Sciamanesimo e Scintoismo

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Paolo Bascioni*

Premessa

Intendiamo con la dicitura “Religioni secondarie” quelle caratteristiche che sono proprie di alcune religioni oggi presenti nel mondo e le rendono particolari. Innanzitutto sono poco diffuse, interessano quindi una piccola parte della popolazione globale ed hanno natura tale per cui non strutturano la vita sociale dei territori dove sono presenti. Il loro fine è più di potenziare alcune risorse o capacità individuali e rassicurare i timori di coloro che le praticano, magari mettendoli al riparo da influssi negativi che essi presumono possono venire dall’ambiente circostante o da esseri non meglio precisati, però appartenenti all’ordine dell’immateriale. Inoltre in esse manca il riferimento ad un Essere supremo trascendente ed assoluto di fronte al quale ci si sente responsabili ed al quale tutto si riferisce; per questo alcuni pensano che non si possa neppure parlare di religioni, ma se mai di culti più o meno naturalistici o misterici. Se però noi abbiamo inteso la Religione come un modo totale di intendere la vita che struttura il modo di essere e di operare, allora anche queste sono religioni. In concreto annoveriamo sotto il nome di “religioni secondarie” lo Sciamanesimo e lo Scintoismo.

 

Lo Sciamanesimo

Lo Sciamanesimo viene considerato una forma secondaria di religione e solo secondo una accezione molto ampia o indiretta annoverato tra le religioni. Il centro dello Sciamanesimo non è infatti Dio né la fede in Dio, ma lo “Sciamano”. Questi non è sacerdote della divinità e neppure ministro del culto, ma piuttosto un uomo in possesso di un potere straordinario o di particolari capacità che gli permettono, a certe condizioni e in determinate circostanze, di trascendere il mondo della materia per entrare in contatto diretto con gli spiriti e con i defunti. Il termine “Shaman”, da cui deriva Sciamanesimo, era usato dal popolo dei Tingusi della Siberia, per indicare appunto quella persona in grado di compiere azioni non comuni proprio perché in relazione con gli spiriti. “Shiaman” significa con probabilità “colui che sa”; il riferimento è a colui che conosce la via per realizzare la comunicazione con gli esseri che vivono una vita fatta di solo spirito.

Oggi quando si parla di Sciamanesimo si intende un insieme di elementi magici e religiosi o più precisamente pseudoreligiosi che si trovano non solo nei Tungusi della Siberia, ma anche in alcune zone dell’Africa, dell’Asia e soprattutto della cultura giapponese. È dunque la funzione esercitata dalla Sciamano a costituire lo Sciamanesimo; in questa funzione lo stesso Sciamano fermamente crede, la sua sicurezza è essenziale. I seguaci di questa che potremmo chiamare pratica sciamanica, accettano i poteri e la funzione dello Sciamano, vi credono e vi ricorrono. Sono abitanti di villaggi e di ambienti caratterizzati da una facile credulità popolare. La particolare funzione esercitata dallo Sciamano consiste nel costituirsi e porsi come intermediario e tramite di congiunzione tra le persone che a lui ricorrono e il mondo dell’aldilà, degli spiriti e dei defunti. Questo mondo al quale si fa riferimento è piuttosto complesso. Nella prospettiva sciamanica esistono infatti spiriti delle piante, degli animali, come esistono i così detti “Spiriti custodi”; custodi di montagne, fiumi, boschi e di altri ambienti importanti della natura. Vi sono poi gli spiriti dei morti che per certi aspetti sono più importanti degli altri spiriti, e comunque poter stabilire un rapporto con essi è particolarmente ricercato dai vivi. Con tutti questi spiriti di natura diversa gli Sciamani sostengono e credono fermamente di essere in grado di mettersi in contatto. Il contatto non si verifica però in stato di normalità, ma solo se e quando lo Sciamano si trova in una specie di estasi, noi diremmo in “trance”, in una condizione estatica. Bisogna quindi creare le condizioni perché lo stato estatico si verifichi e per questo servono certamente particolari predisposizioni personali e condizioni interiori che solo alcuni hanno, e solo questi possono diventare sciamani; nell’atto dell’esercizio sciamanico sono anche molto utili, e a volte addirittura indispensabili, aiuti e mezzi esterni, come la danza, il suono particolare di determinati strumenti, specie il tamburo; non si esclude neppure il ricorso a sostanze stupefacenti. Raggiunto lo stato di “trance” lo Sciamano afferma di essere in grado di stabilire un contato diretto con gli spiriti; la sua anima emigra nell’aldilà, compie viaggi attraverso i quali congiunge il mondo presente con quello ultraterreno. Il congiungimento con gli spiriti è stabilito non per una specie di gioco né per una motivazione personale dello Sciamano, ma sempre per un qualche fine comunitario, per un vantaggio o utilità dei vivi e per soddisfare le richieste di coloro che a lui si rivolgono. Lo Sciamano infatti con l’aiuto degli spiriti buoni raggiunti nella comunicazione con l’aldilà, può compiere azioni straordinarie, come guarire i malati, prevedere ciò che accadrà in futuro in modo che gli interessati si premuniscano, consigliare determinati comportamenti ed altro ancora. Acquista anche, nello stato di “trance”, delle potenzialità fisiche così che gli diventa fattibile quello che è inverosimile; ad esempio, trafiggersi con una spada senza procurarsi ferite, senza versare sangue e sentire dolore. Questi aspetti spettacolari sono però secondari e non si riscontrano sempre, ma solo in alcuni contesti territoriali e culturali. Nella forma classica che potremmo anche chiamare più pura dello Sciamanesimo, lo Sciamano ha due funzioni essenziali. La prima e più importante è di esercitare la mediazione tra gli spiriti e il mondo umano. La seconda, far sentire il suo intervento benefico a favore degli uomini, innanzitutto per guarirli dalle malattie o almeno addolcire il dolore; ma anche per aprire un varco sull’avvenire. Tutto questo lo Sciamano può perché si avvale della potenza degli spiriti buoni. È anche vero che gli spiriti cattivi cercano in ogni modo di impedire e di ostacolare le sue azioni finalizzate a guarire dalle malattie e a predire il futuro.

Si comprende dunque bene come lo Sciamanesimo metta insieme aspetti di magia con aspetti di religiosità e lo Sciamano sia per certi versi un mago e per altri un punto di riferimento per esigenze religiose delle persone che a lui si rivolgono. La distinzione precisa tra la dimensione magica e superstiziosa da una parte e quella religiosa dall’altra non è sempre facile da fare; anche perché nelle civiltà e nelle culture non ancora avanzate, magia e religione vengono spesso vissute insieme.

Sarà anche opportuna una osservazione di carattere generale. Lo Sciamanesimo prima di essere una pratica magico-religiosa propria di ben precisi ambienti geografici e legata a specifiche culture o civiltà, è un atteggiamento dello spirito umano che può rintracciarsi, almeno per alcuni elementi che lo caratterizzano, anche in contesti storico-religiosi che ufficialmente sono lontani dall’essere qualificati come Sciamanesimo. Non meraviglia quindi che alcuni studiosi abbiano individuato tracce sciamaniche in Pitagora e nel Pitagorismo, in Muhammad e nella setta musulmana dei Dervisci, come anche nel fenomeno delle streghe di un certo periodo del tardo Medioevo.

Che cosa si può dire del rapporto tra Cristianesimo e Sciamanesimo? Lo Sciamanesimo pone alcune istanze autentiche dell’animo umano. Principalmente due: l’uomo immerso nel mondo materiale sente di trovarsi in presenza e come immerso anche in un mondo o dimensione spirituale con il quale anela a mettersi in contatto; la comunicazione tra lo “spirito incarnato” che è l’uomo e gli spiriti che vivono senza corpo costituisce un desiderio e nello stesso tempo un problema per l’uomo stesso.

Il Cristianesimo offre una risposta a tali esigenze e propone delle indicazioni sulle possibili relazioni tra il mondo umano e il mondo dei puri spiriti. Innanzitutto secondo la rivelazione cristiana non si può parlare dell’uomo e di spiriti senza chiamare in causa Dio. Dio è il fondamento della vita e dell’essere dell’uomo, come è anche la causa e la vita delle esistenze spirituali. Nel Cristianesimo il mondo degli spiriti è purificato da ogni superstizione, da ogni magia e da ogni dimensione mitologica; l’esistenza degli spiriti è separata dall’esistenza propria degli elementi naturali. Gli spiriti si relazionano a Dio, ma possono anche relazionarsi, nell’ambito del disegno di Dio, con gli uomini. Particolare attenzione riserva la dottrina cristiana agli “spiriti umani” usciti dall’esistenza fisica e intramondana, che vivono in Dio o protesi al raggiungimento pieno di Dio; è il riferimento a quelli che con immagini e linguaggio tradizionale si dicono il Paradiso e il Purgatorio. L’uomo vivente nel tempo della storia del mondo può comunicare con gli “spiriti” e con le “anime”. Questa comunicazione non è però prerogativa di alcune persone quasi fossero addette a tale compito, e neppure è frutto di particolari accorgimenti di carattere fisico o psichico. Essa avviene nel desiderio, nella preghiera, nella volontà, nel reciproco amore e nella comunione di affetti e di sentimenti. Tutto questo non fuori o indipendentemente da Dio, ma in Dio stesso nel quale si realizza ogni comunione ed ogni vicendevole scambio. Gli spiriti possono aiutare l’uomo. La tradizione cristiana conosce la dottrina sugli angeli custodi. Questo aiuto è però da collocare nell’ambito del disegno globale di Dio che relaziona uomini e spiriti in vista di un comune destino di universale beatitudine in lui. Quanto agli spiriti che furono anime umane viventi nel mondo fisico, si afferma che possono ricevere aiuto, se ne hanno bisogno, dagli uomini, così come possono anche offrirne ad essi: è la fede nella “Comunione dei Santi”; sempre nella prospettiva più ampia del piano universale di Dio che tutti, uomini, spiriti ed anime, unisce a sé come fine ultimo, desiderato, cercato, amato.

Ciò che lo Sciamano vuole ottenere dagli spiriti, il Cristianesimo dice che è da cercare in Dio, e ciò che Dio offre è più grande, più decisivo e veramente salvifico rispetto a quanto lo Sciamanesimo ritiene che gli spiriti possano procurare a vantaggio degli uomini. Secondo la fede cristiana, va precisato, che quanto detto, tutto avviene in Cristo e per Cristo; Egli è infatti l’unico mediatore tra noi e Dio e il fondamento della “Comunione dei Santi”.

È forse opportuno anche osservare che a volte si ha l’impressione che nell’ambito della religiosità cristiana come è vissuta concretamente, atteggiamenti di carattere sciamanico siano presenti. Basti pensare a certi modi di rapportarsi con i defunti o al ruolo attribuito da alcuni strati di fedeli al ministro ordinato, il sacerdote, inteso come colui che può ottenere particolari effetti o risultati perché ha la “chiave” che gli permette di intervenire tra le potenze del mondo spirituale. L’atteggiamento sciamanico è quasi istintivo nell’uomo; esso va purificato o più precisamente superato, ma può anche inquinare alcuni aspetti della quotidianità dei cristiani. Il superamento dello Sciamanesimo è possibile solo nella conoscenza dell’unico vero Dio e nel rapporto corretto con lui; l’annuncio delle fede cristiana è la via che vi conduce.

 

Lo Shintoismo

Quando si parla di Shintoismo il pensiero va al Giappone e giustamente perché lo Shintoismo è la religione dei giapponesi. Esso fonda l’identità nazionale del popolo giapponese in quanto ne esprime i valori, ne conserva e tramanda le tradizioni religiose e ne interpreta la coscienza di unità nazionale.

La parola “Shinto”, di origine cinese, significa “via”; è la via dei “Kami”: i Kami sono le divinità. Concretamente lo Shintoismo risulta composto da un sistema piuttosto complicato di pratiche e cerimonie rituali che ogni appartenente al popolo giapponese accoglie ed accetta anche se eventualmente professasse una fede religiosa diversa dallo Shintoismo, fosse, ad esempio, buddista; i buddisti infatti sono numerosi in Giappone. Questo avviene perché nello Shintoismo ci si riconosce in quanto giapponesi, prima e indipendentemente che esso sia accettato come verità religiosa. La realtà religiosa shintoista è composta da elementi diversi in cui un posto particolare spetta alle divinità, ai “Kami” appunto, ma di cui fanno parte anche altre componenti, come gli spiriti o anche alcuni fenomeni della natura.

È difficile stabilire quando lo shintoismo è sorto e si è affermato in Giappone; gli elementi che lo compongono appartengono alla preistoria di quel popolo, mentre una identificazione di esso che lo distingue da altre religioni si può considerare iniziata nell’ottavo secolo dopo Cristo, quando dopo la diffusione del Buddismo, in Giappone si fa distinzione tra la religiosità tradizionale, denominata appunto Shintoismo, e le nuove credenze che vengono introdotte e che appartengono alla tradizione buddista originaria dell’India. All’inizio dunque lo Shintoismo era un complesso di riti, cerimonie e culti di carattere agricolo e legate alle forze e ai cicli della natura, che venivano officiate dagli Sciamani. A partire dall’ottavo secolo dell’era cristiana assume una dimensione politica. Fu in quel secolo infatti che la tribù dei “Yamako” che si era assunta il compito di officiare le cerimonie religiose e i cui capi si erano proclamati “Capo dello Stato”, attribuì origini divine all’imperatore e alla sua famiglia. In questo modo veniva legittimato il potere dell’imperatore e sacralizzato il suo governo e con esso tutto l’assetto della struttura sociale e politica. Queste caratteristiche di sacralità si sono conservate nella storia del Giappone fino al termine della seconda guerra mondiale quando la natura divina dell’imperatore è stata sconfessata in un certo senso dagli eventi bellici che hanno visto l’imperatore, considerato di natura divina, sconfitto e con lui abbattuta la potenza giapponese ad opera soprattutto degli Stati Uniti d’America. Per farsi una idea meno approssimativa dello Shintoismo bisogna fare riferimento a quattro elementi essenziali che lo compongono, lo strutturano e lo caratterizzano in tutta la sua realtà: le Cerimonie religiose, gli Scritti sacri, i Miti e i Templi.

Le Cerimonie religiose sono costituite da preghiera, digiuni, offerte di oggetti personali o di prodotti della natura, riti purificatori ed altro del genere. Esse possono essere pubbliche, e queste si svolgono in particolari tempi dell’anno e in luoghi a ciò specificamente dedicati e riservati, oppure private, quando i singoli le compiono per proprio conto durante le visite che effettuano ai templi nelle circostanze più significative della vita, come ad esempio nella celebrazione dei matrimoni. Con le cerimonie religiose si intende rivolgere un culto ai Kami che sono divinità, ma intese come forze della natura legate a particolari località geografiche, quali montagne, grotte, pietre, ma anche alberi o altro. Lo scopo è ottenere da essi protezione ed assistenza. Tra le cerimonie, particolare importanza hanno quelle rivolte ad ottenere la purificazione. Il concetto di purezza nello Shintoismo è fondamentale; esso è inteso come allontanamento della morte e di ogni altra contaminazione derivante da cattiva condotta; per condotta cattiva si intende quella che ostacola o non favorisce il bene del gruppo. La contaminazione impedisce di potersi presentare ai Kami e di rendere da essi accettabili le proprie richieste. La purificazione, che avviene attraverso procedure rituali ben determinate, restituisce quella specie di innocenza indispensabile per essere fedeli shintoisti.

Per quanto riguarda gli scritti a carattere religioso è da precisare innanzitutto che lo Shintoismo – particolarità non indifferente rispetto alle religioni – non ha una “Scrittura sacra“ in senso stretto, come non ha trattati teologici che studino Dio, la sua natura e la sua relazione con gli uomini. Tutto questo esula dalla mentalità giapponese per la quale la religione riguarda il mondo presente. Gli scritti a carattere religioso presentano dunque racconti mitologici o riferiscono la storia di templi shintoisti e a volte anche buddisti; oppure contengono le norme da seguire nella religione nazionale, nelle cerimonie che si svolgono nei templi o sul modo di amministrarli. I più antichi di questi libri a carattere religioso appartengono al secolo Vlll d.C., presentano racconti mitologici sul passaggio dal governo dei Kami a quello degli uomini, raccontano storie sulla costruzione di templi e danno indicazioni su cerimonie sacre. Il loro contenuto costituisce la base di quelle dottrine e di quei riferimenti religiosi che sono patrimonio comune del popolo giapponese; ad esso si fa riferimento in modo particolare nei momenti in cui si sperimenta più intensamente il sentimento di nazionalità, come avvenne, ad esempio, nel periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale. Un’altra raccolta di libri religiosi appartiene al lX e X secolo d.C.; il suo contenuto è vario e spazia dagli avvenimenti politici alle preghiere da recitarsi durante le liturgie.

Questo complesso di scritti costituisce e contiene anche una specie di storia ufficiale del popolo giapponese, che prende le mosse da inizi leggendari o mitologici e arriva fino al lX secolo quando la storia ufficiale si può dire che si arresta

I miti propri della tradizione e della civiltà giapponese sono in stretto rapporto con gli scritti e la letteratura di quella cultura in quanto sono narrati e tramandati da essi, soprattutto dalle opere composte nel secolo Vlll. Le narrazioni mitologiche in particolare hanno lo scopo principale di mostrare l’origine divina dell’imperatore e della sua famiglia e quindi di costruire un fondamento sacro per il suo potere. La mitologia intende anche dare una spiegazione sull’origine del mondo e sulla sua conformazione, sulla natura del bene del male, sul mondo degli spiriti, sul luogo e sulla condizione dell’uomo dopo la morte. Tutti questi ambiti e riferimenti della mitologia vengono attribuiti all’ “Età degli dei”. Essa termina con il cosiddetto primo imperatore; a lui seguono dei regni di durata lunghissima, anch’essi sostanzialmente mitologici. Il primo sovrano storicamente fondato appartiene con probabilità al lll secolo dell’era cristiana. Qui si può dire che termina la mitologia del Giappone, o anche che qui comincia la sua storia.

Circa i templi è bene ricordare che il Giappone è caratterizzato in tutto il territorio dalla presenza di essi. I templi hanno dimensioni diverse, sono circondati da un recinto sacro ed hanno sviluppato un particolare tipo di costruzione che potremmo chiamare architettura sacra: i tetti e i portali sono gli elementi più caratteristici dei templi shintoisti che a volte incorporano strutture proprie dei templi buddisti. La parte più importante è quella centrale, una specie di stanza nella quale si ritiene che abiti la divinità. Spesso la stanza è vuota o vi si conserva uno specchio. I templi sono destinati ad onorare gli dei, i kami, e generalmente sono  consacrati a specifici Kami. Fino al termine della seconda guerra mondiale, quando lo Shintoismo era la religione di Stato, i giapponesi avevano l’obbligo di fare riferimento ad un tempio al quale erano legati e per il quale dovevano versare dei contributi obbligatori; oggi tutto questo non esiste più. Solo il tempio di Yasukuni è un edificio sacro della nazione giapponese perché vi sono conservati i resti dei caduti in guerra e pertanto costituisce una specie di sacrario nazionale.

È difficile o piuttosto impossibile un raffronto tra il Cristianesimo e lo Shintoismo, siamo in ambiti e contesti del tutto diversi. Il Cristianesimo è da Dio e ha per scopo portare l’uomo a Dio. Nel possesso di Dio, già in questa vita ma in modo pieno e definitivo nella dimensione eterna, l’uomo raggiunge il suo fine ed entra nella felicità “piena e duratura”, che per altro non è qualcosa di distinto e diverso da Dio stesso. Anche lo Shintoismo, come religione, intende procurare la felicità umana che si può ottenere con l’aiuto delle divinità. Queste sono benevole nei confronti dell’uomo; i loro interventi sono sempre a suo favore. Gli dei vogliono arrecare all’uomo benessere, soddisfazione e felicità piena. Si tratta però sempre di una felicità che si realizza in questo mondo ed  in questa vita; è quindi segnata dal limite, dal provvisorio e precario e cioè dalle caratteristiche della vita umana e di tutto ciò che è intramondano. Potremmo dire che lo Shintoismo è la religione della vita nel mondo e dei beni che il mondo può offrire. Essi sono doni degli dei, ma gli dei più di questo non offrono e non possono offrire. Il fine trascendente dell’uomo non rientra nella prospettiva schintoista, la vita terrena non è proiettata e non aspira ad una pienezza oltre il tempo della storia ed oltre l’orizzonte mondano. La religione shintoista non attende nulla e non promette nulla per un’altra vita.

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