La mia esperienza nella pratica del qi gong

Vito Marino*

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Storiella zen:

Il monaco chiese: «Come pratica il maestro?». Il maestro rispose: «Mangiando e dormendo». E il monaco: «Come gli altri?». E il maestro: «No, quando mangio io mangio; quando dormo io dormo. Gli altri non fanno così».

 

Come molti praticanti della mia generazione, parlo degli anni ’80, venni a contatto con il qigong come praticante di arti marziali, passando dalla pratica dell’Aikido a quella del taijiquan, e con la fortuna di praticare con un insegnante di taijiquan appassionato cultore del suo aspetto “interno”, Maurizio Gandini. La pratica era essenzialmente basata sui baduanjin e del zhanzhuang durante la lezione, e delle forme del Gioco dei Cinque Animali wuqinxi come pratica affiancata a quella del taijiquan.

 

Come medico agopuntore ero molto interessato all’aspetto potenzialmente terapeutico del taijiquan e, nel momento in cui ne cominciai ad insegnare lo stile yang quello che avevo imparato precedentemente fece parte da subito della mia lezione tipo: 20’ di qigong prima del taijiquan.

 

Nel 1992 feci l’incontro che più di ogni altro cambiò il mio modo di praticare la medicina cinese, fino ad allora ispirato alla tradizione vietnamita di Nguyen Van Nghi, e cominciai a ri-studiare con Leung Kwok-po, agopuntore taoista e praticante esperto di qigong medico e taoista. Il suo metodo di insegnamento è davvero esemplare, e mi ha influenzato al punto che ancora oggi ne seguo i suoi principi nella mia pratica medica: agopuntura, qigong, tuina, dietetica, tutto è integrato in una sola linea coerente di pensiero; il metodo della differenziazione delle sindromi, evoluto e perfezionato, diventava la chiave per aprire le porte della comprensione della condizione energetica individuale e, di conseguenza, della scelta dei punti, delle manovre di massaggio, dell’alimentazione consigliata, e ancora della scelta dei metodi di qigong da praticare.

 

In una calda estate siciliana del 1998 per caso venni a conoscenza del fatto che a Palermo, la cittàdove vivo, era tornata una insegnante cinese di qigong che era già stata in città per la sua attività di sportiva professionista, e che conoscevo perché mi aveva dato delle lezioni di cinese, Li Suping. Da allora cominciò la mia esperienza con il metodo che lei divulgava, fino a quel momento ancora poco conosciuto in Italia, il zhineng qigong.

 

Fu una folgorazione, non tanto perché fosse bello praticarlo, in quanto questa scuola ha dei metodi che a volte sono molto faticosi e molto poco “new age”…, bensì per l’effetto che ebbe su di me: dopo una vita da miope (-3:50 diottrie) da un giorno all’altro buttai a mare gli occhiali, in quanto in una notte recuperai quasi del tutto il mio visus passando a -0,25 in un occhio e a -0,50 nell’altro! Da quel momento non ho alcun dubbio sulla azione terapeutica del qigong, in qualsiasi ambito della patologia umana, e sul fatto che il zhineng qigong sia una forma molto efficace di pratica, la più efficace nella mia esperienza.

 

Ma la mia storia sulla comprensione del qigong non era ancora finita, perché dovevo ancora fare un altro incontro fondamentale per la mia vita, quello, nel 2002, con la Maestra Carmela Filosa, XIII generazione dello stile Chen Xiaojia del Taijiquan e XXI generazione della famiglia Chen, allieva dei Maestri Chen Peiju e Chen Peishan. Dopo tutti questi anni la mia pratica e la mia comprensione del qigong è cambiata in modo ancora più drastico, e condivido con i lettori di questo articolo le mie riflessioni a proposito.

 

Nel qigong, quando si parla di cosa lo contraddistingua da altre pratiche, e di cosa in effetti faccia rientrare una determinata pratica nel novero del qigong, si parla spesso delle “tre regolazioni”. Quando una pratica si basa sulla “regolazione del corpo” attraverso posture e movimenti, sulla “regolazione del respiro” attraverso il controllo della inspirazione, della espirazione e delle apnee inspiratorie e/o espiratorie, o con l’emissione di suoni, e sulla “regolazione della mente” con particolari visualizzazioni, la concentrazione su specifiche parti del corpo, meditazioni, allora questa pratica si può definire qigong.

 

Ma in realtà la cosa che nel zhineng qigong davvero caratterizza una pratica di qigong è la “introversione del pensiero”. Come scrive Ooi Kean Hin, “In genere le attività mentali delle persone sono focalizzate sull’esterno, su quello che succede nelle attività quotidiane, al di fuori del corpo. Questo fenomeno è conosciuto come concentrazione sull’esterno. La pratica del qigong richiede l’immergerci all’interno e mescolare questa concentrazione con le attività quotidiane. … (persino, n.d.A.) Nella pratica del qigong dinamico, con l’attenzione focalizzata sull’esecuzione (del movimento, n.d.A.) piuttosto che sul target esterno, il qi che è mobilizzato non sarà trasformato in forza che sarà portata all’esterno del corpo per svolgere il compito richiesto, ma sarà usata per rinforzare i canali del qi all’interno del corpo.”

 

Ancora Ooi Kean Hin: “Il Zhineng Qigong non tenta di concentrare la mente per ricercare la pace interiore o l’assoluta tranquillità. E nemmeno tenta di concentrare la mente sui percorsi del sistema dei meridiani per muovere il qi lungo alcuni tragitti (il metodo orbitale – zhoutian). Il Zhineng Qigong pone l’attenzione sull’uso cosciente della mente al fine di mantenere la concentrazione sull’esecuzione degli esercizi. Ciò vuol dire rimanere concentrati sulla relativa area mentre si eseguono le tecniche. Accoppiando l’attività mentale ai movimenti corporei si favorisce il mescolamento del qi corporeo con il qi primordiale e ciò rafforza la connessione fra uomo e natura.

Molti di noi pensano ad altre cose mentre mangiano o prima di addormentarsi. Svolgere le nostre attività quotidiane consapevolmente senza alcun altro pensiero è una forma di qigong di alto livello. Molti credono erroneamente che le forme statiche di qigong appartengano al più alto livello, mentre le forme dinamiche siano al livello più basso. In realtà a un livello elevato non esistono differenze fra le forme statiche e le forme dinamiche. Se il praticante può rimanere in quiete solo durante la pratica statica e non è in grado di fare altrettanto quando è in movimento, ciò vuol dire che deve ancora raggiungere un alto livello. A un alto livello il praticante è in grado di svolgere le attività consapevolmente mentre mantiene una mente assolutamente in pace. ”

 

Ecco, la pratica del taijiquan, complessa e totalizzante, durante la quale la concentrazione sulle singole parti del corpo e sul corpo nel suo insieme, e la coscienza dello sviluppo della forza dai piedi al bacino e ancora agli arti devono essere assolutamente sempre presenti, è stata per me la via maestra per capire il qigong e praticarlo al meglio delle mie possibilità. Il modo giusto per potere avvicinarmi, come si dice nel qigong, a una “pratica che parte dal midollo”.

 

La comprensione vera, profonda, almeno al mio livello, di tutto questo ha avuto il suo catalizzatore negli insegnamenti sul taijiquan della Maestra Filosa. Uno dei principi fondamentali del taijiquan, song jing ziran, yishi jichong, “rilassato e calmo in modo naturale, la coscienza è concentrata”, mantenuto e applicato nella pratica del taijiquan, mi ha condotto alla sua applicazione anche nel qigong. Nel taijiquan della nostra scuola ogni sequenza, a partire dalla prima, la sizheng taijiquan, sono strutturare e praticate in modo da coltivare la introversione della mente sulla sorgente del movimento, che di volta in volta, a seconda della abilità dello studente, può essere considerato il braccio, o il tronco, o le gambe, o il dantian, e sul percorso che, internamente, la forza segue per eseguire il movimento.

 

Il lavoro del taijiquan stile chen xiaojia, e del zhineng qigong, è uguale nel fine, portare la coscienza/consapevolezza, a mantenersi stabile all’interno del corpo, e da lì governare funzioni organiche e movimenti. Gradualmente la mente rimarrà stabile anche nel movimento del prendere un bicchiere a tavola: la nostra consapevolezza sisposterà dalla visione del bicchiere (coscienza estrovertita) al movimento del braccio che lo sta prendendo (coscienza introvertita). Più la mente rimarrà stabile, più si avvicinerà alla cosiddetta “pratica delle 24h”, che non significa praticare metodi e tecniche per 24h, naturalmente, bensì rimanere con la coscienza introvertita nelle attività quotidiane, e persino durante il sonno.

 

Un obiettivo troppo ambizioso? Eraclito diceva “Bisogna volere l’impossibile, perché l’impossibile accada”, ed Ernesto Che Guevara “Siamo realisti: vogliamo l’impossibile”. Siamo quindi in buona compagnia.