Scienze dello spirito e scienze della natura Si volta pagina

Francesco Bottaccioli*

Epigenetica e Psiconeuroendocrinoimmunologia.

Le due facce della rivoluzione in corso nelle scienze della vita

Saggio scientifico e filosofico

Edra, Milano 2014

Il libro che presento tratta di scienza e di filosofia attorno al tema centrale della conoscenza dell’essere umano, mostrando le caratteristiche fondamentali della rivoluzione che è sotto i nostri occhi nelle basi della biologia molecolare (Epigenetica) e della fisiopatologia (Psiconeuroendocrinoimmunologia).

Questa rivoluzione, nel campo delle scienze biomediche, cambia radicalmente i rapporti, secolarmente stabiliti, con le cosiddette scienze umane, con quelle che Wilhem Dilthey chiamava “scienze dello spirito”, di cui vedeva l’incommensurabilità con “le scienze della natura”.

 

Il problema del rapporto delle scienze dello spirito con la conoscenza della natura può ritenersi risolto solo quando verrà risolta l’opposizione tra il punto di vista trascendentale per cui la natura sottostà alle condizioni della coscienza e il punto di vista oggettivamente empirico, per cui lo sviluppo dell’elemento spirituale sottostà alle condizioni della natura. (Dilthey 2007, p. 37)

 

Così il filosofo tedesco, nel 1883 nella sua Introduzione alle scienze dello spirito, indicava la via per superare l’opposizione tra natura e cultura che l’idealismo e il positivismo, nel corso del XIX secolo, hanno delineato ognuno dal proprio opposto punto di vista: sottomissione della biologia alla cultura nel caso dell’idealismo, sottomissione della cultura alla biologia nel caso del positivismo materialistico.

Ma pur indicando questo orizzonte unitario, che tenesse in conto l’“unità psicofisica” dell’essere umano (a cui più volte si richiama, Idem p. 27 e passim) e quindi anche la necessaria trama unitaria della conoscenza, scientifica e filosofica, Dilthey si pone un obiettivo più limitato e preliminare: fondare le scienze dello spirito (che raggruppano “le scienze dell’uomo, della storia, della società”) per limitare l’invadenza delle scienze della natura (e cioè “fisica, chimica, biologia, fisiologia”), la loro “boria” – così si esprime – e pretesa di sussumere tutte le forme di conoscenza.

Questa legittima e salutare operazione di fondazione  autonoma non solo della storia e della filosofia ma anche della antropologia, della psicologia, della sociologia e del diritto, viene però realizzata da Dilthey per separazione e contrapposizione.

I due domini, scienze della natura e scienze dello spirito, sono “incommensurabili”  – scrive – perché non sono paragonabili “i processi materiali e i processi spirituali” (p. 19). Né è paragonabile il metodo di indagine: meccanico quello delle scienze della natura e quindi basato sulla ricerca di cause lineari che spieghino effetti osservabili e oggettivamente misurabili; storico quello delle scienze dello spirito e quindi basato su “connessioni dinamiche che producono valori e realizzano scopi”, la cui oggettività e verità è data dalla comunanza umana, dalla “connessione di vita” che unisce chi produce fatti storici e chi li intende (Dilthey 1982, p. 237).

“Intuizione, intendimento” contro “spiegazione meccanica”, dunque.

Anche se, avendo Dilthey una conoscenza di prima mano delle ricerche biomediche e fisiologiche del tempo, per la frequentazione delle lezioni e delle ricerche del celebre patologo Rudolf Virchow e dell’altrettanto celebre fisiologo Émile Du Bois-Reymond , comprende che quello stesso metodo meccanico adottato dalle scienze della natura è inadatto alla conoscenza scientifica. Infatti scrive: “Per conoscere, il nostro intelletto deve smontare il mondo come una macchina; esso lo disaggrega in atomi, ma il fatto che il mondo sia un intero, non lo si può dedurre da questi atomi”(Dilthey 2007, p. 737).

Resta il fatto che dalla fondazione delle scienze dello spirito emerge un paradigma, un ideale scientifico, un clima culturale che è giunto sino a noi e che è riassumibile nella dicotomia tra natura e cultura, tra scienze biologiche e scienze umane.

Questa dicotomia è stata esplicitamente ripresa e approfondita da Martin Heidegger  (1969, §§ 72, 77), indicando nel mito della tecnica “l’ultima metafisica”, l’ultimo rifugio umano a protezione della propria finitezza, mentre Hans-Georg Gadamer  (1983) ha tentato in modo ammirevole la costruzione di un dialogo basato sulla pari dignità tra le varie forme di sapere e di espressione umana tra cui il gioco e l’arte, tra forme di conoscenza quindi non  riassumibili in quella scientifica.  Ma anche in Gadamer, l’opposizione è rimarcata fin dalle prime pagine di Verità e Metodo, la sua opera classica:

 

La ricerca che segue… si oppone alla pretesa di universale dominio della metodologia scientifica. (…) Le scienze dello spirito vengono ad avvicinarsi a quei tipi di esperienza che stanno al di fuori della scienza: alla esperienza filosofica, all’esperienza dell’arte, all’esperienza della storia stessa. Tutte queste sono forme di esperienza in cui si annuncia una verità che non può essere verificata con i mezzi metodici della scienza (p. 19).

 

Al riguardo è interessante notare che tre grandi biologi del Novecento, che sono anche i protagonisti di questo libro, Conrad Waddington, Francis Crick e Jacques Monod, rappresentino l’ultimo tentativo fatto dalla scienza di prendere sul serio la filosofia2. Come mostro nel secondo capitolo, con un esame comparato di testi contemporanei e omogenei dei tre scienziati, ognuno di loro esplicita il suo paradigma filosofico di riferimento: Waddington si richiama esplicitamente all’approccio sistemico di Whitehead, Monod all’esistenzialismo di Camus, mentre in Crick è evidente l’ influenza del realismo di Popper.

Monod scrive il suo saggio Il caso e la necessità nel 1970, dopo di ché l’interesse della biomedicina per la filosofia è venuto scemando. La riprova più plateale è che un neuroscienziato come Antonio Damasio, per i suoi studi, si rivolga a Cartesio (1994) e a Spinoza (2003) piuttosto che ai filosofi contemporanei.

Ma dall’altro lato, la filosofia ha continuato ad occuparsi di scienza, seppur in un crescendo di estraneità.

Negli ultimi decenni in particolare, con la cosiddetta filosofia post-moderna, è venuta a maturarsi una critica delle idee fondamentali della scienza, le quali coincidono in larga misura con i capisaldi del paradigma della modernità.

Jean-François Lyotard, nel suo celebre La condition postmoderne del 1979 (trad. it. 1981), fin dalle prime pagine connota il tratto principale del post-moderno: la fine della credulità nelle grandi narrazioni, che chiama “metanarrazioni”. La fine cioè della presa di massa delle grandi  visioni onnicomprensive del mondo rappresentate da quelli che chiama i cinque grandi racconti della modernità: l’ illuminismo, l’idealismo, il marxismo, il cristianesimo e il capitalismo.  Ognuno dei grandi racconti è stato invalidato da pesanti avvenimenti della storia del Novecento: Auschwitz ha invalidato l’idealismo dimostrando che non è vero che “tutto ciò che è reale è razionale”; le rivolte nei paesi del blocco dell’est “hanno confutato il materialismo storico”; il movimento del ‘68 “ha confutato il liberalismo parlamentare”;  mentre le ripetute e devastanti crisi economiche hanno “confutato la dottrina del liberalismo economico”; infine , la “morte di Dio” e del cristianesimo era stata già annunciata da Nietzsche cento anni prima.

È sotto attacco il paradigma della modernità che ha i suoi pilastri nella identificazione della ragione come ragione tecnico-scientifica e nella visione dell’uomo come dominatore incontrastato della natura.

Lyotard e Gianni Vattimo  contrappongono al sapere totalizzante un “pensiero debole” (Vattimo 1983), “forme instabili di razionalità” (Lyotard), il paradigma della molteplicità (Vattimo 2000), l’esaltazione delle differenze, del singolo, dell’individuo , mentre sulla filosofia della scienza manifestano una chiara scelta di campo a favore della critica che Thomas Kuhn (1978) ha avanzato verso la visione realistica della scienza di stampo popperiano.

Nella critica dei filosofi post-moderni c’è una salutare rottura della visione scientista meccanicista dell’uomo.  Al tempo stesso si registra il massimo di distanza dalla scienza e dalle forme della conoscenza scientifica.

Il dialogo tra scienza e filosofia pare definitivamente interrotto, anche perché i tentativi di ripresa di stampo neorealista (Ferraris  2012) appaiono davvero al di sotto del necessario livello di confronto.

Ma, a ben vedere stiamo assistendo a un forte riavvicinamento tra riflessione filosofica e ricerca scientifica. Infatti i progressi in filosofia sono stati realizzati da scienziati che, nel corso del Novecento, hanno scosso profondamente  il paradigma meccanicista riduzionista. Prima, con i fisici-filosofi della rivoluzione relativistica e quantistica dei primi decenni, che hanno radicalmente messo in discussione il paradigma newtoniano e poi, sul finire del secolo, con una varietà di scienziati della vita – endocrinologi, neurologi, psicologi, fisiologi, immunologi, biologi – che hanno indagato le relazioni sistemiche all’interno dell’organismo umano, demolendo i pilastri del paradigma riduzionista meccanicista.

Gli esiti di queste rivoluzioni sono la Psiconeuroendocrinoimmunologia e l’Epigenetica.

Con la PNEI si ha il limpido superamento della separazione tra cultura e natura, tra scienze delle spirito e scienze della natura, tramite la dimostrazione, basata su solide verifiche sperimentali e osservazionali, che la dimensione culturale comunica con e influenza la dimensione biologica, la quale, a sua volta, influenza la prima.

Con l’epigenetica viene a spezzarsi l’ultimo diaframma che oscurava la via della conoscenza di questi fenomeni a livello molecolare: gli eventi mentali, consci e inconsci, si traducono in segnatura epigenetica che modula l’espressione genica di pattern di informazione cruciali per la normale attività dell’essere umano, tra cui l’assetto recettoriale cerebrale di ormoni fondamentali, come il cortisolo e altri, fino alla produzione di molecole essenziali alla normale attività degli organi, cervello incluso.

La segnatura epigenetica, soprattutto se interviene nelle prime fasi della vita, può influenzare stabilmente l’assetto biologico e comportamentale dell’adulto.

Da questa doppia rivoluzione nelle scienze della vita emerge una visione complessa sia dell’individuo sia dei microsistemi vitali. Di qui la definizione di un approccio che spiega e interpreta in modo non riduzionista sia il micro che il macro che il mega (vedi Fig) e che quindi interpreta in modo nuovo e scientificamente solido l’individuo umano.

 

I tre circuiti di connessione a rete: il micro (le relazioni simbiotiche e conflittuali con i microorganismi che sono in noi), il macro (le relazioni tra i grandi sistemi di regolazione dell’organismo), il mega (le relazioni tra organismo e ambiente fisico e sociale).

È il superamento di quel “paradigma della semplificazione” di cui parla Edgar Morin (1993) che costringe “a studiare l’uomo biologico nel dipartimento di biologia, come essere anatomico e fisiologico, e l’uomo culturale nei dipartimenti delle scienze umane e sociali” (p. 58). Ma mentre fin ad ora, la critica è rimasta, direi necessariamente ,al di qua della scienza, oggi, proprio in virtù degli sviluppi della conoscenza scientifica, è possibile superare la semplificazione del reale, riorientando l’insieme della ricerca sull’essere umano, fondandola su un approccio interdisciplinare e interdipartimentale.

 

Con questo auspichiamo forse la fine della ricerca microscopica, nel campo della biofisica e della biologia molecolare?

Anzi, è proprio il contrario. Adattando il paradigma sistemico, la ricerca nella dimensione micro potrà espandersi in territori del sapere ad oggi solo marginalmente sfiorati. Nel dipartimento di scienze umane, per restare alla terminologia di Morin, sarà possibile studiare, in collaborazione con i colleghi dell’altro dipartimento, nelle loro dimensioni molecolari, gli effetti della povertà economica e culturale sul cervello e sulla mente, gli effetti della condizione lavorativa sul metabolismo, gli effetti della relazione di coppia sul sistema immunitario e così via, come del resto si inizia a fare  e di cui diamo conto nel quinto capitolo.

Certo, questo comporta una gigantesca riorganizzazione del sapere, della sua costruzione e della sua diffusione-riproduzione. Riorganizzazione possibile se si baserà sulla adozione interdipartimentale di un paradigma sistemico a base molecolare.

Utopia? No, non è un’utopia perché la rivoluzione in corso nelle scienze della vita non è senza luogo né è fuori luogo.

Ha luoghi pubblici e privati ben precisi, come le Università, i laboratori di ricerca, un diffuso movimento internazionale di operatori sanitari e di cittadini critici del paradigma riduzionista dominante. Ed è anche assolutamente  in media res, è intrinseca al livello raggiunto dalla conoscenza scientifica contemporanea: sorge da essa, pur rappresentandone il superamento rivoluzionario, come direbbe Kuhn.

Rappresenta infine una grande speranza e una forza di contenimento e di opposizione alla spinta verso esisti catastrofici che sono marcatamente visibili nell’attuale assetto delle società umane (Morin 2011). Indica una via di cambiamento sicuramente molto difficile, ma il cui livello di difficoltà è adeguato al livello di crisi sistemica dei nostri apparati conoscitivi, istituzionali, relazionali e quindi al livello di pericolo che le collettività umane stanno sperimentando a livello mondiale.

Ovviamente in questo libro viene affrontato solo un livello di crisi, quello conoscitivo, nella forma assunta dalle scienze biomediche e psicologiche, mostrando come dall’interno sia in atto un cambio di paradigma che segna e indica la via alle altre scienze che si occupano dell’essere umano. Per una nuova unità della conoscenza e quindi per una nuova unità della specie umana.

 

Bibliografia

Bottaccioli F. (2010) Filosofia per la medicina. Medicina per la filosofia. Grecia e Cina a confronto, Tecniche Nuove, Milano

Bottaccioli F (2013) Due vie per la medicina scientifica al suo sorgere. François X. Bichat e Rudolf Virchow.

Una storia che ancora ci riguarda, Aracne, Roma

Damasio A (1994) L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano

Damasio A (2003) Alla ricerca di Spinoza, Adelphi, Milano

Dilthey W. (1982) Critica della ragione storica, Einaudi, Torino

Dilthey W. (2007) Introduzione alle scienze dello spirito, Bompiani, Milano

Ferraris M. (2012) Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma-Bari

Gadamer H-G (1983) Verità e metodo, a cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano

Heidegger M. (1969) Essere e Tempo, trad. it. di P. Chiodi, UTET, Torino

Khun T. (1978) La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it. sulla II ed. americana, Einaudi, Torino

Lyotard J-F (1981) La condizione post-moderna, Feltrinelli, Milano

Morin E. (1993) Introduzione al pensiero complesso, II ed., Sperling & Kupfer, Milano

Morin E. (2011) La voie. Pour l’avenir de l’humanité, Fayard, Paris

Vattimo G.,  Rovatti P.A. (1983) Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano

Vattimo G. (2000) La società trasparente,  II ed. Garzanti, Milano