Venti squali per amici

Paola Poli, Carlo Moiraghi *

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Il qi o flusso del vento negli spazi urbani e nell’interior design in chiave feng shui

Stefano Parancola*

Il Qi è l’energia che opera a tutti i livelli:

– a livello umano è l’energia che scorre nei meridiani d’agopuntura del corpo;
- a livello agrario e paesaggistico è la forza che, se non è stagnante produce terreni fertili e rigogliosi, è l’energia che nutre un territorio;

– a livello climatico è l’energia trasportata dai venti e dalle acque.

Il vento e l’aria rappresentano il Qi. Nel nome Feng Shui (Vento e Acqua) non compare direttamente la Montagna, essa è contenuta nel termine Vento, che si muove dalle montagne verso la pianura.

Secondo la visione cinese, i territori sono stati creati dall’azione del vento e dell’acqua, ma anche il corpo umano si caratterizza con questi due elementi: il vento come flusso di energia che scorre nei meridiani di agopuntura e l’acqua che compone il corpo e le nostre cellule. Quindi il corpo umano risuona con il paesaggio circostante.

Nell’analizzare la localizzazione di un edificio, si parte sempre dalla valutazione del grado di contenimento dell’energia Qi o flusso del vento proveniente dalle varie direzioni. Ogni edificio, casa, ristorante…..dovrebbe contenere l’energia Qi, o meglio il Qi foriero di fortuna e opportunità dovrebbe scorrere in maniera lenta e sinuosa ed essere raccolto e distribuito all’interno dei vari ambienti domestici.

Nella concezione Feng shuistica il Qi si divide in: Sheng Qi o energia vitale che scorre seguendo linee sinuose, e Sha Qi o freccia segreta che segue le linee più rettilinee.

Ricordo alcuni anni fa in un lungo viaggio fatto a Bali, dove c’è una grande attenzione al rapporto tra la casa in relazione all’essere umano e dove si utilizza molto il Vastu cioè il Feng Shui indiano, i vari esperti e sciamani, molto liberi mentalmente e senza credenze limitanti o dogmi scientifici, parlare spesso di “spiriti nefasti” che seguono le linee rette e “spiriti favorevoli” che seguono le linee sinuose e armoniche. Ma tutto questo trova grande rilevanza nella natura umana, l’uomo è composto da linee armoniche e non da linee rette, noi siamo natura! Basta osservare una foglia, il suo reticolo che la compone non è rettilineo, oppure i vasi sanguigni di un essere umano, oppure ancora meglio il reticolo idrografico antico di un territorio perché quello moderno è stato reso dall’uomo tutto rettilineo. In tutto ciò sta una grande verità, che il corpo umano risuona fortemente con il paesaggio circostante se è armonico, altrimenti qualsiasi forma aggressiva è contro la natura umana.

Nell’architettura cinese un esempio è dato dal ponte a zig zag, che consente di muoversi con maggiore sicurezza e godere delle prospettive diverse che danno su rocce, punti d’acqua, vegetazione….
Il percorso a zig-zag fa guardare in più direzioni, arricchisce il visitatore, prima di arrivare all’obiettivo; mentre seguendo il percorso lineare “si guarda diritti” e non c’è nessun tipo di arricchimento.

Secondo il noto pittore viennese Friedensreich Hundertwasser definitosi il medico dell’architettura: “la linea diritta rappresenta l’unica linea non creativa. È mortale. Il nostro intelletto è stato influenzato da anni e anni di indottrinamento che ci porta a supporre con convinzione che la linea diritta è uguale al progresso, ma nel nostro subconscio suona continuamente una campana di emergenza. Quando siamo in città esposti a linee diritte, soffriamo di emicranie, non ci sentiamo bene senza conoscerne il motivo. La gente diventa violenta, senza un apparente perché. Tutte queste linee diritte stanno distruggendo completamente il nostro mondo e le nostre anime. Io trovo che questa architettura sia criminale. Rappresenta la distruzione dei nostri sogni e dei nostri legami con la natura e la bellezza”.

L’angolo dovrebbe lasciare di nuovo il posto alla curva. Bisogna eliminare anche gli spigoli consci ed inconsci della nostra personalità. Vivere per esempio in una casa molto spigolosa non può che portare le persone ad essere caratterialmente “spigolose” poiché la casa rappresenta il prolungamento del corpo e quindi ci influenza in maniera molto forte.

L’interior design secondo la visione Feng Shui, può riscoprire invece forme nuove, proporre nuovi modi di abitare, anche solo riscoprendo forme arcaiche, archetipiche, risalendo alle matrici dell’architettura, alle linee e ai volumi che l’ancestralità di antiche costruzioni porta in sé.

L’idea del cerchio, della sfera, delle linee curve che simboleggiano il grembo materno, la tranquillità, lo stare insieme trasmettono una sensazione di sicurezza: il cerchio è in natura la forma perfetta, infatti è la figura geometrica che racchiude il massimo volume con la minima superficie, la rotondità, la curva, sono forme che si ritrovano spesso nelle piante, negli animali, nell’uomo: un tronco d’albero, uno stelo, un frutto, sono linee curve quelle che descrivono una goccia d’acqua, un occhio, un orecchio, una testa umana,…..

Nell’antichità l’uomo costruiva capanne circolari, capanne a cupola, tetti a cono: oggi l’architettura e

Utilizzare qualche parete curva, gli spigoli smussati delle pareti ortogonali, le linee sinuose e dinamiche di un controsoffitto con parti sfondate circolari, con dislivelli separati da linee curve, movimentere la casa in modo interessante, attraente, creando dinamismo e raccoglimento, movimento o intimità secondo le prospettive interne che si creano, in funzione di come si dispongono gli elementi curvilinei in casa. Un soggiorno tradizionale potrà essere reso più dinamico e arricchito da un camino centrale rotondeggiante, una parete curva o più, una sistemazione circolare di sedute che diano un senso “assembleare”, di coralità, di feeling tra gli ospiti, diverso dalla solita atmosfera di poltrone e divani dove si conversa più o meno educatamente l’uno contro l’altro.

Divani e poltrone «affrontati», cioè disposti uno di fronte all’altro, favoriscono rapporti di tensione, altri tipi di sedute, disposte a semicerchio, favoriscono rapporti interpersonali più intensi ed armoniosi.

La forma curva inserita bene in qualche elemento domestico verticale e o orizzontale, crea ritmi, dinamismi, immagini e figure simboliche, purché il gioco di armonia e contrasto con l’insieme non sia stridente, né si ricorra forzatamente ad elementi kitsch. Rizzi G. in Parancola 2005.

Un arco ben proporzionato ed evidenziato, non vistoso, o meglio un’apertura o passaggio per entrare in casa o per passare dalla zona ingresso in altri ambienti, accompagnato da una parete d’acqua o acquario, architettonicamente proposta in modo coerente, costituisce elemento psicologicamente valido: l’arco sottolinea il concetto di entrare e uscire, rimanda all’archetipo di nascita (uscire dal ventre materno e affrontare il mondo, rientrare in casa e ritrovare un mondo sicuro, quasi come rientrare nel ventre materno), unitamente all’acqua, simbolo di purezza, di trasparenza, di sincerità, che ci rimanda alla memoria prenatale, alla quiete in cui nuotavamo nel liquido amniotico.

La sfera e il cerchio sono quindi simboli di raccoglimento, unità, convivialità, solidarietà, significano desiderio e possibilità di stare insieme, intorno ad un centro (o ad un focolare) che sia elemento di unione, attrazione centripeta, creando compartecipazione, comunicazione.

La forma condiziona o favorisce i comportamenti: un tavolo tondo tende ad accelerare la conoscenza di persone, anche se numerose, che sono insieme per la prima volta, un tavolo rettangolare per lo stesso numero di commensali tende a favorire conversazioni separate.

La forma rotonda, sferica, circolare, risponde all’idea di comunità, di confidenzialità, o alla necessità di raccoglimento e meditazione.

Uno dei bisogni primordiali dell’uomo è la luce un’altra forma di Qi, per orientarsi, per vedere, per conoscere e riconoscere: al buio l’uomo è disorientato, non solo fisicamente.

Alla luce può decidere dove dirigersi; altri elementi di cui ha bisogno sono l’acqua, appunto come elemento madre e foriero di tranquillità e sicurezza, e il verde naturale: testimonianza di vita, che cresce e ricresce, con cicli annuali, con nascite e rinascite, autunni e primavere: abbiamo bisogno di vedere la natura che si rigenera per acquisire sempre nuova consapevolezza nella nostra capacità di crescere, di rinnovarci, non solo fisicamente: come ricrescono i capelli, le unghie, come la pelle si riforma, le ferite si chiudono, la vita continua, così le esperienze si moltiplicano, le riflessioni e l’interiorità maturano, il tuo “fare” dimostra che esisti, le scelte esistenziali ti portano sempre a nuovi traguardi.

 

Bibliografia

Parancola S., (2005), La progettazione delle residenze bioarchitettoniche, Il Sole 24 ore Edilizia, Milano.

Parancola S., Ros P., (2006), Feng Shui della Forma, Editoriale Delfino, Milano.

Parancola S., Ros P., (2007), Feng Shui della Bussola, Editoriale Delfino, Milano.

Parancola S., Brescia P., (2010), L’armonia del colore in architettura, Editoriale Delfino, Milano.

Parancola S.,(2012), Videocorso di architettura Feng Shui, Editoriale Delfino, Milano.

 

 

 




Alimentazione, nutraceutica e sostanze naturali: la nuova frontiera alle pandemie del terzo millennio


Rosaria Ferrieri*

Fin dai tempi più antichi è nota la relazione tra cibo e salute. La stima dei valori energetici in ogni situazione fisiologica o patologica va integrata dalla valutazione qualitativa dei micro e macro nutrienti, con particolare attenzione a tutti quei fattori che attraverso la loro introduzione possono innescare o disattivare meccanismi patologici importanti, in primis il processo infiammatorio.

Le malattie che affliggono questo millennio sono per lo più legate a tale processo: l’obesità  e le sue complicanze metaboliche (o “globesità” ) , le patologie cardiovascolari, il cancro sono viste quindi come espressione di un lungo processo “trasformativo” (o degenerativo che dir si voglia) che pone le sue premesse in predisposizioni genetiche, e che con successive e sempre più precoci modificazioni “epigenetiche” mediate anche attraverso il sistema immunitario possono poi esprimersi attraverso l’innesco di fenomeni metabolici che traggono proprio dall’alimentazione la componente individuale più importante (ed anche forse meno valutata in primis).

Se si esaminano le implicazioni fisio-patologiche di patologie le più varie (cardiovascolari, metaboliche, tumorali, endocrinologiche, ecc.) e dei meccanismi che possono influenzare il loro sviluppo e decorso, ci si rende conto di come l’alimentazione (e quindi la nutraceutica e anche l’integrazione fito-nutrizionale) riesca ad influenzare in maniera a volte determinante il destino stesso della malattia, laddove, con tecniche applicate da scienze anche più moderne e sofisticate (come la genomica e la metabolomica) si sta studiando appunto di prevenire lo “switch” metabolico di patologie ereditarie proprio attraverso la nutrizione e la nutraceutica . È questa la “nuova frontiera” terapeutica nelle malattie pandemiche del terzo millennio; ma paradossalmente è una problematica difficile da affrontare in quanto coinvolge abitudini di vita le più diverse, status socio-economici differenti ed anche forse interessi economici che non sempre sono indirizzati ad  incoraggiare comportamenti di tipo preventivo.

Non potendo in questo contesto sviluppare tutti i capitoli collegati a questo nuovo paradigma clinico-diagnostico proverò a sintetizzare qualche concetto basilare riguardante  la “pandemia cancerosa” che a tutt’oggi rappresenta l’ambito più interessante di ricerca.

A-Le cellule cancerose sono metabolicamente più attive e captano più glucosio delle cellule normali (1)– Si sa la velocità della glicolisi è aumentata di circa 10 volte in cellule tumorali; ne è prova la scoperta e l’utilizzo diagnostico della Tomografia ad emissione di positroni (PET) che si esegue con somministrazione per via endovenosa al paziente di molecole di glucosio marcate con radioisotopi che emettono positroni; tra queste la più utilizzata è il fluoro-desossi-glucosio (18F-FDG). Oncogeni (come il PI3K) e oncosoppressori (come la p53) possono influenzare lo switch tra glicolisi anaerobica e ciclo degli acidi tricarbossilici (modulando l’espressione di specifici enzimi) e aumentare la captazione di glucosio e di glutammina. Quindi, il destino metabolico del glucosio nelle cellule tumorali contribuisce al fenotipo tumorale; ed allora una alimentazione con alte quantità di glucosio ( e cibi ad elevato Indice Glicemico) è sicuramente promotore del metabolismo della cellula tumorale; come anche l’utilizzo di integratori che fungono da “fattori di crescita” delle cellule tumorali stesse, determinando una accelerazione del metabolismo. La visione del cancro come “malattia metabolica” è stata provata dagli studi che hanno condotto alla formulazione della teoria dell’“effetto Warburg” che porta a produrre energia con risorse limitate e a favorire percorsi metabolici che possano sostenere la proliferazione cellulare: lo Switch metabolico comporta la riduzione dell’uso del ciclo degli acidi tricarbossilici ed aumenta l’attività della glicolisi anaerobica (agevolata, appunto, anche dall’innesco di fattori trascrizionali), determinando un elevato consumo di glucosio e la produzione di acido lattico.

B-La attività delle cellule Natural Killer è inibita  dall’alimentazione ad alto indice glicemico  (2) – Le cellule NK sono le più attive nella sorveglianza antineoplastica e antivirale , sono in grado di produrre citochine (come IFN-gamma) e non necessitano di attivazione specifica: sono capaci di  eliminare fino a 2 miliardi di cellule neoplastiche in poche settimane (3). Se la loro attività viene a ridursi ciò costituisce un rischio per l’insorgenza delle patologie tumorali; quindi le farine bianche, gli zuccheri raffinati, l’alcol ecc. sono alimenti da ridurre o eliminare , sia in prevenzione ma anche in corso di patologia neoplastica) per consentire un migliore funzionamento della prima linea di difesa cellulare; non è anche da dimenticare che  le cellule NK provvedono a disinnescare il processo infiammatorio che si attiva con la presenza dell’IGF-1. È proprio attraverso il processo infiammatorio che l’ambiente diventa favorevole alla progressione neoplastica, come dimostrato in numerosi studi e tale infiammazione favorisce anche il processo di angiogenesi tumorale. Anche in questo caso l’attivazione non è automatica, ma viene ad essere determinata in seguito all’ipossia tessutale, come richiesta di vascolarizzazione accessoria da parte del tessuto: lo switch angiogenico può verificarsi in qualsiasi fase della progressione tumorale, in dipendenza del tipo di tumore, ma, nella maggior parte dei casi, risulta essere un prerequisito per la crescita del tumore stesso.

C-Il processo di angiogenesi tumorale  e le strategie naturali per contrastarlo: la PEA e la curcumina- I meccanismi responsabili per l’angiogenesi tumorale non sono ancora stati delucidati completamente, ma si propone uno schema semplificativo. Le cellule endoteliali giocano un ruolo importante nella neovascolarizzazione dei tumori indotta dai microtumori. Da questo punto di vista il fattore prossimale più importante per l’angiogenesi è il fattore di crescita endoteliale vascolare [vascular entothelial growth factor (VEGF)]. Il VEGF è un dei fattori di aumento della permeabilità vascolare e della promozione della metastasi più importanti e potenti. Su di esso agiscono vari fattori proinfiammatori e proangiogenetici come il NO e le prostaglandine, ma anche il TNF-α.
La stabilità e coerenza della matrice extracellulare è un’altro dei fattori fondamentali di controllo dell’angiogenesi, dato che per poter vascolarizzare un tumore è necessario che la matrice extracellulare perda di coerenza e permetta la diffusione di vari fattori e la crescita del nuovo vaso.
Anche le condizioni di ipossia sono favorevoli al processo di angiogenesi. In condizioni di normossia il fattore inducibile da ipossia [Hypoxia-inducible Factor 1 (HIF-1)] viene degradato, ma in condizioni di ipossia viene degradato di meno ed è quindi libero di interagire con altri cofattori e stimolare l’angiogenesi. Dato che il microtumore è, prima della vascolarizzazione, ipossico, in esso vengono espressi vari cofattori angiogenetici.

Uno dei punto di snodo fondamentali che unisce questi processi sono le attività del fattore nucleare kappa B (NF-kB) e della proteina attivatrice-1 (AP-1), due fattori di trascrizione genica (sempre in eccesso nelle cellule tumorali) fondamentali nella risposta proinfiammatoria LPS-indotta. Essi controllano molte attività cellulari: l’NF-kB media l’attività immunitaria, l’infiammazione, le collagenasi e la proliferazione cellulare, e l’AP-1 soprattutto la proliferazione cellulare. Di particolare interesse il legame tra NF-kB ed infiammazione, perché questa facilita l’angiogenesi, l’invasione e le metastasi, e d’altro canto è un importante fattore protumorale.

A loro volta NF-kB e AP-1 mediano l’espressione di iNOS (e quindi la produzione di NO), di COX (e quindi le prostaglandine) ed il TNF-α. Questi fattori proinfiammatori, sommati all’azione dell’ipossia tramite HIF-1 e AP-1 e vari altri cofattori, inducono l’espressione di VEGF e aumentano l’infiammazione. La VEGF a sua volta, causa una cascata metabolica che porta ad una degradrazione della matrice extracellulare, alla proliferazione endoteliale ed in definitiva all’angiogenesi.

La terapia antiangiogenetica di taluni tumori è una delle strategie messe in atto recentemente  e in tal senso sono  in fase di studio alcune molecole naturali con  effetto antiangiogenetico, una delle quali è la PEA ( palmitoiletanolamide) : derivato degli acidi grassi di membrana (amide tra acido palmitico ed etanolamina, composto endogeno presente largamente negli organismi viventi animali e vegetali) possiede proprietà cannabimimetiche, pur non legando direttamente i recettori per i cannabinoidi CB1 e CB2 in vitro.

Poiché essa è prodotta on demand durante l’infiammazione ed agisce localmente antagonizzando lo stimolo infiammatorio è stata definita ALIAmide (Autacoid Local Injury Antagonism Amide). la PEA riduce il processo pro-infiammatorio e proliferativo indotto da Aβ, noto come gliosi reattiva, valutato sia come vitalità cellulare che come rilascio di mediatori pro-infiammatori. Inoltre la PEA è stata capace di ridurre l’espressione di molecole proangiogeniche, quali il TNF-α, la MMP-9, VEGF, e la trascrizione di quest’ultimo, mostrando così la sua capacità anche nel modulare l’angiogenesi connessa alla gliosi reattiva indotta.

Una altra sostanza con effetti simili è la Curcuma longa. Si tratta di una spezia utilizzata da secoli nella medicina tradizionale indiana (ayurvedica) ed hawaiana, La tradizione ayurvedica riporta l’origine dell’uso della curcuma a 10.000 anni fa, quando il dio Rama venne sulla Terra. Se ne usa la polvere (gialla, pertanto viene anche indicata come zafferano delle Indie) della radice essiccata., che ha un sapore piccante. I curcuminoidi e la curcumina agiscono sul processo di angiogenesi tumorale tramite processi multipli ed interdipendenti, che risultano essere: una azione a livello dei fattori di trascrizione Nf-kB (fattore nucleare kB) e della AP-1 (proteina attivatrice-1), legati ai processi infiammatori, e l’Egr-1 (questa azione ha attenuato l’espressione della IL-8 in linee cellulari ed ha evitato l’induzione della sintesi di VEGF); l’inibizione dell’angiogenesi mediata dall’ossido nitrico e dall’iNOS e l’inibizione dell’espressione di COX-2 e LOX;  l’ azione a livello di fattori angiogenetici: il fattore di crescita endoteliale vascolare [VEGF], principale fattore di migrazione, gemmazione, sopravvivenza, e proliferazione durante l’angiogenesi, e il fattore di crescita basilare dei fibroblasti [bFGF]; e infine l’ azione a livello della stabilità e della coerenza della matrice extracellulare (ECM), con downregolazione della MMP2 (metalloproteinasi-2 di matrice) e della MMP9, e upregolazione della TIMP1 (inibitore tessutale della metalloproteinasi-1).

4- Il ruolo dei lipidi: la scienza che consente di valutarne rischi e benefici in corso di patologie neoplastiche – Lo studio del  complesso sistema metabolico cellulare si è arricchito negli ultimi anni di tecniche avanzate che ne consentono l’analisi più dettagliata; in particolare , l’avvento delle scienze cosiddette “omiche” ha reso possibile di identificare simultaneamente migliaia di specie molecolari, le più diverse, consentendo un approccio medico/terapeutico molto più mirato e per aspetti che prima del loro impiego non venivano nemmeno considerati; tra queste scienze consideriamo qui la “lipidomica”, una disciplina facente parte della metabolomica, che mira a definire struttura e funzioni di tutte le specie molecolari di lipidi presenti a livello cellulare: questi, come tali, non solo sono presenti nella matrice a doppio strato delle membrane cellulari (quindi influenzano le diverse funzionalità di essa) ma fungono da deposito di energia e ricoprono il ruolo anche di secondi messaggeri, partecipando ai meccanismi di Cell-signaling ( attraverso domini cosiddetti “raft”). La separazione e identificazione di queste molecole si basa sulla metodica di Gas-cromatografia (Gc o HPLC) attualmente accoppiate anche a tecniche di spettrometria di massa  con varie sorgenti ( tecniche MALDI o ESI o NMR). L’enorme complessità del lipidoma cellulare (comprendente fino a circa 200.000 differenti specie derivate da lipidi) si sta rivelando una fonte di informazioni utili e utilizzabili in diverse patologie, tra cui quella cancerosa: oramai è ampiamente accertata l’ipotesi del ruolo dei lipidi, come modulatori diretti di funzioni proteiche o segnali intracellulari, come ligandi per recettori di membrana o nucleari nonché come neuro modulatori. Questi studi sono stati determinanti nella  ridefinizione di pattern clinico-diagnostici in corso di patologie neoplastiche che ora prendono in considerazione la lipidomica come strategia terapeutico/nutrizionale per la modulazione del processo infiammatorio e/o degenerativo e la regolazione del messaggio di “apoptosi” tumorale (utile quindi anche in prevenzione, per la sua funzione di modificazione “epigenetica” dei vari processi). Pertanto, la composizione della dieta e dei prodotti che in essa vengono utilizzati (con particolare riferimento ai prodotti lavorati nelle industrie alimentari) rappresenta un importante “messaggio”cellulare che, come è stato ampiamente dimostrato, ha anche “effetto epigenetico” influenzando l’espressione genica e riuscendo a “mutare” un trend metabolico (vedi ad esempio l’effetto delle diete sulle concentrazioni di omocisteina nel sangue). Oltretutto, proprio dallo studio approfondito del ruolo dei lipidi come modulatori e /o trasmettitori sono stati individuati altri nuovi target terapeutici a cui essi possono contribuire. E qui torniamo a parlare della palmitoiletanolamide (PEA), amide tra acido palmitico e etanolamina, largamente presente come composto endogeno negli organismi animali e vegetali, che abbiamo già presentato come inibitore dell’angiogenesi tumorale. La PEA, sintetizzata a partire dal precursore fosfolipidico, viene rilasciata in seguito a stimoli lesivi al fine di prevenire l’eccessiva propagazione della risposta infiammatoria o di inibire le reazioni di ipersensibilità ritardata, risultando efficace anche nella riduzione di produzione della ciclo ossigenasi ( COX-2)  e di TNF-alfa. Oltre all’attività antiinfiammatoria, la PEA presenta una serie di effetti farmacologici che, nel campo della lotta al dolore,  la stanno rendendo sempre più interessante anche per le innumerevoli applicazioni terapeutiche e le scarse interazioni farmacologiche: effetto analgesico importante tramite l’attivazione degli endocannabinoidi e tramite l’attivazione del recettore PPAR-alfa  la cui stimolazione produce profondi e rapidi effetti in modelli di dolore acuto, infiammazione persistente e dolore neuropatico; inoltre altri effetti documentati sono risultati essere:  riduzione dello stress ossidativo ( riduzione nella produzione di NO), con protezione dell’endotelio vascolare miocardico, effetto tramite regolazione dei recettori PPARS  a livello non solo dell’infiammazione ad essi correlata ma anche di altri meccanismi che riconoscono l’utilizzo di altri sottogruppi di PPARs , tra cui la metabolizzazione dei lipidi e degli zuccheri essendo alcuni tipi di recettori (il PPAR-gamma) presente nel tessuto adiposo. Ma al momento attuale altri i tessuti in cui i PPARs sono espressi (muscolare, cervello, retina, colon, sistema immunitario , epitelio mammario, ecc) sono allo studio per valutare la possibilità e l’efficacia nell’impiego della PEA in diversi tipi di patologie comprese quelle tumorali , in quanto i composti cannabinoidi si sono rivelati in grado di inibire la proliferazione e di indurre apoptosi in un considerevole numero di linee cellulari tumorali umane appartenenti appunto ai citati tessuti. E sembra che tale attività si stia confermando (5) (6).

Concludendo questo mio contributo vorrei sottolineare l’importanza della ricerca in campo nutraceutico per poter dirimere la questione dell’utilità o meno dei cosiddetti integratori alimentari (più precisamente detti nutraceutici) , nei confronti dei quali esiste molto scetticismo e parecchia disinformazione, molti colleghi medici ancora considerano queste supplementazioni inutili o addirittura dannose. La verità però è molto diversa. Intanto un numero immenso di studi dimostra l’utilità preventiva e terapeutica di sostanze nutrizionali (così come di fitoterapici).  Inoltre viene stimato che oltre il 90% delle persone presenti una o più deficienze nutrizionali, non così gravi da far insorgere un’avitaminosi acuta, ma sufficienti ad alterare nel tempo il metabolismo e ad aumentare il rischio di malattie croniche; questa condizione che viene riconosciuta come “la malnutrizione del terzo millennio” si caratterizza con l’associazione di malattie metaboliche” da accumulo” (diabete, iperlipemie, ecc) con patologie carenziali anche gravi ( in primis quelle da carenza di vitamina D  e vitamine del gruppo B).

 

Bibliografia

(1) Vander Heiden MG, Cantley LC, Thompson CB: Understanding the Warburg effect: the metabolic requirementsof cell proliferation– Science – 2009 -; (5930):1029-33

(2) Levy EM e coll:Natural killer cells in human cancer:from biological functions to clinical applications– J.Biomed.Biotechnol.- 2011-:676198

(3) Purdy AK e col.: Natural killer cells and acne:regulation by killer-cell Ig-like receptors –KIR—Cancer Biol Ther 2009 Dec ; 8(23): 2211-20

(4) Jennifer L. et al: Clinical application of metabolomics in Oncology: a review- Clin. Cancer. Res 2009. 15 (2) 431-440  5-

(5) Grimaldi  C. and Capasso A.: The endocannabinoid system in cancer therapy: an overviw . Curr.Med.Chem .- 2011:  18(11), 1575-1583

(6)- Guindon J., Hohmann G.- The endocannabinoid system and cancer: therapeutic implication– Brit. Journ. Pharmacol. –2011:  163, 1447-1463

 

 

 




Il mercato e le politiche per l’obesità infantile

John Cawley*

Assumendo una prospettiva economica, quest’articolo illustra come l’influenza del mercato abbia contribuito al recente aumento dell’obesità infantile negli Stati Uniti, e propone una serie di misure politiche per arginare il fenomeno. I rischi per la salute associati all’obesità infantile, tra cui asma, ipertensione, diabete di tipo II, malattie cardiovascolari e depressione, hanno indotto le autorità mediche a dichiarare la sua crescita sintomo di uno “stato di allerta” per la salute pubblica dei cittadini americani.

 

In che modo il mercato ha contribuito all’aumento dell’obesità infantile?

Ciò che innanzitutto ha contribuito all’affermarsi di un saldo calorico sempre più positivo, è stata la riduzione del prezzo dei beni alimentari più calorici. Secondo il U.S. Bureau of Labour Statistics infatti, tra il 1989 e il 2005, il prezzo reale dei grassi è diminuito del 26.5%, quello di dolci e zuccheri del 33.1%, mentre quello di frutta e verdura è cresciuto del 74.6%. Gli alimenti densamente energetici sono dunque disponibili sul mercato a prezzi nettamente inferiori rispetto a cibi a basso contenuto calorico.

La crescita dei salari ha inoltre aumentato il costo-opportunità della preparazione casalinga dei pasti, scoraggiando l’investimento di tempo in attività culinarie a favore della prima migliore alternativa disponibile. Questa circostanza è particolarmente vera per chi possiede almeno un diploma di scuola secondaria, perché in media chi è più istruito ha uno stipendio più alto rispetto a chi possiede un titolo di studio inferiore. Anche i cambiamenti tecnologici hanno favorito la riduzione del tempo per cucinare, creando incentivi per l’utilizzo di pasti preconfezionati. Si è così verificato un significativo spostamento dei consumi verso alimenti industriali trasformati che, considerato il prezzo basso e l’immediata reperibilità, hanno a loro volta influito sull’andamento dei tassi di obesità. L’evidenza empirica dimostra inoltre che tra coloro che hanno tratto maggiore vantaggio dalle innovazioni tecnologiche, si osservano i maggiori aumenti di peso. Del resto, l’incidenza dell’obesità è direttamente proporzionale alla disponibilità di alimenti trasformati, quindi superiore nelle economie più sviluppate. Anche i cambiamenti nel mercato del lavoro femminile hanno inciso sulla riduzione del tempo dedicato all’economia domestica. Insieme all’aumento del costo opportunità sopra menzionato, la crescente forza lavoro “in rosa” ha contribuito all’aumento della frequenza dei pasti consumati fuori casa.

Il consumo di pasti fuori casa è peraltro è strettamente connesso all’obesità perché da un lato è difficile stabilire il loro contenuto calorico e dall’altro le porzioni servite sono spesso molto più abbondanti del necessario.

Un ruolo importante in relazione all’aumento dell’obesità infantile è giocato dalla pubblicità. E’ stato dimostrato, ad esempio, che se un bambino consumasse soltanto alimenti pubblicizzati dai media, la sua dieta sarebbe ben lontano dalle raccomandazioni nutrizionali indicate per gli americani (Dietary Guidelines for Americans). Basti osservare la sostituzione progressiva delle pubblicità di frutta e verdura con quelle di ristoranti fast-food, bibite e snack.

Anche la politica agricola potrebbe incidere indirettamente sulla crescita dei tassi di obesità. La politica di sostegno agli agricoltori è infatti stata fortemente criticata perché sussidia la produzione di mais e, di conseguenza, quella di sciroppo di glucosio-fruttosio (ottenuto con amido di mais) che è largamente presente nelle bibite gasate, nei succhi di frutta, nelle caramelle e in molti altri alimenti dolci.

 

Le ragioni economiche per l’intervento nel mercato e strategie per scegliere le politiche pubbliche più efficaci

Le autorità di sanità pubblica devono intervenire nel mercato per contenere i costi e i rischi dell’obesità. Ci sono diverse ragioni economiche che giustificano l’intervento dello Stato e ognuna di esse si può tradurre in azione politica.

In primo luogo, nel libero mercato i produttori generalmente non forniscono tutte le informazioni di cui i consumatori avrebbero bisogno. Il governo dovrebbe dunque intervenire laddove il mercato fallisce, dando ai consumatori quelle informazioni nutrizionali che li aiutino a scegliere in modo più consapevole. Il Nutrition Labelling and Education Act (Nlea) del 1990 effettivamente obbliga i produttori a indicare i valori nutrizionali sulle confezioni degli alimenti, ma per il momento non esiste nessuna legge che vincoli anche ristoranti o fast-food a fare lo stesso. Intuitivamente, basterebbe estendere il campo di applicazione dell’Atto anche agli esercizi commerciali di ristoro, indicando il contenuto calorico dei piatti sul menu. La seconda ragione economica che spinge a chiamare l’intervento statale, riguarda il fatto che i costi dell’obesità sono largamente sostenuti dalla società nel suo complesso. Uno studio del 2003 stima per esempio che, attraverso Medicare e Medicaid – programmi federali per la sanità negli Usa – i contribuenti statunitensi pagano soltanto metà dei costi per la cura di malattie legate all’obesità (Finkelstein et al., 2003).

Il terzo motivo riguarda nello specifico l’obesità dei più giovani. I bambini non sono ovviamente ciò che tradizionalmente gli economisti definiscono “consumatori razionali”: non possono valutare in modo critico le informazioni a loro destinate, né sanno pesare in anticipo le conseguenze delle loro azioni.

Se il problema dell’asimmetria informativa può essere risolto con politiche mirate, lo stesso non si può dire per le altre due questioni, che necessitano invece un intervento di tipo indiretto. Da un punto di vista economico, il modo più corretto per scegliere tra diversi interventi è analizzare il rapporto costo-efficacia. Il primo passo da fare dovrebbe essere stimare tutti i costi e i benefici associati a ogni possibile intervento e ordinarli sulla base del costo, per consentire ai policymaker un’allocazione delle risorse il più efficiente possibile.

L’interesse della politica si può concretizzare in diverse azioni. Si potrebbero ad esempio introdurre delle tasse o dei sussidi che scoraggino il consumo di alcuni alimenti e incoraggino quello di cibi più sani insieme alla pratica di attività fisica. L’introduzione di una tassa su un prodotto molto calorico può rivelarsi efficace a tal punto da incidere sui livelli di obesità, agendo così anche sui suoi costi sociali. Un’altra possibilità è il sussidiare uno stile di vita sano e “colpire” l’obesità in modo indiretto. Ad esempio, negli Stati Uniti, alcuni governatori locali hanno dato dei sussidi per la frequentazione di parchi pubblici, palestre o piscine, e hanno finanziato corsi di educazione alimentare o attività di sport di squadra nelle scuole pubbliche. Tanto negli Stati Uniti quanto altrove, un luogo in cui si potrebbe rivelare molto utile intervenire sono proprio gli istituti scolastici. Le autorità locali potrebbero ad esempio richiedere il ritiro dalle scuole dei distributori automatici di bibite e merendine o proteggere i bambini dalle pubblicità dei cibi spazzatura. I più giovani sono infatti più sensibili al consumo dei prodotti reclamizzati e questo ha chiaramente conseguenze negative sui trend dell’obesità.

Per quanto concerne le politiche agricole, i Governi dovrebbero invece promuovere analisi costi-benefici per valutare il beneficio netto dei sussidi alla produzione e del sostegno dei prezzi, in modo da identificare – ed eventualmente modificare o cancellare – quei programmi pubblici che indirettamente contribuiscono all’incremento dell’obesità.

 

Conclusioni

Sono oggi ancora poche le analisi costi-benefici per valutare l’efficacia dell’intervento pubblico. Tuttavia in letteratura ci sono diversi studi che, utilizzando il metodo Qaly – Quality Adjusted Life Years – , hanno calcolato quanto costerebbe alle casse statali “risparmiare un anno di vita umana” attraverso l’attuazione di una determinata misura politica. Il criterio decisionale per un’analisi costi-benefici dovrebbe essere, in generale, scegliere l’intervento con il più basso costo per Qaly e continuare lungo quella strada finché il budget non si esaurisce o finché il costo non supera una certa soglia. Un segnale importante arriva dal recente innalzamento di tale soglia che da 50mila dollari è arrivata addirittura a 200mila dollari (Roux, 2000; Hirth, 2000). Studi recenti dimostrano che, potenzialmente, sono molti gli interventi da mettere in atto per la diminuzione dei tassi di obesità: alcuni riguardano la prevenzione, mentre altri, più specifici, le cure mediche. Anche piccoli cambiamenti nel comportamento, diretti o indiretti che siano, potranno infatti rivelarsi un aiuto sostanziale per la riduzione dei tassi di obesità in età infantile nei prossimi decenni.

 

Riferimenti bibliografici

Finkelstein, E., Fiebelkorn, I., and Wang, G., “National Medical Spending Attributable to Overweight and Obesity: How Much and Who’s Paying?” Health Affairs Web Exclusive, May 14, 2003.

Hirth, R.A. (2000) Willingness to pay for a QALY: in search for standards Medical Decision Making Vol.20 No3

Roux, L. (2000) “Evaluation of Potential Solutions to the Health and Economic Problems Presented by Physical Activity: A Cost-Utility Analysis,” unpublished manuscript, Centers for Disease Control and Prevention, 2005.

 




Lo stile di vita quale prevenzione del processo involutivo da invecchiamento

Alfredo Calligaris*

Le società avanzate dei paesi ricchi, probabilmente, per il consolidarsi di una forma di immaturità collettiva, condividono l’assunto che la condizione normale dell’uomo, comprese le donne, ovviamente, debba essere quello di godere di buona salute, di vivere il più a lungo possibile, nel pieno controllo della propria vita e d’essere in buone condizioni materiali.

In parte il problema del prolungamento del vivere è stato risolto, e l’aspettativa di vita si è quasi raddoppiata nel giro di un cinquantennio, ma il fenomeno della longevità si è amplificato più per l’intervento terapeutico sulle patologie provocate dall’invecchiamento, che è dimostrato dal fatto che anche oggi abbiamo dedicato i quattro quinti del convegno alla trattazione delle evenienze fisiopatologiche che lo contrastano, piuttosto che per il miglioramento dello stile di vita. Vale a dire, per la diffusione dell’aspetto culturale che attiene a questo fondamentale atteggiamento comportamentale.

È probabile che l’immortalità non sia sconosciuta al nostro patrimonio genetico e la ricerca per la sua identificazione avanza a passo spedito. La morte potrebbe dipendere, effettivamente, da errori di trascrizione del DNA, ma probabilmente anche l’errore deve far parte della cultura biologica dell’uomo. Jeremy Rifkin sostiene che l’uomo è sacro proprio per la sua imperfezione.

Due nostri amici dell’International Center for Genetic Engineering and Biotecnhology di Trieste, Carlo Rubbia e Claudio Schneider, sono convinti, però, che il “Progetto Faust”, ce ne sono più d’uno, non galleggi più sulle nuvole del futuribile, ma sia già futuro. E negli incontri dei biologi di “formula 1” si parla già del prolungamento della vita ben oltre i due secoli e che, forse, proprio grazie o a causa della genetica, siamo alle soglie della conquista dell’eternità. Perché la scienza, fortunatamente o purtroppo, quando impara a fare una cosa la fa.

Ricordiamo, però, che nonostante tutti i progressi, nessun uomo del XX secolo è vissuto più di quanto viveva un longevo nell’antica Roma e che, oggi, l’arco della vita termina, mediamente a 85 anni. Spesso, confondiamo i dati statistici sulla così detta “speranza di vita”, che cresce mediamente di 1 anno ogni 5 anni, con il prolungamento della vita, verso quell’eternità, cui la scienza ambisce.

La legge biologica è apodittica, ed afferma che “ciò che ha avuto un principio deve avere una fine”, anche se i molti profanatori della stessa, Pasteur, Koch, Fleming, Salk, Sabin hanno contribuito in maniera decisiva al prolungamento della vita umana.

Gli esperti di futuro hanno fatto, a volte, previsioni che si sono dimostrate errate perché campate in aria, altre volte, invece, si sono dimostrate errate per l’eccesso di prudenza speculativa con cui erano state proposte. Una loro valutazione, nel pro e nel contro, sarebbe interessante, ma troppo lunga e troppo complessa per essere trattata in questa circostanza.

In genere, i ricercatori più giovani lottano senza porsi limiti, mentre i più vecchi, sono più accorti e cercano soluzioni meno imprevedibili. I giovani non hanno paura di morire, perché il pensiero della morte è del tutto assente dalle loro considerazioni esistenziali e da ciò deriva l’atteggiamento di sfida nei confronti del pericolo. I vecchi, invece, non hanno paura di vivere, perché desiderano godere a lungo il regalo della vita e questo li rende prudenti e previdenti.

I due estremi di sfida e di prudenza si compendiano, per entrambi, in quell’elemento comune che li rende capaci di agire, lo stato di salute.

Salute che non è solo un bene individuale, ma un bene collettivo che implica il diritto-dovere di conservarla per le complesse implicazioni etiche, morali ed economiche che il perderla comporta.

Tutto questo giustifica l’opportunità, meglio la necessità, dell’applicarsi ad un ragionevole comportamento igienico in genere e ad una corretta pratica fisica e sportiva per favorire il mantenimento di quella quota d’efficienza psicofisica e d’autosufficienza motoria che è l’espressione dello stare bene.

Comportamenti igienici e motori che si compendiano nell’atteggiamento individuale del vivere quotidiano, che abbiamo scelto di definire “stile di vita”, consapevoli che la definizione non deve esaurirsi in uno sterile significato pseudoestetico.

Contro l’ineluttabilità dell’invecchiamento, possiamo opporci, volontariamente, attuando procedure comportamentali igieniche e motorie che garantiscano l’attuarsi di un preciso ruolo preventivo e conservativo.

Le cause dell’invecchiamento sono molte, non del tutto chiare, interpretabili come entità che determinano un deterioramento complessivo del Sistema Uomo, tra le quali predominano:

– la tesi dell’origine genetica della senescenza,

– quella del reiterarsi di errori informazionali nella gestione dell’attività biologica individuale,

– quella dell’azione di deterioramento delle strutture cellulari da parte di agenti esterni.

Sarebbe interessante trattarle tutte per soddisfare la nostra curiosità conoscitiva, ma il farlo ci distoglierebbe dal compito che ci siamo prefissati. Che è quello di offrire suggerimenti d’igiene di vita, ed in particolare quelli sull’orientamento al perseguimento di una pratica fisica abitudinaria, quale criterio di gestione della longevità.

Il concetto filosofico di longevità è cambiato gradualmente, passando dall’accettazione passiva del decadimento strutturale ad un atteggiamento di contrasto prima e di superamento poi utilizzando tutte le indicazioni esperite dalle scienze biologiche e cognitive.

Invecchiare comporta il verificarsi di progressivi decadimenti organici e funzionali, che compromettono il contenuto quantitativo e qualitativo delle disponibilità comportamentali dell’individuo.

Alcuni dati indicano che:

– il V02 max si riduce fino al 20% del massimo raggiunto,

– il polso d’ossigeno aumenta gradualmente,

– la F.C. max sotto sforzo diminuisce (circa 220-età),

– la differenza a-v è maggiore, ma diminuisce sottosforzo,

– la gittata sistolica diminuisce, progressivamente, da circa 6 l a 3.5 l,

– le funzioni respiratorie diminuiscono, invece, così:

a- la C. V. diminuisce del 50%

b – la V. M. V diminuisce del 60%,

c – il valore residuo aumenta fino al 100%,

– diminuiscono gli scambi gassosi in genere,

– la forza si riduce del 30-40 % negli arti superiori e del 40-50% per gli arti inferiori,

– la mobilità articolare si riduce del 30-40%

Le capacità cardiorespiratorie diminuiscono:

35 anni      –   3.00 %

45 anni      – 10.48 %

55 anni      – 21.40 %

60 anni      – 28.08 %

65 anni      – 35.38 %

70 anni      – 42.70 %

oltre:          – in crescendo.

Tutti questi dati ci suggeriscono osservazioni importanti.

– la prima, che quanto più consistenti sono i valori acquisiti in gioventù, tanto minori sono i cali,

– la seconda, che i soggetti che si allenano mantengono valori più alti,

– la terza, che la velocità di decadimento aumenta con l’età.

Per quanto attiene la muscolatura

– diminuisce la massa,

– diminuisce il volume,

– diminuisce il peso,

– diminuisce l’acqua intercellulare,

– cresce l’acqua extracellulare,

– aumenta la rigidità del tessuto,

– aumenta l’ipotrofia delle fibre,

– aumenta la componente grassa,

– aumenta il tessuto connettivo.

In termini biochimici, tutto il dispositivo ormono-enzimatico ed immunitario si depaupera dai 30 agli 80 anni per cui si denota:

– una ridotta capacità a produrre proteine per fare fronte alle esigenze metaboliche,

– l’attività enzimatica (ATPasi) si riduce del 50%,

– diminuisce l’entità degli acidi nucleici (DNA e RNA), il che comporta una diminuzione della forza e la perdita della coordinazione neuromuscolare,

– diminuisce l’attività degli ormoni tiroidei,

– diminuisce la glicemia a digiuno,

– diminuisce la velocità di conduzione nervosa (enzimi cellulari),

– diminuisce l’indice cardiaco a riposo,

– diminuisce la capacità vitale,

– diminuisce il flusso ematico renale,

– diminuisce la capacità respiratoria max,

– diminuisce il ritmo di lavoro massimale in rapporto alla massima assunzione di ossigeno

Cosa possiamo fare?

Le più recenti acquisizioni in tema di attività fisica per l’anziano indicano che i programmi devono essere correlati con le differenti situazioni individuali e deve essere sviluppato uno specifico atteggiamento culturale che deve essere regolato sugli:

– obiettivi da perseguire,

– indicazioni e controindicazioni,

– definizione dei contenuti,

– motivazioni operative,

– metodologie e tecniche applicative

L’uomo attuale è prevalentemente un sedentario e necessita sicuramente di una qualificazione motoria meno importante di un tempo, ma non sappiamo se i livelli di decadenza siano dovuti ai processi naturali d’invecchiamento, che sono irreversibili, o alla mancanza di movimento la cui applicazione renderebbe i fenomeni  reversibili

La riduzione progressiva della quantità e qualità della pratica motoria dipende, spesso, dall’atteggiamento che assumiamo nei confronti del movimento, vale a dire, del rapporto che s’instaura tra l’abitudine alla pratica di una certa quota di attività fisica, anche agonistica, e la disponibilità più mentale che fisica a realizzarla.

Troppo spesso ci si convince che le sollecitazioni delle strutture organiche e muscolari debbano essere ridotte progredendo con l’età, il che facilita proprio quel decadimento dello stato di “forma” che si vorrebbe mantenere e che ci fa stare bene. Importante in questa situazione è incentrare l’attenzione sulla qualità piuttosto che sulla quantità applicativa.

L’attività fisica contenuta nei limiti delle potenzialità possedute e soddisfacendo un livello d’impegno che sentiamo, e che dobbiamo assolutamente imparare a sentire, essere “piacevole” deve essere perseguito “vita naturale durante”.

Perché la macchina corporea si deteriora se non è usata.

La pratica fisico-sportiva di prevenzione e di mantenimento deve essere orientata alla soddisfazione di esigenze globali piuttosto che soddisfare formule motorie che preferenziano di volta in volta l’impegno di settori corporei specifici, magari seguendo mode che lasciano il tempo che trovano e distolgono dal compito principale che è quello del perseguimento dello stato di benessere generale.

Riteniamo superfluo suggerire essere fondamentale l’analisi della situazione individuale prima di affrontare qualsiasi programma formativo, preventivo o di mantenimento, mentre la frequenza applicativa, pur dipendendo dalla disponibilità temporale individuale, non deve ridursi alla pratica estemporanea ed occasionale, ma deve essere parte di un comportamento abituale e regolata, quindi, sui sintomi soggettivi di affaticamento o, rispettivamente, di piacere esecutivo.

Consideriamo, comunque, che anche la pratica ridotta al minimo sia valida nella sicura convinzione che anche poco sia meglio di niente.

Metodologicamente bisognerà orientarsi all’acquisizione di quelle qualificazioni che più rispondono alle esigenze di vita dell’individuo e puntare al mantenimento della mobilità articolare e della scioltezza piuttosto che al conseguimento della forza e della resistenza o di condizionamenti organici o muscolari che soddisfino solo l’aspetto morfologico del soggetto.

Nella prassi :

– preferire gli impegni di tipo aerobico,

– evitare gli esercizi strenui,

– preferire le ginnastiche dolci,

– preferire gli esercizi di rilassamento,

– applicarsi anche agli esercizi di forza con pesi leggeri,

– applicarsi ad esercizi di danza, individuali, in coppia, collettivi

– giuochi

Paradossalmente, teniamo conto che la sola attività fisica che può fare veramente male è quella che non si fa.




Salute, malattia, guarigione

Paolo Bascioni*

 

Che cos’è la salute, che cos’è la malattia? In cosa esse consistono? E per conseguenza, quando l’individuo umano è sano o è malato? E la guarigione in cosa consiste? E soprattutto per quali vie e con quali mezzi si può ottenere?

Su queste tematiche o meglio su queste problematiche mi sono trovato di recente a confrontarmi con alcuni medici; e del resto si tratta oggi di interrogativi che da più parti vengono posti. Siamo infatti oramai consapevoli che le risposte non sono scontate né sempre concordi. L’appartenenza a contesti di culture o più ampiamente di civiltà diverse, come anche i presupposti di convinzioni personali circa la natura della vita umana ed il quadro di valori di riferimento che ci orienta nel nostro pensare e nel nostro operare, determinano posizioni differenti anche a riguardo di interrogativi tanto importanti come sono quelli che hanno a che fare con la salute e la malattia. Anche nel nostro linguaggio di appartenenti al mondo occidentale cosiddetto avanzato e caratterizzato da una visione delle cose profondamente segnata dalla scienza e dallo sviluppo che essa ha fatto registrare negli ultimi quattro secoli, e cioè dall’inizio della rivoluzione scientifica avventa dal XVII secolo ad oggi, il termine salute non è univoco, ma analogo. E così in ambito medico ed in riferimento alla scienza della nostra medicina occidentale, salute indica uno stato di benessere fisico e psichico proprio del corpo umano, che deriva dal corretto funzionamento di tutti gli organi e apparati che lo compongono; la salute è pertanto il risultato di un complesso di condizioni fisiche nelle quali si trova attualmente un organismo umano. Ma l’attenzione e la sottolineatura della precisazione attualmente richiama la possibilità della malattia quale opposizione e contrario della salute; la malattia come stato patologico per l’alterarsi della funzione di un organo o dell’intero organismo in cui consiste il corpo umano.

Oltre o fuori dalla prospettiva medica, salute può significare anche salvezza; e questa sia in senso storico-temporale e comunque immanente al mondo, come quando diciamo la “salvezza della patria”, la “salute-salvezza pubblica”, la “salvezza della società”, sia in prospettiva trascendente ed eterna, come nelle espressioni “la salute-salvezza dell’anima”, “l’ultima salute-salvezza”; e qui il discorso non può che fare riferimento alla prospettiva cristiana di salute-salvezza e quindi alla persona e all’opera di Gesù Cristo che segna in modo nuovo, originale ed unico il senso e la prospettiva di salute-salvezza. È nota l’espressione che si trova anche incisa in edifici monumentali del passato di carattere sacro come possono essere le chiese, o anche di finalità profana, che indica l’anno di costruzione con la dicitura: “anno (o secolo)…reparatae salutis” che significa: “anno (o secolo)…della restaurata salute”, dove il termine salute vale appunto salvezza e sta ad indicare proprio la redenzione compiuta da Gesù Cristo a vantaggio dell’intero genere umano e la possibilità offerta a tutti ed a ciascuno di ottenere la vita eterna, e tutto questo attraverso la passione, morte e Resurrezione di Lui.

 

Il ragionamento che stiamo facendo è per dire che nel mondo occidentale la salute, e dunque anche la malattia ed i mezzi messi in atto per la guarigione, sono intesi secondo un significato ed un contenuto che derivano fondamentalmente dalla visione dell’uomo propria delle Sacre Scritture e della fede cristiana. L’importanza, il valore, l’attenzione con le quali si guarda al corpo umano e ci si prende cura di esso, hanno il loro fondamento e la loro origine nelle dottrine cristiane della creazione e della resurrezione; senza questa origine da Dio della corporeità e senza il fine eterno e trascendente della stessa, non si spiegherebbe tutto quello che è avvenuto da duemila anni a questa parte a sostegno ed a protezione della vita fisica dell’uomo, con particolare attenzione ai deboli, ai malati ed ai bisognosi di ogni genere. Prima del cristianesimo un atteggiamento del genere era impensabile e non si trova in nessuna delle civiltà precristiane come non esiste neppure in quelle parti del mondo o in quelle culture coeve al cristianesimo che però non sono state pervase o animate dallo spirito dello stesso cristianesimo. È vero che le conquiste della scienza e le sue applicazioni tecniche della medicina hanno fatto raggiungere, soprattutto nell’ultimo secolo in Occidente, degli obiettivi nel campo della salute da conservare o da riconquistare in caso di malattia e della vita da prolungare, veramente straordinari, e benefici sempre maggiori ci si aspetta; però anche qui scienza e tecnica per il servizio dell’uomo, non a caso sono nate e si sono sviluppate nella parte del mondo segnata dalla presenza cristiana.

 

Se parliamo di salute in riferimento a contesti differenti da quello a cui ci siamo richiamati finora e che potremmo dire nostro, nel senso che è sorto dalla prospettiva cristiana sull’uomo ed è segnato dai risultati della scienza e della tecnica moderna applicata alla medicina, allora la prospettiva cambia ed anche i contenuti, le attese e le aspettative legate alla parola salute sono diverse.

Nel continente africano, ad esempio, ci si considera in condizione normali di salute, vivendo continuamente in compagnia di virus di ogni specie, di condizioni di igiene che da noi sarebbero considerate proibitive, con menomazioni di alcune funzioni fondamentali come la vista, l’udito e la deambulazione e con aspettative di longevità che supera appena la metà di quella dei paesi occidentali; senza dire della mortalità infantile elevatissima e dei supporti men che minimi alle persone in difficoltà perché malate, portatrici di handicap o avanzate negli anni. Eppure la vita in un contesto del genere e con un proprio particolare tipo di integrazione con l’ambiente naturale, è considerata dignitosa e comunque da accettare perché la vita umana è questo e non altro. È dunque giusto porsi la domanda: ma che cos’è propriamente la vita umana e dove sta l’essenziale del suo valore e della sua dignità?

 

Se si getta appena lo sguardo in quella che consideriamo la grande storia e civiltà dell’India che è segnata dalla sapienza, cultura, religiosità che conosciamo con i nomi di Induismo e Buddhismo, ci accorgiamo subito che qui il corpo con le sue vicende di nascita, salute, malattia, sofferenze di ogni tipo, comprese la servitù ed ogni sorta di stenti fino alla morte spesso in condizioni di assoluto abbandono e di dolori inauditi, non attira nessuna attenzione ed alcun interesse. Ogni essere umano deve vivere secondo il suo Karman che deve espiare; nessuno può fare e deve fare nulla per l’altro. Del resto il corpo non ha alcun valore ed importanza; è come una prigione o un involucro dal quale si deve uscire e ci si deve liberare per congiungere con l’assoluto Brahaman dopo una serie indefinita di trasmigrazioni di corpo in corpo, secondo gli Indù; o per entrare nel Nirvana, secondo i Buddhisti, dopo essere arrivati alla consapevolezza che il individuale non esiste in realtà, ma è solo illusione, frutto di ignoranza.

È celebre l’episodio, diventato noto in tutto il mondo, di Madre Teresa di Calcutta, che vedendo il corpo vecchio, malato, morente, di uno sventurato gettato sul marciapiede, mentre lei attraversava la città, e i passanti che non lo degnavano di alcuna attenzione perché niente si doveva fare per quell’uomo che stava vivendo una fase della vita segnata dal suo Karman, si fermò, lo sollevò nelle sue braccia, lo portò con sé, se ne prese cura. Da quel momento cambiò la sua vocazione: da suora brillante docente in scuole cattoliche dell’India, divenne la suora emblema dell’accoglienza ed assistenza dei sofferenti più dimenticati dell’India stessa e del mondo. Questo lei poté fare perché motivata dalla fede cristiana per la quale il corpo sofferente dell’uomo è il Corpo di Cristo flagellato e crocifisso.

 

Nella più volte millenaria storia e civiltà della Cina, il concetto di salute-benessere è legato all’ordine e all’armonia; ordine ed armonia che regnano nel Cielo e che debbono essere instaurati sulla terra, nel senso del Celeste Impero, e che si realizzano attraverso la relazione dei due principi fondamentali: il principio o forza maschile (lo yang) ed il principio o forza femminile (lo yin). Essi si concretizzano in cinque fondamentali rapporti: marito – moglie (uomo – donna), padre – figlio, fratello maggiore – fratello minore, amico – amico, principe – suddito. Dove è salvato l’equilibrio, anche nella vita e nel corpo individuale, c’è salute; dove l’equilibrio è rotto, c’è, ed in questo consiste la malattia. L’equilibrio restaurato riporta alla condizione di salute-benessere.

 

Differenti modi dunque di concepire la salute e differenti vie di salvaguardarla o recuperarla. Torna quindi la domanda circa lo specifico della vita umana e la salvaguardia della sua assolutezza di cui la salute è parte essenziale.

Qualche tempo addietro, un illustre chirurgo di notoria competenza professionale, di apprezzata ricchezza umana e di riconosciuta sensibilità morale, mi spiegava certa presunzione e autosufficienza di fronte ai processi della vita, e perfino atteggiamenti di onnipotenza, specie a proposito di interventi in casi di vita umana nascente o giunta al termine, che si registrano in alcuni ambienti clinici o in professionisti della medicina che vi esercitano la loro magari indubbia bravura. Essi sono, diceva, come quei medici dell’ottocento, di formazione positivista ed evoluzionista: credevano di aver capito tutto della vita perché oramai conoscevano tutti gli organi del corpo umano e come essi sono strutturati in un unico organismo. Oggi c’è chi pensa di sapere tutto, di spiegare tutto e di capire tutto della vita

perché è stato scoperto il dna. Ma come allora risultò poi chiaro che la vita non è la somma degli organi che compongono il corpo, così essa non è riducibile e spiegabile sulla base del dna. La vita, e sommamente la vita umana, è sempre di più di quello che ci dice e ci potrà dire la scienza; la vita rimanda sempre ad un oltre rispetto a quello che noi vediamo e constatiamo, e sarà sempre così per quante scoperte possa fare la scienza su come essa funzioni e sui nostri possibili interventi nei suoi meccanismi.

Così a me quell’illustre chirurgo. Lo interrogai – e ci interrogammo insieme -, formulando a lui la domanda nel modo seguente: la vita umana rimanda sempre ad un oltre o anche ad un Altro, magari con la lettera maiuscola, perché ci sono quelli che lo chiamano Dio?

È scritto nel secondo libro dei Maccabei: “Non so come siete apparsi nel mio seno, non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come ora voi per le sue leggi non vi curate di voi stessi” ( 2Mac 7,22-23). È il racconto del martirio dei sette fratelli e della loro madre; sono le parole con le quali lei li esorta ad essere fedeli a Dio e ad affrontare la morte inflitta dal persecutore re Antioco IV Epifane pur di non rinnegarlo.

 

Di fronte ai processi della vita umana, dal suo inizio fino al raggiungimento della consapevolezza di sé, dell’intelligenza, della ragione e della volontà, ivi comprese le ragioni ed i perché della malattia, del dolore e della morte, siamo posti dinanzi al mistero che ci interroga. L’atteggiamento più consono, soprattutto per uno scienziato, un ricercatore della medicina, un medico, mi sembra essere quello dell’umiltà, dell’attenzione e particolarmente del servizio. La vita dell’uomo va servita, sempre e comunque; in particolare quando è malata, sofferente, debole, abbandonata. Il confronto fra le civiltà, le culture e in special modo le religioni, nel modo di intendere e sostenere la vita, può aiutare a comprenderne forse meglio la preziosità, il valore ed a favorire una mentalità ed un atteggiamento, appunto, di vita, a fronte dello spirito di morte che sembra sempre più diffondersi nel nostro mondo della ricchezza, del benessere, dell’edonismo e della presunzione di un certo tipo di scienza che pone se stessa come arbitro e padrone della vita. Non so se di scienza si tratti o di pseudoscienza.

Credo comunque che alcuni atteggiamenti che sembrano a volte emergere nella nostra medicina occidentale secondo i quali tutto nell’uomo si riduce al solo biologismo, e cioè non c’è nell’uomo stesso niente altro di ciò che avviene e si spiega con la riproduzione cellulare e le sue leggi, non colgono la ricchezza, l’unicità e si può anche dire il mistero che è la vita umana e che fa anche la sua grandezza e fonda il suo valore assoluto.




Nutrizione, salute e interventi di politica economica in Europa

Mario Mazzocchi*

Mai come oggi l’opinione pubblica è stata soggetta ad una campagna di sensibilizzazione sulle implicazioni per la salute di scelte nutrizionali inadeguate. Le valutazioni prodotte recentemente degli elevati costi sanitari associati ad abitudini alimentari improprie hanno portato il tema delle misure nutrizionali ai primi posti nell’agenda delle priorità politiche, sia a livello europeo che nei singoli stati membri dell’Unione.

L’ultimo rapporto dell’International Obesity Task Force (IOTF) ha sottolineato il forte aumento nei tassi di obesità in Europa e in alcune aree la popolazione maschile adulta sovrappeso od obesa raggiunge il 67%, livello osservato precedentemente solo in alcune zone degli Stati Uniti.

Il fatto che i tassi maggiori emergano nelle regioni meridionali non sorprende, se si considera che il problema tende ad essere più rilevante nelle aree con reddito pro-capite più basso. Anche nei paesi in via di sviluppo in cui persistono situazioni di sottoalimentazione e fame, l’obesità è diventata un fenomeno rilevante con pesanti conseguenze sanitarie ed economiche.

In Europa, il dato più preoccupante è quello relativo ad adolescenti e bambini, che lascia prevedere un aumento esponenziale delle malattie legate all’alimentazione nei prossimi decenni. Sebbene non esistano ancora statistiche ufficiali e coerenti a livello europeo, uno studio sui dati esistenti a livello nazionale sembrerebbe indicare l’Italia come il paese con il più alto numero di bambini sovrappeso per la fascia tra i 7 e gli 11 anni: secondo i parametri IOTF più di un bambino su tre (circa il 36%) ha un eccesso di massa corporea.

L’eccesso di peso e in particolare l’obesità sono riconosciuti come fattori determinanti per le malattie non trasmissibili, in particolare diabete, malattie cardiovascolari, ipertensione e tumori. La valutazione dei costi rimane un complesso esercizio per gli economisti, in particolare risulta problematica la valutazione dei costi indiretti, cioè non rilevabili direttamente dalle spese sanitarie. L’Organizzazione Monetaria della Sanità (OMS) valuta che i costi diretti dell’obesità in Europa arrivino fino al 7% dei costi sanitari complessivi, mentre alcuni studi specifici valutano un ulteriore 3-4% per la componente indiretta (es. riduzione nella produttività del lavoro, diminuzione dei redditi famigliari, ecc.). Secondo le linee guida promosse dall’OMS, la tendenza all’obesità può essere contrastata correggendo le diete caratterizzate da un eccessiva componente energetica rispetto ai fabbisogni, in particolare il consumo eccessivo di grassi saturi, sale e zucchero e l’insufficiente consumo di frutta, ortaggi e alimenti ricchi di fibre.

L’intervento sulle scelte nutrizionali richiede misure complesse ed articolate, la cui efficacia è ancora oggetto di discussione e spesso con implicazioni non chiare per gli attori della catena agroalimentare e i consumatori stessi. Recentemente si è svolto presso l’Università di Reading, in Inghilterra, un convegno dell’Associazione Europea degli Economisti Agrari dedicato all’analisi degli aspetti politici ed economici del legame tra aspetti nutrizionali e salute (http://www.eaae.rdg.ac.uk/). La base di partenza dei contributi scientifici è stata quella di superare la logica di interventi a livello di singolo prodotto e di considerare invece l’aspetto complessivo della “dieta” del consumatore, frutto di diverse determinanti di natura sociale, economica e psicologica. Si tratta di una nuova frontiera per le politiche agroalimentari e per la ricerca, con una necessità di confronto e integrazione con le misure di carattere sanitario e la necessità per la ricerca di un approccio più marcatamente interdisciplinare.

 

Politiche nutrizionali nell’Unione Europea e negli stati membri

L’Unione Europea non ha una politica nutrizionale comune, ma diverse politiche comunitarie hanno un impatto sui comportamenti di consumo alimentare. Recentemente si è aperto il dibattito sulle implicazioni della Politica Agricola Comunitaria (PAC) in termini di comportamenti alimentari, con posizioni contrastanti. I detrattori della PAC sottolineano gli effetti perversi di misure quali il sostegno ai prezzi di frutta, verdure e ortaggi, i sussidi al consumo di latte intero nelle scuole o la vendita sottocosto di burro all’industria dolciaria per favorirne lo smaltimento. D’altra parte, l’impatto di queste misure sembra piuttosto limitato, mentre diversi ricercatori sostengono che nel suo complesso la PAC abbia un effetto positivo in termini nutrizionali. In effetti, secondo le stime OCSE, il sostegno al prezzo di frutta e verdura in Europa è marginale rispetto a quello di latticini e zucchero. Inoltre, l’impatto finale sui prezzi al consumo è considerato scarsamente rilevante rispetto ai margini dell’industria di trasformazione e della grande distribuzione, per cui difficilmente una ricalibrazione degli strumenti comunitari avrebbe gli effetti desiderati nel reindirizzare le abitudini alimentari dei consumatori europei.

Le politiche europee più rilevanti sono invece quelle relative alla promozione della salute e alla protezione del consumatore. Le prime sostengono campagne di informazione, le seconde regolamentano aspetti fondamentali quali ad esempio l’etichettatura nutrizionale sui prodotti trasformati. L’aspetto legislativo più influente è al momento la regolamentazione delle cosiddette nutrition claims (indicazioni nutrizionali), con una proposta di regolamento europeo che prevede il rispetto di alcuni standard minimi in termini di contenuto di grassi saturi, zucchero e sale e stabilisce diverse norme sulla pubblicità relativa agli aspetti nutrizionali, non ultime la presenza di una base scientifica alle indicazioni fornite e la facilità di interpretazione delle etichette.

Alcuni paesi hanno invece adottato politiche nutrizionali più decise. Un caso esemplare è quello della Finlandia, che negli anni ‘70 aveva il più alto tasso di mortalità per malattie cardiovascolari, ma un cambiamento sostanziale nelle abitudini alimentari ha condotto ad una riduzione nei tassi di mortalità fino al 68% in alcune regioni nelle ultime tre decadi. L’intervento politico è consistito in azioni preventive (programmi educativi), in cambiamenti nelle caratteristiche nutrizionali degli alimenti serviti in scuole e mense, ma anche in ristoranti e supermercati, grazie ad una strategia di concertazione di coinvolgimento diretto delle comunità locali e degli attori della catena agroalimentare. È interessante notare che la Finlandia adottava politiche protezionistiche e di sostegno dei prezzi ben prima dell’ingresso nell’Unione Europea e alcuni studi hanno evidenziato un miglioramento della situazione quando le misure nazionali sono state sostituite da quelle della PAC. In generale, i paesi del Nord-Europa sono quelli più avanzati nell’adozione di politiche nutrizionali, anche perché il problema dell’obesità è emerso anteriormente rispetto ai paesi mediterranei. In Inghilterra, dove il tasso di obesità nel 2002 era al 22%, sono già in atto massicce campagne di informazione per aumentare il consumo di frutta e verdura e ridurre quello di sale, oltre a misure per migliorare l’alimentazione nelle mense scolastiche e a piani locali per promuovere l’attività fisica. Inoltre, verso la fine del 2004 è stato pubblicato un Libro Bianco che mira ad estendere l’intervento politico fino all’adozione di standard nutrizionali per i prodotti trasformati (da stabilire in concertazione con l’industria alimentare) e ad un interessante schema di etichettatura che prevede una segnalazione “a semaforo”, con etichette rosse per i cibi nutrizionalmente inadeguati, verdi per quelli più salutari e gialle per quelli a rischio.

In Italia, nonostante recentemente si sia osservata una maggiore sensibilità al problema soprattutto in risposta al preoccupante dato sull’obesità infantile, l’intervento politico rimane limitato. Il Piano Sanitario Nazionale prevede azioni informative e il monitoraggio dell’obesità. Sono state inoltre pubblicate e distribuite linee guida per un’alimentazione più sana, mentre altre misure provvedono a finanziare campagne informative televisive e a promuovere una serie di iniziative educative in circa 10000 scuole, con distribuzione di pacchetti informativi e l’organizzazione di una competizione a livello scolastico.

 

I potenziali strumenti di politica nutrizionale

Lo spettro delle misure adottabili è ben più ampio e nel seminario di Reading si è discusso in particolare degli strumenti più controversi, soprattutto l’introduzione di tasse o sussidi sui nutrienti contenuti nei prodotti alimentari.

La cosiddetta “fat tax”, calibrata per aumentare il prezzo degli alimenti con contenuto eccessivo di grassi saturi o altri nutrienti dannosi e discussa soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra, rischia di essere uno strumento iniquo e di difficile implementazione. Iniquo perché andrebbe probabilmente ad incidere maggiormente sulle fasce più povere della popolazione, per le quali la quota di spesa destinata all’alimentazione è più rilevante, difficilmente implementabile perché una simile politica non può essere adottata unilateralmente da uno Stato membro e non rientrerebbe comunque nelle attuali competenze dell’Unione Europea.

Alternative più interessanti, ma comunque sempre di difficile introduzione anche per la potenziale reazione dell’industria agroalimentare, sono la tassazione a livello di input produttivi per forzare le aziende trasformatrici ad utilizzare in misura minore gli ingredienti meno sani o l’introduzione di sussidi a livello di commercio al dettaglio, per rendere meno costosi prodotti quali frutta e verdura.

Provocatoria, ma non quanto può sembrare a prima vista, è la proposta di introdurre una “tassa sull’obesità”. In un certo senso questa esiste già in alcuni paesi, dove ad esempio le compagnie di assicurazione impongono premi più alti ad individui sovrappeso essendo questi considerati maggiormente a rischio per certi tipi di patologie. In una prospettiva analoga, alcuni studiosi hanno proposto l’introduzione di incentivi e sgravi fiscali per gli individui che dimostrano di intraprendere attività e spese mirate alla riduzione del proprio peso. La lista di potenziali interventi politici è comunque nutrita e include misure per la regolamentazione della pubblicità (in particolare quella mirata alle fasce infantili), l’introduzione di standard nutrizionali per i prodotti in commercio, il riconoscimento della responsabilità legale delle aziende produttrici di alimenti. Viste le implicazioni per industria e grande distribuzione, misure di questo genere implicheranno alti livelli di concertazione e difficilmente verranno introdotte nel breve termine. L’evoluzione più probabile è che correzioni da parte di industria e distribuzione saranno indotte da pressioni sul lato della domanda, risultato delle campagne di sensibilizzazione ed informazione. A livello di azione politica, così come avvenuto in Finlandia e in altri paesi nord-europei, anche l’Italia dovrà co-ordinare più efficacemente politiche sanitarie ed agro-alimentari, con sviluppi fondamentali a livello di amministrazioni regionali, data l’autonomia legislativa in materia sanitaria in seguito alla Legge costituzionale 3/2001.




“Smoke free” corsi per smettere di fumare per operatori sociosanitari

Stefano Berti,* M.A. Pizzichini**, Pamela Barbadoro***, Isidoro Annino****

*Sociologo/Psicologo Responsabile Ufficio Promozione Salute  Dipartimento Prevenzione Area Vasta 2 Ancona ASUR Marche

**Medico Chirurgo,esperto in Promozione della Salute

***Medico chirurgo, ricercatore presso Dipartimento Scienze Biomediche UNIVPM

****Medico chirurgo Specialista in Igiene e medicina preventiva, già Ordinario Igiene UNIVPM

 

Nel corso del tempo le rappresentazioni sociali e i significati legati al fumo di tabacco si sono profondamente trasformati. Questo cambiamento sembra essere in gran parte legato all’emergente consapevolezza, non solo della non innocuità di tale comportamento, ma della sua tossicità oltre che per il fumatore anche per chi non fuma ma condivide con lui ambienti di vita e/o di lavoro. Inoltre, l’inserimento del fumo di tabacco nel DSM-IV come ‘patologia da dipendenza’ con l’evidenza degli effetti psicoattivi e tossici della nicotina, della sua capacità di provocare modificazioni comportamentali e organiche, della facoltà di indurre, in caso di privazione, un comportamento finalizzato alla ricerca della sostanza, ha connotato il fumo di sigaretta come una vera e propria patologia, indirizzando l’approfondimento scientifico verso lo sviluppo di possibilità terapeutiche in ambiti diversi – farmacologico, psicologico e comportamentale – e ipotizzando la possibilità di una loro integrazione.

La combinazione, infatti, degli effetti psicofarmacologici delle numerosissime sostanze contenute nelle sigarette e di quelli psicosociali induce, oltre alla già citata dipendenza, una serie di rinforzi positivi immediati che consolidano il comportamento stesso mentre gli effetti negativi sono dilazionati nel tempo e considerati come probabilistici. Ciò rende particolarmente difficoltosa la disassuefazione dal fumo evidenziando la necessità di un approccio integrato al fumatore e di una sua presa in carico in senso ‘olistico’.

Sulla base di tali presupposti e considerato l’elevato impatto che la dipendenza da fumo produce all’interno dell’ambiente di lavoro, sia riguardo la salute del fumatore attivo, sia riguardo quella dei colleghi astinenti, sia in termini di perdita economica e produttiva per le aziende, si è considerato importante incentivare il trattamento terapeutico della dipendenza da nicotina tra gli operatori sanitari e i lavoratori del comparto sanità attraverso la realizzazione di attività di counseling motivazionale di gruppo.

In particolare, nell’ambito del progetto/ricerca ‘Applicazione di interventi di counseling per gli abusi da alcol e da fumo in lavoratori del comparto sanità’ finanziato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e attuato in collaborazione con la casa di cura Villa Silvia di Senigallia, sono stati organizzati due corsi per smettere di fumare ‘Smoke free’.

 

Materiali e metodi

I corsi ‘Smoke free’ si rivolgono a tabagisti di ambo i sessi con priorità di trattamento per le persone affette da patologie fumo correlate.

Per ogni corso è previsto un numero di 15-20

partecipanti.

Ogni fumatore è inserito in un ciclo di attività

comprendenti 9 incontri di gruppo della durata di 2 ore ciascuno, a cui seguono 3 incontri di gruppo (follow-up) a distanza di 3, 6, 12 mesi dall’inizio del corso e una verifica

telefonica a 24 mesi.

All’interno del colloquio e al fine di una migliore definizione diagnostica è prevista la somministrazione del test di Fagerström, del MAC-T, della scala BDS (Beck Depression Scale) e del test ‘Perché fumo?’ con la compilazione di una cartella clinico-anamnestica. Il trattamento ‘Smoke free’ prevede, in una fase preliminare, anche una visita medica specialistica con prove di funzionalità respiratoria e misurazione del monossido di carbonio (CO) espirato, che è ripetuta anche nei follow-up previsti.

I sostituti nicotinici e il bupropione sono gli strumenti farmacologici utilizzati come supporti terapeutici; soprattutto il bupropione è consigliato a quei fumatori che presentano particolari difficoltà ad aderire alle indicazioni terapeutiche di tipo cognitivo-comportamentale. È stata proposta anche la possibilità di utilizzo, a carico dei corsisti perché non prevista dal progetto originario, della nuova molecola antifumo (Vareniclina-Champix).

Fondamentale importanza nella strategia terapeutica utilizzata è stata attribuita all’auricoloterapia secondo il protocollo Acudetox. Le applicazioni, in totale 12, vengono eseguite a giorni alterni nelle prime 4 settimane di corso per una durata di 45 minuti l’una. A essa, sempre in campo di medicina non convenzionale, sono stati affiancati esercizi di respirazione/rilassamento (pratica dei ‘Cinque tibetani’) e preparazioni fitoterapiche (tisane). Durante il trattamento, come strategia di supporto al disagio della disassuefazione, che spesso assume la forma di modificazione del comportamento alimentare, vengono proposti due incontri di gruppo con un dietologo. Analizzando le abitudini alimentari dei partecipanti, raccolte mediante un apposito questionario, lo specialista fornisce raccomandazioni dietologiche e indicazioni di buona pratica alimentare allo scopo di evitare l’aumento ponderale che spesso inficia il mantenimento dell’astinenza dal fumo. Inoltre si promuove l’attività motoria da svolgere con regolarità in modo strutturato o libero, come rinforzo al cambiamento del proprio stile di vita. Tra gli strumenti operativi impiegati e messi a disposizione dei partecipanti, particolare risalto è stato dato: al ‘diario del fumatore’, in cui trascrivere le sigarette fumate, l’ora, lo stato d’animo, il grado di bisogno o la motivazione che ne hanno indotto l’accensione o, al contrario, che hanno portato a rinunciarvi; e al ‘contratto’, in

cui ciascuno sottoscrive il proprio impegno, riconosce di aver sperimentato la propria astinenza e si impegna a continuarla per un periodo di tempo ritenuto idoneo.

In sintesi ogni corso ha avuto la seguente sintetica organizzazione.

1. Fase di accoglienza

1 colloquio individuale di valutazione della motivazione al cambiamento con la metodologia del colloquio motivazionale;

somministrazione di test psicodiagnostici (‘Perché fumo?’, MAC-T, BDS); compilazione della cartella clinico-anamnestica; prove di funzionalità respiratoria; misurazione della dipendenza fisica da tabacco attraverso il test di Fagerström; misurazione del CO espirato.

2. Fase delle terapie

9 sedute di terapia di gruppo;

12 applicazioni di agopuntura (auricoloterapia secondo il protocollo Acudetox);

NRT (sostituti nicotinici prescritti per tutta la durata del programma);

bupropione (uso facoltativo a partire dalla quinta seduta per chi mostra particolare difficoltà a ridurre o smettere di fumare).

(follow-up) a distanza di 3, 6, 12 mesi dall’inizio del corso e una verifica

telefonica a 24 mesi.

All’interno del colloquio e al fine di una migliore definizione diagnostica è prevista la somministrazione del test di Fagerström, del MAC-T, della scala BDS (Beck Depression Scale) e del test ‘Perché fumo?’ con la compilazione di una cartella clinico-anamnestica. Il trattamento ‘Smoke free’ prevede, in una fase preliminare, anche una visita medica specialistica con prove di funzionalità respiratoria e misurazione del monossido di carbonio (CO) espirato, che è ripetuta anche nei follow-up previsti.

I sostituti nicotinici e il bupropione sono gli strumenti farmacologici utilizzati come supporti terapeutici; soprattutto il bupropione è consigliato a quei fumatori che presentano particolari difficoltà ad aderire alle indicazioni terapeutiche di tipo cognitivo-comportamentale. È stata proposta anche la possibilità di utilizzo, a carico dei corsisti perché non prevista dal progetto originario, della nuova molecola antifumo (Vareniclina-Champix).

Fondamentale importanza nella strategia terapeutica utilizzata è stata attribuita all’auricoloterapia secondo il protocollo Acudetox. Le applicazioni, in totale 12, vengono eseguite a giorni alterni nelle prime 4 settimane di corso per una durata di 45 minuti l’una. A essa, sempre in campo di medicina non convenzionale, sono stati affiancati esercizi di respirazione/rilassamento (pratica dei ‘Cinque tibetani’) e preparazioni fitoterapiche (tisane). Durante il trattamento, come strategia di supporto al disagio della disassuefazione, che spesso assume la forma di modificazione del comportamento alimentare, vengono proposti due incontri di gruppo con un dietologo. Analizzando le abitudini alimentari dei partecipanti, raccolte mediante un apposito questionario, lo specialista fornisce raccomandazioni dietologiche e indicazioni di buona pratica alimentare allo scopo di evitare l’aumento ponderale che spesso inficia il mantenimento dell’astinenza dal fumo. Inoltre si promuove l’attività motoria da svolgere con regolarità in modo strutturato o libero, come rinforzo al cambiamento del proprio stile di vita. Tra gli strumenti operativi impiegati e messi a disposizione dei partecipanti, particolare risalto è stato dato: al ‘diario del fumatore’, in cui trascrivere le sigarette fumate, l’ora, lo stato d’animo, il grado di bisogno o la motivazione che ne hanno indotto l’accensione o, al contrario, che hanno portato a rinunciarvi; e al ‘contratto’, in

cui ciascuno sottoscrive il proprio impegno, riconosce di aver sperimentato la propria astinenza e si impegna a continuarla per un periodo di tempo ritenuto idoneo.

In sintesi ogni corso ha avuto la seguente sintetica organizzazione.

1. Fase di accoglienza

1 colloquio individuale di valutazione della motivazione al cambiamento con la metodologia del colloquio motivazionale;

somministrazione di test psicodiagnostici (‘Perché fumo?’, MAC-T, BDS); compilazione della cartella clinico-anamnestica; prove di funzionalità respiratoria; misurazione della dipendenza fisica da tabacco attraverso il test di Fagerström; misurazione del CO espirato.

2. Fase delle terapie

9 sedute di terapia di gruppo;

12 applicazioni di agopuntura (auricoloterapia secondo il protocollo Acudetox);

NRT (sostituti nicotinici prescritti per tutta la durata del programma);

bupropione (uso facoltativo a partire dalla quinta seduta per chi mostra particolare difficoltà a ridurre o smettere di fumare).

I risultati di efficacia a 6 mesi per il Gruppo A (50%) e per il Gruppo B (53,8%) e a 12 mesi per il Gruppo A (30%) e per il Gruppo

B (46%) mostrano, nel Gruppo B una maggiore tenuta del tasso di ricaduta nel tempo. Raggiungere e mantenere la condizione di non fumatore sono i due obiettivi prioritari di un programma di trattamento antifumo.

Numerosi sono i fattori che vengono chiamati in causa affinché tali obiettivi si realizzino, e molti sono i determinanti ancora non chiariti soprattutto relativamente alla possibilità di evitare le ricadute. Ormai indiscussa è la capacità della nicotina di indurre dipendenza con un’azione sia centrale sia periferica.

Tali proprietà sembrerebbero, però, risultare rilevanti se inserite all’interno di un complesso contesto di fattori ambientali e individuali che, associati agli stimoli neurobiologici, sarebbero responsabili della formazione di uno schema cognitivo proprio del fumatore. Tra i trattamenti di cosiddetto secondo livello, il counseling è ritenuto da molti primario nei processi di disassuefazione e il colloquio motivazionale presenta caratteristiche tali da risultare particolarmente appropriato per i fumatori. Tra gli strumenti di supporto, l’agopuntura, in particolare il metodo Acudetox, è una delle tecniche della medicina tradizionale cinese maggiormente usata e, nonostante i risultati a volte contraddittori, è provato che agisca sulle basi neurobiologiche delle tossicomanie, con una funzione lenitiva della crisi di astinenza grazie al rilascio di endorfine.

Partendo da questi presupposti, nella presente sperimentazione, si è dunque osservato che il fumo di sigaretta e la dipendenza che esso produce rappresentano un sistema complesso in quanto caratterizzato da numerosi elementi, non solo biochimici o neurobiologici, ma anche psicologici, comportamentali, ambientali e sociali che interagiscono in modo non lineare e che non è possibile prevedere una condizione causa-effetto nel produrre la disassuefazione, bensì è necessario considerare le relazioni dei singoli elementi tra loro e con l’ambiente.

La raccolta e lo studio degli strumenti efficaci sulla pratica clinica ha portato quindi alla scelta

di un’integrazione tra strumenti ‘tradizionali’ e ‘non convenzionali’ con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia delle prestazioni, rendere appropriato il consumo di farmaci e aumentare il livello della compartecipazione dei fumatori alla gestione della propria salute. Tale approccio si inserisce a pieno titolo in quello della medicina integrata, cioè una medicina orientata alla salute, che mette in primo piano il rapporto medico-paziente e integra il meglio delle medicine cosiddette ‘alternative’ con il meglio della medicina convenzionale. I corsi ‘Smoke free’ si collocano, appunto, come una sperimentazione dell’integrazione di varie tecniche centrate il più possibile sulla persona che è cuore e motore del proprio cambiamento, sia nell’utilizzo del colloquio motivazionale come stile di counseling, sia nella scelta del protocollo Acudetox e degli esercizi di respirazione, senza dimenticare l’importanza dell’approccio farmacologico nella triplice forma dei sostituti nicotinici, del bupropione, della vareniclina, per permettere una scelta individualizzata sulla base del grado di dipendenza, delle caratteristiche personali, relazionali e ambientali di ciascuno.

Analizzando le dinamiche osservate nei due gruppi e i risultati ottenuti in seguito all’utilizzo dell’approccio sopra descritto, è possibile sostenere che l’importanza dei fattori ambientali è stata elevatissima. In primo luogo la distribuzione oraria del lavoro: la turnazione e soprattutto il lavoro in orario notturno, con alternanza di momenti di ‘emergenza’ ad altri di ‘attesa’, attivano come risposta immediata il ricorso al fumo di sigaretta come modalità elettiva sia rilassante sia stimolante. Questi meccanismi, associati alla ritualità del gesto, al ripetersi delle stesse situazioni e la già citata dipendenza, risultano difficoltà da non sottovalutare nel mantenimento dello stato di non fumatore anche una volta sperimentata e superata l’astinenza. A ciò va ad aggiungersi l’elevatissima presenza di colleghi di lavoro fumatori (sottolineata da tutti i partecipanti del secondo gruppo) che hanno un significato di rinforzo al comportamento di consumo e alla ricaduta, di trasgressione condivisa rispetto alle norme e di ostacolo alla disassuefazione, in quanto la mancanza della sigaretta va ad associarsi a una modificazione del significato dei momenti di pausa e socializzazione. Altro fattore importante emerso può essere identificato nella situazione affettiva del partecipante con particolare riferimento alla presenza di persone conviventi: sia che essi condividano e supportino il fumatore nel suo tentativo, sia che ne rimangano indifferenti, svolgono comunque un’importante funzione di contenimento delle ansie, dei malesseri, delle difficoltà che s’incontrano nella primissima fase di dismissione, soprattutto in età matura. Tra le persone che nella nostra esperienza hanno avuto maggiore difficoltà a mantenere la cessazione si segnalano almeno 3 persone che vivono da sole. Su questa linea, e in accordo a quanto verificatosi in precedenti esperienze, le persone che intraprendono un percorso di dismissione dal fumo di sigaretta difficilmente comprendono fin dall’inizio la necessità di investire nel cambiamento per un periodo di tempo sufficientemente lungo e considerano il momento della dismissione come quello più difficile, dimenticando, o non volendo considerare e tollerare, la fase della mancanza nel medio periodo e la possibilità che episodi di ‘memoria’ del piacere della sigaretta sono possibili, in forma intensa anche a distanza di tempo. In questo senso la frequenza costante alle sedute di counseling in gruppo rappresenta, anche secondo quanto affermato dai partecipanti, un elemento di rinforzo della motivazione e del sostegno reciproco e lo scoprirsi a vivere situazioni difficili in compagnia permette uno scambio di risposte,

strategie e risorse a cui attingere. D’altra parte la fase relativa al mantenimento della cessazione, presenta forse un minor numero di strumenti di aiuto da utilizzare soprattutto per chi sceglie di non fare ricorso ai supporti farmacologici. In tale fase anche il protocollo di agopuntura auricolare Acudetox è di fatto concluso e, nonostante la disponibilità dei terapeuti a procrastinarlo per chi ne avesse fatto esplicita richiesta, la possibilità di aderirvi si scontra spesso con problemi

pratici di disponibilità a livello organizzativo e di tempo. Resta il fatto che quello dell’agopuntura ha

rappresentato un importante supporto alle sedute. Nonostante l’impegno richiesto ai partecipanti in termini di tempo, 20 persone sulle 23 che sono giunte a fine trattamento si sono sottoposte con assiduità a tale protocollo dichiarando di ottenerne benefici in termini di serenità e gestione dei ‘momenti difficili’, specie durante la fase di riduzione del numero di sigarette.

In conclusione l’esperienza effettuata evidenzia l’importanza di un approccio di trattamento integrato in cui strumenti diversi possono essere più facilmente accettati e insieme produrre, come dimostrato da revisioni cliniche e progetti di ricerca, un’efficacia maggiore rispetto al loro utilizzo singolo. Tale sperimentazione riafferma inoltre la necessità di proseguire nella conoscenza sempre più accurata dei fattori neurobiologici che stanno alla base della dipendenza da nicotina e della migliore definizione dei fattori socio-demografici, clinici e di tipo cognitivo che sembrano poter essere in relazione tra loro nel favorire oppure ostacolare il processo di cessazione, mantenendolo nel tempo.

 

Bibliografia

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BANDURA A. (ed.), Il senso di autoefficacia, Erickson, Trento, 1999.

BERTOLOTTI, G., BETTINARDI O., GREMIGNI P., Approccio psicologico nell’intervento di disassuefazione dal fumo di tabacco, Rassegna di Patologia dell’apparato respiratorio, 2002;17: 293-297.

FAGERSTRÖM K.O., SCHNEIDER N., Measuring nicotine dependence: a review of Fagerstrom Tolerance Questionnaire, J Behav Med, 1989; 12: 159-182.

MACKENZIE R.K., Psicoterapia breve di gruppo, Erickson, Trento, 2002.

MILLER W.R., ROLLNICK S., Il colloquio motivazionale, Erickson, Trento, 2004.

PROCHASKA J., DI CLEMENTE C., Stages and processes of self-change of smoking: toward an integrative model of change, J Consult Clin Psychol, 1983; 51: 390-395.

SPILLER V., SCAGLIA M., GUELFI G.P., Il colloquio motivazionale: uno stile di lavoro per aumentare la motivazione al cambiamento, in

Brignoli O., Cibin M., Gentile N., Vantini I., Alcol e medico di famiglia, Centro Scientifico Editore, Torino, 1998, pp. 59-71.

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Gli estremi della parabola: i patriarchi della memoria

Riccardo Bosi*

*pediatra di famiglia

Affascinato dalla varietà delle culture e impegnato in situazioni di disagio dell’infanzia, crede in un approccio antropologico e inter-culturale alle sfide della sua professione – Roma

Osservando dei neonati in particolare le teste, le teste una accanto all’altra come si vedono al Nido, in maternità, non si può non riconoscere che sono tutte molto simili. La stessa circonferenza, le fontanelle aperte, i capelli lanuginosi, qualche bozza o asimmetria di troppo.

Un lattante di pochi mesi è venuto alcuni giorni fa nel mio studio portato dal nonno: i genitori si scusano, ma sa, lavorano sempre, così sono venuto io…. È impacciato. Ci sorridiamo. È un nonno di campagna, abbronzato, rughe, le mani callose. Stavolta è la somiglianza della testa del vecchio con quella del bambino che balza agli occhi. In entrambe – pelate – campeggiano come fari due occhi limpidi, d’un azzurro di cielo d’alba il primo, di un celeste lacrimoso, tenero e antico il secondo. Si somigliano davvero tanto.

Teste simili, certo, eppure ovvie le enormi differenze di contenuto di quelle due scatole craniche. Differenze – mi dico – custodite nelle pieghe delle meningi, nascoste chissà dove tra le circonvoluzioni della corteccia. 

Mentre visitavo il bimbo, e valutavo – erano lì per questo – l’integrità delle competenze neuro-motorie, mi sono sorpreso a riflettere a lungo. La mente parte. La sera stessa avevo già messo giù – di getto – alcune idee nel mio taccuino “di viaggio”. Eccole. Pretesa di teorizzare? Per carità. Piuttosto una provocazione a me stesso. Mai perdere la capacità di sapersi stupire dell’ovvio, perché l’ovvio sovente cela il mistero. Ecco tutto. Il mistero degli estremi della parabola, ad esempio. Mistero che è nel contempo miracolo, così discreto che avviene sotto i nostri occhi ogni giorno e non ce ne accorgiamo. Milioni di volte. Da milioni di anni. Dovunque.

La vita va dal totalmente elastico, modificabile, leggero, plastico, idratato, intercambiabile, originale, iperattivo dell’età del bambino piccolo fino alla rigidità, fissità, strutturazione, pacatezza, secchezza, “pesantezza”, scarsa modificabilità  dell’anziano.

Si nasce totalmente “plastici” e nel contempo “vuoti”, leggeri, “acquosi”, disponibili ad incamerare dati, a capitalizzare esperienze, a memorizzare emozioni, competenze, immagini, procedure, volti, strategie, modelli di comportamento. Si deve imparare tutto: dal linguaggio alle prassie più elementari (le prassie sono comportamenti e schemi motori), come legarsi le stringhe o dare un calcio ad un pallone; dalla gestione degli affetti e delle emozioni alla scoperta del proprio corpo, dell’esistenza, del proprio “sé”, del mondo e degli altri, fino alle scelte più decisive della vita.

Mentre il bambino è “elastico ma vuoto”, l’anziano è “rigido ma pieno”.

Ha combattuto la sua battaglia: ha fatto le sue scelte, ha imparato dai suoi errori, si è saziato dei suoi amori. Le infinite strutture cerebrali, i collegamenti neuronali, le reti di pensiero, le ragnatele della memoria, i labirinti delle emozioni, i sentieri coraggiosi delle scelte mano a mano si cristallizzano, si vetrificano, si strutturano. L’uomo comincia dalla prima infanza a “riempire” e plasmare i suoi circuiti che divengono sempre più fitti, interdipendenti, strettamente correlati tra loro. La “memoria” di tutto ciò che è avvenuto durante la vita va trovando, (anche attraverso delle operazioni di cancellazione di dati) un suo originalissimo equilibrio, va prendendo la sua “forma”, forma apparentemente invisibile eppure assai più reale ed essenziale di quella esterna, somatica (di quanto siamo belli o brutti, insomma).

Tutte queste misteriose connessioni (che “ospitano” emozioni, memoria, affetti, intelligenza) diventano col passare del tempo rami sempre più solidi, sempre più antichi, più complessi e immodificabili.

Potremmo paragonarli ad un albero che, dopo avere vissuto la stagione della crescita, il momento della gemmazione, la fioritura e l’abbondanza dei frutti, tende ad una forma definitiva. Con l’architettura dei suoi rami, con la larghezza dei suoi anelli, con la complessità delle sue radici, l’albero parla, è la voce narrante di una vita. Dopo avere ospitato uccelli di ogni tipo, salutato cieli e stagioni, sofferto gelate, mutilazioni e potature, il tronco ormai vecchio – spesso custode di secoli – rimane alfine spoglio ed inerte, patriarca della memoria.

Contorti e feriti da venti e tempeste, ma belli come coralli e unici come frattàli, anche i rami del vecchio – la linfa vitale apparentemente esaurita –  si stagliano essenziali e definitivi nel cielo. L’uomo, quell’uomo, è pronto a restituire “pieno” quel contenitore misterioso ed affascinante quale è la sua mente, ospitata ormai da un corpo cadente.

Appare “naturale” che, dopo aver vissuto infinite esperienze, conosciuto migliaia di volti, provato amori, affetti, separazioni, lutti, distacchi, gioie e dolori di ogni tipo, ad un certo punto si reclami l’infinito e l’eterno come libertà dai limiti del tempo e dello spazio.

È la vita stessa, radice ormai troppo grande, bella e ricca per poter dimorare in un vaso diventato così piccolo e fragile, che chiede di cambiare “stato”, di avere una definitiva “muta”. Non entrando più nell’involucro che l’ha contenuta – ormai fragilissima teca – manda il suo ultimo segnale.

La  visita è terminata. Colgo un dolcissimo sguardo d’amore del vecchio per il bambino. Vorrei dire tante cose, ma non c’è tempo, non è il caso, la gente fuori aspetta, altri bambini piangono. “Addio nonno, ma lo sa che lei è prezioso per suo nipote, lei è come un albero secolare, potrebbe insegnargli tante cose…la giusta forma dei rami, l’importanza dei frutti, o la bellezza del poter fare ombra”. Mi legge nel pensiero? Non lo so, ma incrocio un suo ultimo sguardo così limpido e grato che mi fa piacere pensare di sì.

 

 




“Obesità” e fattori ambientali

Simonetta Marucci*

*Endocrinologa, Nutrizionista, Esperta in Disturbi del

Comportamento Alimentare – ASL2 Perugia. Centro per DCA: Palazzo Francisci

(Todi)

Il diffondersi del problema “obesità” ha ormai dei caratteri talmente epidemici da far coniare il termine “Globesity”, ad indicare come, l’estensione della patologia vada di pari passo alla globalizzazione dei modelli alimentari consumistici.

Il grande paradosso è che, oggi, a diventare obesa è la popolazione più povera, anche in paesi in via di sviluppo, e non basta invocare fattori sociali, come il passaggio da una economia rurale ad una urbana, ed economici, connessi al fatto, ad esempio, che in molti paesi, frutta e vegetali siano più costosi di grassi, zuccheri e carne e la Coca-cola sia più economica dell’acqua minerale.

Neanche il fatto, seppur vero, che la vita prevalentemente sedentaria abbia contribuito ad un bilancio energetico sempre più positivo, basta da solo a spiegare perché il mondo stia diventando sempre più “grasso”.

La ricerca dell’ultimo decennio si è orientata sulla possibile influenza di sostanze ambientali sul metabolismo, e si è raccolta una quantità impressionante di prove su una serie di sostanze chimiche, a cui è stato dato il nome di “interferenti endocrini” (endocrine disruptors: ECDs), che hanno come target i recettori presenti nel Sistema NeuroEndocrino, modificandone i meccanismi omeostatici2.

Nel tessuto adiposo essi interferiscono con l’adipogenesi ed il controllo del bilancio energetico.

Gli ECDs sono stati definiti come “molecole esogene in grado di interferire con la produzione, il rilascio, il trasporto, il legame, il metabolismo e l’eliminazione degli ormoni naturali responsabili del mantenimento dell’omeostasi nell’organismo e della regolazione dei processi di sviluppo” e la stessa Commissione Europea per la salute umana e l’ambiente li definisce “sostanze esogene in grado di causare danni alla salute sia nell’organismo che nella sua progenie in seguito ad alterazione dell’assetto ormonale”3 .

Sono stati classificati oltre un centinaio di interferenti endocrini  tra le innumerevoli sostanze di sintesi immesse dall’uomo nell’ambiente, negli ultimi cinquant’anni.

Le categorie principali sono:

Esteri dell’acido ftalico: usati come additivi nelle materie plastiche per aumentarne la morbidezza e la elasticità (PVC)

Insetticidi: DDT e suoi metaboliti, che svolgono azione antiandrogena, e competono con i recettori del Testosterone. Pur essendo ormai vietato da diversi anni, continua ad essere utilizzato in molti Paesi in via di sviluppo e, attraverso la catena alimentare, si sono trovate tracce persino nel latte delle donne Eschimesi…

Erbicidi e anticrittogamici;

Tensioattivi: molto utilizzati in preparati destinati alla agricoltura;

Antiossidanti: presenti negli additivi alimentari;

Policlorobifenoli (PCB): si formano in seguito a pirolisi di composti clorurati e nei processi di incenerimento dei rifiuti solidi urbani o industriali.

L’azione degli ECDs sull’equilibrio ormonale si esplica attraverso un legame coi recettori degli ormoni steroidei, all’interno della cellula, nella quale riescono ad entrare grazie alle loro proprietà lipofile.    Il loro bioaccumulo avviene prevalentemente proprio a  livello del tessuto adiposo e questa caratteristica giustifica le loro proprietà tossicologiche poiché si può verificare una elevata assunzione attraverso i latticini, il grasso della carne ecc. laddove gli animali destinati ad uso alimentare vengano allevati in ambienti inquinati.

L’azione degli interferenti endocrini nell’organismo si esplica non solo nel metabolismo, ma anche sulle funzioni riproduttive e sullo sviluppo pre e postnatale, e le donne esposte ai pesticidi per motivi professionali, hanno un numero maggiore di aborti.

Queste sostanze prendono anche il nome di xerormoni poichè, legandosi in maniera competitiva agli organi bersaglio, possono simulare l’azione dell’ormone endogeno in senso stimolante o inibitorio.

L’effetto finale sull’organismo è diverso a seconda del periodo in cui avviene la massima esposizione e, naturalmente, sarà la fase della embriogenesi e dell’organogenesi quella più suscettibile di influenze patogene, anche a dosaggi molto bassi e privi di effetto negli individui adulti.

Il problema più grosso è dimostrare il nesso causale tra la esposizione e la espressione degli effetti sull’organismo, poiché i tempi di latenza sono piuttosto lunghi e molte influenze sulla attività riproduttiva e sulla funzione tiroidea, derivanti da esposizione nella vita intrauterina, correlate ad interferenze con le funzioni ormonali steroidee, si possono rilevare solo in età adulta.

Gli interferenti endocrini sono soggetti a bioaccumulo, per cui, anche se la esposizione non è elevata, essendo però persistente e, praticamente, ubiquitaria, gli effetti vanno considerati non a breve ma a lungo termine.

 

Obesità come patologia ambientale

Negli ultimi anni, grazie alla mole crescente di studi sugli effetti degli ECDs, è stato possibile fornire un inquadramento più articolato e convincente anche al grandissimo allarme per l’incremento della obesità, dichiarata dall’OMS come uno dei 10 rischi per la salute nel mondo, dove ormai si calcola che gli adulti sovrappeso superino il miliardo e gli obesi siano oltre 300 milioni, con un incremento preoccupante del problema in età infantile: gli esperti mettono in guardia dalle patologie legate alla obesità infantile che danno a questi bambini una aspettativa di vita inferiore a quella dei propri genitori.

Il rischio per la salute è legato alla Sindrome metabolica, cardiopatie, epatopatie, problemi psicosociali e riproduttivi4e la prevenzione diventa di cruciale importanza.Accanto a fattori comportamentali, legati alla riduzione della attività fisica, alimentari, soprattutto legati alla grande abbondanza di cibo ipercalorico, e genetici, ci sono ormai prove inconfutabili sul ruolo delle sostanze chimiche ambientali, di provenienza industriale o agricola, come interferenti con le vie metaboliche e neuro endocrine di modulazione dei meccanismi della fame e della sazietà.

È stata dimostrata l’associazione degli ECDs con l’induzione dell’ obesità, attraverso il loro effetto sullo sviluppo degli adipociti e sul controllo omeostatico dell’adipogenesi e del bilancio energetico, promuovendo l’accumulo di lipidi5.

L’esposizione intrauterina e nelle prime fasi dello sviluppo gioca un ruolo fondamentale nel rischio di sviluppare una obesità in età adulta, alterando epigeneticamente i geni coinvolti nella strutturazione degli equilibri metabolici6, e favorendo soprattutto l’obesità viscerale, la insulinoresistenza e la sindrome metabolica.

Sostanze quali pesticidi, organo fosfati, policlorobifenili, bifenili polibromurati (ritardanti di fiamma), ftalati, bisfenolo A, metalli pesanti ed alcuni solventi si sono rivelati causa di aumenti di peso in numerosi studi su animali, alterando gli ormoni che controllano il peso e la sensibilità ai neurotrasmettitori responsabili dei meccanismi omeostatici7.  Alcuni di questi prodotti, del resto, sono stati progettati proprio allo scopo di incrementare la crescita del bestiame aumentando i depositi lipidici.

Anche i fitoestrogeni, tra cui la genisteina e la daidzeina, contenuti in particolare nella soia, influenzano l’accumulo e la distribuzione del tessuto adiposo, soprattutto nei maschi, determinando anche un aumento della insulinoresistenza8.

Il Tessuto adiposo è un complesso organo PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunitario), che è preposto alla regolazione dell’appetito in relazione alla situazione metabolica, ed è strettamente connesso con il sistema Immunitario e le risposte infiammatorie.

I depositi di grasso sottocutaneo e viscerale sono costituiti da adipociti differenziati e preadipociti capaci di proliferare, incorporati in una matrice di tessuto connettivo.  Lo stroma contiene anche cellule endoteliali e mast-cellule, fibroblasti e macrofagi che contribuiscono alla attività metabolica complessiva rilasciando Adipochinine come TNF-α e IL-6.   Il grasso viscerale, che rappresenta un maggiore fattore di rischio per lo sviluppo della sindrome metabolica e per patologie cardiovascolari, secerne più IL-6 e meno leptina ed adiponectina, anoressizzanti e antiinfiammatorie, rispetto al grasso sottocutaneo.

Aumentati livelli di IL-6 si associano ad aumentato rischio cardiovascolare e contribuiscono alla situazione infiammatoria presente negli obesi e confermata da livelli mediamente elevati di Proteina C reattiva9.

Il TNF-α, potente citochina infiammatoria, prodotta dal tessuto adiposo, agisce in maniera paracrina regolando la sensibilità insulinica attraverso una interferenza con il trasportatore del glucosio (GLUT4), e stimolando la lipolisi con aumento degli Acidi Grassi liberi.

L’esposizione agli ECDs interferisce sul metabolismo energetico, sia attraverso un meccanismo ormonale, sia attraverso l’attivazione di reazioni infiammatorie che l’organismo mette in atto per difendere la propria omeostasi e che determina una serie di modificazioni biochimiche e molecolari che finiscono col contribuire all’insorgenza della obesità.

Gli ormoni sessuali, inoltre, influenzano la quantità e la distribuzione del grasso, e sono stati individuati numerosi xenoestrogeni ed antiestrogeni che agiscono inibendo le aromatasi ed alterando così i rapporti tra estrogeni ed androgeni10.   Il metabolismo è influenzato anche da un’interferenza con la funzionalità tiroidea da parte di  ECDs, a partire dalla vita intrauterina, e con l’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene soprattutto per quello che riguarda il controllo dell’appetito e le reazioni adattative alle alterazioni dell’apporto nutrizionale, come avviene, ad esempio, nel digiuno, dove si attiva l’asse dello stress allo scopo di attivare quelle reazioni di “risparmio” finalizzate alla difesa del peso corporeo ed alla sopravvivenza.

 

ECDs ed epigenetica

L’esposizione agli ECDs è, come si è detto, più pericolosa nel feto, sia perché esposto ad un maggiore bioaccumulo legato al fattore “tempo”, e ad un metabolismo molto attivo, sia perché non sono presenti, in questa fase dello sviluppo, tutti quei sistemi di riparazione del DNA, di appropriatezza delle difese immunitarie, di efficienza della Barriera Emato Encefalica, che rendono l’adulto più protetto.

Alcuni spiegano il tasso di obesità attuale con l’accumulo di contaminanti ambientali iniziato nei neonati di circa 20 anni fa11.  A conferma di questa ipotesi abbiamo i dati sulla esposizione al Dietilstilbestrolo (DES), che veniva somministrato, negli anni ’40-’70, a donne con gravidanze a rischio e che hanno dato esito ad un aumento di incidenza di tumori nei nati che erano stati esposti al trattamento prenatale.   Modelli animali da esperimento hanno confermato il nesso di causalità tra esposizione e patologia ed hanno rivelato, inoltre, una maggiore incidenza di aumento di peso ed insulinoresistenza nei topi esposti al DES.

L’esposizione di più generazioni avviene attraverso l’esposizione materna, con alterazione da parte degli ECDs degli ormoni, del cervello, del comportamento, fino ad un cambiamento della programmazione epigenetica attraverso una molteplicità di meccanismi molecolari.  Il neonato, poi, continua ad essere esposto anche attraverso il latte materno o artificiale, (non dimentichiamo neanche le materie plastiche dei biberon…), e può subire alterazione delle proprie cellule germinali che si renderanno poi manifeste nella generazione successiva!

E’ quindi anacronistico ed irrealistico attribuire le problematiche dell’obesità solo a scelte personali che coinvolgano la quantità degli alimenti e la corretta attività fisica, ma occorre considerare una maggiore complessità di elementi causali che vedono un ruolo importante giocato dai fattori ambientali.

La cosiddetta “ipotesi obesogena ambientale” è ormai sostenuta da molti dati della letteratura scientifica che obbligano a rivedere il paradigma dell’approccio a questa patologia.  E’ evidente che la salute umana, fino a poco tempo fa considerata una problematica per lo più individuale, diventa ora sempre di più legata a fattori indipendenti dalle scelte più o meno “virtuose”, ma è esposta a scelte fatte da altri, motivate il più delle volte da motivazioni politiche ed economiche più che di prevenzione e promozione della salute.

Alcune scelte possono essere certamente fatte dai consumatori, riguardo alla conservazione, alla cottura, alla preferenze di cibi biologici, e a prodotti freschi a Km0, ma il consumatore non può incidere in maniera significativa sulle condizioni dei propri rischi di esposizione ad EDCs, la presenza dei quali, ad esempio, spesso non viene indicata nelle etichette.

Questo è un motivo fondamentale per cui occorrerà sempre di più tenere alta la guardia sulla presenza di queste sostanze nell’ambiente e agire come consumatori informati oltre che, come medici e nutrizionisti, cercare di educare i nostri pazienti orientandoli verso scelte consapevoli.

 

Note

1 Baillie-Hamilton PF. Chemical toxins: a hypothesis to explain the global obesity epidemic. J Altern Complement Med. 2002;8(2):185–192.

2 (http://www.epa.gov/endo/pubs/edsparchive/2-3attac.htm).

3 Ogden CL, Yanovski SZ, Carroll MD, Flegal KM. The epidemiology of obesity. Gastroenterology. 2007;132(6):2087–2102.

4 Grun F, Blumberg B. Endocrine disrupters as obesogens. Mol Cell Endocrinol. 2009;304(1–2):19–29.

5 Li S, Hansman R, Newbold R, Davis B, McLachlan JA, Barrett JC. Neonatal diethylstilbestrol exposure induces persistent elevation of c-fos expression and hypomethylation in its exon-4 in mouse uterus. Mol Carcinog. 2003;38:78–84.

6 Baillie-Hamilton PF. Chemical toxins: a hypothesis to explain the global obesity epidemic. J Altern Complement Med. 2002;8(2):185–192.

7 Penza M, Montani C, Romani A, Vignolini P, Pampaloni B, Tanini A, et al. Genistein affects adipose tissue deposition in a dose-dependent and gender-specific manner. Endocrinology. 2006;147(12):5740–5751.

8Spranger J, Kroke A, Mohlig M, Hoffmann K, Bergmann MM, Ristow M, Boeing H, Pfeiffer AF. Inflammatory cytokines and the risk to develop type 2 diabetes: results of the prospective population-based European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC)-Potsdam Study. Diabetes. 2003;52:812–817.

9 Horiguchi T. Masculinization of female gastropod mollusks induced by organotin compounds, focusing on mechanism of actions of tributyltin and triphenyltin for development of imposex. Environ Sci. 2006;13:77–87.

10 Needham LL, Barr DB, Caudill SP, Pirkle JL, Turner WE, Osterloh J, Jones RL, Sampson EJ. Concentrations of environmental chemicals associated with neurodevelopmental effects in U.S. population. Neurotoxicology. 2005;26:531–545.

11 Newbold RR, Padilla-Banks E, et al. Environmental estrogens and obesity. Mol Cell Endocrinol. 2009;304(1–2):84–89.