle case, dove si sente o si teme avere qualche spirito immondo; con le quali figure, stampate e pinte in carta gialla con inchiostro nero, guadagnano molto. L’altro è l’andare loro stessi a scongiurare e purificare le case; e fanno questo con spada nella mano e con tante grita e strilli che paiono essi gli stessi demonij.

Un altro offitio a loro proprio è chiedere pioggia nel tempo di siccità, e serenità nel tempo di molta pioggia, e impedire le inondationi di acque et altri infortunij pubblichi e particolari. E se loro facessero quello che promettono senza nessuna vergogna, si potrebbe dare qualche scusa a quelli che li chiamano; ma essendo tanto bugiardi in tutto quello che promettono, non so che scusa se gli possa dare.

Pare che alcuni di loro sanno, o seppero, arte magica; se non vogliamo dire che tutto quello che contano di questi huomini è pura bugia.

Risiedono negli tempij del Cielo e della Terra, e sono agiutanti ne’ sacrifici che il Re fa in persona o fanno altri da sua parte, con che guadagnano molta autorità; e loro fanno la musica di questa cappella con tutti gli instrumenti musici della Cina, che, sonati tutti insieme, fanno una grande disconsonantia alle nostre orecchie.

Sono chiamati anco a essequie et offitij de’ morti, e vanno a essi vestiti con le sue cappe molto pretiose, sonando sempre flauti et altri simili instromenti.

Sono anco chiamati a certe processioni, che fanno per santificare le case nove o cacciare di qualche strada ogni spirito immondo, che sogliono in molti luoghi fare li capi delle strade ogn’anno, hora in una strada, hora in altra, alle spese di tutti i vicini.

Questa setta tiene per superiore uno di cognome Ciam, che tiene questa dignità hereditaria de’ suoi antepassati da più di mille anni in qua; e pare che hebbe origine da un negromante che stava in una grotta di un monte nella provincia di Chiansi, dove anco habitano adesso i suoi posteri, et par che insegnò poi quest’arte ai suoi figliuoli, secondo le cose che contano di essi per molte generationi.

Questo superiore sta il più delle volte in Pachino, et è molto stimato dal Re, che lo fa entrare dentro del suo palazzo, e gli benedice le sue case nove o dove hanno paura di qualche spirito. Va per la città con sedia aperta e con lo stato che vanno i magiori mandarini della Corte, con assai buona rendita che il Re gli dà. Ma ci disse un christiano che questi di adesso sono tanto ignoranti, che né pure i sacriligi incantamenti de’ suoi maggiori sanno fare.

Non tiene questo nessun  podere nel popolo, ma solo sopre i suoi tausu, e sopra i loro tempij di quali egli è il suppremo prelato. Molti di questi tausu, intendendo nella falsa regola di viver sempre, vengono a mettersi parimenti nella alchimistica, che è assai annessa alla precedente, seguendo l’essempio de’ suoi santi, che dicono di aver saputa e l’una e l’altra.

 

Questi sono i tre capi originali e principali di questa gentilità. Ma non si contenta con questi il demonio; perché ognuno di essi sta multiplicato per tanti tempi e maestri in altri moltissimi; e così, sebene il nome è di tre, nella realità sono più di trecento le sette di questo regno, et ogni giorno vanno pullulando altre nove, sempre indo di male in peggio, con più corrotti custumi, pretendendo tutti i novi maestri dar magior larghezza di vivere.

 

L’autore di questa casa che adesso regna nella Cina, pretendendo aggradare a tutti, lasciò legge che tutte le tre leggi si conservassero nella Cina per agiuto del regno, dando a tutte i suoi privilegij, con tanto che le due fossero soggette a quella de’ letterati, che aveva da governare la Cina, e per questo nessuno tratta di estinguere nessuna di esse.

Il Re della Cina ordinariamente fa caso e si agiuta di tutte, renovando i tempij di essi et alle volte facendo altri novi.

Le sue Regine sono più divote de’ pagodi e gli fanno molte limosine, sostentando fuora del palazzo molti ministri di ambedue le sette, accioché preghino per loro.

Quello che difficilmente si può credere è la multitudine degli idoli che sono in  questo regno, non solo dentro de’ tempij, che stanno pieni di essi, perché in alcuni ve ne sono fatti molte migliaia di essi, ma anco nelle case de’ particolari ve ne sono assai, in un luogo dedicato a questo; nelle piazze e nelle strade, ne’ monti, nelle barche e ne’ palazzi pubblici non si vede altra cosa che questa abominatione. Sebene nel vero puochi sono che credono molto nissuna cosa che di essi si conta, e solo pensano che, se non fanno bene, almanco non gli può fare nessun male il venerarli esteriormente.

 

La più commune opinione di adesso e de quei che credono esser più savij, è dire che tutte queste tre sette è una stessa cosa, e tutte se possono guardare insieme, con il che ingannano a se stessi et agli altri con grandissimo disordine, parendo a loro che in questa materia di religione, quanto più modi di dire vi sono, tanto più utilità apporta al regno. Et al fine tutto gli riesce il contrario di quello che pretendono; perché, volendo seguire tutte le leggi, vengono a restare senza nessuna, per non seguire nessuna di cuore.

E così altri chiaramente confessando la loro incredulità, altri ingannati dalla falsa persuasione di credere, vengono la magior parte di questa gente a stare nel profundo dell’atheismo.

 




Mitologie diluviane cinesi

Carlo Moiraghi*

Ad introdurre la mitologia diluviana cinese conviene citare la leggenda cosmogonica di Panggu, il primo uomo.

All’albore del tempo Cielo e Terra già esistevano, ma riuniti nell’unico spazio allora presente e nella loro totale unione concepirono il figlio, Panggu, che nacque dall’uovo del cosmo.

Padre e madre e figlio ora vivevano uniti nell’unico spazio presente e stretto e pressato dai genitori celesti fu l’uomo, Panggu, a spingere il padre lassù in Cielo e la madre in Terra, dove ancora risiedono. In questo sforzo il corpo di Panggu si disfece e piovve sulla terra, dove le gocce del suo corpo si trasformarono nei  diecimila viventi.

Una rilettura di questa leggenda cinese in chiave di soglia diluviana fra la quarta e la quinta epoca umana ne evidenza gli importanti segnali.

 

Yu                                                                                                         L’eroe salvatore del mondo cinese fu Yu il Grande che, illuminato e protetto dai poteri animici della natura, riconobbe infatti l’importanza delle caratteristiche naturali del territorio cinese quali unica sicura protezione dall’incombente alluvione.                                                                                 Yu venne infatti in possesso dell’Hongfan, il Libro della grande regola, e l’uomo potè quindi adeguare l’ordine della natura all’immane alluvione. Le immagini dell’ordine celeste, Loshu, e dell’ordine terrestre, Hotu, emersero dalle acque.                                                                                       La prima figura magica, lo Scritto del fiume,  fu portata in dono a Yu dalla Grande tartaruga, la Madre di tutte le tartarughe, l’aveva segnata sul suo carapace quando venne a lui dal Fiume Lo.                                                        La seconda immagine, il Diagramma del fiume, gli fu portata dal Cavallo alato, l’aveva segnata sul suo manto, quando affiorò dal Fiume Giallo.           Altre immagini antiche Yu stesso rinvenne, dissotterrò infatti i nove candelabri sepolti dai pastori nelle nove regioni del mondo.                           Evidente l’insistenza con cui questo mito segnala l’importante lascito culturale, vera radice sapienziale nella raffigurazione della trasformazione degli equilibri del mondo e dell’esistenza, indicata come vita acquatica che insegna alla vita terrestre.                                                                                  Con immani fatiche Yu approfondì allora le valli ed innalzò dovunque gli spartiacque montani, salvando la terra e il suo popolo dal planetario cataclisma, per questo egli fu in seguito acclamato imperatore. A cavallo fra leggenda e storia, la fondazione del primo impero cinese attuata da Yu il Grande, gli Xia, è datata duemila anni a.C. Si avviarono dunque con Yu il Grande le dinastie imperiali cinesi, che si susseguirono per quattro millenni, la fondazione della Repubblica Popolare Cinese avvenne infatti nel 1912.                                                                                               E va notato come i due diagrammi sapienziali su cui il miti sovente ritorna, e la cui fama si è mantenuta inalterata nei millenni, rappresentano qui l’intera scienza antica dei Quadrati magici, circa ubiquitaria nelle diverse tradizioni, ben sviluppata infatti in tutta l’Asia come nel bacino del Mediterraneo. In essi geometria e aritmetica si fondono per realizzare i modi dell’alchemica identità del cerchio e del quadrato. Ne tratto diffusamente nel mio La via della forza interiore, edito in questa stessa collana Jaca Book 2003.

 

Nwgua

Se dunque Yu rappresenta sul piano umano e terrestre colui che salva l’umanità dal diluvio, l’identico intervento salvifico si realizza sul piano divino e celeste da Nwgua, figura mitologica sessualmente indifferenziata che fin nelle sue forme prossime al mondo marino pare riassumere in sé l’arcaica soglia epocale.                                                                                         In un importante mito cosmogonico è Nwgua infatti a salvare il mondo allorchè la trasparente coppa celeste che protegge la terra dalla acque esterne il cielo sottostante e il quadrato terrestre si inclina e incrina a causa dell’avvinghiarsi del mostro Kunkun  a una della quattro colonne che  sorreggono la coppa celeste.                                                                            Una volta sconfitto il mostro ad opera di un’entità benefica, spetta a Nwgua riparare le crepe della volta celeste attraverso cui scrosciano sulla terra le acque esterne.                                                                                            Le stelle rappresentano appunto qui le pietre colorate con cui Nwgua ottura le fessure della volta e argina il diluvio.                                                              A meglio introdurre la figura di Nwgua va detto come appartenga, con Fuxi e Shennong, ai Tre Augusti, primarie potenze divine benefattrici dell’umanità, veri mani dell’attuale età umana. E’ triade ancestrale in cui si può riconoscere la coppia celeste primeva, Fuxi e Ngwua, ad un tempo sposi e fratelli secondo le diverse letture tradizionali. Di entrambi la tradizione segnala il corpo di drago e le loro raffigurazioni con coda a scaglie di pesce paiono ravvicinare anche graficamente gli albori di questa età umana al mare e al diluvio.                                                                          Altra loro caratteristica iconografica sono la squadra e il compasso, sintetico rimando ai loro doni e agli insegnamenti che  impartirono agli uomini promuovendo l’evoluzione sociale e il progresso nelle diverse arti e scienze.                                                                                                          Quanto a Shennong, il divino agricoltore iniziò l’umanità alle coltivazioni dei campi, rivelandole i segreti dei tempi e dei modi delle semine e dei raccolti.

 

Huangdi

Se dunque la trasformazione diluviana è ben segnalata nella mitologia cinese, restando poi nell’ambito arcaico va notato come la leggenda cinese rimandi l’introduzione dell’agopuntura alle radici stesse dell’umanità, riferendola allo stesso Huangdi, il mitico Imperatore Giallo, che le differenti voci tradizioni variamente collocano o volte fra i Tre Augusti a volte fra i Cinque Imperatori che ad essi succedettero, e la doppia scelta numerologica rimanda al numero tre quale realizzazione terrestre della legge celeste e al numero cinque quale dinamica compiuta  organizzazione delle vie dell’esistenza, spazi e tempi e modi.

La figura di Huangdi viene così indicata quale vivo centro nell’ancestro e nel pantheon cinesi, sorta di mane ad un tempo divino ed umano che insegnò agli uomini le prime vie della vita sociale, i baratti e l’uso della moneta, lo scrivere e il fare di conto, la costruzione dei mezzi di trasporto terrestri e marini e dei principali utensili, e fra questi appunto gli aghi di agopuntura e i segreti del loro utilizzo.

E va qui anche notato come il principale testo classico in proposito rimandi espicitaente a lui, il Huangdi neijing suwen lingshu, Il Canone interno dell’Imperatore Giallo composto dei due libri Le domande semplici e Il Perno spirituale, è testo iniziatico strutturato proprio in confronti  di ambito medico fra il sovrano ed il primo medico della sua corte, Qibo.                  A complemento aggiungo come pur in mancanza di dati storici la leggenda asserisca che Huangdi resse l’impero cinese per cento anni, circa alla metà del terzo millennio a C.

 

Terre oltre la terra                                                                                             Qualsiasi tradizione, occidentale come orientale, ha variamente delineato i luoghi della vita eterna, da cui la vita terrena proviene e in cui rientra, e questo non solo quali certezze e visioni di Paradisi e Limbi e Inferni, celesti bilance delle umane esperienze terrene, ma anche quali geografie ulteriori, sconosciuti estremi paesaggi di origini e di mete, vie per raggiungerli e potenti sovrani su troni lontani.                                           Mentre la tradizione occidentale in ogni cultura descrive le terre dei morti e i viaggi iniziatici che gli eroi vi hanno compiuto, la tradizione cinese disegna Peng   Lai paradiso incantato, Feng Du luogo infernale, Fu Sang, mitica isola, Xuan Pu, terra fatata sul Monte Kun Lun, attraversando il quale passo Lao Tzu, il primo Maestro, si accommiatò dalla terra degli uomini, e anche Long Men, porta dei draghi, è soglia ulteriore.                                                                                                        Ma a suggerire nella voce dei gialli l’originaria dimora umana poco fa  introdotta è a nostro avviso Yao Chi, residenza degli immortali, dove domina Xi Wang Mu, la Regina Madre d’Occidente. Signora della musica e degli strumenti a fiato, questa dea della fecondità regna sulle terre occidentali, i luoghi dei morti. Interpretabile come trasposizione di Ngwua sulla scena terrestre, Xi Wang Mu  regge il destino umano, custodisce i frutti dell’immortalità ed è capace di scatenare morbi e pestilenze.                   Infine i più vivi ringraziamenti all’ Editoriale Jaca Book di Milano per la gentile concessione di pubblicare questo articolo tratto dal mio volume in lavorazione intitolato I fondamenti della Vera Medicina Cinese di cui detiene i diritti.

 




L’origine polare

Carlo Moiraghi*

In un precedente articolo riferisco come l’astronomia moderna e i miti di varie culture concordino circa una collisione primigenia avvenuta fra un corpo celeste e la Terra da cui avrebbe avuto origine l’attuale struttura planetaria, e come anche vari passi della biblica Apocalisse di San Giovanni siano interpretabili in questa ottica. Trovo straordinario speculare su ciò che è accaduto quattro miliardi e mezzo di anni fa, tanto la scienza odierna retrodata questo originario impatto planetario. È valutazione tanto  improbabile da rischiare di cogliere per assurdo la realtà di ciò che avvenne, la penetrazione del nucleo ferroso di Theia nel cuore del nostro pianeta.

 

Lo scontro iniziale    

A questo punto l’indagine si volge a ipotizzare il luogo della collisione, su cui le moderne teorie scientifiche tacciono. Conviene affidarci alle conoscenze tramandate, fra le quali emerge la certezza che l’avvio dell’esistenza terrestre fu polare. Ad esempio la svastica induista, ripresa da vasto esoterismo occidentale, si pensi solo a René Guenon, indica proprio la rotazione planetaria in proiezione polare. Nel mito greco Eurinome, la dea madre di tutte le cose emerse nuda da Caos e non trovando ove posare i propri piedi divise il mare dal cielo intrecciando solitaria una danza sulle acque. Ne sorse il Vento del nord, Borea, da cui scaturì Ofione, il colorato serpente piumato che si avviluppò a lei fecondandola. Discendendo in soavi capaci spire lungo la superficie del globo quei soffi veraci lo resero fertile delle nascite dei diecimila esseri, impollinando zolla per zolla, carne per carne. A ben vedere ad esse rimanda Iride, la messaggera degli dei greci evidente nell’arcobaleno, luminoso ponte fra cielo e terra. E ancora ad esse ampiamente si riferisce il Libro della Genesi presentando l’arco del Signore tra le nubi, ancora l’arcobaleno, e proprio i dilatati asserti che il testo sacro riserva ai sette colorati abbracci segnala a chi sa comprendere la rara rilevanza.

 

“L’arco starà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra”. Dio disse a Noé: “Questo è il segno dell’alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra”.

 

Genesi 9, 15-17

 

La penetrazione profonda 

Da quella primigenia collisione planetaria vennero dunque innumerevoli immensi effetti terrestri, genericamente individuabili in due principali complementari categorie di fertili conseguenze, quelle relative all’affondo del corpo celeste nel corpo terrestre, la sua penetrazione e fecondazione profonda, e quelle relative ai miracolosi fenomeni di impollinazione della superficie planetaria. Quanto ai primi, come sempre accade quando si verifica un urto, il globo terrestre subì una deformazione della sua massa solida. Nel luogo dell’impatto e della penetrazione, allo zenit, la materia planetaria, che si andava solidificando ma era ancora morbida e malleabile, cedette deformandosi e sprofondando e protrudendosi nel luogo opposto diametralmente all’impatto, al nadir. Ne vennero così il polo settentrionale, l’Artide, ed il polo meridionale del nostro pianeta, l’Antartide. Compete qui il racconto della Divina Commedia circa i vasti spostamenti terrestri latitudinali delle terre e dei mari, analoghi seppur diversi a quanto qui evocato, seguenti alla precipitazione del diavolo, l’angelo caduto, nel cuore della terra.

“Da questa parte cadde giù dal cielo, e la terra, che pria di qua si sporse, per paura di lui fè del mar velo, e vene a l’emisfero nostro, e forse per fuggir lui lasciò qui loco voto quella che appar di qua, e su ricorse”.

Inferno XXXIV, 121-126

 

V’è qui da notare come da un lato Dante Alighieri e la maggior parte dei miti cosmogonici concordino nel tratteggiare acque planetarie presenti fin dall’inizio dei tempi, ma le teorie scientifiche attuali ne dissentano appieno

presentando una terra originaria composta di materia morbida e malleabile ma arida, priva di acqua. Personalmente ritengo che la chiave per la ricomposizione della divergenza risieda sulla qualità dello stato planetario iniziale, amalgama uniforme e omogenea e indifferenziata, su cui vi è assoluta concordanza. L’acqua era cioè intrinseca alla materia, ad essa insolubilmente commista. Solo successivamente si è operata la distillazione e separazione delle acque dalle terre, cui forse il calore prodotto dall’impatto planetario ha dato il via, con seguente formazione di oceani e di territori asciutti.

Riprendendo ora gli effetti di quell’apocalittica spinta iniziale, il corpo planetario ne subì una brusca inclinazione del proprio asse polare e accelerò e mutò i propri movimenti nello spazio, e come visto, promosso della portante rotazione del nucleo ferroso recepito da Theia, nel tempo andò lentamente bilanciando l’ordine planetario della rotazione e della  rivoluzione. Ne venne la progressiva organizzazione dell’annuale succedersi stagionale, il progressivo riscaldamento equatoriale e  il reciproco raffreddamento dei poli.

 

L’effetto caramella  

Fu complesso equilibrarsi del mondo propiziato da straordinari mirabili fenomeni che parimenti si presero cura dell’impollinazione della superficie  planetaria, dal luogo di quell’arcaico caldo bacio celeste quei luminosi lievi e potenti pollini di vita si propagarono e giunsero dovunque. Ogni tradizione umana, ogni mito e ogni religione racconta questo primigenio avvio dell’esistenza. Era polare, era iperborea, era lemuriana, era atlantidea, non sono che  nomi che la conoscenza teosofica riserva alle successive fasi di questa complessa embriogenesi e nascita e sviluppo dell’esistenza planetaria e umana. Si ricordi che l’adeguata unità di misura del tempo è qui assimilabile ai milioni e ai miliardi di anni. Se infatti lo scontro planetario iniziale è datato quattro miliardi e mezzo di anni fa, è un miliardo di anni più tardi che è data la presenza terrestre di vaste colonie batteriche. Silenziosi e restii risultano poi le tradizioni e i miti riguardo a ciò che in seguito accadde, preferendo un sagace protettivo silenzio circa il luogo del primo albore dell’umanità. Per comprendere la struttura e la dinamica di questo avvio di vita planetaria è sufficiente osservare una di quelle caramelline rotonde incartate a doppio fiocchetto, a farfalletta. Dove i soffi dall’universo conversero sul globo terrestre e lo raggiunsero e colpirono fu lo zenit. Lì i venti benevoli si aprirono a ventaglio sul pianeta e procedettero ricoprendo stretta l’ intera superficie planetaria, acque e terre, impregnandola di vita. È la lucida stagnola che incarta la caramella.

Fu complesso maestoso interminabile processo nel corso del quale la vita prese a sognarsi e inventarsi terrena, a scaturire e manifestarsi qua e là formandosi in espressioni differenti e diverse, anche divergenti e contrastanti fra loro, le più delle quali nei tempi lunghi si ritirarono, cessarono e si estinsero, altre si mantennero congrue e vitali. Fu nel progressivo percorso di discesa dei soffi polari che si realizzò anche Lemuria, originaria prova vitale di cui poco rimase. Quei preziosi fiati vitali discesero quindi in precisi e puntuali arabeschi lungo il tondo del globo convergendo infine all’estremo opposto del primo impatto, al nadir, dove si riunirono riannodandosi su quell’esatto promontorio di terra meridionale, giusto agli antipodi dell’originario numinoso impatto settentrionale polare, che proprio da esso era derivato per la profonda deformazione subita dalla materia planetaria. Lì quei venti benevoli si riunirono riscoprendosi Uno e ne venne il polo meridionale del pianeta, l’attuale Antartide, e la sua fertilità. Si completò così l’originaria impregnazione planetaria, che si realizzò dunque nella fecondazione della profondità e nell’impollinazione della superficie. Fu compimento e celebrazione che prese sette eternità, sette giornate, e la consacrazione del settimo giorno intende l’apicale e conclusiva creazione della vita umana, sintesi e capitello dell’intero processo evolutivo planetario.

Così avvenne. “Dio vide quanto aveva creato ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina, il sesto giorno. Così furono portati a termine il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio nel settimo giorno pose fine al lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni sua opera. E Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato ogni lavoro che durante la genesi egli aveva compiuto”.

Genesi 1, 31  2, 1-3

 

Infine, a suggello dell’opera intera, come detto prese avvio lento e progressivo il raffreddamento dei poli. A mantenimento e protezione di quei due supremi perni del primo avvio celeste e della seguente rotante stabilità del mondo, i due fiocchetti della caramella, nel lungo tempo iniziò dunque la lenta glaciazione polare. In ogni caso, fu su quella verde rotonda terra antartica che nacquero gli uomini e a lungo vi prosperarono. Tutt’altro che  gelido, l’Antartide era continente rigoglioso e fu così la terra madre atlantidea. La localizzazione della prima terra materiale dell’umanità, fu dunque polare, antartica, e fu quindi dal polo meridionale che molto tempo dopo l’umanità dilagò sul pianeta. È poi quanto indica il mito greco del potente titano Atlante che si ribellò a Giove e venne per questo condannato a sostenere in eterno sulle proprie spalle possenti il peso dell’intero pianeta. Ma qui il racconto volge altrove, dalla filogenesi planetaria all’ontogenesi umana, e conviene prendere meritata sosta.

 

Infine i più vivi ringraziamenti all’ Editoriale Jaca Book di Milano per la gentile concessione di pubblicare questo articolo tratto dal mio volume in lavorazione intitolato I fondamenti della Vera Medicina Cinese di cui detiene i diritti.

 




Riflessologia ed emozioni: estate e quinta stagione – le emozioni gioia e riflessione

Paolo Bianchi*

“Di lunga durata non c’è nulla al mondo, e anche la gioia, nell’istante che tiene dietro al primo, non è già più tanto viva; al terzo istante diventa ancora più debole, e infine insensibilmente si fonde col nostro stato d’animo abituale, come sull’acqua il cerchio prodotto dalla caduta di un sasso si confonde infine con la liscia superficie”.

(Gogol, Il naso, da Racconti di Pietroburgo)

 

“Tutte le grandi gioie si somigliano nei loro effetti, a differenza dei grandi dolori che hanno una scala di manifestazioni molto variata”.

(Nievo, Le confessioni di un italiano)

 

“Il pensiero è il più grande nemico della perfezione. L’abitudine di riflettere profondamente è, sono costretto a dirlo, la più pericolosa fra tutte le abitudini dell’uomo civile”.

(Conrad, Vittoria)

 

“Un uomo tirava a sorte tutte le sue decisioni. Non gli capitò maggior male che a quelli che riflettono”.

(Valery, Tel Quel)

 

 

Estate: fuoco, gioia, cuore

“Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera l’invidia e tenta puerilmente di guastarla”, (Ennio Flaiano).

“Ancora e ancora, il grido instancabile delle cicale trafigge l’aria afosa dell’estate come un ago al lavoro su uno spesso panno di cotone”, (Yukio Mishima).

Il fuoco accende e vivifica la terra col suo calore. Il primo calore che riconosciamo nell’estate è quello del sole. Gli ominidi, milioni di anni fa, incapaci di accendere il fuoco, ravvivavano le braci mantenendole sempre accese: impararono così a vedere nel fuoco un alleato che poteva essere utilizzato e gestito, ma che era altrettanto pericoloso e quindi doveva essere temuto. La prima scintilla della conoscenza è stata l’apprendere ad accendere un fuoco. Ancora oggi, per molte tribù africane il fuoco è considerato divino: vive, respira, si ciba, si riproduce, ma per poterlo ottenere servono abilità e condizioni particolari, quasi uno stato di grazia attraverso il quale il fuoco nasce e si manifesta. In queste tribù l’uomo che è abile ad accendere un fuoco è considerato alla stessa stregua di un santone, di uno sciamano, di un interprete delle divinità e gode di un posto di potere all’interno della comunità.

 

Molte le storie e le leggende legate al fuoco.

Per gli antichi egizi, la dea Sekmet, dà la vita al faraone difendendolo dai suoi nemici sputando fuoco e trasformandosi nell’occhio di Ra, il dio sole, l’occhio che incenerisce.

Nell’induismo il fuoco è Agni che immola e rinasce ogni giorno grazie alle dita delle fanciulle sacre e che si trasforma in Rudra e nelle sue manifestazioni.

Per gli alchimisti il fuoco era Sulphur, un fuoco segreto che rivelava l’essenza della vita della materia e permetteva agli artigiani di produrre manufatti. Dalla terra scaldata dal fuoco nascono così i vasi, dalla sabbia arroventata il vetro, dalle pietre ad altissima temperatura battute e ribattute i metalli: sciamani di un divenire continuo che necessità l’arte del calore e del saperlo controllare.

Nei miti che ci sono stati tramandati così come nella vita quotidiana vediamo che il fuoco non si limita a distruggere, ma ha la caratteristica di fare risorgere la vita e, in senso più ampio, nuove opportunità dalle sue stesse ceneri. Ne sono un esempio lampante le brucianti passioni che, a volte, dopo essere divampate ed estinte, creano nuove idee o nuovi rapporti aiutando la persona a crescere e cambiare. Ed è per questa ragione che dietro ad ogni rito, magico o religioso, esiste sempre il fuoco, tanto distruttore quanto creatore.

 

La fiamma dentro di noi

“Poca favilla, gran fiamma seconda” (Dante, Paradiso).

 

Ildegarda di Bingen, religiosa benedettina e naturalista tedesca, vissuta intorno all’anno 1000 era convinta che una lingua di fuoco emessa da Dio, con le fattezze di un occhio fiammeggiante avesse colpito la sfera della terra ancora carica di oscurità e di caos. La terra avrebbe quindi reagito creando il cielo e dando l’avvio nel cuore degli esseri umani, ancora argilla, quello spirito vitale capace di trasformarli in uomini senzienti.

 

La fiamma è quindi dentro di noi. È una fiamma spesso nascosta, che va rivelata o alimentata, ma esiste in ognuno di noi e ci guida, secondo la filosofia taoista, non solo nelle scelte della vita, ma anche nel divenire più o meno “riflettenti” della nostra luce interiore. Noi esprimiamo questa luminosità attraverso la nostra intelligenza, la spiritualità, la chiarezza psicologica con cui affrontiamo la vita.

 

Quando incontriamo persone che hanno una visione limpida delle cose, libertà di analisi e spirito creativo, secondo la filosofia taoista hanno dentro di sé il Principio Fuoco.

 

Se sappiamo comprendere il mondo lo dobbiamo alla qualità del Principio Fuoco dentro di noi: l’intero universo delle emozioni dipende dal Principio Fuoco e dalla passione con la quale le affrontiamo. Nascono perciò gli slanci verso la vita, l’ottimismo, gli entusiasmi, la facilità di dialogo e di sostenere una tesi, l’ardore che anima le nostre discussioni e, quando è in eccesso, il Principio Fuoco diventa violenza.

 

Il fuoco dentro di noi è il potenziale incendiario delle idee: qui nascono non solo scoperte scientifiche, ma opere d’arte, le grandi rivoluzioni filosofiche o politiche. Come le scintille nascono da cariche elettriche opposte che si attirano o si respingono, nello stesso modo il fuoco delle passioni accende gli uomini e questa scintilla diventa amore, rabbia, violenza o impegno indefesso e instancabile animando il nostro organo più vitale, il cuore.

 

Il cuore è l’estate della vita

“Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”, Pascal

Nella filosofia taoista il Cuore viene associato all’estate. Sempre per i Taoisti il cuore è “l’imperatore degli organi” da cui dipendono intelligenza e coscienza e questa relazione è talmente forte che qualsiasi squilibrio del cuore si riversa su tutti gli altri organi. “Il cuore controlla vasi e sangue tramite il Ministro del Cuore (che vicaria i compiti del cuore nelle faccende quotidiane e lo difende dagli insulti lesivi. È come il primo ministro imperiale che ne fa le veci nelle normali relazioni con gli altri organi), è la sede del pensiero, della mente, si apre sulla lingua che lo rappresenta” (C. Moiraghi).

 

A livello fisiologico questo organo è collegato alla lingua e ai vasi sanguigni.

A livello psicologico è invece collegato alla coscienza, all’intelligenza alla passione, ma anche alla violenza e alle reazioni immediate.

Da qui l’inevitabile paragone all’amore passionale che brucia, che consuma e che fa perire.

 

Una delle immagini del cuore più ricorrenti nella mia memoria è quella del cuore ferito di Gesù. Nell’iconografia cristiano cattolica viene spesso rappresentato in modo truculento circondato da una corona di spine, trafitto e sgorgante sangue a fiotti come una fontana, mentre all’apice questo cuore sacro lascia spuntare altri simboli evangelici come spighe, tralci d’uva e l’inevitabile croce. Pur capendo che la rappresentazione vuole simboleggiare l’estremo sacrificio compiuto da Gesù sulla croce credo che a nessun bambino possa sfuggire l’impatto di tale immagine fino a rimanere radicata, come nel mio caso, nella mente e nella memoria.

 

Il cuore è il nostro centro vitale: quando cessa di battere la morte è ormai sopraggiunta e il primo segno evidente nel grembo della madre della vita che nasce è proprio il cuoricino palpitante del nascituro che inizia a interagire con la madre proprio attraverso questo battito. Una favola africana racconta che il suono del tamburo è nato con le origini della vita umana, quando il ritmo del battito della terra riempì l’aria del suo Spirito ed entrò nei corpi degli uomini. Questo battito portò alla creazione del tamburo come richiamo al pulsare del cuore della Madre Terra.

 

I nostri sentimenti e le nostre emozioni transitano attraverso il cuore: batte forte quando siamo emozionati o abbiamo paura, più lentamente se siamo rilassati o se stiamo meditando o dormendo. Le variazioni del battito cardiaco sono proprio il metro di misura per quantificare l’intensità delle nostre emozioni.

Quando dobbiamo dichiarare la pienezza del nostro amore diciamo “con tutto il cuore” ed è proprio con lo stesso trasporto che, per esempio, nella tradizione Ebraica si tramanda la preghiera più famosa che viene recitata più e più volte al giorno:

“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. Queste parole, che ti ordino oggi, saranno sul tuo cuore: le ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando siederai in casa tua e quando camminerai per strada, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te le legherai come segno sulla mano e ti saranno come pendagli tra gli occhi; le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”. (Deut,  VI, 4-9)

Ciò che emerge è un legame fortissimo di sangue e soprattutto di cuore, dove in tutto pulsa la volontà di seguire la legge Ebraica espressa nella Torah come è evidente nel prosieguo di questa preghiera:

“Se ascoltando obbedirete ai miei precetti, che vi ordino oggi, di amare il Signore vostro Dio e di servirlo con tutto il vostro cuore e con tutta la vostra anima, Io darò la pioggia alla vostra terra a suo tempo, la pioggia autunnale e la pioggia primaverile, e così potrai raccogliere il tuo grano, il tuo vino e il tuo olio. Ti darò l’erba nei campi per il tuo bestiame: mangerai e sarai saziato. Ma state in guardia che il vostro cuore non sia sedotto, e non vi allontaniate per servire altri dèi e prostrarvi ad essi. Perché l’ira del Signore si accenderebbe contro di voi; chiuderà il cielo e non vi sarà pioggia, la terra non darà i suoi prodotti e voi sparirete presto dalla terra buona che il Signore vi dà”.

Il potere del cuore per molte popolazione mesoamericane era talmente forte da compiere sacrifici umani nei quali era prevista l’estirpazione dell’organo ancora pulsante per essere offerto al Dio sole.

 

Ed è proprio perché paragonato in molte culture all’energia del sole che viene ritenuto la fonte principale della vita.

 

Nell’antico Egitto il geroglifico del cuore era a forma di vaso. Questo conteneva la memoria e la verità. Era insomma una sorta di software della persona defunta e, per questo motivo, veniva posto al centro del defunto imbalsamato; unico organo a non essere posto nei vasi canopi.

 

Sempre nell’antico Egitto, un altro interessante rito che sottolineava l’importanza di questo organo era la pesatura del cuore del defunto da parte dei sacerdoti.  Il peso del cuore era confrontato con il peso della piuma di Maat, dea della verità e della giustizia. Se il cuore era in armonia con quello della dea e quindi né più pesante né più leggero, solo allora il defunto poteva essere ammesso nel regno dei morti dove la sua anima sarebbe vissuta in eterno. In caso contrario il defunto veniva gettato in pasto a una divinità metà ippopotamo e metà coccodrillo.

 

Gioia espressa e gioia repressa

“Il dolore può bastare a se stesso, ma per apprezzare a fondo una gioia bisogna avere qualcuno con cui condividerla”, (Mark Twain).

 

Quando ci esprimiamo attraverso i sentimenti quello della gioia è sicuramente il più effimero soprattutto oggi con i timori, le preoccupazioni e le ansie che crescono in ogni ambito della nostra vita.

L’antica etimologia della parola gioia ci rimanda al termine sanscrito “Yui”, lo stesso dal quale, non a caso, deriva la parola Yoga che potremmo tradurre con “unione dell’anima individuale con lo spirito universale”.

Definire quindi la gioia un’emozione sacra può sembrare azzardato soprattutto nella nostra società occidentale che la lega spesso al possesso di oggetti materiali o momenti particolari o la confonde con il termine “felicità” inteso come “lo star bene”.

Sono molti gli psicologi moderni che hanno trattato il tema della felicità con differente enfasi e profondità, analizzando degli indicatori ben precisi e sviluppando delle scale di misurazione più o meno pratiche; tutti, in ogni caso, concordano nel sostenere che la felicità sia legata all’interpretazione che noi diamo alle condizioni esterne in cui si vive.

La gioia invece è qualcosa di più profondo, legato intrinsecamente all’animo, capace molto velocemente di invadere tutto l’essere umano con una forza dirompente che poi difficilmente abbandonerà la persona.

 

I kabbalisti e i mistici ebraici sono convinti che per provare la gioia autentica bisogna essere orientati a ricercare in sé continui cambiamenti. Per ottenere questo occorre collegarsi totalmente con gli effetti a lungo termine delle azioni che compiamo lasciando perdere, attraverso una solida disciplina, tutto ciò che può essere solo un piacere effimero di un dato momento. In altre parole si ottiene la gioia solo quando si è in grado di sentire che tutte le nostre azioni, realizzate con spirito aperto e sincero, producono conseguenze rivolte al bene.

 

La gioia è quindi possibile se si riesce a vedere il disegno complessivo, una visione globale capace di coinvolgere positivamente, a catena, tutto ciò che avvicina.

 

Se aspiriamo a questa condizione capite che il percorso non è semplice e prevede la messa in discussione, continuamente, di noi stessi, nel profondo.

 

Anche la visione taoista non si discosta molto: “Perciò il saggio è vestito di miseri abiti, ma nasconde una giada nel petto”(Tao Te Ching, 70).

Quella della gioia è un’energia inesauribile, una forza che si rinnova continuamente e “la giada nascosta nel petto” altro non è che una visione alternativa. Ma alternativa a cosa? A tutte le volte che potremmo gioire e lasciare fluire questa emozione, ma non siamo capaci di farlo o preferiamo non dimostrarlo.

Sempre secondo i Taoisti chi sa gioire ottiene continui risultati nel lungo periodo. Al contrario di chi è compulsivo che, pur ottenendo risultati nel breve periodo, ne esce sempre logorato.

 

Gli antichi samurai giapponesi sapevano che anche se il loro dovere esteriore era la lealtà verso il feudatario, quello interiore era la crescita spirituale. Difficile poter conciliare l’essere pronti alla guerra e a morire con gioia; loro ci riuscivano attraverso la “Misogi” o “rito di pulizia”.

Dalla lucidatura di armi e armature, alla ripulitura del corpo e dell’anima, la pulizia era un esercizio continuo, quotidiano reso perfettibile da riti ben precisi in diversi momenti del giorno.

Molto tempo era certo dedicato all’addestramento continuo, ma altrettanto veniva utilizzato per la meditazione perché senza un’anima profondamente pulita era difficile poter ottenere buoni risultati con il resto: un po’ come mettere vestiti perfetti e puliti su un corpo sudicio e su un’anima carica di astio, rabbia, rancori o dedita al male verso gli altri.

 

La “Misogi” quotidiana che necessita la nostra epoca è il saper riconoscere i momenti di gioia autentica e porli come il saggio come giada nel petto. Dove? Naturalmente vicino al cuore.

Reprimerli produrrebbe semplicemente blocchi energetici creando disagio e, sempre secondo i taoisti, portando il corpo ad ammalarsi.

 

Mal di cuore

“Il cuore ha le sue prigioni che l’intelligenza non apre”, (Marcel Jouhandendeau)

 

Secondo i maestri di riflessologia i disagi connessi al cuore sono legati alle difficoltà a gestire la gioia e alla mancanza di controllo delle emozioni lasciando che prendano il sopravvento nelle varie situazioni. Spesso le persone cercano di scaricare le tensioni utilizzando lo sport o altre discipline come valvola di scarico. Secondo i maestri di riflessologia queste persone sono potenziali “malati di cuore” perché non sanno tenere nella giusta considerazione le gioie della vita, tralasciano la possibilità di prendersi del tempo per se stessi e dimostrando in questo modo di amarsi poco.

Per capire quanto questo possa essere energeticamente dannoso basta pensare che il cuore pompa il sangue in tutto il corpo trasportando queste negatività a visceri, organi ecc.

 

Il segreto sta insomma nell’imparare a volersi bene non solo come fine, ma anche come logica da condividere e diffondere, proprio perché se non ci si ama è pressoché impossibile amare gli altri. Prendersi cura della propria gioia e delle proprie gioie spirituali è la prima via per qualsiasi stato di benessere.

Gli antichi samurai esprimevano questo concetto con questa riflessione “Vivere la vita in ogni respiro, in ogni tazza di tè, in ogni vita che prendiamo…”.

 

Trovare il tempo per gioire

“Il dolore è breve, ma la gioia è eterna”. (Shiller)

 

Mi sono reso conto di come sul mercato esistano tanti manuali di vario genere che hanno lo scopo di aiutare a raggiungere la gioia: sembra quasi che per gioire di qualcosa si debba frequentare un corso o seguire un percorso particolare.

La vera gioia, invece, è spontanea e nella sua autenticità dovrebbe essere l’emozione capace di guidare e motivare maggiormente la nostra esistenza. Il fatto che la si collochi su un piano più spirituale che materiale fa riflettere: non è ciò che si possiede, ma come lo si possiede a fare la grande differenza. Per raggiungere questa consapevolezza serve tempo e dedizione e soprattutto la ferma consapevolezza che non siamo ciò che possediamo, ma dobbiamo possedere la libertà di scegliere.

La nostra mente è sempre sollecitata ad ottenere di più e a costruire continuamente per accumulare. Le persone gioiose, se ben guardiamo, sono quelle che anziché addizionare sanno sottrarre, ridurre all’essenziale, pensare a ciò che realmente serve e sceglierlo senza farsene dominare. La gioia insomma è uno stato mentale più profondo che va lasciato fluire grazie ai piccoli dettagli, partendo proprio dal tempo da dedicargli. Sembra assurdo, ma pochi coltivano la gioia: la si aspetta, la si cerca di costruire, ma non la si vive. E in questo processo la si perde perché terrorizzati dalla mancanza di tempo e dal fare. Una volta un monaco benedettino mi ha raccontato di come riuscisse a vivere costantemente nella gioia solo perché si concedeva il tempo di vedere ciò che accadeva intorno a lui, anche negli eventi negativi dove riusciva sempre a ritrovare l’essenza delle cose autentiche e quindi a gioirne.

Il tempo forse è il peggior nemico della gioia perché ci impedisce di vivere il momento presente con tutti i suoi frutti; invece siamo impegnati in una semina costante di cui non sappiamo quando raccoglieremo. I maestri taoisti insegnano che le energie dell’esistenza sono tutte lì, a nostra completa disposizione ed è solo la nostra incapacità che non ci permette di raccoglierle ed utilizzarle, condividerle e diffonderle. La prova di tutto ciò è che non riusciamo a ritagliarci del tempo per noi stessi: lasciamo che i doveri ci opprimano oppure, al contrario, facciamo in modo che la nostra irresponsabilità ci imponga sempre di cercare scuse per tutto. E, nel frattempo, la gioia viene repressa facendoci solo intravedere, come diceva una canzone di qualche anno fa, una vita difficile, pochi attimi di felicità e un futuro incerto.

 

Gioire di cuore

“La gioia non consiste negli armenti e neppure nell’oro: l’anima è la dimora della nostra sorte” (Democrito).

 

Uno dei mali maggiori dell’uomo d’oggi è l’illimitata ricerca dei beni materiali come surrogato della gioia autentica.

 

Molti filosofi sono concordi nel dire che oggi si tende molto ad evitare l’uso comune di termini quali “gioia” o “felicità” proprio perché sono state portate dal piano spirituale e più profondo a quello materiale e fisico. Dopo aver sperimentato il benessere materiale, pochi o nessuno sono disposti a rinunciarvi e, nonostante ci rendiamo conto di come questo ci renda sempre più schiavi del benessere stesso, non riusciamo a uscire da questo circolo vizioso.

 

Un altro fattore sociologico che spesso emerge nelle ricerche è che dal momento in cui il lavoro si è trasformato da mezzo a fine anche il rapporto con la gioia si è notevolmente incrinato.

La repressione della gioia porta con sé motivazioni profonde: non volendo soffrire, non accettando le prove della vita e non volendo misurarci con le infelicità, le persone hanno smesso di volere vedere le gioie autentiche tra le pagine nere della loro vita.

 

Una reazione automatica al male? I riflessologi sono convinti non sia così, ma che la ferma e convinta deprivazione di uno stato importante, come il gioire, serva da una parte per anestetizzarsi da tutto e, dall’altra, per essere irreprensibili. Se si reprime un’emozione come la gioia è possibile perciò avanzare indefessamente verso qualsiasi obiettivo senza porsi limiti, scavalcando anche i valori della vita stessa, ma producendo insoddisfazione continua e frustrazione.

Saper gioire in modo autentico è qualcosa che parte veramente dal cuore. È un processo ermeneutico ed educativo che va affrontato fin dall’infanzia.

 

I greci chiamavano questo processo eudaimonia che significa avere un buon demone protettore, dal quale dipendeva una vita prospera di sentimenti, relazioni e affetti profondi; la base insomma per la gioia autentica.

Sempre per i greci felicità e gioia erano legate alle arete, ciò che noi tradurremmo con virtù. Purtroppo un altro termine desueto nella nostra società, ma che ci fa capire come per gioire di cuore servano virtù profonde e uno spirito ben disposto a lasciare fuori dalla porta astio, rancori, inimicizie e soprattutto pregiudizi.

 

Non solo questione di cuore: l’intestino tenue

“Voglio solo reazioni reali: Voglio che la gente rida dall’intestino, sia triste dall’intestino o si arrabbi dall’intestino” (Andy Kaufman).

 

Secondo gli insegnamenti della medicina tradizionale il viscere collegato al cuore è l’intestino tenue. Apparentemente, ad un occidentale, questo abbinamento potrebbe sembrare assai bizzarro: di certo non lo è per un orientale.

Chi pratica arti marziali giapponesi sa bene che il centro delle energie vitali è il KI, collocato all’altezza dell’ombelico (con piccole variazioni a seconda di scuole e tradizioni).

Gli antichi samurai partivano da questo punto prima di sguainare le loro micidiali spade e ritenevano che il momento dell’impatto e del taglio fosse quello in cui l’energia generata dal Ki raggiungeva la punta della lama.

La passione del cuore risiede nell’intestino ed è da lì che va spostata nel resto del corpo come è da lì che parte ogni movimento. In questa visione energetica è facile capire come sia legata all’intestino tenue tutta una serie di scompensi: secondo la riflessologia attraverso l’intestino tenue assimiliamo non solo il cibo, ma le esperienze. Se abbiamo difficoltà ad assimilare le esperienze delle vita, i blocchi energetici produrranno segnali quali diarrea, ulcera.

La lunghezza dell’intestino tenute (circa sei metri) è indicativa di come ogni esperienza debba seguire un lungo percorso per essere compresa, evidenziata e soprattutto sintetizzata. Nella sua opera di smistamento è importante sotto il profilo energetico, saper secernere e memorizzare lasciando che il resto del tragitto vada a espellere ciò che è inutile e che non vale la pena trattenere.

Insomma ogni “mal di pancia” altro non è che la reazione a qualcosa che non vogliamo dentro di noi, ma di cui non riusciamo a farcene una ragione.

 

Questione di pancia?

“Come ci sono i pensieri talmente ossessivi che se restano nella tua testa ti possono fare impazzire, così ci sono dei sentimenti talmente strazianti che se li tieni dentro ti si apre la pancia. Allora, se sei flessibile, la tua pancia diventa una specie di magazzino, dal quale entrano ed escono continuamente dei sentimenti”. (Paolo Nori)

 

Dobbiamo fare prevalere il nostro istinto, quello che i nostri visceri più profondi ci dicono o dobbiamo usare sempre la ragione? Proprio un bel dilemma al quale non esiste risposta.

I riflessologi sono convinti che le emozioni non vadano mai bloccate e quindi verrebbe spontaneo rispondere che “i nostri visceri” non mentono. L’approccio più meccanicistico, razionale e meno emotivo va utilizzato per affrontare aspetti più tecnici. Un’altra risposta interessante viene dal mondo olistico dove potremmo trovare un’ottima mediazione.

 

Tra risposte “di pancia” e risposte “di testa” potremmo imparare a gestire le situazioni con una “meditazione consapevole”.

Per riuscire a questo fare dobbiamo però espellere molto di ciò che è dentro di noi che ci rende sempre irrisolti o alla costante ricerca della novità sia per il nostro miglioramento sia per il gusto della sfida. L’intestino tenue ci insegna a cogliere i segnali più profondi del nostro io, ma anche a saper aspettare, a limitarne gli eccessi, a cogliere la loro essenza e solo alla fine a realizzarne aspetti pratici.

Serve un’azione disinquinante che sappia, proprio come fa l’intestino separare ciò che serve da ciò che è inutile o dannoso: equilibrare sempre.

Dentro di noi, proprio nell’intestino secondo molte culture tribali, risiedono energie antiche; sono energie che ci insegnano a reagire con immediatezza agli eventi pericolosi e a spingerci in azioni che con la ragione non compiremmo mai.

 

Veniamo sviluppati in un grembo, il luogo più vicino a questo centro vitale e il nostro stesso ombelico segna perfettamente il centro di questo spazio.

Per questa ragione, sotto il profilo antropologico, la parte più profonda dei nostri visceri è un luogo del cuore: le passioni più profonde si sviluppano lì, l’energia le alimenta, il cuore attraverso il sangue le diffonde.

 

Non è quindi solo una questione “di pancia”, ma qualcosa di più intimo che ci collega e ri-collega sempre al motivo per cui siamo al mondo e allo scopo che ci assumiamo ogni volta che prendiamo una qualsivoglia decisione.

 

Il vaso di Pandora

“Qualche volta purtroppo occorre finire pancia a terra per capire chi realmente siamo e che cosa realmente vogliamo; e non ci è dato rialzarci finché non tocchiamo il fondo”.  (Ava Moore).

 

In antropologia il vaso rappresenta il grembo. La sua forma richiama quello della pancia di qualsivoglia uomo o donna e per quanto elaborato, dipinto o trasparente ogni vaso cela il suo contenuto. Ancora oggi in molte popolazioni la produzione di vasi è considerata un’arta sacra (nelle culture monoteiste Dio crea l’uomo come un vaso dalla creta): tra queste in particolare quella degli indiani d’America dove l’uso e la valorizzazione della creta è ad appannaggio esclusivo delle donne. Sempre per questi popoli la Terra è considerata una sorta di viscere primordiale che viene fecondata dalla pioggia mentre le sorgenti ne rivelano le fonti più nascoste.

 

Il tema dell’inumazione richiama moltissimo al ritorno al viscere della terra da cui, molte religioni, promettono la resurrezione sotto varie forme e aspetti.

L’intestino tenue è insomma il nostro vaso di pandora che racchiude le intimità più profonde del nostro essere, una sorgente di vita continua.

 

Come luogo di elaborazione profonda e rielaborazione nell’intestino tenue le emozioni sul piano psico-pedagogico vengono ricondotte allo stato originario e primordiale. Se queste emozioni, sempre sul piano antropologico, vengono vissute ed elaborate ad un livello di immaturità personale potrebbero condurre a stili di vita arrendevoli e scarsamente impegnati a manifestare nella realtà la vera personalità. Ma anche se venissero elaborate in modo autorevole e maturo questo percorso non è privo di rischi. Ne abbiamo una rappresentazione biblica molto efficace nella storia e nel viaggio di Giona all’interno del grande pesce, la balena.

 

Un intestino tenue insomma come un Vaso di Pandora dal quale possiamo riemergere sempre rinnovati e trasformati se sappiamo farne tesoro dei suoi insegnamenti e dei suoi segnali.

 

La quinta stagione: terra, riflessione, stomaco

 

Il pensiero sale dalla terra.

“Pensare per agire: agire per pensare”, (Goethe)

 

Adamo è stato in assoluto il primo uomo che Dio ha creato. Egli è stato formato dalla polvere della terra (da cui deriva il suo nome), vivificata dal soffio della vita da parte di Dio (Gen. 1:26; 2,7).

Dal pensiero più profondo di Dio nasce l’uomo plasmato dalla terra: e così l’uomo, secondo le tre grandi religioni monoteiste, si ritrova sospeso tra il suolo che calpesta e il cielo dal quale proviene.

E nel mezzo di questo sistema l’uomo pensa prima di agire, riflette su ciò che compie, impara attraverso la riflessione trasformando gli errori in esperienza.

 

Nel taoismo il movimento della terra è legato alla riflessione.

 

Etimologicamente parlando riflèttere (ant. reflèttere) deriva dal latino reflectĕre, propr. “ripiegare, volgere indietro”, comp. di re- e flectĕre “piegare”.

L’idea che emerge è un uomo che per quanto si slanci verso il cielo viene costantemente ripiegato verso la terra, ma da cosa? Spesso dai suoi stessi pensieri.

 

La terra, nel taoismo, ci permette di digerire, assimilare la tangibilità del mondo. Questo avviene attraverso lo stomaco.

L’ambiente esterno, la terra in cui viviamo, ha una grande importanza sulla nostra metabolizzazione.

Ogni cosa ha una sua funzione energetica specifica e l’energia, come ben sappiamo, non conosce né limiti, né barriere. Quando l’ambiente influenza positivamente la persona, questa sarà sempre ben predisposta al rilassamento, alla calma interiore ed esteriore. Se questo non succede la persona sarà sempre carica di rabbia, risentimento ed astio e lo riverserà contro chiunque incrocerà sul suo cammino.

 

Ecco perché l’ambiente, la terra, gioca un ruolo fondamentale non solo in ambito di guarigione, ma proprio in setting preventivo. Circondarsi di cose belle aiuta a superare meglio i problemi e a vedere le difficoltà con maggiore distacco. Le energie che ne derivano sono sempre positive e propositive e orientano a scelte calmierate, ponderate, ma efficaci sia nel breve che nel lungo periodo per evitare proprio i “pesi sullo stomaco”.

 

Il peso sullo stomaco

“Ma nulla fa chi troppe cose pensa”. (Tasso).

 

Penso a tutti sia capitato, almeno una volta nella vita, di mangiare troppo ed avere grosse difficoltà a digerire.

Così come riceve il cibo e il nutrimento indispensabile per vivere, lo stomaco “mangia” anche di tutto ciò che ci circonda. Per questo è importante cibarsi di “cause benefiche” per raggiungere “effetti positivi”.

 

La nostra mentalità occidentale ci spinge a ricercare sempre soluzioni veloci e immediate e ad accelerare i processi di assimilazione.

È come se nella fase di input gettassimo miliardi di informazioni in un computer senza valutarle e richiedessimo poi nella fase di output una risposta veloce; il risultato senza dubbio è una elaborazione lenta, difficile, capace di richiedere tempo e a volte anche insufficiente per un buon risultato.

 

Molti saggi Zen insegnano che la qualità delle nostre riflessioni produce la qualità della nostra vita e, proprio quando ci si fossilizza nel cercare soluzioni, queste non arrivano: il flusso di energia si blocca come l’acqua dentro una canna piegata.

Questa canna è il nostro stomaco che “rumina” i nostri pensieri e quando questo processo si dilunga in modo doloroso il risultato che otteniamo è malessere, difficoltà a digerire la vita.

 

Digerire la vita

“Per gli stomaci vuoti non esistono né obbedienza né timore”, (Napoleone Bonaparte)

 

Oggi più che mai il mondo medico denuncia numerosissime patologie legate allo stress che colpiscono lo stomaco: ulcere e gastriti sono solo la punta dell’iceberg.

Il rapporto che abbiamo con l’alimentazione è fondamentale e non solo quella effettiva, ma anche quella mentale. Ciò che riceviamo, sia esso cibo o informazioni, si riflette in modo diretto con il nostro essere e il nostro dare. La selezione è quindi fondamentale e l’elaborazione mentale che siamo chiamati a dirigere impone una grande capacità a ricercare l’essenziale.

 

Il senso del dominio, del controllo, del possesso spesso ci spingono a coltivare uno spirito fagocitatore. E quando lo stomaco è troppo pieno, così come la vita diventa troppo fagocitante, il sistema si blocca impedendoci di digerire la vita.

 

La riflessione in eccesso è questo bolo che blocca la digestione impedendoci di essere ciò per cui siamo stati creati: terra e polvere, ma che deve volare al cielo con leggerezza.

Già nel ‘500, il medico naturalista e filosofo Paracelso paragonava lo stomaco a un laboratorio alchemico che doveva trarre dagli elementi grezzi della natura la “quintessenza”; scopo dello stomaco quindi è quello di bruciare il cibo e trasformarlo in “essenza” necessaria alla vita.

 

Il cibo non è mai separato dal contesto in cui viene assunto: un pasto con persone sgradevoli  o che non sopportiamo può divenire indigesto, al contrario se vissuto in contesti amichevoli e conviviali lascia un bel ricordo oltre a una digestione più facile.

 

Gli alimenti veicolano nel nostro stomaco le emozioni e i sentimenti a cui sono associati: se lo stomaco si ammala è importante dar inizio a delle riflessioni non solo sulla qualità del cibo, ma soprattutto sulla qualità del nostro nutrimento emotivo. Ciò significa sotto il profilo psicosomatico saper allontanare persone indigeste, pesanti e valutare con chi e quando relazionarsi.

Le ulcere, in psicosomatica sono proprio questo: inghiottire ciò che non ci va.

 

Alla fame e al cibo sono legati molti aspetti: se eccessiva è sinonimo di bramosia, se ingorda, secondo gli psicologi, segnala carenze affettive. Nutrirsi è porsi in diretta relazione con chi ci fornisce il cibo: non a caso l’assonanza pappa con papà.

 

La funzione alimentare, necessaria per vivere è un processo fondamentale attraverso il quale l’essere vivente si appropria di parti del mondo esterno per trasformarle e utilizzarle per sé.

Ma lo stomaco ci segnala anche con la sua acidità quando siamo troppo presi dal fare e non lasciamo che i normali processi vengano realizzati secondo i tempi previsti. Questo porta di solito ad aggressività repressa e sfocia in scatti di collera soprattutto in relazione a quelle situazioni che si è “costretti a ingoiare”.

 

Come sempre il nostro corpo non mente e spetta solo a noi riuscire a captarne i segnali. Il riflessologo può solo intervenire per ri-energizzare e cercare di riportare ai giusti equilibri i vari stati, ma il grosso del lavoro va fatto a monte con un processo pedagogico di piena consapevolezza e di profonda necessità di conoscere bene se stessi.

 

Quella terribile abitudine di rimuginare la vita

“Nessun pensiero è contento di sé”, (Shakespeare)

 

Perché continuo a pensarci?

Perché forse troverò una soluzione

Perché penso che i dettagli delle cose siano importanti

Perché forse capirò come non ripetere gli sbagli

Perché sono una persona responsabile

Queste sono le risposte che spesso le persone danno. Per molte è una tendenza acquisita. Ma da dove ha origine questa tendenza? Sembrano persone “normali” con vite comuni e con pensieri, preoccupazioni che tutti abbiamo, ma per loro non è così.

 

Gli psicologi sostengono che le persone che soffrono di inquietudine cronica abbiano subito dei traumi soprattutto nell’infanzia: spesso si parla di minacce fisiche o psicologiche per esempio per essere più bravi a scuola o arrivare primi in una gara. Da adulti si diventa consapevoli che non esistono più queste minacce, ma c’è la necessità di evitare di pensarle, per cui queste persone impegnano la loro mente e la loro anima con pensieri ossessivi focalizzando la loro attenzione su piccoli dettagli o ingigantendo i problemi.

 

Molte persone che si dedicano all’eccesso di riflessione hanno avuto dei genitori inquieti o iperprotettivi e quindi, per imitazione, siano diventati loro stessi un clone genitoriale producendo un continuo senso di frustrazione e inadeguatezza al mondo esterno e soprattutto paura e indecisione costanti.

 

A volte succede che le persone con eccesso di riflessione abbiano avuto loro stessi dei genitori che condividevano troppo i loro problemi trattando il bambino “alla pari”, soprattutto per decisioni che non erano in grado di prendere, ma che di sicuro non erano all’altezza del bambino stesso. Secondo gli psicologi dell’età evolutiva attribuire un ruolo genitoriale a un bambino significa produrre, in seguito, nell’adulto la necessità di affetto, di attenzione continua e soprattutto di amore profondo e disinteressato.

 

Anche la non considerazione delle emozioni può generare pensieri ossessivi e riflessione continua perché l’idea generale che viene a crearsi è che non vanno mai provate emozioni soprattutto perché gli altri non sono in grado di comprenderle.

 

Anche l’insicurezza personale, spesso generata da uno scarso senso di fiducia negli altri produce riflessione continua soprattutto quando la persona deve potersi sentire sicura di scegliere e anche di sbagliare: è sull’errore che, in effetti, si costruisce un piano di crescita, consapevolezza e miglioramento continuo.

 

Altro aspetto dei “riflessivi all’eccesso” è la vergogna per il giudizio degli altri soprattutto nel mostrare quei piccoli difetti che ognuno di noi possiede e che, a guardare bene, sono parte non solo del nostro essere, ma ci rendono unici.

Certo è che nell’eccesso di riflessione si perde la possibilità di provare emozioni chiudendo sempre più agli altri e al mondo la possibilità di entrare e, allo stesso tempo a se stessi, di sperimentare e imparare.

 

Accettare i propri sentimenti, accettare il proprio stato di malessere come qualcosa di temporaneo, vivere il senso profondo delle emozioni senza vergogna, accettare di perdere il controllo delle situazioni sono solo alcune delle vie di uscita per evitare di pensare troppo e imparare a vivere con maggiore serenità.

 

Conclusione

Come sempre mi rifaccio agli insegnamenti dei riflessologi in cui si rammenta che l’arte della riflessologia non guarisce alcuna malattia, ma attiva e riattiva processi energetici utili per la persona e il suo benessere.

 

Credo sia importante soffermarsi su alcuni punti sui quali il riflessologo può aiutare il suo assistito aiutandolo a:

·      lasciare che le emozioni si esprimano liberamente senza volerne avere il sopravvento

·      imparare a vivere la libertà personale e prendersi del tempo per coltivare il proprio bene

·      non prendere troppo sul serio la vita e coltivare energie positive

·      evitare l’eccesso di piaceri passionali perché possono procurare i medesimi effetti della loro assenza

·      evitare di giudicare troppo gli eventi e le persone ad essi connessi

·      evitare di dare giudizi o sviluppare pre-giudizi

·      imparare a lasciare correre non prendendo “troppo a cuore” cose e situazioni così come non assimilarne troppo soprattutto gli aspetti negativi

·      vivere con consapevolezza e trasformare l’esistenza in una meditazione-elevazione continua

·      distaccarsi dall’ego che impedisce di diventare consapevoli dei dettagli veramente importanti

·      compiere riti che aiutino l’elezione spirituale senza distaccarsi dalle necessità di tutti i giorni.

·      Cercare la tranquillità nel momento presente per costruire la serenità in quello futuro

·      Rendersi conto che in fondo ogni processo ha delle tempistiche ben precise e più è complesso più queste si allungano: viverle con un certo distacco aiuta  non sentirsene schiavi.

 

 

Bibliografia

·      AAVV: “Il libro dei simboli riflessioni sulle immagini archetipe”, Taschen ed. 2013

·      AAVV: “La riflessologia origini benefici terapia del piede e della mano”, Gaia ed. 2011

·      Sotte, Pippa: “Massaggio e fisiochinesiterapia Cinesi”, Ambrosiana, 2013

 

·      Ming Wong, Alessandro, Conte, On Zon Su: “ Il massaggio del piede per la salute”, Mediterranea ed. 2009

·      Michel Odul: “Dimmi dove ti fa male elementi di psicoenergetica”, Punto d’incontro ed. 2013

·      Ming Wong, Alessandro Conte: “Le mappe segrete dell’ On Zon su applicazione dei massaggi antichi alla riflessologia del piede”, Mediterranee ed. 2012

·      Osvaldo Sponzilli: “Auricoloterapia”, Tecniche nuove ed. 2013

·      Patrizia Sanvitale: “La mano che cura”, Marsilio ed. 2011

·      Alejandro Lorente: “Digitopressione”, Armenia ed. 2009

·      George Stefan Georgieff:  “Il massaggio coreano della mano”, Macro ed. 2012

·      Claudio Santoro: “Riflessologia plantare”, Macro ed. 2012

·      Gabriella Artioli: “Manuale di riflessologia plantare”, Xenia ed. 2008

·      AAVV: “Enciclopedia del massaggio”, Giunti ed. 2005

·      Giovanni Leanti,  La rosa: “Messaggeri della salute”, Il segno dei Gabrielli ed. 2005

·      Marco Lorusso: “Riflessologia plantare”, Macro ed. 2007

·      Chen You Wa: “Digitopressione”, Tecniche Nuove ed. 2013

·      Dwight C. Byers: “La riflessologia del piede” Mediterranee ed. 2012

·      Iona Masaa Teeguarden: “Guida completa alla digitopressione jin shin do”, Mediterranee ed. 2012 2013

·      Huang Ti Nei, Ching Su Wen: “Testo classico di medicina interna dell’imperatore giallo”, Mediterranee ed. 2012

 

Nei prossimi numeri:

“Riflessologia ed emozioni: autunno e l’emozione tristezza”.

“Riflessologia ed emozioni: inverno e l’emozione paura”.

 

 




Sciamanesimo e Scintoismo

Paolo Bascioni*

Premessa

Intendiamo con la dicitura “Religioni secondarie” quelle caratteristiche che sono proprie di alcune religioni oggi presenti nel mondo e le rendono particolari. Innanzitutto sono poco diffuse, interessano quindi una piccola parte della popolazione globale ed hanno natura tale per cui non strutturano la vita sociale dei territori dove sono presenti. Il loro fine è più di potenziare alcune risorse o capacità individuali e rassicurare i timori di coloro che le praticano, magari mettendoli al riparo da influssi negativi che essi presumono possono venire dall’ambiente circostante o da esseri non meglio precisati, però appartenenti all’ordine dell’immateriale. Inoltre in esse manca il riferimento ad un Essere supremo trascendente ed assoluto di fronte al quale ci si sente responsabili ed al quale tutto si riferisce; per questo alcuni pensano che non si possa neppure parlare di religioni, ma se mai di culti più o meno naturalistici o misterici. Se però noi abbiamo inteso la Religione come un modo totale di intendere la vita che struttura il modo di essere e di operare, allora anche queste sono religioni. In concreto annoveriamo sotto il nome di “religioni secondarie” lo Sciamanesimo e lo Scintoismo.

 

Lo Sciamanesimo

Lo Sciamanesimo viene considerato una forma secondaria di religione e solo secondo una accezione molto ampia o indiretta annoverato tra le religioni. Il centro dello Sciamanesimo non è infatti Dio né la fede in Dio, ma lo “Sciamano”. Questi non è sacerdote della divinità e neppure ministro del culto, ma piuttosto un uomo in possesso di un potere straordinario o di particolari capacità che gli permettono, a certe condizioni e in determinate circostanze, di trascendere il mondo della materia per entrare in contatto diretto con gli spiriti e con i defunti. Il termine “Shaman”, da cui deriva Sciamanesimo, era usato dal popolo dei Tingusi della Siberia, per indicare appunto quella persona in grado di compiere azioni non comuni proprio perché in relazione con gli spiriti. “Shiaman” significa con probabilità “colui che sa”; il riferimento è a colui che conosce la via per realizzare la comunicazione con gli esseri che vivono una vita fatta di solo spirito.

Oggi quando si parla di Sciamanesimo si intende un insieme di elementi magici e religiosi o più precisamente pseudoreligiosi che si trovano non solo nei Tungusi della Siberia, ma anche in alcune zone dell’Africa, dell’Asia e soprattutto della cultura giapponese. È dunque la funzione esercitata dalla Sciamano a costituire lo Sciamanesimo; in questa funzione lo stesso Sciamano fermamente crede, la sua sicurezza è essenziale. I seguaci di questa che potremmo chiamare pratica sciamanica, accettano i poteri e la funzione dello Sciamano, vi credono e vi ricorrono. Sono abitanti di villaggi e di ambienti caratterizzati da una facile credulità popolare. La particolare funzione esercitata dallo Sciamano consiste nel costituirsi e porsi come intermediario e tramite di congiunzione tra le persone che a lui ricorrono e il mondo dell’aldilà, degli spiriti e dei defunti. Questo mondo al quale si fa riferimento è piuttosto complesso. Nella prospettiva sciamanica esistono infatti spiriti delle piante, degli animali, come esistono i così detti “Spiriti custodi”; custodi di montagne, fiumi, boschi e di altri ambienti importanti della natura. Vi sono poi gli spiriti dei morti che per certi aspetti sono più importanti degli altri spiriti, e comunque poter stabilire un rapporto con essi è particolarmente ricercato dai vivi. Con tutti questi spiriti di natura diversa gli Sciamani sostengono e credono fermamente di essere in grado di mettersi in contatto. Il contatto non si verifica però in stato di normalità, ma solo se e quando lo Sciamano si trova in una specie di estasi, noi diremmo in “trance”, in una condizione estatica. Bisogna quindi creare le condizioni perché lo stato estatico si verifichi e per questo servono certamente particolari predisposizioni personali e condizioni interiori che solo alcuni hanno, e solo questi possono diventare sciamani; nell’atto dell’esercizio sciamanico sono anche molto utili, e a volte addirittura indispensabili, aiuti e mezzi esterni, come la danza, il suono particolare di determinati strumenti, specie il tamburo; non si esclude neppure il ricorso a sostanze stupefacenti. Raggiunto lo stato di “trance” lo Sciamano afferma di essere in grado di stabilire un contato diretto con gli spiriti; la sua anima emigra nell’aldilà, compie viaggi attraverso i quali congiunge il mondo presente con quello ultraterreno. Il congiungimento con gli spiriti è stabilito non per una specie di gioco né per una motivazione personale dello Sciamano, ma sempre per un qualche fine comunitario, per un vantaggio o utilità dei vivi e per soddisfare le richieste di coloro che a lui si rivolgono. Lo Sciamano infatti con l’aiuto degli spiriti buoni raggiunti nella comunicazione con l’aldilà, può compiere azioni straordinarie, come guarire i malati, prevedere ciò che accadrà in futuro in modo che gli interessati si premuniscano, consigliare determinati comportamenti ed altro ancora. Acquista anche, nello stato di “trance”, delle potenzialità fisiche così che gli diventa fattibile quello che è inverosimile; ad esempio, trafiggersi con una spada senza procurarsi ferite, senza versare sangue e sentire dolore. Questi aspetti spettacolari sono però secondari e non si riscontrano sempre, ma solo in alcuni contesti territoriali e culturali. Nella forma classica che potremmo anche chiamare più pura dello Sciamanesimo, lo Sciamano ha due funzioni essenziali. La prima e più importante è di esercitare la mediazione tra gli spiriti e il mondo umano. La seconda, far sentire il suo intervento benefico a favore degli uomini, innanzitutto per guarirli dalle malattie o almeno addolcire il dolore; ma anche per aprire un varco sull’avvenire. Tutto questo lo Sciamano può perché si avvale della potenza degli spiriti buoni. È anche vero che gli spiriti cattivi cercano in ogni modo di impedire e di ostacolare le sue azioni finalizzate a guarire dalle malattie e a predire il futuro.

Si comprende dunque bene come lo Sciamanesimo metta insieme aspetti di magia con aspetti di religiosità e lo Sciamano sia per certi versi un mago e per altri un punto di riferimento per esigenze religiose delle persone che a lui si rivolgono. La distinzione precisa tra la dimensione magica e superstiziosa da una parte e quella religiosa dall’altra non è sempre facile da fare; anche perché nelle civiltà e nelle culture non ancora avanzate, magia e religione vengono spesso vissute insieme.

Sarà anche opportuna una osservazione di carattere generale. Lo Sciamanesimo prima di essere una pratica magico-religiosa propria di ben precisi ambienti geografici e legata a specifiche culture o civiltà, è un atteggiamento dello spirito umano che può rintracciarsi, almeno per alcuni elementi che lo caratterizzano, anche in contesti storico-religiosi che ufficialmente sono lontani dall’essere qualificati come Sciamanesimo. Non meraviglia quindi che alcuni studiosi abbiano individuato tracce sciamaniche in Pitagora e nel Pitagorismo, in Muhammad e nella setta musulmana dei Dervisci, come anche nel fenomeno delle streghe di un certo periodo del tardo Medioevo.

Che cosa si può dire del rapporto tra Cristianesimo e Sciamanesimo? Lo Sciamanesimo pone alcune istanze autentiche dell’animo umano. Principalmente due: l’uomo immerso nel mondo materiale sente di trovarsi in presenza e come immerso anche in un mondo o dimensione spirituale con il quale anela a mettersi in contatto; la comunicazione tra lo “spirito incarnato” che è l’uomo e gli spiriti che vivono senza corpo costituisce un desiderio e nello stesso tempo un problema per l’uomo stesso.

Il Cristianesimo offre una risposta a tali esigenze e propone delle indicazioni sulle possibili relazioni tra il mondo umano e il mondo dei puri spiriti. Innanzitutto secondo la rivelazione cristiana non si può parlare dell’uomo e di spiriti senza chiamare in causa Dio. Dio è il fondamento della vita e dell’essere dell’uomo, come è anche la causa e la vita delle esistenze spirituali. Nel Cristianesimo il mondo degli spiriti è purificato da ogni superstizione, da ogni magia e da ogni dimensione mitologica; l’esistenza degli spiriti è separata dall’esistenza propria degli elementi naturali. Gli spiriti si relazionano a Dio, ma possono anche relazionarsi, nell’ambito del disegno di Dio, con gli uomini. Particolare attenzione riserva la dottrina cristiana agli “spiriti umani” usciti dall’esistenza fisica e intramondana, che vivono in Dio o protesi al raggiungimento pieno di Dio; è il riferimento a quelli che con immagini e linguaggio tradizionale si dicono il Paradiso e il Purgatorio. L’uomo vivente nel tempo della storia del mondo può comunicare con gli “spiriti” e con le “anime”. Questa comunicazione non è però prerogativa di alcune persone quasi fossero addette a tale compito, e neppure è frutto di particolari accorgimenti di carattere fisico o psichico. Essa avviene nel desiderio, nella preghiera, nella volontà, nel reciproco amore e nella comunione di affetti e di sentimenti. Tutto questo non fuori o indipendentemente da Dio, ma in Dio stesso nel quale si realizza ogni comunione ed ogni vicendevole scambio. Gli spiriti possono aiutare l’uomo. La tradizione cristiana conosce la dottrina sugli angeli custodi. Questo aiuto è però da collocare nell’ambito del disegno globale di Dio che relaziona uomini e spiriti in vista di un comune destino di universale beatitudine in lui. Quanto agli spiriti che furono anime umane viventi nel mondo fisico, si afferma che possono ricevere aiuto, se ne hanno bisogno, dagli uomini, così come possono anche offrirne ad essi: è la fede nella “Comunione dei Santi”; sempre nella prospettiva più ampia del piano universale di Dio che tutti, uomini, spiriti ed anime, unisce a sé come fine ultimo, desiderato, cercato, amato.

Ciò che lo Sciamano vuole ottenere dagli spiriti, il Cristianesimo dice che è da cercare in Dio, e ciò che Dio offre è più grande, più decisivo e veramente salvifico rispetto a quanto lo Sciamanesimo ritiene che gli spiriti possano procurare a vantaggio degli uomini. Secondo la fede cristiana, va precisato, che quanto detto, tutto avviene in Cristo e per Cristo; Egli è infatti l’unico mediatore tra noi e Dio e il fondamento della “Comunione dei Santi”.

È forse opportuno anche osservare che a volte si ha l’impressione che nell’ambito della religiosità cristiana come è vissuta concretamente, atteggiamenti di carattere sciamanico siano presenti. Basti pensare a certi modi di rapportarsi con i defunti o al ruolo attribuito da alcuni strati di fedeli al ministro ordinato, il sacerdote, inteso come colui che può ottenere particolari effetti o risultati perché ha la “chiave” che gli permette di intervenire tra le potenze del mondo spirituale. L’atteggiamento sciamanico è quasi istintivo nell’uomo; esso va purificato o più precisamente superato, ma può anche inquinare alcuni aspetti della quotidianità dei cristiani. Il superamento dello Sciamanesimo è possibile solo nella conoscenza dell’unico vero Dio e nel rapporto corretto con lui; l’annuncio delle fede cristiana è la via che vi conduce.

 

Lo Shintoismo

Quando si parla di Shintoismo il pensiero va al Giappone e giustamente perché lo Shintoismo è la religione dei giapponesi. Esso fonda l’identità nazionale del popolo giapponese in quanto ne esprime i valori, ne conserva e tramanda le tradizioni religiose e ne interpreta la coscienza di unità nazionale.

La parola “Shinto”, di origine cinese, significa “via”; è la via dei “Kami”: i Kami sono le divinità. Concretamente lo Shintoismo risulta composto da un sistema piuttosto complicato di pratiche e cerimonie rituali che ogni appartenente al popolo giapponese accoglie ed accetta anche se eventualmente professasse una fede religiosa diversa dallo Shintoismo, fosse, ad esempio, buddista; i buddisti infatti sono numerosi in Giappone. Questo avviene perché nello Shintoismo ci si riconosce in quanto giapponesi, prima e indipendentemente che esso sia accettato come verità religiosa. La realtà religiosa shintoista è composta da elementi diversi in cui un posto particolare spetta alle divinità, ai “Kami” appunto, ma di cui fanno parte anche altre componenti, come gli spiriti o anche alcuni fenomeni della natura.

È difficile stabilire quando lo shintoismo è sorto e si è affermato in Giappone; gli elementi che lo compongono appartengono alla preistoria di quel popolo, mentre una identificazione di esso che lo distingue da altre religioni si può considerare iniziata nell’ottavo secolo dopo Cristo, quando dopo la diffusione del Buddismo, in Giappone si fa distinzione tra la religiosità tradizionale, denominata appunto Shintoismo, e le nuove credenze che vengono introdotte e che appartengono alla tradizione buddista originaria dell’India. All’inizio dunque lo Shintoismo era un complesso di riti, cerimonie e culti di carattere agricolo e legate alle forze e ai cicli della natura, che venivano officiate dagli Sciamani. A partire dall’ottavo secolo dell’era cristiana assume una dimensione politica. Fu in quel secolo infatti che la tribù dei “Yamako” che si era assunta il compito di officiare le cerimonie religiose e i cui capi si erano proclamati “Capo dello Stato”, attribuì origini divine all’imperatore e alla sua famiglia. In questo modo veniva legittimato il potere dell’imperatore e sacralizzato il suo governo e con esso tutto l’assetto della struttura sociale e politica. Queste caratteristiche di sacralità si sono conservate nella storia del Giappone fino al termine della seconda guerra mondiale quando la natura divina dell’imperatore è stata sconfessata in un certo senso dagli eventi bellici che hanno visto l’imperatore, considerato di natura divina, sconfitto e con lui abbattuta la potenza giapponese ad opera soprattutto degli Stati Uniti d’America. Per farsi una idea meno approssimativa dello Shintoismo bisogna fare riferimento a quattro elementi essenziali che lo compongono, lo strutturano e lo caratterizzano in tutta la sua realtà: le Cerimonie religiose, gli Scritti sacri, i Miti e i Templi.

Le Cerimonie religiose sono costituite da preghiera, digiuni, offerte di oggetti personali o di prodotti della natura, riti purificatori ed altro del genere. Esse possono essere pubbliche, e queste si svolgono in particolari tempi dell’anno e in luoghi a ciò specificamente dedicati e riservati, oppure private, quando i singoli le compiono per proprio conto durante le visite che effettuano ai templi nelle circostanze più significative della vita, come ad esempio nella celebrazione dei matrimoni. Con le cerimonie religiose si intende rivolgere un culto ai Kami che sono divinità, ma intese come forze della natura legate a particolari località geografiche, quali montagne, grotte, pietre, ma anche alberi o altro. Lo scopo è ottenere da essi protezione ed assistenza. Tra le cerimonie, particolare importanza hanno quelle rivolte ad ottenere la purificazione. Il concetto di purezza nello Shintoismo è fondamentale; esso è inteso come allontanamento della morte e di ogni altra contaminazione derivante da cattiva condotta; per condotta cattiva si intende quella che ostacola o non favorisce il bene del gruppo. La contaminazione impedisce di potersi presentare ai Kami e di rendere da essi accettabili le proprie richieste. La purificazione, che avviene attraverso procedure rituali ben determinate, restituisce quella specie di innocenza indispensabile per essere fedeli shintoisti.

Per quanto riguarda gli scritti a carattere religioso è da precisare innanzitutto che lo Shintoismo – particolarità non indifferente rispetto alle religioni – non ha una “Scrittura sacra“ in senso stretto, come non ha trattati teologici che studino Dio, la sua natura e la sua relazione con gli uomini. Tutto questo esula dalla mentalità giapponese per la quale la religione riguarda il mondo presente. Gli scritti a carattere religioso presentano dunque racconti mitologici o riferiscono la storia di templi shintoisti e a volte anche buddisti; oppure contengono le norme da seguire nella religione nazionale, nelle cerimonie che si svolgono nei templi o sul modo di amministrarli. I più antichi di questi libri a carattere religioso appartengono al secolo Vlll d.C., presentano racconti mitologici sul passaggio dal governo dei Kami a quello degli uomini, raccontano storie sulla costruzione di templi e danno indicazioni su cerimonie sacre. Il loro contenuto costituisce la base di quelle dottrine e di quei riferimenti religiosi che sono patrimonio comune del popolo giapponese; ad esso si fa riferimento in modo particolare nei momenti in cui si sperimenta più intensamente il sentimento di nazionalità, come avvenne, ad esempio, nel periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale. Un’altra raccolta di libri religiosi appartiene al lX e X secolo d.C.; il suo contenuto è vario e spazia dagli avvenimenti politici alle preghiere da recitarsi durante le liturgie.

Questo complesso di scritti costituisce e contiene anche una specie di storia ufficiale del popolo giapponese, che prende le mosse da inizi leggendari o mitologici e arriva fino al lX secolo quando la storia ufficiale si può dire che si arresta

I miti propri della tradizione e della civiltà giapponese sono in stretto rapporto con gli scritti e la letteratura di quella cultura in quanto sono narrati e tramandati da essi, soprattutto dalle opere composte nel secolo Vlll. Le narrazioni mitologiche in particolare hanno lo scopo principale di mostrare l’origine divina dell’imperatore e della sua famiglia e quindi di costruire un fondamento sacro per il suo potere. La mitologia intende anche dare una spiegazione sull’origine del mondo e sulla sua conformazione, sulla natura del bene del male, sul mondo degli spiriti, sul luogo e sulla condizione dell’uomo dopo la morte. Tutti questi ambiti e riferimenti della mitologia vengono attribuiti all’ “Età degli dei”. Essa termina con il cosiddetto primo imperatore; a lui seguono dei regni di durata lunghissima, anch’essi sostanzialmente mitologici. Il primo sovrano storicamente fondato appartiene con probabilità al lll secolo dell’era cristiana. Qui si può dire che termina la mitologia del Giappone, o anche che qui comincia la sua storia.

Circa i templi è bene ricordare che il Giappone è caratterizzato in tutto il territorio dalla presenza di essi. I templi hanno dimensioni diverse, sono circondati da un recinto sacro ed hanno sviluppato un particolare tipo di costruzione che potremmo chiamare architettura sacra: i tetti e i portali sono gli elementi più caratteristici dei templi shintoisti che a volte incorporano strutture proprie dei templi buddisti. La parte più importante è quella centrale, una specie di stanza nella quale si ritiene che abiti la divinità. Spesso la stanza è vuota o vi si conserva uno specchio. I templi sono destinati ad onorare gli dei, i kami, e generalmente sono  consacrati a specifici Kami. Fino al termine della seconda guerra mondiale, quando lo Shintoismo era la religione di Stato, i giapponesi avevano l’obbligo di fare riferimento ad un tempio al quale erano legati e per il quale dovevano versare dei contributi obbligatori; oggi tutto questo non esiste più. Solo il tempio di Yasukuni è un edificio sacro della nazione giapponese perché vi sono conservati i resti dei caduti in guerra e pertanto costituisce una specie di sacrario nazionale.

È difficile o piuttosto impossibile un raffronto tra il Cristianesimo e lo Shintoismo, siamo in ambiti e contesti del tutto diversi. Il Cristianesimo è da Dio e ha per scopo portare l’uomo a Dio. Nel possesso di Dio, già in questa vita ma in modo pieno e definitivo nella dimensione eterna, l’uomo raggiunge il suo fine ed entra nella felicità “piena e duratura”, che per altro non è qualcosa di distinto e diverso da Dio stesso. Anche lo Shintoismo, come religione, intende procurare la felicità umana che si può ottenere con l’aiuto delle divinità. Queste sono benevole nei confronti dell’uomo; i loro interventi sono sempre a suo favore. Gli dei vogliono arrecare all’uomo benessere, soddisfazione e felicità piena. Si tratta però sempre di una felicità che si realizza in questo mondo ed  in questa vita; è quindi segnata dal limite, dal provvisorio e precario e cioè dalle caratteristiche della vita umana e di tutto ciò che è intramondano. Potremmo dire che lo Shintoismo è la religione della vita nel mondo e dei beni che il mondo può offrire. Essi sono doni degli dei, ma gli dei più di questo non offrono e non possono offrire. Il fine trascendente dell’uomo non rientra nella prospettiva schintoista, la vita terrena non è proiettata e non aspira ad una pienezza oltre il tempo della storia ed oltre l’orizzonte mondano. La religione shintoista non attende nulla e non promette nulla per un’altra vita.




Il concetto di vuoto nella cultura e nella medicina cinese

Lucio Sotte*

Il concetto di Vuoto

La nozione di Vuoto è un concetto fondamentale del Taoismo e dell’intera cultura cinese, che viene fatto proprio dalla medicina. La stessa cosmologia cinese parte da questo concetto: all’inizio c’è il Caos Primordiale, che viene osservato e definito come tai xu, Grande Vuoto, o anche come wu ji, Senza Limite o Senza Polarizzazione. Da questa «assenza» origina la vita.

Un passo del capitolo III dello Zhuang Zi ricorda come il Vuoto sia alla base della Cosmogonia: “Il dao (tao) ha per origine il Vuoto. Dal Vuoto è nato il cosmo da cui emana il qi”.

La vita del cosmo origina dal Grande Vuoto, la vita sul nostro pianeta inizia nel Vuoto Mediano, che può essere inteso a livello macrocosmico come lo spazio fecondo tra Cielo e Terra e a livello microcosmico umano come il luogo della libera circolazione dei soffi vitali.

Un passo del capitolo XI del Dao De Jing illumina sul significato di Vuoto nel pensiero taoista: “Trenta raggi si congiungono a un mozzo unico: questo vuoto nel carro permette l’uso. Con una zolla d’argilla si dà forma a un vaso: questo vuoto nel vaso permette l’uso. Si dispongono porte e finestre in una stanza: questo vuoto nella stanza permette l’uso. L’avere permette il vantaggio, il non avere l’uso”.

I trenta raggi della ruota indicano i trenta giorni del mese, il mese suggerisce le stagioni e il trascorrere del tempo dell’anno, cioè la vita dell’universo ritmata dal tempo del Cielo. Alla stessa maniera il vaso di argilla delimita uno spazio che è correlato simbolicamente alla Terra.

Le porte e le finestre delimitano gli ambienti della casa abitata dall’Uomo.

La triade Cielo-Uomo-Terra viene messa a confronto con i concetti di Pieno e di Vuoto. Il Pieno, rappresentato dai raggi della ruota, dalle pareti del vaso e dagli infissi della casa, costituisce il visibile della struttura, ma il Vuoto del perno della ruota, della cavità del vaso e degli ambienti della casa rappresenta l’invisibile che permette l’uso di ogni struttura. Il Vuoto è il luogo della circolazione dei soffi vitali ed è la sede degli scambi.

Il Vuoto è la condizione per ogni trasformazione, per l’accadere di ogni avvenimento: ciò è vero nella fisica e nella medicina cinesi, ma anche nelle arti come la letteratura, la musica e la danza.

Nella concezione cinese l’arte della scrittura è basata sul Vuoto, che viene in parte riempito dai tratti del pennello: la calligrafia si serve dello spazio bianco tra i tratti di ogni carattere per situare e definire i tratti stessi.

Nella pittura cinese lo spazio «non dipinto» spesso prevale su quello tratteggiato, come a voler significare che è il «Vuoto» a definire il «Pieno». Nella calligrafia come nella pittura la dialettica Vuoto-Pieno è uno strumento per portare alla luce gli effetti di un’altra dialettica: quella yin-yang. È il qi dell’artista che guida il pennello a realizzare nel carattere o nel tratto pittorico un’opera che sia una sorta di microcosmo che richiama il macrocosmo: quel macrocosmo il quale procede da un soffio primordiale che sfrutta appunto il «Vuoto» per circolare.

La rappresentazione simbolica del Vuoto è la Vallata, un incavo «vuoto» che genera e nutre tutti gli esseri e le cose che la abitano e non si esaurisce mai, come afferma il Dao De Jing  al capitolo VI: “Lo spirito della Vallata vive per sempre; qui si parla della Femmina misteriosa. La Femmina misteriosa ha un’apertura da cui escono Cielo e Terra. L’impercettibile filo fila indefinitamente, vi si attinge senza mai esaurirlo”.

Nell’arte della musica il silenzio tra una nota e la successiva permette loro di situarsi e accadere dando ritmo al brano.

Nella poesia si utilizzano parole «vuote». Lo stesso accade per la danza che, in analogia alle ginnastiche mediche e alle arti marziali, si fonda su un raffinato calcolo del Vuoto e del Pieno nell’appoggio del peso del corpo, così come nella realizzazione dei gesti che strutturano i movimenti.

Da questa concezione di Vuoto ne deriva una seconda altrettanto importante: il debole vince il forte, lo scipito ha più gusto del saporito. Per esprimere questi concetti si fa di frequente riferimento alla natura dell’acqua che, apparentemente debole, vince ogni ostacolo, discende, penetra e umidifica ogni cosa.

Il capitolo XLIII del Dao De Jing  afferma: “Ciò che vi è di più tenero al mondo alla lunga vince ciò che vi è di più solido. Ciò che non ha penetra ciò che non ha vuoti. Da questo apprendiamo il vantaggio del non agire. L’insegnamento senza parole, il vantaggio del non agire, pochi vi arrivano”.

E sempre dal capitolo XXXVI del Dao De Jing: “Flessibile e debole trionfano su duro e forte”.

Così accade che negli esercizi di qi gong l’attenzione sia sempre posta sulla «rilassatezza» delle masse muscolari che, proprio perché toniche, elastiche ma non irrigidite e congestionate, permettono al qi di fluire pienamente e realizzare compiutamente ogni gesto. Anche nelle arti marziali vengono utilizzati questi concetti: un colpo di gong fu (kung fu) è efficace quando l’atleta è in grado di condensarvi tutta la propria energia, che può sprigionarsi liberamente solo attraverso il Vuoto, perché il rilassamento muscolare che deriva dall’allenamento impedisce che ci siano delle rigidità da superare. Si vince non perché si è più forti e potenti dal punto di vista muscolare, ma perché si è in grado di governare appieno la propria energia ed esprimerla compiutamente con un gesto libero che non è ostacolato da nessuna pienezza.

Questi concetti valgono anche in medicina: uno dei meccanismi eziopatogenetici più frequentemente alla base dei fenomeni morbosi è quello del rallentamento e/o dell’ostruzione della circolazione del qi, che determina la malattia ostacolando i processi di produzione, distribuzione, purificazione del qi stesso.

Vari caratteri vengono utilizzati per esprimere ilconcetto di Vuoto: chong, che trasmette l’idea di un fluido espulso con violenza; kong, che indica lo spazio vuoto della volta celeste; infine xu, che si rapporta con l’idea di Vuoto come condizione per la circolazione silenziosa dei soffi vitali. Si tratta del Vuoto che descrive la condizione ideale nella quale gli elementi yin  si comportano naturalmente come tali, così come quelli yang , e tra i due poli yin-yang si ha un interscambio leggero e silenzioso di soffi.

Lo stato di salute è caratterizzato dal silenzio, non ci sono rumori di fondo, come se nulla accadesse. Il carattere xu rappresenta una collina deserta dove «nulla» ostacola il fluire regolare dei soffi.

 

Il «Vuoto del Cuore»

Un altro elemento fondamentale del Taoismo che si trasmette alla medicina cinese e che qui brevemente anticipiamo è una sorta di conseguenza della pratica del Vuoto applicata al «mentale» tramite il Cuore, che rappresenta simbolicamente quanto di più spirituale alberga nell’organismo.

La medicina cinese affida simbolicamente al «Cuore» e al sistema a esso correlato (apparato circolatorio, vene, arterie, vasi capillari, ecc.) il compito di svolgere nell’ambito dell’organismo il ruolo che il Sovrano svolge nell’ambito dello stato. Nel governo dello stato si distinguono due livelli: uno inferiore e ordinario e uno superiore e straordinario. Il governo ordinario è quello degli affari politici di tutti i giorni ed è affidato ai ministri, che nel nostro organismo sono simbolicamente rappresentati da altri organi, come ad esempio il Polmone o il Pericardio: essi non disturbano il Cuore per le questioni di poco conto che possono risolvere. Il governo superiore e straordinario è invece affidato solo al Sovrano ed è quello di dare “autenticità” alla vita del popolo, di guidare il popolo alla sua “vera realizzazione”: questo è il compito proprio del Sovrano e dunque del Cuore. Per svolgere questo compito occorre imparare e mettere in pratica l’«Arte del Cuore», ossia il lavoro sublime del Cuore, che consiste nel realizzare il «Vuoto del Cuore».

“Il Vuoto del Cuore non è un fenomeno statico e passivo ma è bene espresso dall’immagine dinamica del fluire di un fiume: l’acqua che scorre permette, nello stesso istante in cui scorre, all’acqua che arriva di prendere il suo posto, il posto dell’acqua appena passata; oppure dall’immagine dello specchio che riflette tutte le realtà. Il Vuoto del Cuore è perciò la condizione per aumentare la nostra percezione cosciente, libera da vizi e pregiudizi: è quella condizione libera dal passato e dal futuro che permette di vivere la pienezza dell’hic et nunc.”

Tre sono i termini che ricorrono continuamente nei testi classici per designare ciò che deve concorrere a mantenere questo Vuoto: wu yu , Senza Desiderio, wu zhi, Senza Conoscenza e wu wei , Senza Azione.

Il Cuore deve restare «senza desiderio» […] desiderio è il desiderio naturale, è la vita che vuole vivere.

 

Il Senza Desiderio è non restare attaccati all’oggetto del desiderio. Il desiderio viene, non lo si asseconda e questo permette ad altri desideri di venire. Allora si desidera e si resta Senza Desiderio.

 

Dunque il Vuoto del Cuore è osservare la regola del vivere Senza Desiderio: questa è la condizione di base per far affiorare il desiderio naturale della vita che vuole realizzarsi. Senza Desiderio è non attaccarsi agli oggetti del desiderio e mantenere il proprio «Cuore Vuoto» in modo da poter recepire e percepire tutti i desideri. Il «Vuoto del Cuore» permetta allo shen (il mentale, lo psichismo) di trovare un luogo adatto alla propria dimora. A questo proposito riportiamo un passaggio dello Xun Zi , capitolo XXI, che afferma: “Come può un uomo conoscere il dao (tao) ? Grazie al Cuore. Come può il Cuore conoscere? Grazie al Vuoto, perché il Vuoto non dirige verso le impressioni già tesaurizzate, ma verso ciò che deve essere ricevuto”.

Questo atteggiamento permette all’uomo la vera conoscenza, che non consiste per i taoisti nell’acquisizione di nozioni, ma al contrario nel «saper vivere» secondo un agire naturale che proprio perché naturale è una «conoscenza senza conoscenze».

 

Il «Non Agire»

La vita del cosmo è un flusso, uno scorrimento interminabile e ciclico fondato sul dao (tao) , che rappresenta il senso di questo flusso e contemporaneamente la Via da percorrere per adeguarsi a esso.

Il dao (tao) è il programma formativo di tutta la creazione come legge determinante di tutti i fenomeni naturali ed è anche la norma da rispettare per perseguire la salute e la felicità. Il dao (tao) è quindi la Via per  arrivare alla conoscenza e anche il metodo da seguire per poter conoscere: è contemporaneamente un contenuto, cioè la conoscenza, e un evento dinamico di conoscenza, cioè la strada, la via, il percorso.

Il Taoismo è inoltre una filosofia basata su una sorta di «egoismo», inteso in senso positivo e conservatore, come un mezzo, cioè, che consente all’uomo di concentrarsi nel seguire la Via che porta alla felicità nel pieno compimento di sé attraverso il metodo del «Non Agire»: wu wei , cioè non interferire con il corso naturale delle cose, ma anzi assecondarlo.

La conoscenza del dao  può essere raggiunta solo tramite una sorta di ascolto passivo, che si realizza quanto più è totale il silenzio che l’osservatore è in grado di produrre dentro di sé. Lao Zi sostiene infatti che “Il dào  segue le vie della Natura” e che l’uomo dovrebbe essere come l’acqua che costantemente si conforma a tutto quello che incontra. Per raggiungere questo scopo Lao Zi ci insegna che non bisogna perseguire gli interessi umani, che sono sempre dettati da impulsi personali spesso deleteri, bensì è indispensabile che l’uomo si concentri su una non attività di carattere ascetico, adeguandosi alle leggi naturali, conformandosi come microcosmo al corso del macrocosmo che lo circonda e lo comprende.

Nel Dao De Jing  si legge: “Ci sono quattro fenomeni grandiosi nell’universo; il genere umano è uno di questi. Il genere umano segue le vie della Terra. La Terra segue le vie del Cielo. Il Cielo segue le vie del dao . Il dao  segue le vie della Natura”.

 

Longevità, salute, sapienza e santità

Il Vuoto del Cuore e il Non Agire conducono al «Saper Fare», che consiste in un «Saper Essere» che da una parte conduce alla salute e dall’altra alla completa realizzazione di sé.

La visione taoista fa trasparire una sorta di consonanza tra salute e piena realizzazione di sé. Si realizza pienamente colui che perseguendo la Via riesce a fare silenzio all’interno del suo corpo per riuscire a coglierla pienamente e identificarsi con essa.

Nel capitolo I del Su Wen viene descritto il percorso che nei tempi antichi ha condotto gli uomini Autentici e quelli Assoluti all’immortalità.

Vengono poi citate altre due categorie di uomini, che realizzano nel presente la loro piena aspettativa di vita: i Sapienti, che arrivano al massimo della loro longevità e i Santi, che diventano centenari.

Attraverso queste due categorie viene descritto il lavoro che ogni uomo deve compiere su di sé per realizzare pienamente la sua salute e vivere compiutamente i giorni che il destino gli affida mediante il comportamento apparentemente «passivo» del Vuoto del Cuore e del Non Agire. Si tratta, come abbiamo già accennato, di seguire uno stile di vita che conduca all’eliminazione di tutti i rumori di fondo che disturbano la capacità di cogliere il possesso di sé, cioè la possibilità di adeguarsi al dao. Ciò accade contemporaneamente in senso fisico, psichico e spirituale, com’è ovvio per una medicina che non distingue le parti ma, al contrario, considera l’unità dell’individuo un postulato di base.

La Santità è un atteggiamento mentale e fisico di estremo rispetto di sé e di messa a frutto di tutti i propri carismi fondato sul Non Agire: si tratta di perseguire un agire autentico ed efficace, che è il contrario di quanto può apparire a prima vista l’espressione «Non Agire»: una sorta di rinuncia o di inattività. Non Agire è invece un Agire allo stesso modo e nello stesso senso della natura, assecondando il corso naturale. Ma per fare questo occorre eliminare ciò che ostacola l’ascolto vero del fluire naturale e anche il tumulto e la distrazione apportati dall’eccessiva stimolazione dei sensi.

Il capitolo XII del Dao De Jing  affronta il rapporto tra iperstimolazione sensoriale e Santità: “I Cinque colori accecano l’occhio, le Cinque note assordano l’orecchio, i Cinque sapori guastano la bocca […]. I Santi favorivano ventre e non occhio, rifiutavano l’esteriore e si attenevano a se stessi”.

Quando si dice che i Santi favorivano il «ventre» si intende che prediligevano la pienezza dei soffi vitali conservati nella regione addominale, mentre il non favorire l’occhio va inteso come un assecondare il controllo dei sensi.

Il Santo è l’uomo che perseguendo la Via naturale porta a termine i giorni che il destino gli ha assegnato tesaurizzando e ottimizzando tutte le energie che ha ricevuto al momento del concepimento, attenendosi a una regola sana che si traduce in un comportamento sano.

La longevità è vivere a lungo, ma soprattutto vivere bene, è Saper Essere non sperperando nulla di sé. I concetti di salute e di santità si vanno così a confondere l’uno con l’altro.

Un dato emerge chiaramente da questi aspetti del pensiero taoista applicato alla medicina: l’uomo è responsabile del proprio stato di salute, che può favorire con un comportamento corretto che ottimizza i lati positivi minimizzando gli aspetti negativi della sua costituzione o, al contrario, distruggere applicando uno stile di vita dissoluto o contrario alle necessità del suo organismo.

Appare chiaro, a partire da quanto appena affermato, come la prevenzione occupi un posto rilevante nella medicina cinese e si esplichi attraverso metodiche molteplici: dietetica, ginnastica, meditazione, farmacologia, agopuntura.

Il paziente cinese si reca dal medico per un check-up energetico prima di ammalarsi o ai primi sintomi di squilibrio e il compito del medico è quello di scoprire i settori più deboli dell’organismo allo scopo di suggerire al paziente come nutrirli o «tonificarli». La moderna gerontologia conferma molti aspetti dell’antica medicina cinese, e in particolare la necessità di eliminare i «rumori di fondo» del nostro organismo per il mantenimento dello stato di salute e la promozione della longevità. In questo senso promuovere la salute equivale a trovare il modo per far funzionare il motore del nostro organismo con il «minimo più basso possibile», evitando quegli stress ossidativi che sono alla base della maggior parte dei processi di invecchiamento.

Tra le pratiche di «lunga vita» è tenuta in particolare considerazione una serie di tecniche sessuali che hanno lo scopo di preservare il jing, ovvero la quintessenza vitale che tutti gli uomini ereditano al momento della nascita e che gradualmente diminuisce nel corso della vita, fino a esaurirsi completamente al momento della morte.

Dalla filosofia taoista deriva la sensibilità che la cultura cinese ha sempre dimostrato nei confronti della vita e della salute e di tutte le tecniche mirate alla loro conservazione e al loro miglioramento. Se il bene dell’uomo si identifica con la possibilità di portare a termine il proprio destino vivendo con serenità gli anni che ci sono stati assegnati, allora si spiega perché i taoisti privilegiassero nella loro vita tutte le pratiche che miravano a questo scopo. La concezione che la prevenzione delle malattie possa essere attuata attraverso la capacità di vivere in armonia con i ritmi della natura, limitando gli eccessi, allontanando le passioni e praticando costantemente le «tecniche di lunga vita» era già radicata ai tempi di Lao Zi. Il perfetto equilibrio tra microcosmo-uomo e macrocosmo-universo garantisce lo stato di salute e la corrispondenza tra questi due cosmi porta addirittura a concepire il corpo umano come una specie di paesaggio interno che si conforma a quello esterno.

Così i mari, il sole, la luna, i fiumi, le montagne danno nomi molto poetici e simbolici alle varie zone anatomiche del corpo e agli stessi punti di agopuntura e svolgono nel «paesaggio interno» compiti analoghi a quelli svolti nel macrocosmo.

Il medico di medicina cinese si pone di fronte al paziente con un duplice atteggiamento: da una parte utilizzare tutte le armi terapeutiche a sua disposizione per «curare» la malattia già in atto o «mantenere» il più a lungo possibile lo stato di benessere, dall’altra «educare» il paziente a conoscere se stesso e adeguare il proprio comportamento fisico, psichico e sessuale al fine di realizzare pienamente le proprie potenzialità. Questo secondo aspetto della medicina cinese è fondamentale per la sua più compiuta espressione in ambito preventivo.

 

Bibliografia

Sotte L., ed altri, Fondamenti di Agopuntura e Medicina Cinese, CEA, Milano, 2006

 




I Commentari di Padre Matteo Ricci: un resoconto della Cina del 1600 attualissimo per gli europei del III millennio – capitolo VIII

Matteo Ricci*

1. I Cinesi studiosissimi dell’urbanità. 2. Cerimonie e espressioni usate nei saluti e nelle lettere. 3. Visite e libretti da visita; foggia e uso di questi libretti. 4. Regali e liste particolareggiate di essi; accettazione o rifiuto totale o parziale. 5. Abiti di gala rigorosamente prescritti nelle visite di funzionari o di persone rispettabili. 6. Cerimonie tra il padrone di casa e gli ospiti nei ricevimenti; uso del tè. 7. Molteplici inclinazioni e cortesie scambievoli al momento del commiato. 8. Usanze e cerimonie nei conviti; uso di bastoncelli, di vino e di cibi; libazioni e riverenze; canti e giuochi. 9. Cerimonie ed usanze verso l’Imperatore: udienze, colore, simbolo, palazzo ecc. 10. Ossequi ai mandarini; statue e tempi in loro onore. 11. Culto verso i parenti e i maggiori. 12. Lutto e riti funebri; casse da morti e giorno anniversario dei defunti. 13 Riti nuziali per i privati, per i Principi e per gli Imperatori; poligamia; compra della sposa; la moglie legittima. 14. Celebrazioni del genetliaco, della maggiorità, del capo d’anno e della festa delle lanterne.

 

Per antico titulo, che questa natione per se stessa si ha dato, si chiama Regno di politie et cose ornate; et fra cinque virtudi che sono tra loro come cardinali, de che largamente trattano i suoi libri, l’una è la cortesia, la quale consiste in tenere rispetto l’uno all’altro e far le cose con circumspectione. Di qui viene di età in età esser tanto cresciute queste cortesie, che tutto il giorno vanno in volta senza aver tempo di far altra cosa; di che i loro savij si dogliono e lamentano, e non se ne possono spidire. E conciosia cosa che quei che molto si dànno all’esteriore tengono manco conto con l’interiore, vengono quasi in tutti i trattamenti a risolversi in un bello e vano apparere agli occhi, come loro stessi confessano. Da qui anco avviene che, non dico gli altri regni inculti e barbari, ma anco i nostri europei a chi pare usare di somma politia, comparati con questi cinesi, saranno tenuti per huomini molto semplici e senza cerimonie nel loro trattare.

Dirò prima del modo commune di far cortesia tra loro; dipoi de’ loro riti particolari, specialmente di quello in che discordano da’ nostri, che è la mia principale intentione in questi capitoli.

 

Non tengono per cortesia tirarsi la berretta, o far riverentia con i piedi, e molto manco abbracciarsi, o basciare le mani o altra cosa che si presenti ad altri. La più commune cortesia loro è unire ambe le mani e le maniche che sempre portano molto lunghe, et alzarle e poi abassarle dirimpetto dell’uno all’altro, dicendo l’una all’altro: zin zin, che è parola senza nessuna significatione, se non di far cortesia. Quando si visitano, et molte volte anco quando si incontrano nella strada, con l’istesse mani unite, doppiando tutto il corpo, abassano la testa presso al suolo, l’uno all’altro et anco molti insieme, che chiamano zoiè. Quando facciano questa cortesia il maggiore all’inferiore in età o dignità, et il patrone di casa o visitato, a quello che viene a visitare, sempre lo pone a mano dritta (benchè nelle parti settentrionali del regno si ponga a mano sinistra); e molte volte, dipoi di alzati in piedi, l’altro ancora trapassa all’altra parte sinistra e fanno la stessa inclinatione ponendolo a mano dritta, come pagando l’honore che gli fece. E quando fanno questa cortesia nelle strade, si voltano ambedue alla parte settentrionale, in casa alla parte più alta e più fonda della sala, che anco suole essere al settentrione; per essere lo stile di questo regno che tutti li palazzi, tempij e case fatte con buona regola, o tutta la casa, o almeno le sale per ricevere le visite, siano con la faccia al mezzogiorno, dove anco hanno la porta.

Quando vogliono far magior cortesia, o per esser la prima volta che si veggono, o per esser molto tempo che non si videro per star lontani, o per congratularsi di qualche buona nova che hebbe o cosa che gli successe, o per darli gratia di qualche beneficio, o per esser qualche festa solenne, dipoi di fatta la detta inclinatione, si pongono ambedue di ginocchi et abassano la testa sino al suolo. E ritornando a levarsi in piedi, tornano a far la stessa inclinatione, e poi porsi di ginocchi con la testa in terrra; tutto questo quattro volte. Ma quando si fa questo a persona magiore, o per esser suo padre, o superiore, o persona di molta autorità, quello a chi si fa se ne sta in piedi nel più alto luogo della casa senza porsi inginocchione, e solo, conforme alle persone, gli risponde alla cortesia con le mani unite, o facendo una inclinatione non molto fonda, dal luogo dove egli sta. Alle volte anco quando è molto cortese, mentre gli fanno queste inclinationi e genuflessioni, non vuol egli stare nel luogo alto della casa, ma si pone al lato per la parte di levante della sala.

Questa stessa cortesia fanno a loro idoli, o in casa, o nei tempi avanti all’altare.

I servitori di casa et altra gente bassa, quando fanno cortesia, si pongono una sola volta inginocchioni avanti al padrone e battono tre volte la fronte nel suolo; il che fanno alle volte agli loro idoli. E nel parlare non fanno altro che porsi al lato del padrone mentre gli parla; et a persona di alta dignità, tutte le volte che gli parlano, e inginochiati.

Oltre queste politie, non tanto lontane dalle nostre, ve ne ha un’altra assai strana ai nostri, che si usa nel parlare e scrivere, che fa esser questa lingua assai più difficile; et è, che non solo non parlano ad huomini honorati per tu, come né anco noi facciamo, avendo varij modi conforme allo stato di colui che parla e con chi si parla, ma né anco egli stesso, parlando di sé, dice io, se non fusse uno molto grave con altro assai inferiore; ma usano di altretanti modi di abasare a se stesso, come di alzare all’altro. Et un modo fra i più humili è nominar il proprio nome invece di io. Quando anco avviene parlare del padre, madre, fratello, figliuolo, figliuola, corpo, membri, casa, lettera, patria, e sino alla malatia di altro, fanno tutto questo con un nome diverso dal commune, sempre di più gravità; e per il contrario, per l’istesse cose di chi parla, ve ne sono altretanti nomi diversi con qualche modo più basso del commune. Ne’ quali modi è necessario stare molto esercitato, non solo per non esser tenuto per scortese o villano, ma anco per potere intendere quello che dir vogliono nel parlare e nello scrivere.

 

Nel visitarsi, anco persone parenti e ben conosciute tra di sé, ogni volta che uno visita all’altro in sua casa, o va a pagare la visita, entrato nella porta, dà un libretto con il suo nome scritto con varij modi di humiltà, conforme alle persone che visitano o sono visitate; il quale il portiero presenta e lascia a quello che è visitato e, se sono molti quei che sono visitati o visitano, molti anco sono i libri. Sono questi libretti ordinariamente di dodici foglia e di carta bianca, un palmo e mezzo lunghi, e nel principio con un taglio di carta roscia nel mezzo, e spesse volte posto dentro d’una borsa anco di carta bianca e con l’istesso taglio di carta roscia di fuora. In questi vi è tanta varietà, che bisogna tenere in casa vinte e più cassette con titoli diversi e pieni di essi, per il continuo uso di ogni giorno. E così bisogna che nella portaria habbiamo un libro, come anco fanno tutte le persone gravi, nel quale di giorno in giorno scrivono quei che vengono a visitare, per potere dentro di tre giorni irgli a pagare la visita. Ma sì como, quando non stanno in casa o non possono uscire alla sala quei a chi visitano, lasciano il libro, così anco quando si paga la visita, basta lasciare in casa il nostro libro, e con questo restano sotisfatti. Questi libri, o quella righa solo in che si pone il nome, non è scritta ordinariamente nel proprio autore, ma basta esser scritta da qualsivoglia.

E, quanto è persona più grave, tanto è magiore la lettera che si scrive in essi; talché alle volte ogni lettera è di un dito in largo, e con dieci lettere empiono una righa dal capo del libro sino alla fine, secondo il loro modo di scrivere.

 

Nel mandare i presenti, anco quando qualcuno presenta le cose andando in persona a sua casa, usano dell’istesso libretto, e, oltre il suo proprio nome, al modo già detto, scrive tutte le cose che dà di presente, una per una, ciascheduna nella propria righa molto attillatamente. Ma perché questi presenti si fanno spessissimamente, e sono obligati a rispondergli con altro presente dell’istesso valore, non è tra loro nessuna discortesia non ricevere il presente che si manda o egli stesso ci porta, e non ricevere tutto quello che si manda. Soventemente se gli torna a mandare o tutto o parte di esso, senza sdegnarsi quello che presenta, mandando un altro libro dell’istessa forma, nel quale o dia le gratie del presente che riceve, o ricusandolo, o scrivendo le cose che riceve e quelle che gli torna a rimandare, con molte cerimonie. È anco cosa nova ai nostri in questi presenti molto frequentemente mandare denari, hora dieci scuti, hora cinque, hora doi, et alle volte doi e tre giulij, persone gravi a altri inferiori, o inferiori a persone maggiori.

 

I magistrati e graduati quando fanno queste visite vestono il loro vestito del proprio offitio e grado, che è assai diverso del commune. Quei che né hanno offitio, né grado, e sono persone gravi, hanno anco un vestito proprio di visita, pur diverso dal ordinario, con il quale ricevono e fanno queste visite, come anco noi pigliassimo in questo regno. E quando a caso si incontrassero doi, uno col vestito di visita e l’altro non, non fanno le loro cortesie senza l’altro ir a vestire il vestito conveniente, che sempre fanno portar seco i servitori quando vanno fora di casa. E quando questo non può essere quello che sta vestito di cortesia si toglie di dosso quello vestito e resta con l’ordinario, e con quello fanno le cortesie che di sopra dicessimo.

 

Fatta la cortesia, è obbligato il patrone di casa, o il più grave quando sono molti, a pigliare le sedie de’ forastieri e porla una per una in ordine nel primo e più alto luogo, e con le maniche spazzarle, ancorché stessino nettissime. E se le sedie stanno già poste nel detto luogo, in ogni modo è necessario che con ambe le mani tocchi tutte, come assettandole bene che stiano ben ferme. Di poi il più grave degli forastieri piglia la sedia del padrone di casa e la pone derimpetto della sua, e all’istesso modo la netta con le maniche. E dopo lui gli altri forastieri, conforme alla loro dignità, uno doppo l’altro, fanno l’istesso a questa sedia, e la tornano a nettare, seben fussero vinte e più persone, stando il patrone ad un lato inclinato con le mani unite, e dando le gratie, e ricusando il favore che gli fanno.

I forastieri nel porsi a sedere fanno anche molte cerimonie in cedere l’uno all’altro il mezzo o il luogo magiore, stando tutti in piè alle volte più di un quarto d’hora. In questo il patrone di casa non si mette, ma i forastieri si danno il luogo più grave gli uni agli altri, sebene tutti sanno chi si deve porre a sedere nel migliore, o per la età che precede tra quei della stessa terra, o per la dignità come si fa nelle Corti, o quello che precede, o tutto per esser di più lontano paese. E per questo (a) noi altri in puochi luoghi lasciano di darci il luogo sopre tutti e niente ci vale il ricusare.

Posti a sedere, subito viene un servitore con veste lunga e accorto, con una tavoletta con tante tazze di quella decottione di cià, di che parlassimo nel 2° capitolo. Quanti stanno a sedere, e cominciando dal primo luogo sino all’ultimo che è quello del patrone di casa, tutti pigliano la sua nelle mani. Dentro della tazza viene anco qualche frutto secco o conserva dolce, et un cucchiarino di argento o altra cosa galante, per mangiare le frutta che vengono nel cià. E, se stanno molto tempo a sedere, ritornano due e tre e più volte a dare questo cià, variando sempre quelle frutta secche e conserva che mettono dentro.

 

Finita la visita, se ne vanno i forastieri, et inanzi all’uscire fuori della porta della sala, ritornano a fare l’istesse inclinationi. E dipoi il padrone li accompagna di dietro et esce fuori dalla porta, dove fanno un’altra volta la detta cortesia di inclinarsi sino al suolo, voltati verso la porta, priegando il padrone ai forastieri che montino a cavallo, o si mettano dentro della sedia o lettichetta in che vennero; ma i forastieri ricusano, priegandolo entri già in sua casa. Allora il padrone arriva alla porta et, voltato alla porta, fa una inclinatione alla quale tutti i forastieri rispondono con un’altra simile, tutti insieme. Entrato il padrone dentro la sua porta, fa la 3a inclinatione alla quale anco rispondono i forastieri con altra, e, nascosto il padrone dietro la porta, montano a cavallo o entrano nella lettichetta. Et il padrone di casa esce allora un’altra volta e dice zin zin, al che i forastieri rispondono con l’istessa cortesia. Da qui manda il padrone un servitore che va a ciascheduno degli forastieri a dar molte raccomandationi; l’istesso fanno i forastieri, mandando ciascheduno il suo servidore a dare anco raccomandationi al padrone di casa.

E questo si fa sempre, sebene si visitassero ogni giorno, per esser questo il loro stile.

 

Adesso dirò de’ loro conviti, che è una delle cose di più cerimonie che altra nella Cina, e di che più spesso usano. Percioché tutte le feste dell’anno et a tutte le occorrentie mai si lasciano questi conviti, e sono alcuni che, si può dire, ogni giorno, o fanno o vanno a qualche convito; percioché tutti i negocij si trattano a tavola e con i bicchieri nelle mani, anco le cose del ben vivere, della virtù e religione. Et non sanno in che mostrare amore, se non invitandovi a bere e mangiare, e sono, sì nell’uso come nel nome, simili ai Greci che non chiamano il convito mangiar insieme, ma bevere insieme.

E nel vero, il principale di essi, dal principio sino alla fine, tutto è bevere vino con certe tazzette piccole, che non capeno più di quello che capirebbe la scorza di una noce, ma raddoppiano tanto queste, che vengono a bere molto più di quello che i nostri bevetori bevono.

Non usano nel mangiare di forcine, né di cocchiari, ma di certe bacchette sottili, di un palmo e mezzo lunghe, le quali pigliano di tal garbo con la mano dritta, che mangiano tutto quanto si pone a tavola, senza mai toccar niente con le mani, con molta destrezza. È vero che è necessario che tutto quanto si pone a tavola venga trinciato in pezzetti, se non fusse cosa di sé liquida o molle, come ovi, pesci et altra cosa simile, che con l’istesse bacchette si possa spiccare. E di nessuna guisa appare coltello nessuno nella tavola.

Il  loro bevere sempre è cosa molto calda, anco nel mezzo della state, o sia quella loro decottione di cià, o vino, o altre cose liquide; che pare cosa molto utile alla sanità. Per questo vivono molti anni di vita, e sino a settanta e ottanta anni sono assai più robusti che i nostri; e da qui anco penso viene che loro non hanno il male della pietra o di arenella, come hanno sì soventemente i nostri Europei, che sempre bevono cose fredde.

Dunque, volendo invitare alcuni a convito solenne, il giorno inanzi, o anco molti giorni prima, gli mandano un libretto di invito di quei che di sopra dicessimo, nel quale, scrivendo il suo nome e con puoche parole eleganti e di molta cortesia, dicono «avere apparecchiato un mangiar leggiero di foglia, e lavati i bichieri, per invitare tal giorno, a tal hora (che ordinariamente è di notte), in tal luogo, a Sua Signoria per udire la sua bella doctrina et imparare qualche cosa, priegandolo gli vogli fare quello favore». Dipoi, in un taglio di carta roscia, scrivono il nome grande di quello che invita con molti titoli, conforme alla qualità della persona. E questo fanno a ciascheduno degli invitati.

L’istesso giorno del convito, per la mattina, tornano a mandare un altro libro dell’istessa foggia, ma non dicono altro che priegar che va presto; et all’hora destinata mandano il 3° che chiamano de ire all’incontro all’invitato.

Arrivati al luogo e fatta la solita cortesia, si pongono a sedere nella sala, e bevono prima il cià; e dipoi vanno al luogo del convito, che suole essere molto bene adornato, non con spalliere, di che loro non usano, ma di molti quadri di pinture, cocci di fiori, et altri vasi, e cose antique. Ad ognuno si dà una tavola di un braccio e mezzo in lunghezza ed un braccio in larghezza, et alle volte sono due tavole una avanti all’altra, e di fuora con un paramento assai bello, come de’ nostri altari. Le sedie anco sono molto belle, inverniciate et indorate, con varij lavori, intagliate, e pinte di tutti colori; anzi tutte queste sale sogliono avere tutti questi simili lavori e pinture molto belle.

Stando dunque tutti in piedi, il padrone di casa piglia una tazzetta, che suole essere di argento, o oro, o pietra molto pretiosa, sopra del tonno della stessa materia o altra cosa galante, e con il vino. E invitando quello che ha da stare nel primo luogo, fanno con esso lui una inclinatione molto funda. Dipoi il padrone di casa esce fuora della porta al cortile, e, facendo prima una inclinatione verso la parte del mezzogiorno, offrisce quella tazzetta di vino al Signore del cielo, riversando in terra tutto quello vino e facendo un’altra inclinatione.

Dipoi entra dentro, e, pigliando un’altra tazzetta di vino, fa una inclinatione al detto forastiero, che ha da stare nel primo luogo; e dipoi se ne va con esso lui alla sua tavola che sta nel mezzo, e nella parte più lunga di essa, che è qua la principale (contrario a noi che facciamo il migliore nel capo di essa), pone nel mezzo la tazzetta sopre del tonnetto con due mani con molta veneratione. Dipoi si fa dare le due bacchette, che sogliono essere di avolio, o di ebano, o altra cosa dura e netta, coperte di argento o oro, e le pone al lato della tazzetta; dipoi piglia la sedia e la acconcia molto dritta, nettandola con le sue proprie maniche, e dipoi, ritornando un’altra volta nel mezzo della sala, fanno un’altra inclinatione insieme.

L’istesso fa a quello del 2° luogo, che in questo regno è la mano sinistra, et a quello del 3°, che è alla destra, e di mano in mano sino all’ultimo.

Nel fine, quello che ha da tenere il 1° luogo, piglia dal servitore con le sue mani la tazzetta, nella quale ha da bere il padrone di casa, con il suo tonnetto, e, facendosi gettar vino, fa insieme con tutti gli altri una inclinatione col detto padrone di casa, e pone la tazzetta col tonnetto nella tavola sua, che sta con le spalle al mezzogiorno, et alla porta di rimpetto dalla prima tavola; et, insieme con le bacchette da mangiare e la sedia, acconcia tutto all’istesso modo che il padrone di casa fece a lui et a tutti gli altri. E dipoi tutti gli altri invitati per ordine vanno a toccare con due mani, come acconciando meglio la tazzetta, le bacchette e la sedia, stando sempre ad un lato il padrone di casa con le mani unite et alquanto inclinato, recusando questa cortesia e dando gratie ad uno ad uno. Conciosiacosache i Cinesi niente tocchino con le mani di quello che mangiano; né al porsi a tavola, né al fine del convito, mai lavano le mani.

Fatto questo, tutti insieme fanno una inclinatione al padrone di casa, et altre fra di sé i forastieri, e si pongono alla tavola. Il padrone di casa è il primo, tutte le volte che si beve, che pigliando con due mani il suo tonno con la tazzetta di vino, la alza e dipoi abassa convitando tutti a bevere; e tutti, facendo lo stesso insieme verso il padrone di casa, bevono sorso a sorso, tanto che molte volte per finire quella tazzetta la pongono quattro e cinque volte alla bocca; e mai loro bevono niente al nostro modo in un fiato tutto il vino del bicchiere, né altra cosa, se bene fusse acqua.

Finito di bere vengono a puoco a puoco le vivande. Et a ciascheduna cosa il padrone di casa è il primo che alza le bacchette, pigliate con ambedue le mani nel mezzo, e invita a tutti; alla qual cortesia, tutti voltati a lui, rispondono con l’istessa cortesia. E dipoi il padrone di casa, mettendo le bacchette nel suo tonno, invita a tutti a fare l’istesso; e così tutti insieme pigliano della stessa cosa un boccone o doi, e sempre quello che tiene il primo luogo è il primo che ripone le bacchette nella tavola e tutti fanno l’istesso. Allora i servitori tornano a bottar vino caldo nella tazzetta di ciascheduno, cominciando da quello che sta nel primo luogo, e tornano a bere molte e molte volte, nel che si spende più tempo che in mangiare. E parlano tutto il convito di varie cose allegre, o odono qualche comedia che in questo tempo si fa, o qualche cantore, o sonatore, che alle volte, senza esser chiamati, vengono al luoghi ove sanno che si fa qualche convito, per esser molti che non fanno altra cosa che questa, per la paga che dipoi gli danno.

In questi conviti hanno tutte le nostre vivande condite assai bene, ma di nessuna viene molta quantità, e si prezzano di molta varietà di cose, empiendo le tavole de’ bacciletti, che sono assai piccoli sempre, sì de carne e pesce in ogni pasto, e tutto mangiano; et una vivanda posta in tavola sta quivi sino  al fine senza toglierla da lì. E così, non solo cuoprono le tavole senza apparire altra cosa che vivande, ma anco pongono i baccili uno sopra l’altro, due e tre volte facendo un castello alto. Nessuno pane si pone alla tavola, né gran riso che risponde al pane, in simili conviti.

Sogliono anco fare molti giuochi di varie inventioni, e fanno bevere a quei che perdono con grandi grita e festa. Nel fine sempre mutano le tazzette con altre assai magiori e, sebene a tutti le pongono uguali, non obligano a bevere in esse quei che non possono bevere molto vino, ma a quei che possono. Il loro vino è specie di cervosa e non è molto forte, ma non lascia embriagare per esser molto quello che bevono, sebene facilmente tornano a star sano l’altro giorno seguente.

Nel mangiare sono assai temperanti, et alle volte accade che uno in alcuna dipartenza va a sette o otto di questi conviti di suoi amici per ricevere e far favore; ma non durano tanto come questi che alle volte arrivano sino alla mattina seguente. Di quello che resta dànno dipoi ai servitori di forastieri abondantemente.

 

Quanto ad altri riti e cerimonie, le principali sono con il loro Re, il quale nell’esteriore è più venerato che nessuno Principe del mondo, o sia secolare o ecclesiastico. Al Re, in questi nostri tempi, nessuno parla se non gli eunuchi che stanno nell’intimo del suo palazzo, e li suoi parenti di dentro, come figliuoli e figliuole, e, lasciando quello che gli fanno questi  eunuchi là dentro, che non fa tanto al nostro proposito, tutti i magistrati di fuora gli parlano solo per memoriale, con tanti modi di cortesie, che bisogna esser bene esercitato per fare uno di questi memoriali, e non ogni letterato lo sa fare.

L’anno novo di questo regno, che sempre è la più vicina luna che viene o inanzi o dipoi dei cinque di febbraro, che è il principio della loro primavera, di tutte le provincie lo mandano a visitare alla sua audientia, et ogni terzo anno vengono in persona i principali magistrati. E tutti gli anni, in ogni città per tutta la Cina, il primo giorno della luna, tutti i magistrati vanno ad un luogo, ciascheduni nella sua città o terra, dove sta posto un trono reale, coperto con un ciborio pieno di dragoni intagliati e dorati per esser questa insegna reale, et altri lavori, e si pongono molte volte di ginocchi et inclinano con una cerimonia particolare molto grave, e gli acclamano con dieci milia anni di vita. L’istesso fanno nell’anniversario del suo natale tutti gli anni; et in Pacchino vanno tutti i magistrati, e vengono altri mandati dalle altre provincie, e suoi parenti, con varij titoli, fuora di Pacchino, e gli presentano molti grandi presenti, congratulandosi.

Oltra di ciò, tutti i magistrati che ricevono qualche offitio o beneficio dal Re, sono obligati ad ire a dargli gratie alla audientia. E così, ogni giorno vi è gente per simili cerimonie che si fanno inanzi all’aurora. Dove stanno alcuni maestri di cerimonie, che, per esser queste cerimonie lunghe, ad alta voce stan gritando mentre si facciono, e dicendo cosa in cosa quello che si ha da fare; e sono puniti quei che fanno qualche piccolo errore in questo. E perché il Re non esce adesso alla audientia, l’istesso fanno anco i magiori signori e magistrati del regno al suo trono regio, che quivi sta voto. E quando fanno queste cortesie i magistrati hanno vesti particolari di damasco roscio e certe mitre di argento dorato nella testa, portando nelle mani una tavola di avolio quattro dita larga e due palmi lunga con la quale cuoprono la bocca, della quale usano quando parlano al Re. Il Re, quando veniva alla audientia, stava in una loggia molto alta, e d’una fenestra grande appariva, tenendo anco una tavola simile a quella de’ magistrati per coprire la faccia. Nella testa, sopre della berretta regia, tiene una tavoletta, mezzo braccio di larghezza et uno di lunghezza, molto uguale, con molti pendoni di perle e pietre pretiose infilzate, che pendono di tutte le parti, e gli cuoprono la faccia e tutta la testa senza potersi vedere.

Il colore del Re proprio, e di che altri non possono usare, è giallo; e così di questo colore è la sua veste reale, tessuta tutta di varij dragoni, fatti con fili d’oro; de’ quali non solo le vesti, ma tutti gli edificij del Re, tutti i vasi di oro et argento della sua argentaria stanno intagliati, e li altri di altra maniera pinti; e sino alli coppi e le mura del suo palazzo stan vitriati e coperti di cosa gialla e dragoni. E chi usasse di simile colore  o dragoni nelle sue cose sarebbe tenuto per ribelle, se non fussero parenti del sangue reale.

Tiene il suo palazzo quattro porte principali verso le quattro parti del mondo. Tutti, al passare avanti queste porte, andando a cavallo, scavalcano, e andando in sedia o in letica, escono fuora e vanno appiedi sino a passarle. E questo molto più si osserva nel palazzo che egli tiene in Nanchino dove il Re mai va o entra. Nella porta a mezzogiorno, sì dentro come fuora del palazzo, una sta in mezzo delle altre per dove esce et entra il Re, e nessuno può entrare et uscire per essa; e così stanno sempre serrate.

In tutti i libri che si fanno et in tutte le cose publiche non usano di altro modo di notare l’anno se non dalla coronatione del Re.

Suole il Re in certi casi dare un titulo ai padri e madri de’ magistrati con una compositione fatta in nome del Re nel Collegio de’ suoi letterati. Di questa fanno tanto contro che è da stupire, e spendono molto per averla, conservandola in casa come reliquia.

L’istesso conto fanno di certi tituli che dà il Re con doi o tre lettere per porre nelle porte a vidue che vissero nella loro viduità, a huomini vecchi che arrivorno a cento anni, et in altre occorenze; benché i Sinesi di questi epitafij, dati da altri magistrati, tengono sopre le porte delle loro case assai, et in molti archi, che per le strade publiche si fanno alle spese della città, nella patria di quei che conseguittero qualche grande offitio nel regno, e hebbero il primo luogo negli essami di dottore o per altre occasioni, assai simili agli nostri archi trionfali, che si fanno a quei che ritornano alla patria, trionfando di qualche grande vittoria degli nemici.

Sogliono anco di tutte le cose buone che nel regno vi sono, come de’ pesci, frutte et cose artificiose, mandare ogni anno a Pacchino a presentare al Re in grande abondantia e con molta spesa. E nelle Corti, dove il Re sta o stette alcun tempo, i magistrati vanno con molto puoco stato, non potendo andare in sedia, ma solo a cavallo, se non alcuni più grandi, e questi con sedia portata da quattro persone; usando magistrati assai inferiori di sedia, e alcuni di sedia portata da otto persone, fuori della Corte. Ogni anno ancora ne’ quattro tempi dell’anno con grande solennità i magistrati delle Corti fanno certe offerte e cirimonie agli Re e Regine morte al loro seppulcro, specialmente al primo Re che guadagnò il regno, che è adesso Humvu, apparecchiandosi molti giorni inanzi con degiuni e ferie delle cose del palazzo e de’ giudicij.

 

Doppo il loro Re, tengono grande rispetto ai mandarini della loro città, sì nel parlare come nelle visite al suo palazzo; alle quali non ardiscono hire se non quei che tengono qualche offitio o grado, o forno già magistrati in altre parti; i quali, ritornati alle loro patrie, anco quelli che per suoi delitti persero gli officij, tengono le stesse vesti del loro offitio. E tutti i magistrati gli fanno honore et anco pagano la visita, facendo assai favori, specialmente quei che forno graduati et hebbero officij gravi.

Quando i magistrati della città lo fanno bene, giudicando rettamente e fanno qualche grande beneficio al popolo, quando dipoi partono per ire ad altro offitio o per altre cause, gli danno molti presenti e gli chiedono i loro stivali, che sono anco parte del vestito del suo offitio, per restare quivi per memoria, e dipoi gli conservano in luogo publico, posti dentro di certe cassette con ferrate e con lettere di varie lodi che gli danno. Ad altri che furno più insigni pongono una grande pietra anco in luoghi pubblici, dove con molto bella compositione scolpono tutti i beni che fece a quella terra. Et ad alcuni anco fanno tempi molto suntuosi, con uno altare dove pongono la sua statua, fatta molto al vivo, e dando una rendita ad alcuni huomini di accendergli candele e porgli profumi negli grandi incenseri, che hanno posti, di ferro e di bronzo, avanti l’altare, come fanno anco ai loro idoli, con varie pietre dove stanno scolpiti le loro opre, fatte per il ben pubblico di quelle città. Et in certi tempi dell’anno vanno i cittadini e persone gravi a fargli le loro acustumate genuflessioni, et ad alcuni offriscono cose di mangiare e fanno altre cerimonie. E di questi tempi stanno piene le città, perché sono molti che li pretendono, e per via di suoi amici fanno che la città gli facci simili favori, sebene non ne siano tanto meritevoli.

 

Tutti i loro libri si impiegano in essortare i figliuoli alla obedientia e rispetto del padre e della madre e di suoi magiori; per questo nell’esteriore pare che nessun regno del mondo arriva a loro in questa observanza. Tra le altre cerimonie che si usa in queste parti a’ maggiori è sempre nel sedere porsi gli inferiori al lato degli magiori, e non nella stessa parte, e molto manco dirimpetto. Questo osservano molto apuntino con suo padre e madre, e avanti agli altri parlano con ogni rispetto; e i poveri sostentano con le loro fatiche sino alla morte.

 

Ma in quello che pongono più studio, e sonno diversi dalle altre nationi, è nel vestire lutto, e fare l’esequie doppo la loro morte, comprargli buon cassone, e far bello seppolcro quelli che hanno facoltadi e robba. Perciò il loro lutto non è di colore nero, ma bianco; e quello del padre e madre è molto grosso di canavaccio, specialmente ne’ primi giorni e nel primo anno, e molto fantastico, sì nella berretta, come nelle scarpe, e cinto di una corda molto grossa.

È regola infallibile di tutti portar questo lutto per suo padre e per sua madre, a ciascheduno di loro tre anni. Per agli altri parenti, oltre l’essere il vestito diverso, è manco, come di un anno e di tre mesi, conforme alla parentela che con il morto hanno, o più stretta o più larga.

Per il Re e per la Regina anco sono obligati tutti dentro e fuora della Corte a portar lutto tre anni; ma adesso i Re mandano un editto nella morte dei Re o Regine morte che mutano i mesi in giorni; e così non lo portano più che un mese.

Di queste cerimonie de’ morti vi è un libro assai grande. Così, morendo qualche parente di sua casa, subito vanno a vedere il libro per sapere quello che hanno da fare, dove non solo stanno stampate le cortesie, ma anco la forma delle vesti, delle barrette, cingoli, scarpe e tutto il resto.

Morta qualche persona grave, il figliuolo, o altro parente più vicino, con un libro manda a avisare agli altri parenti con parole molto meste della morte di suo padre, e assegnano il giorno che l’hanno da cominciare a piangere solennemente, che è fra tre o quattro giorni. In questo mentre fanno il cassone e mettono dentro il morto, e cuprindo la sala di lutto, che sono tele o store bianche, pongono nel mezzo di essa il cassone. Nei giorni determinati, che sono, nelle persone gravi, quattro o cinque, vengono tutti i parenti e amici, vestiti anco di lutto, ad ogni hora del giorno, e offriscono profumi e due candele al morto, le quali accese vengono a fare le quattro inclinationi e genuflexioni, di che sopra dicessimo, ponendo prima profumi in un brasciere che sta avanti il cassone et ritratto naturale del morto. Mentre fanno questa cortesia, il figliuolo o i figliuoli stanno ad un lato inginochiati, vestiti della loro veste lugubre molto dolorosa, piangendo sempre; e dietro al cassone stanno le donne di casa, vestite anco di lutto, coperte con una cortina, che gritano e piangono con voce molto alta. Sogliono anco in questo atto abrusciare certe foglie di carta et anco pezze di seta bianca, come dando al morto quelle cose per vestire dopo la morte in segnale di amore.

Tengono le persone gravi in sua casa doi e tre anni i suoi padri e madri morti, et in quel tempo ogni giorno gli offriscono di mangiare e bere, come quando erano vivi, e non sedono se non in banchetto, e non durmono se non in terra, in calcioni di paglia presso al cassone, sino a certo tempo, non mangiando carne né altra cosa di buon sapore.

Nel giorno che lo portano al sepolcro, che sempre è fuora della città, vengono un’altra volta anco invitati con il libro da’ suoi parenti, tutti i parenti et amici, vestiti di lutto, ad acompagnare. Qui fanno como una processione di varie statue di carta, di huomini, donne, elefanti, tigri e leoni, che si abbrugiano avanti al seppolcro. Vengono anco accompagnando il morto molti sacerdoti degli idoli, recitando e facendo molte cirimonie, e molti stromenti di tamborini, pifare, ciuffoli e baccili, con grandi incensieri, che vanno avanti levati in omeri di huomini. Il cassone, che è molto grave e coperto di varij lavori fatti con pezze di seta, è portato da quarenta o cinquanta facchini, dietro al quale vanno a piedi i figliuoli con la loro veste lugubre, appoggiati ad un bastone, e le donne anco poste dietro di una cortina bianca, ché non possino esser viste, et altre vanno in sedie anco coperte di panno bianco.

Quando i figliuoli non stanno in casa, aspettano a fare queste cirimonie alla sua venuta; ma egli, se è persona grave, fa in sua casa un cenotafio, e riceve queste cortesie dove si ritruova, fatte avanti al cenotafio, da’ suoi amici. Dipoi ritorna a sua patria a fare l’istesso; et è tanto certo il ritornare in questi atti che, per legge, sono forzati a lasciare i magistrati qualsivoglio offitio, sebene fosse i magiori del regno, come sono Colao e Sciansciu, e tornarsene a sua casa e star là finindo i tre anni di lutto; e dipoi tornano al loro offitio. Ma questo solo fanno gli magistrati di lettere, non quei che sono capitani di soldati, e solo per suo padre e per sua madre e non per altri morti. E se morse alcuna persona un puoco grave, in ogni modo procurano i suoi parenti di rimandare o portare il suo corpo morto nel cassone alla sua patria, e seppellirlo nel cemiterio de’ suoi antepassati, il quale tutte le familie hanno proprio in qualche monte, e con grandi sepolchri di pietra e statue di huomini et animali, e pietre piene di lettere et epitafij, nelle quali si contano le cose fatte da quei che quivi sono seppelliti.

Et ogn’anno vanno i parenti, nel giorno de’ morti, a questi cemiterij a fare le solite cerimonie facendo profumi et offerte conforme all’uso della terra.

 

Sono anco molto solenni le cerimonie che si fanno nelli matrimonij e sposalitij.

Non solo i sposalitij, ma anco i matrimonij, si fanno di molta puca età, sì dello sposo, come della sposa, et hanno d’essere ambedue della stessa età o puoco differente; e tutto fanno il padre e la madre dell’uno e l’altro, senza  richiedere il consentimento de’ figliuoli, i quali sempre gli obedono. Gli vassalli gravi tutti apparentano con altre persone gravi e simili a loro nello stato, nella prima moglie che è la legittima. Delle altre moglie, che tutti possono pigliare quante ne vogliono, non si curano di che famiglia sia, o nobile o plebeia, e solo ricercano esser di bella figura; anzi queste seconde moglie sono sempre comprate per denari di cinquanta o cento scuti, et alle volte molto manco, da’ suoi parenti. I poveri tutti comprano le loro mogli; e così le possono e sogliono anco rivendere.

Il Re e suoi figliuoli non pigliano le loro moglie di nessuna casa grave o nobile, ma solo si scieglie per la bellezza solo del corpo, tra gente populare et idiota e di puoco essere; perché nessuno huomo letterato vuol porre le sue figliole in mano de’ magistrati deputati a vedergli tutto il corpo, et esser presentate a tanti luoghi per elegere tra molte una, sebene habbi d’esser Regina; per non essere molto grande il potere delle Regine della Cina, e star sempre serrate dentro del palazzo, e non potere suo padre e sua madre vederla più mai. Il Re e sui figliuoli tiene una moglie principale e viene ad essere come legittima; oltra questa ne tiene il Re e il Principe, nove anco principali, et altre trintasei pur con titulo di moglie, oltre le altre senza nessun titolo che sono assai più. Fra tutte, quella che fa figliuoli è quella che viene dipoi a tenere qualche valore e, sopre tutte la madre del primo figliuolo che ha d’essere herede del regno.

Sì nel Re e sua famiglia, come in tutte le altre persone del regno, quella prima moglie è legittima e signora della casa, e sta alla mensa con il marito; tutte le altre, specialmente fuora dei parenti del Re, sono come serve del padrone di casa e della moglie legittima, e non stanno se non in piedi avanti a essi. Et  i loro figliuoli non riconoscono per madre quella che gli partoritte, ma solo la legitima, e per questa portano lutto i tre anni e lasciano l’offitio, e per la propria non fanno niente.

Nei maritaggi si osserva con grande rigore che nessuno pigli moglie del suo cognome, sebene non vi fusse tra loro nessun parentesco. E sono questi cognomi nella Cina assai puochi per non arrivare a mille, e nessuno può fare cognome nuovo, fuora di quei che dal principio vi forno, e nessuno può pigliare altro cognome che quello di suo padre, se non fosse adottato d’alcuno. Dei gradi di affinità non fanno nissun conto, e così maritano le figliuole e danno moglie a’ figliuoli de molto stretti parenti di sua madre.

La sposa non porta nessuna dote, e sebene il giorno che va a casa del marito, con molta solennità porta seco molte massaritie di casa e assai ricche, quei che hanno podere, empiendo di esse tutta la strada, con tutto ordinariamente tutto è alle spese del marito, che gli manda grande copia di danari molti mesi inanzi.

 

Usano anco in questo regno di una festa, che facevano anco gli nostri antichi, dell’anniversario del giorno del loro natale, nel quale tutti i parenti e amici lo vanno a visitare e presentare; et in sua casa si fanno molti conviti e feste, specialmente doppo dei cinquanta anni, che si computano tra vecchi, et di decena in decena. In simili atti, i figliuoli letterati chiedono ai loro amici, versi, compositioni, e pinture di varie inventioni, e lodi per suo padre e madre; et alcuni, di questo stampano libri; e quel giorno empiono la sala de tali compositioni, versi e quadri di pinture, con varie cerimonie che fanno a quello cui natale si celebra.

Fanno qua anco festa il giorno che i figliuoli pigliano la berretta, che sono doppo i venti anni, andando sino a questo tempo con zazzera.

La magior festa universale di tutte le sette è il principio dell’anno, e ai quindeci della prima luna che facciano la festa delle lanterne, procurando tutti in sua casa fare qualche bella lanterna di varij lavori, di carta, di vitro, di veli, delle quali questi giorni è pieno il mercato per molte che si vendono, e loro ne empiono le sale; e due o tre notti vanno per le strade a solazzo vedendo queste lanterne, nel qual tempo anco fanno varij artificij di fuochi con raggi e girandole in tutte le piazze, strade e case.

1. Antropologia dei Cinesi; barba, capelli; piccoli piedi delle donne. 2. Vestito: toga, berretto, copricapo dei letterati, scarpe, calze, parasoli. 3. Molteplici nomi: cognomi, nomi, agnomi, soprannomi, nomi di religione, nomi di battesimo. 4. Stima delle anticaglie: vasi di bronzo, di creta o di giada; pitture e autografi; sigilli per autenticare. 5. Sigilli dei mandarini dati da Homu; grande cura che se ne ha. 6. Portantine per uomini gravi e per matrone, grande quantità di barche. 7. Rispetto ai maestri durante tutta la vita. 8. Giuochi di carte, dadi, scacchi e tavoliere. 9. Mitezza nel punire il furto; quindi grande moltitudine di ladri. 10. I vigili notturni delle città, spesso conniventi coi ladri.

 

È la gente della Cina bianca, eccetto alcuni delle provincie australi, che per partecipare e star vicine alla zona torrida, sono alcuni di color fosco.

Tengono puoca barba e molti nessuna, e quella puoca che tengono è dritta senza nessun modo di crespo, e gli nasce tardi, per il che i loro giovani di trenta anni sono come i nostri di vinte; gli occhi molto piccoli, neri, molto ovati et infuora, e, sì gli occhi come le ciglia, stanno più alte dalla parte di fuora che da quella di dentro; il naso notabilmente piccolo, e le orecchie non molto grandi. Il colore de’ capelli e della barba è anco nero, et è difformità tra loro esser di pelo biondo o rosso. Alcune provincie hanno il viso quasi di forma quadrata. Nella provincia di Quantum, che noi chiamiamo Cantone, e Quansi molti in ambedoi li diti piccoli del piede tengono due unghie, come tutti i Cocincinesi a loro vicini, e pare che anticamente avevano sei diti nei piedi.

Le donne sono tutte piccole e la maggior parte della loro leggiadria pongono nei piedi piccoli. Per questa causa dalla loro fanciullezza gli infasciano strettamente i piedi e non gli lasciano crescere, e così sono tutte stroppiate si può dire de’ piedi, andano sino alla morte con quelle fascie, e non possono ben camminare se non come zoppicando; e pare fu inventione de qualche savio huomo per non lasciarle andare per le strade e starsene in casa, come alle donne più conviene.

Gli huomini e le donne parimenti lasciano crescere i capelli senza tosarsi mai, fuori i fanciulli piccoli et una sorte de’ loro ministri degli idoli che si radono ogni settimana la testa e la barba. Gli huomini già adulti raccolgono tutti i capelli con una scuffia di rete, fatta di capelli di coda di cavallo, e di huomini, o di seta, e nel mezzo escono fuora con un nodo galante che gli danno. Le donne tengono i loro ornamenti della testa di oro, argento, perle et altre cose pretiose, con pendenti alle orecchi, ma non usano di anelli nelle dita.

 

Si huomini come donne usano di vesti lunghe sino alla terra; gli huomini con una parte della toga, che con bindelle ligano alla mano dritta; le donne ligano nel mezzo; e sebene ambedue tengono maniche lunghe, come i nostri Venetiani, quelle però degli uomini sono serrate lasciando solo quanto possi uscire la mano, quelle delle donne sono aperte.

Nelle berrette degli huomini fanno molti lavori e galontarie di lavori molto fine, e le più preggiate sono fatte de peli di coda di cavallo; nell’inverno sono di feltro, et adesso anco fanno di veluto.

Ma quello che a’ nostri è più strano è delle scarpe, che sono tan bene lavorate con seta e varij fiori che né(mmeno) le nostre donne le usano di tanta galantaria. Non è cosa se non di gente assai plebeja scarpe di corame, se non fosse alcuna volta nelle sole.

Le berrette de’ letterati sono quadrate, gli altri non possono portare se non berretta ritonda. Tutti spendono mezz’hora almanco alla mattina in pettinarsi e comporre i capelli, che sarebbe ai nostri di grande faticha.

Sogliono anco infasciare i piedi e le gambe con certe fascie lunghe di tela, e perciò le loro calze sono sempre molto larghe. Non usano di camiscia, ma lavano molte volte il corpo. Usano per le strade farsi portare un ombrello grande da un servitore per difendersi dal sole e dalla pioggia; gli poveri ne portano uno più piccolo con le sue proprie mani.

 

Una usanza vi è qua tra loro assai nova ai nostri, che è quella dei nomi. Percioché essendo il cognome antico et immutabile in tutto il regno, tutti fanno i loro nomi nuovi e che tengono sempre significatione di qualche cosa. Sì il cognome come il nome è di una sola lettera, che è l’istesso che dire di una sola sillaba, et solo alle volte possono farsi di due.

Il primo nome dà il padre a suo figliuolo quando nasce (e questo solo al maschio, perché le femine, né piccole né grandi, hanno nessun nome nella Cina, e solo sono chiamate pr il cognome di suo padre e per il numero che tiene tra le sorelle, di prima, seconda, terza o altro magiore). Con questo nome è chiamato da suo padre e madre et altri magiori; gli altri lo chiamano per il numero che tiene tra li fratelli, come dicessimo delle femine. Lui stesso nei libri di visite, e presenti, et in libri, o altri casi simili, si nomina con il proprio nome; e se alcuno, eguale o inferiore, lo chiamasse in presenza dal suo nome, o nominasse suo padre o parente col nome suo proprio, sarebbe non solo scortesia, ma anco ingiuria, della quale ognuno se ne risente.

Cominciando a studiare il maestro gli dà un altro nome, che si chiama nome della scuola; con questo lo può chiamare il suo maestro  et altri condiscepoli.

Dipoi diposta la rete e portar già berretta, pigliando moglie, gli dà qualche persona principale un nome mezzano, che chiamano la lettera, e con questo lo possono chiamare tutti, se non fussero suoi servitori et sudditi.

Al fine, essendo già adulti, gli danno il nome grande con il quale tutti, senza fargli ingiuria, lo chiamano, et in absentia et in presentia, se non fossero suoi superiori e maggiori, che non gli vogliono fare tanto honore e lo chiamano, come prima, con la lettera.

Quando professano anche qualche setta, quello che lo insegna gli dà il proprio nome, che chiamano nome della religione.

Quando dunque si visitano gli uni agli altri, sebene nel libretto sta scritto il loro cognome e nome piccolo, gli domandano qual è il suo nome grande per poterlo chiamare quando accade chiamarlo. E così noi anco fussimo forzati, oltre il nome di battesimo, di che usiamo nelle visite, pigliare il nome grande, con che ci hanno communemente da chiamare.

 

Fanno in questo regno grande caso di cose antiche; e sebene non hanno statue né medaglie, hanno però molti vasi di bronzo assai stimati, e gli vogliono con quella stessa ferrugine, se non, non valerebbono niente. Altri vasi antichi di creta e di pietra iaspe sono in prezzo. Ma più di tutte queste cose, pinture di persone famose, senza colori, ma di solo inchiostro; o lettera de’ scrittori antichi, in carta o in tela, con il suo sigillo per dar fede di esser vera. Percioché molti contrafanno le cose antiche con molti artificij et ingannano a quei che non sanno tanto, facendo spendere molti danari per cosa che poi non vale niente.

 

Tutti i magistrati hanno il proprio sigillo di quel magistrato, fatto dal primo Re di questa famiglia, con il quale segnano tutte le cose che fanno giuridicamente con intenta di color roscio, senza altra cosa. Questo conservano con grande diligentia e, se lo perdessero, non solo perderiano il loro offitio, ma sarebbono anco castigati gravemente. E così, quando vanno fuori casa, lo portano seco serrato con chiave e sigillato con altro sigillo, dentro di una cassetta, sempre avanti agli occhi; et in casa dicono tenerlo sotto il piumaccio del letto.

 

Gli huomini gravi non vanno a pié per la città, ma si fanno portare in quelle sedie o lettichette, che sono coperte di tutte quattro le parti, e non si vedono, differenti dai magistrati che usano di sedie scoperte di tutte le parti. Le matrone anco sono portate in queste sedie coperte, ma d’altra foggia da quella degli huomini.

I cocchi e carroze sono prohibite.

Vi sono alcune terre edificate in mezzo de’ fiumi e de’ lachi, come Venetia nel mare; per queste vanno per la città con le barche assai belle. E, per esser tutta la Cina bagnata e divisa con molti fiumi e canali, usano molto più che noi di barche per il camino, e sono assai più belle e commode delle nostre. Perciocché quelle proprie de’ magistrati grandi sono sì grandi che vi può uno andare con tutta la sua fameglia senza nessun disagio, come se stesse in terra, per esservi molte stanzie, sale, cocina, dispensa, e sì bellamente adornate, che paiono case de’ nostri grandi Principi. E così alle volte, volendo fare tra loro qualche convito, lo fanno nella barcha per potere con esso andare passeggiando per il laco e per il fiume. E tutte sono coperte di quella loro vernice, che chiamano ciorone, di varij colori pinte e indorate, con i suoi suffitti, e colonne, e impannate, che fa una bella vista.

 

Ai maestri fanno molto più honore che noi, et solo un giorno che fu uno maestro di qualsivoglia scientia et arte, tutta la sua vita lo chiama maestro, e non si può porse a sedere seco, se non stando ad un lato, ovunque se incontrino, e gli parla con molto rispetto e cortesia.

 

Il giuoco di carte e dadi, che anco è usato in queste parti, è solo di gente bassa.

I più gravi usano, per passotempo, et anco per giucar denari, del tavoliero, et anco de’ scacchi assai simili ai nostri. Se non che il re mai esce delle quattro case intorno al suo luogo, né anco (i) doi letterati che stanno al suo lato; non hanno la donna, ma tengono doi pezzi assai artificiosi, che chiamano pannella di polvere, che stanno avanti ai doi cavalli, dietro alla pedina, che in questi doi luoghi sta avanti una casa. Questo pezzo nel’andare è simile al rocco, ma nel ferire e dare scacco sempre bisogna che i sia nel mezzo un scacco, o sia proprio, o dell’adversario, di modo che per difendersi della sua ferita o scacco, vi sono, l’oltre il mutarsi, altri doi: l’uno è porre un altro pezzo nel mezzo, o togliere, se è nostro, il pezzo che sta di mezzo.

Il più grave di tutti i giochi è uno di più di ducento pedine in ambe le parti bianche e nere, in un tavolero di trecento casette, e con queste, che vanno ponendo una ad una, procurano l’uno al altro por nel mezzo alcune dell’adversario, restando signore di quel campo; e dipoi nel fine quello che guadagnò più campo del tavolero è il vencitore. I mandarini sono tanto dati a questo giocho che occupano alcuni molta parte del giorno in esso, durando un giocho più di un’hora. E quei che sanno ben giochare a questo gioco, seben fosse persona che non avesse altra habilità, sono in ogni parte accarezzati et invitati, et alcuni gli pigliano per maestri per insegnare a giocare a questo giuoco.

 

Ne’ castighi de’ delitti sono assai rimessi, specialmente il furto quando non interviene forza. Mai la prima volta è pena di morte; alla 2a volta, con inchiostro e fuogo scrivono ai ladroni due lettere nelle braccia, che significano aver reiterato il furare; alla 3a, gli scrivono nella faccia la lettera di ladrone; all’istesso modo, e conforme alle volte che fu ritrovato in furto, gli danno castigo di battiture o galere, deputato alle leggi. Per questa causa è tutto pieno di ladroni specialmente fra la plebe bassa.

 

In tutte le città si vegghia ogni notte in tutte le strade da molte migliaia di huomini, andando sempre con un baccile battendo la strada, e con certi cancelli serrati. E con tutto, molte volte si veggono rubbate le case intiere; percioché, questi stessi che vegghiano, hanno bisogno di esser vegghiati, e molte volte sono compagni degli stessi ladroni; e restarebbono loro maravigliati di vedere le nostre grandi città non vi esser pur uno che di notte vegli per i ladroni dentro della stessa città.

Le porte della città ogni notte si serrano con chiavi, e le chiavi sono portate al governatore della città.

conseguittero qualche grande offitio nel regno, e hebbero il primo luogo negli essami di dottore o per altre occasioni, assai simili agli nostri archi trionfali, che si fanno a quei che ritornano alla patria, trionfando di qualche grande vittoria degli nemici.

Sogliono anco di tutte le cose buone che nel regno vi sono, come de’ pesci, frutte et cose artificiose, mandare ogni anno a Pacchino a presentare al Re in grande abondantia e con molta spesa. E nelle Corti, dove il Re sta o stette alcun tempo, i magistrati vanno con molto puoco stato, non potendo andare in sedia, ma solo a cavallo, se non alcuni più grandi, e questi con sedia portata da quattro persone; usando magistrati assai inferiori di sedia, e alcuni di sedia portata da otto persone, fuori della Corte. Ogni anno ancora ne’ quattro tempi dell’anno con grande solennità i magistrati delle Corti fanno certe offerte e cirimonie agli Re e Regine morte al loro seppulcro, specialmente al primo Re che guadagnò il regno, che è adesso Humvu, apparecchiandosi molti giorni inanzi con degiuni e ferie delle cose del palazzo e de’ giudicij.

 

Doppo il loro Re, tengono grande rispetto ai mandarini della loro città, sì nel parlare come nelle visite al suo palazzo; alle quali non ardiscono hire se non quei che tengono qualche offitio o grado, o forno già magistrati in altre parti; i quali, ritornati alle loro patrie, anco quelli che per suoi delitti persero gli officij, tengono le stesse vesti del loro offitio. E tutti i magistrati gli fanno honore et anco pagano la visita, facendo assai favori, specialmente quei che forno graduati et hebbero officij gravi.

Quando i magistrati della città lo fanno bene, giudicando rettamente e fanno qualche grande beneficio al popolo, quando dipoi partono per ire ad altro offitio o per altre cause, gli danno molti presenti e gli chiedono i loro stivali, che sono anco parte del vestito del suo offitio, per restare quivi per memoria, e dipoi gli conservano in luogo publico, posti dentro di certe cassette con ferrate e con lettere di varie lodi che gli danno. Ad altri che furno più insigni pongono una grande pietra anco in luoghi pubblici, dove con molto bella compositione scolpono tutti i beni che fece a quella terra. Et ad alcuni anco fanno tempi molto suntuosi, con uno altare dove pongono la sua statua, fatta molto al vivo, e dando una rendita ad alcuni huomini di accendergli candele e porgli profumi negli grandi incenseri, che hanno posti, di ferro e di bronzo, avanti l’altare, come fanno anco ai loro idoli, con varie pietre dove stanno scolpiti le loro opre, fatte per il ben pubblico di quelle città. Et in certi tempi dell’anno vanno i cittadini e persone gravi a fargli le loro acustumate genuflessioni, et ad alcuni offriscono cose di mangiare e fanno altre cerimonie. E di questi tempi stanno piene le città, perché sono molti che li pretendono, e per via di suoi amici fanno che la città gli facci simili favori, sebene non ne siano tanto meritevoli.

 

Tutti i loro libri si impiegano in essortare i figliuoli alla obedientia e rispetto del padre e della madre e di suoi magiori; per questo nell’esteriore pare che nessun regno del mondo arriva a loro in questa observanza. Tra le altre cerimonie che si usa in queste parti a’ maggiori è sempre nel sedere porsi gli inferiori al lato degli magiori, e non nella stessa parte, e molto manco dirimpetto. Questo osservano molto apuntino con suo padre e madre, e avanti agli altri parlano con ogni rispetto; e i poveri sostentano con le loro fatiche sino alla morte.

 

Ma in quello che pongono più studio, e sonno diversi dalle altre nationi, è nel vestire lutto, e fare l’esequie doppo la loro morte, comprargli buon cassone, e far bello seppolcro quelli che hanno facoltadi e robba. Perciò il loro lutto non è di colore nero, ma bianco; e quello del padre e madre è molto grosso di canavaccio, specialmente ne’ primi giorni e nel primo anno, e molto fantastico, sì nella berretta, come nelle scarpe, e cinto di una corda molto grossa.

È regola infallibile di tutti portar questo lutto per suo padre e per sua madre, a ciascheduno di loro tre anni. Per agli altri parenti, oltre l’essere il vestito diverso, è manco, come di un anno e di tre mesi, conforme alla parentela che con il morto hanno, o più stretta o più larga.

Per il Re e per la Regina anco sono obligati tutti dentro e fuora della Corte a portar lutto tre anni; ma adesso i Re mandano un editto nella morte dei Re o Regine morte che mutano i mesi in giorni; e così non lo portano più che un mese.

Di queste cerimonie de’ morti vi è un libro assai grande. Così, morendo qualche parente di sua casa, subito vanno a vedere il libro per sapere quello che hanno da fare, dove non solo stanno stampate le cortesie, ma anco la forma delle vesti, delle barrette, cingoli, scarpe e tutto il resto.

Morta qualche persona grave, il figliuolo, o altro parente più vicino, con un libro manda a avisare agli altri parenti con parole molto meste della morte di suo padre, e assegnano il giorno che l’hanno da cominciare a piangere solennemente, che è fra tre o quattro giorni. In questo mentre fanno il cassone e mettono dentro il morto, e cuprindo la sala di lutto, che sono tele o store bianche, pongono nel mezzo di essa il cassone. Nei giorni determinati, che sono, nelle persone gravi, quattro o cinque, vengono tutti i parenti e amici, vestiti anco di lutto, ad ogni hora del giorno, e offriscono profumi e due candele al morto, le quali accese vengono a fare le quattro inclinationi e genuflexioni, di che sopra dicessimo, ponendo prima profumi in un brasciere che sta avanti il cassone et ritratto naturale del morto. Mentre fanno questa cortesia, il figliuolo o i figliuoli stanno ad un lato inginochiati, vestiti della loro veste lugubre molto dolorosa, piangendo sempre; e dietro al cassone stanno le donne di casa, vestite anco di lutto, coperte con una cortina, che gritano e piangono con voce molto alta. Sogliono anco in questo atto abrusciare certe foglie di carta et anco pezze di seta bianca, come dando al morto quelle cose per vestire dopo la morte in segnale di amore.

Tengono le persone gravi in sua casa doi e tre anni i suoi padri e madri morti, et in quel tempo ogni giorno gli offriscono di mangiare e bere, come quando erano vivi, e non sedono se non in banchetto, e non durmono se non in terra, in calcioni di paglia presso al cassone, sino a certo tempo, non mangiando carne né altra cosa di buon sapore.

Nel giorno che lo portano al sepolcro, che sempre è fuora della città, vengono un’altra volta anco invitati con il libro da’ suoi parenti, tutti i parenti et amici, vestiti di lutto, ad acompagnare. Qui fanno como una processione di varie statue di carta, di huomini, donne, elefanti, tigri e leoni, che si abbrugiano avanti al seppolcro. Vengono anco accompagnando il morto molti sacerdoti degli idoli, recitando e facendo molte cirimonie, e molti stromenti di tamborini, pifare, ciuffoli e baccili, con grandi incensieri, che vanno avanti levati in omeri di huomini. Il cassone, che è molto grave e coperto di varij lavori fatti con pezze di seta, è portato da quarenta o cinquanta facchini, dietro al quale vanno a piedi i figliuoli con la loro veste lugubre, appoggiati ad un bastone, e le donne anco poste dietro di una cortina bianca, ché non possino esser viste, et altre vanno in sedie anco coperte di panno bianco.

Quando i figliuoli non stanno in casa, aspettano a fare queste cirimonie alla sua venuta; ma egli, se è persona grave, fa in sua casa un cenotafio, e riceve queste cortesie dove si ritruova, fatte avanti al cenotafio, da’ suoi amici. Dipoi ritorna a sua patria a fare l’istesso; et è tanto certo il ritornare in questi atti che, per legge, sono forzati a lasciare i magistrati qualsivoglio offitio, sebene fosse i magiori del regno, come sono Colao e Sciansciu, e tornarsene a sua casa e star là finindo i tre anni di lutto; e dipoi tornano al loro offitio. Ma questo solo fanno gli magistrati di lettere, non quei che sono capitani di soldati, e solo per suo padre e per sua madre e non per altri morti. E se morse alcuna persona un puoco grave, in ogni modo procurano i suoi parenti di rimandare o portare il suo corpo morto nel cassone alla sua patria, e seppellirlo nel cemiterio de’ suoi antepassati, il quale tutte le familie hanno proprio in qualche monte, e con grandi sepolchri di pietra e statue di huomini et animali, e pietre piene di lettere et epitafij, nelle quali si contano le cose fatte da quei che quivi sono seppelliti.

Et ogn’anno vanno i parenti, nel giorno de’ morti, a questi cemiterij a fare le solite cerimonie facendo profumi et offerte conforme all’uso della terra.

 

Sono anco molto solenni le cerimonie che si fanno nelli matrimonij e sposalitij.

Non solo i sposalitij, ma anco i matrimonij, si fanno di molta puca età, sì dello sposo, come della sposa, et hanno d’essere ambedue della stessa età o puoco differente; e tutto fanno il padre e la madre dell’uno e l’altro, senza  richiedere il consentimento de’ figliuoli, i quali sempre gli obedono. Gli vassalli gravi tutti apparentano con altre persone gravi e simili a loro nello stato, nella prima moglie che è la legittima. Delle altre moglie, che tutti possono pigliare quante ne vogliono, non si curano di che famiglia sia, o nobile o plebeia, e solo ricercano esser di bella figura; anzi queste seconde moglie sono sempre comprate per denari di cinquanta o cento scuti, et alle volte molto manco, da’ suoi parenti. I poveri tutti comprano le loro mogli; e così le possono e sogliono anco rivendere.

Il Re e suoi figliuoli non pigliano le loro moglie di nessuna casa grave o nobile, ma solo si scieglie per la bellezza solo del corpo, tra gente populare et idiota e di puoco essere; perché nessuno huomo letterato vuol porre le sue figliole in mano de’ magistrati deputati a vedergli tutto il corpo, et esser presentate a tanti luoghi per elegere tra molte una, sebene habbi d’esser Regina; per non essere molto grande il potere delle Regine della Cina, e star sempre serrate dentro del palazzo, e non potere suo padre e sua madre vederla più mai. Il Re e sui figliuoli tiene una moglie principale e viene ad essere come legittima; oltra questa ne tiene il Re e il Principe, nove anco principali, et altre trintasei pur con titulo di moglie, oltre le altre senza nessun titolo che sono assai più. Fra tutte, quella che fa figliuoli è quella che viene dipoi a tenere qualche valore e, sopre tutte la madre del primo figliuolo che ha d’essere herede del regno.

Sì nel Re e sua famiglia, come in tutte le altre persone del regno, quella prima moglie è legittima e signora della casa, e sta alla mensa con il marito; tutte le altre, specialmente fuora dei parenti del Re, sono come serve del padrone di casa e della moglie legittima, e non stanno se non in piedi avanti a essi. Et  i loro figliuoli non riconoscono per madre quella che gli partoritte, ma solo la legitima, e per questa portano lutto i tre anni e lasciano l’offitio, e per la propria non fanno niente.

Nei maritaggi si osserva con grande rigore che nessuno pigli moglie del suo cognome, sebene non vi fusse tra loro nessun parentesco. E sono questi cognomi nella Cina assai puochi per non arrivare a mille, e nessuno può fare cognome nuovo, fuora di quei che dal principio vi forno, e nessuno può pigliare altro cognome che quello di suo padre, se non fosse adottato d’alcuno. Dei gradi di affinità non fanno nissun conto, e così maritano le figliuole e danno moglie a’ figliuoli de molto stretti parenti di sua madre.

La sposa non porta nessuna dote, e sebene il giorno che va a casa del marito, con molta solennità porta seco molte massaritie di casa e assai ricche, quei che hanno podere, empiendo di esse tutta la strada, con tutto ordinariamente tutto è alle spese del marito, che gli manda grande copia di danari molti mesi inanzi.

 

Usano anco in questo regno di una festa, che facevano anco gli nostri antichi, dell’anniversario del giorno del loro natale, nel quale tutti i parenti e amici lo vanno a visitare e presentare; et in sua casa si fanno molti conviti e feste, specialmente doppo dei cinquanta anni, che si computano tra vecchi, et di decena in decena. In simili atti, i figliuoli letterati chiedono ai loro amici, versi, compositioni, e pinture di varie inventioni, e lodi per suo padre e madre; et alcuni, di questo stampano libri; e quel giorno empiono la sala de tali compositioni, versi e quadri di pinture, con varie cerimonie che fanno a quello cui natale si celebra.

Fanno qua anco festa il giorno che i figliuoli pigliano la berretta, che sono doppo i venti anni, andando sino a questo tempo con zazzera.

La magior festa universale di tutte le sette è il principio dell’anno, e ai quindeci della prima luna che facciano la festa delle lanterne, procurando tutti in sua casa fare qualche bella lanterna di varij lavori, di carta, di vitro, di veli, delle quali questi giorni è pieno il mercato per molte che si vendono, e loro ne empiono le sale; e due o tre notti vanno per le strade a solazzo vedendo queste lanterne, nel qual tempo anco fanno varij artificij di fuochi con raggi e girandole in tutte le piazze, strade e case.

 

1. Antropologia dei Cinesi; barba, capelli; piccoli piedi delle donne. 2. Vestito: toga, berretto, copricapo dei letterati, scarpe, calze, parasoli. 3. Molteplici nomi: cognomi, nomi, agnomi, soprannomi, nomi di religione, nomi di battesimo. 4. Stima delle anticaglie: vasi di bronzo, di creta o di giada; pitture e autografi; sigilli per autenticare. 5. Sigilli dei mandarini dati da Homu; grande cura che se ne ha. 6. Portantine per uomini gravi e per matrone, grande quantità di barche. 7. Rispetto ai maestri durante tutta la vita. 8. Giuochi di carte, dadi, scacchi e tavoliere. 9. Mitezza nel punire il furto; quindi grande moltitudine di ladri. 10. I vigili notturni delle città, spesso conniventi coi ladri.

 

È la gente della Cina bianca, eccetto alcuni delle provincie australi, che per partecipare e star vicine alla zona torrida, sono alcuni di color fosco.

Tengono puoca barba e molti nessuna, e quella puoca che tengono è dritta senza nessun modo di crespo, e gli nasce tardi, per il che i loro giovani di trenta anni sono come i nostri di vinte; gli occhi molto piccoli, neri, molto ovati et infuora, e, sì gli occhi come le ciglia, stanno più alte dalla parte di fuora che da quella di dentro; il naso notabilmente piccolo, e le orecchie non molto grandi. Il colore de’ capelli e della barba è anco nero, et è difformità tra loro esser di pelo biondo o rosso. Alcune provincie hanno il viso quasi di forma quadrata. Nella provincia di Quantum, che noi chiamiamo Cantone, e Quansi molti in ambedoi li diti piccoli del piede tengono due unghie, come tutti i Cocincinesi a loro vicini, e pare che anticamente avevano sei diti nei piedi.

Le donne sono tutte piccole e la maggior parte della loro leggiadria pongono nei piedi piccoli. Per questa causa dalla loro fanciullezza gli infasciano strettamente i piedi e non gli lasciano crescere, e così sono tutte stroppiate si può dire de’ piedi, andano sino alla morte con quelle fascie, e non possono ben camminare se non come zoppicando; e pare fu inventione de qualche savio huomo per non lasciarle andare per le strade e starsene in casa, come alle donne più conviene.

Gli huomini e le donne parimenti lasciano crescere i capelli senza tosarsi mai, fuori i fanciulli piccoli et una sorte de’ loro ministri degli idoli che si radono ogni settimana la testa e la barba. Gli huomini già adulti raccolgono tutti i capelli con una scuffia di rete, fatta di capelli di coda di cavallo, e di huomini, o di seta, e nel mezzo escono fuora con un nodo galante che gli danno. Le donne tengono i loro ornamenti della testa di oro, argento, perle et altre cose pretiose, con pendenti alle orecchi, ma non usano di anelli nelle dita.

 

Si huomini come donne usano di vesti lunghe sino alla terra; gli huomini con una parte della toga, che con bindelle ligano alla mano dritta; le donne ligano nel mezzo; e sebene ambedue tengono maniche lunghe, come i nostri Venetiani, quelle però degli uomini sono serrate lasciando solo quanto possi uscire la mano, quelle delle donne sono aperte.

Nelle berrette degli huomini fanno molti lavori e galontarie di lavori molto fine, e le più preggiate sono fatte de peli di coda di cavallo; nell’inverno sono di feltro, et adesso anco fanno di veluto.

Ma quello che a’ nostri è più strano è delle scarpe, che sono tan bene lavorate con seta e varij fiori che né(mmeno) le nostre donne le usano di tanta galantaria. Non è cosa se non di gente assai plebeja scarpe di corame, se non fosse alcuna volta nelle sole.

Le berrette de’ letterati sono quadrate, gli altri non possono portare se non berretta ritonda. Tutti spendono mezz’hora almanco alla mattina in pettinarsi e comporre i capelli, che sarebbe ai nostri di grande faticha.

Sogliono anco infasciare i piedi e le gambe con certe fascie lunghe di tela, e perciò le loro calze sono sempre molto larghe. Non usano di camiscia, ma lavano molte volte il corpo. Usano per le strade farsi portare un ombrello grande da un servitore per difendersi dal sole e dalla pioggia; gli poveri ne portano uno più piccolo con le sue proprie mani.

 

Una usanza vi è qua tra loro assai nova ai nostri, che è quella dei nomi. Percioché essendo il cognome antico et immutabile in tutto il regno, tutti fanno i loro nomi nuovi e che tengono sempre significatione di qualche cosa. Sì il cognome come il nome è di una sola lettera, che è l’istesso che dire di una sola sillaba, et solo alle volte possono farsi di due.

Il primo nome dà il padre a suo figliuolo quando nasce (e questo solo al maschio, perché le femine, né piccole né grandi, hanno nessun nome nella Cina, e solo sono chiamate pr il cognome di suo padre e per il numero che tiene tra le sorelle, di prima, seconda, terza o altro magiore). Con questo nome è chiamato da suo padre e madre et altri magiori; gli altri lo chiamano per il numero che tiene tra li fratelli, come dicessimo delle femine. Lui stesso nei libri di visite, e presenti, et in libri, o altri casi simili, si nomina con il proprio nome; e se alcuno, eguale o inferiore, lo chiamasse in presenza dal suo nome, o nominasse suo padre o parente col nome suo proprio, sarebbe non solo scortesia, ma anco ingiuria, della quale ognuno se ne risente.

Cominciando a studiare il maestro gli dà un altro nome, che si chiama nome della scuola; con questo lo può chiamare il suo maestro  et altri condiscepoli.

Dipoi diposta la rete e portar già berretta, pigliando moglie, gli dà qualche persona principale un nome mezzano, che chiamano la lettera, e con questo lo possono chiamare tutti, se non fussero suoi servitori et sudditi.

Al fine, essendo già adulti, gli danno il nome grande con il quale tutti, senza fargli ingiuria, lo chiamano, et in absentia et in presentia, se non fossero suoi superiori e maggiori, che non gli vogliono fare tanto honore e lo chiamano, come prima, con la lettera.

Quando professano anche qualche setta, quello che lo insegna gli dà il proprio nome, che chiamano nome della religione.

Quando dunque si visitano gli uni agli altri, sebene nel libretto sta scritto il loro cognome e nome piccolo, gli domandano qual è il suo nome grande per poterlo chiamare quando accade chiamarlo. E così noi anco fussimo forzati, oltre il nome di battesimo, di che usiamo nelle visite, pigliare il nome grande, con che ci hanno communemente da chiamare.

 

Fanno in questo regno grande caso di cose antiche; e sebene non hanno statue né medaglie, hanno però molti vasi di bronzo assai stimati, e gli vogliono con quella stessa ferrugine, se non, non valerebbono niente. Altri vasi antichi di creta e di pietra iaspe sono in prezzo. Ma più di tutte queste cose, pinture di persone famose, senza colori, ma di solo inchiostro; o lettera de’ scrittori antichi, in carta o in tela, con il suo sigillo per dar fede di esser vera. Percioché molti contrafanno le cose antiche con molti artificij et ingannano a quei che non sanno tanto, facendo spendere molti danari per cosa che poi non vale niente.

 

Tutti i magistrati hanno il proprio sigillo di quel magistrato, fatto dal primo Re di questa famiglia, con il quale segnano tutte le cose che fanno giuridicamente con intenta di color roscio, senza altra cosa. Questo conservano con grande diligentia e, se lo perdessero, non solo perderiano il loro offitio, ma sarebbono anco castigati gravemente. E così, quando vanno fuori casa, lo portano seco serrato con chiave e sigillato con altro sigillo, dentro di una cassetta, sempre avanti agli occhi; et in casa dicono tenerlo sotto il piumaccio del letto.

 

Gli huomini gravi non vanno a pié per la città, ma si fanno portare in quelle sedie o lettichette, che sono coperte di tutte quattro le parti, e non si vedono, differenti dai magistrati che usano di sedie scoperte di tutte le parti. Le matrone anco sono portate in queste sedie coperte, ma d’altra foggia da quella degli huomini.

I cocchi e carroze sono prohibite.

Vi sono alcune terre edificate in mezzo de’ fiumi e de’ lachi, come Venetia nel mare; per queste vanno per la città con le barche assai belle. E, per esser tutta la Cina bagnata e divisa con molti fiumi e canali, usano molto più che noi di barche per il camino, e sono assai più belle e commode delle nostre. Perciocché quelle proprie de’ magistrati grandi sono sì grandi che vi può uno andare con tutta la sua fameglia senza nessun disagio, come se stesse in terra, per esservi molte stanzie, sale, cocina, dispensa, e sì bellamente adornate, che paiono case de’ nostri grandi Principi. E così alle volte, volendo fare tra loro qualche convito, lo fanno nella barcha per potere con esso andare passeggiando per il laco e per il fiume. E tutte sono coperte di quella loro vernice, che chiamano ciorone, di varij colori pinte e indorate, con i suoi suffitti, e colonne, e impannate, che fa una bella vista.

 

Ai maestri fanno molto più honore che noi, et solo un giorno che fu uno maestro di qualsivoglia scientia et arte, tutta la sua vita lo chiama maestro, e non si può porse a sedere seco, se non stando ad un lato, ovunque se incontrino, e gli parla con molto rispetto e cortesia.

 

Il giuoco di carte e dadi, che anco è usato in queste parti, è solo di gente bassa.

I più gravi usano, per passotempo, et anco per giucar denari, del tavoliero, et anco de’ scacchi assai simili ai nostri. Se non che il re mai esce delle quattro case intorno al suo luogo, né anco (i) doi letterati che stanno al suo lato; non hanno la donna, ma tengono doi pezzi assai artificiosi, che chiamano pannella di polvere, che stanno avanti ai doi cavalli, dietro alla pedina, che in questi doi luoghi sta avanti una casa. Questo pezzo nel’andare è simile al rocco, ma nel ferire e dare scacco sempre bisogna che i sia nel mezzo un scacco, o sia proprio, o dell’adversario, di modo che per difendersi della sua ferita o scacco, vi sono, l’oltre il mutarsi, altri doi: l’uno è porre un altro pezzo nel mezzo, o togliere, se è nostro, il pezzo che sta di mezzo.

Il più grave di tutti i giochi è uno di più di ducento pedine in ambe le parti bianche e nere, in un tavolero di trecento casette, e con queste, che vanno ponendo una ad una, procurano l’uno al altro por nel mezzo alcune dell’adversario, restando signore di quel campo; e dipoi nel fine quello che guadagnò più campo del tavolero è il vencitore. I mandarini sono tanto dati a questo giocho che occupano alcuni molta parte del giorno in esso, durando un giocho più di un’hora. E quei che sanno ben giochare a questo gioco, seben fosse persona che non avesse altra habilità, sono in ogni parte accarezzati et invitati, et alcuni gli pigliano per maestri per insegnare a giocare a questo giuoco.

 

Ne’ castighi de’ delitti sono assai rimessi, specialmente il furto quando non interviene forza. Mai la prima volta è pena di morte; alla 2a volta, con inchiostro e fuogo scrivono ai ladroni due lettere nelle braccia, che significano aver reiterato il furare; alla 3a, gli scrivono nella faccia la lettera di ladrone; all’istesso modo, e conforme alle volte che fu ritrovato in furto, gli danno castigo di battiture o galere, deputato alle leggi. Per questa causa è tutto pieno di ladroni specialmente fra la plebe bassa.

 

In tutte le città si vegghia ogni notte in tutte le strade da molte migliaia di huomini, andando sempre con un baccile battendo la strada, e con certi cancelli serrati. E con tutto, molte volte si veggono rubbate le case intiere; percioché, questi stessi che vegghiano, hanno bisogno di esser vegghiati, e molte volte sono compagni degli stessi ladroni; e restarebbono loro maravigliati di vedere le nostre grandi città non vi esser pur uno che di notte vegli per i ladroni dentro della stessa città.

Le porte della città ogni notte si serrano con chiavi, e le chiavi sono portate al governatore della città.

 




Sull’immanenza del taiji

Carlo Moiraghi*

L’immanenza del taiji, l’unità binomia in cui la ciclicità dell’esistenza si realizza indirizza alla ricerca di un fondamento di questo suo essere  inevitabile radice di ogni registro della realtà, fondamento costante che non può che risiedere nella matrice stessa della struttura terrestre, nel cuore del pianeta.

A riguardo non sono in grado di muovermi nella cultura orientale con una dimestichezza tale da potere scoprire in essa segnali rilevanti. Trasformo quindi il punto di debolezza in punto di forza non vivendo questo limite come carenza o insufficienza, ma come naturale e reale caratteristica. Fare tradizione significa infatti procedere lungo la via tradizionale secondo il  passo che è proprio dei cammini dei singoli, accomunando grammatiche e sintassi diverse secondo le singole formazioni. Considero quindi valore ulteriore spiegare l’immanenza macrocosmica del taiji alla luce della cultura occidentale.

L’indagine si è rivolta così alla filogenesi planetaria ad individuare un obiettivo processo iniziale nella formazione terrestre tale da determinare e reggere l’unità binomia propria dell’esistenza stessa. Evidenza e radice dell’unità binomia espressa dal taiji sono certo la rotazione e la rivoluzione planetaria da cui i ritmi circadiani ed annuali discendono. L’indagine si è dunque volta al satellite lunare che di rotazione e di rivoluzione planetarie è centrale stabilizzatore. Mi sono così interessato delle teorie astronomiche riguardanti la  formazione della Luna.

 

Teorie astronomiche    

Theia Eurifessa, Dea Splendente, nella tradizione greca era l’arcaica dorata titanessa, sorella e moglie di Iperione, madre di Selene, dea della luna, di  Elio, dio del sole, e di Eos, dea dell’aurora. È questo il nome che dagli anni settanta diversi scienziati, citiamo William K. Hartmann, Donald R. Davis, Alastair G. W. Cameron, scelsero per le teorie dell’impatto gigante, attualmente le teorie più accreditate quanto alla genesi della Luna. In modi differenti ma sostanzialmente simili, ipotizzano lo scontro di un corpo celeste di grandi dimensioni e di composizione ferrosa, Theia appunto, con la Terra. Dalla collisione avvenuta circa quattro miliardi e mezzo di anni fa sarebbero venute varie conseguenze. Nello scontro da un lato si sarebbe formata la Luna, satellite fondamentale nello stabilizzare ogni dinamismo e ritmo terrestre, rotazione, rivoluzione, maree. Da altro lato il nucleo ferroso di Theia si sarebbe approfondito giungendo al centro terrestre, da dove da allora regge da un lato il campo magnetico terrestre, da altro lato la rotazione del mantello terrestre, che viene trascinato dal profondo nucleo terrestre di origine theiana che ruota ad una velocità ben maggiore.   

 

La visione biblica 

Allora apparve un altro segno nel cielo, un enorme drago rosso con sette teste e dieci corna e sulle teste dieci diademi. La sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava nella terra. Il dragone si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorarne il figlio, non appena l’avesse partorito.                                       Apocalisse 12. 1 – 4

 

Interessante notare come nei miti di varie culture come pure in numerosi passi della biblica Apocalisse di San Giovani si possano riconoscere rivelazioni di questo scontro originario. Accade così che accreditate voci della scienza moderna, arcaiche leggende di culture diverse e l’antico racconto sacro suonino per grande parte concordi e noi ne gioiamo muti.

 

Il quinto angelo suonò la tromba e vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell’abisso. Egli aprì il pozzo dell’abisso e dal pozzo salì un fumo come il fumo della grande fornace, oscurò il sole e l’aria tutta.                                                 Apocalisse  9. 1

 

Conviene ora valutare l’immagine demoniaca che venne associata a  quest’affondo planetario.

 

Vidi poi un Angelo scendere dal cielo con la chiave dell’abisso e una grande catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico, cioè il diavolo, satana, e lo incatenò per mille anni. Lo gettò nell’abisso. Ve lo richiuse e ne sigillò la porta sopra di lui perché non seducesse più le nazioni fino al compimento di mille anni, trascorsi i quali dovrà essere sciolto per qualche tempo.                                              Apocalisse 20. 1

 

A ben vedere i tanti nomi tradizionali del demonio si mostrano attinenti a questa originaria collisione.

Il termine latino lucifer, da cui  Lucifero, indica il portatore di luce.

L’ebraico ha satan, da cui Satana, intende Colui che si scontra.

Diavolo, dal greco diaballo, significa Colui che si lancia attraverso.

Il greco daimon, da cui Demonio, nomina poi una forza arcana che appartiene alla sfera degli dei, potere impenetrabile, movente profondo che sollecita gli uomini, a loro favorevole o contrario. Nel mondo greco daimon è dunque potenza tellurica che riconduce nel suolo la divinità celeste, theos.

Venendo all’estremo Oriente, circa l’identica corrispondenza fra cielo e terra propria dei termini greci theos e daimon risuona nei termini cinesi shen, il fulgido spirito celeste, e gui, la diafana presenza animica terrestre.

Quanto a quest’ultimo termine cinese, gui, il più utilizzato nel significato di demone, va notato come la parte superiore dell’ideogramma rappresenti proprio il quadrato terrestre e ne costituisca la testa, mentre la parte inferiore ne raffiguri il dinamismo corporeo lieve e palpabile.

Va detto come in numerose tradizioni, e fra queste la greca e la cinese, anticamente il demone non venisse considerato l’assoluto signore del male ma piuttosto un servitore del cielo che in terra vegliava e vigilava sui percorsi e le scelte degli uomini e ne riferiva al cielo gli errori. A specchio della progressiva evoluzione del mondo e dell’uomo, nel tempo la figura del diavolo si trasformò da testimone degli umani errori a buia entità ispiratrice efferata del male. In Grecia fu con Platone che si evidenziò un’avvenuta evoluzione degli inerenti significati. Del resto, la straripante potenza tellurica del pianeta puntualmente distrugge le impronte e i segni umani fin al suo primo mostrarsi, si pensi a lave e vulcani, associarla al maligno venne quindi naturale e evidente. Dilatatasi via via la dicotomia fra il bene e il male nell’etica umana, nelle diverse tradizioni si chiarì così l’assoluta contrapposizione a Dio di questa pericolosa entità  sovrannaturale malvagia e tetra, distruttrice e menzognera, nemica  del bene e della verità, signore del male, principe della nefandezza che in ogni caso a Dio cede e soggiace.

 

Ma se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio.                                               Matteo 12. 28

 

Il cuore estraneo      

Trovo stupefacente eppure ovvia l’idea che il metallico magma incandescente, il nucleo fuso centrale nella terra, rappresenti l’odierna sempiterna realtà di quell’affondo ancestrale. Il metallico fuoco  che ribolle incandescente e eterno nel profondo del pianeta e dal suo centro lo regge e riscalda e fa ruotare non è intrinseco ad esso, ma almeno quanto alla sua origine ne è estrinseco, straniero, estraneo, diverso altro, alieno.

Xin, il cuore nella tradizione cinese, è fuoco celeste, ma anche il cuore terrestre, xin zhu, il ministro del cuore, il fuoco terrestre, è di origine celeste. E a ben vedere, le attività ulteriori e diverse del cuore del nucleo terrestre di origine theiana, campo gravitazionale e accelerazione rotatoria  da cui si muove per trascinamento l’intera rotazione terrestre pare analogicamente rapportabile nel microcosmico  corporeo alle attività ulteriori e diverse delle cellule miocardiche del nodo del seno, ritmiche capacità auto contrattili da cui deriva l’intero nutrimento ematico corporeo.

 

Ipotesi conclusiva

È dunque dalla evidenziata comunione di incommensurabili irrisolvibili  diversità e intrinseche distanze fra materia terrestre e materia non terrestre che muove l’incessante flusso dell’evoluzione planetaria. È questa l’esperienza originaria rimossa e perduta da cui e in cui e verso cui ogni cammino di verità e di sapienza risuona. Nell’esistenza terrestre vige dunque l’unità duale perché duale sono la sua formazione e la sua realtà, questa risulta dunque l’ipotesi conclusiva di questo lavoro.

Subito da questa affermazione si avvia l’ipotesi ulteriore che in altri firmamenti e contesti, in altri scenari al di fuori dell’inerenza terrestre, l’eventuale unità esistente possa rivelarsi sommatoria differente, coincidenza di numeri di fattori diversi, in relazione alla varietà delle differenti formazioni e realtà celesti, e che quindi nel cosmo possano esistere altre unità esistenti, sconosciute, plurime, altre realtà pressoché inconcepibili a noi terrestri che nell’unità duale terrestre siamo plasmati.

Ma questa è altra immagine e non vale ora qui prendere ad indagare.

 

Infine i più vivi ringraziamenti all’ Editoriale Jaca Book di Milano per la gentile concessione di pubblicare questo articolo tratto dal mio volume in lavorazione intitolato I fondamenti della Vera Medicina Cinese di cui detiene i diritti.