Il favoloso mondo di Laozi parte seconda: i concetti di Wu xing e Wu wei

Roberto Favalli*

Vuoto, senza forma Wu Xing 无形

Il termine Wu Xing può essere tradotto come “senza forma”, “senza materia”: evoca l’idea dell’assenza, del vuoto.

Il nostro pensiero occidentale, illuminista, ha un’impostazione positivista, dando importanza a “ciò che è”, che si vede, si tocca, si misura, si quantifica. Il vuoto, il nulla, la mancanza, hanno spesso un’accezione non positiva e vengono indicati con il segno “meno”. Noi occidentali privilegiamo la parte mezza piena del bicchiere.

Secondo il pensiero daoista, la forma, “ciò che è”, la materia, determina la struttura dell’oggetto, ma la vera essenza delle cose è lo spazio, il vuoto che la materia circoscrive, “ciò che non è”. La bottiglia ha la sua forma ed è utile perché può contenere, ma è solo grazie al suo vuoto interno che può servire allo scopo, è lo spazio circoscritto dalle pareti materiali che rende la bottiglia utilizzabile. Le case e i palazzi sono costituiti da materia: i muri portanti e le tramezze divisorie che ne costituiscono la forma, la struttura. Essi sono indispensabili affinché l’edificio si regga, ma è lo spazio vuoto delle stanze, delimitato dalle pareti, a renderlo utilizzabile. Queste stanze, a loro volta, sono accessibili grazie ad un altro vuoto, la porta che si apre nella parete, e sono fruibili grazie ad altri vuoti nella materia, le finestre.

 

Nel capitolo XI del Daodejing si legge:

Convergon nel mozzo trenta raggi

Eppur è quel “nulla” (dove cosa non v’è) che rende il carro utilizzabile.

Argilla si cuoce per farne vasi,

Eppur è quel “nulla” che rende il vaso utilizzabile.

Porte e finestre s’aprono,

Eppure è quel “nulla” che rende la stanza utilizzabile.

Pertanto, è ciò che le cose “sono” o “hanno” a renderle utili,

È ciò che “non sono” o “non hanno” a renderle utilizzabili.

Laozi, Daodejing, capitolo XI

Il concetto di Vuoto vale non solo per le entità statiche, lo spazio, i volumi, ha valore altresì per gli elementi dinamici. Il fiume può accogliere nuova acqua che proviene da monte perché lascia scorrere l’acqua verso valle. Se si crea un ostacolo, l’acqua si accumula e tracima.

Il cuore può riempirsi di sangue, dilatandosi, perché al battito precedente si è svuotato, contraendosi. Se il cuore non si svuota completamente, non riesce ad accogliere nuovo sangue e tutto il sistema circolatorio a monte s’ingorga: i polmoni congesti si riempiono di liquidi e compare l’edema polmonare, il fegato si dilata, le gambe si gonfiano. È il quadro clinico conosciuto come scompenso cardiaco congestizio, potenzialmente letale.

Il cuore, però, non è solo la nostra centrale idraulica, è anche la nostra centrale affettiva. In tutte le epoche ed in tutte le culture il cuore è sempre considerato la sede degli affetti. Secondo il pensiero daoista, il Cuore, Xin, così come accoglie e non trattiene il sangue, altrettanto deve fare con i sentimenti. Il Cuore deve accogliere tutto senza trattenere nulla, per rimanere sempre vuoto, accogliente, in quiete. Se coltiviamo sentimenti quali risentimento, invidia, rancore, oppure desideri eccessivi ed ambizioni smodate, il Cuore sarà ingolfato, congesto, inquieto. Questo concetto, saldamente radicato nella cultura cinese, viene espresso molto efficacemente anche nella scrittura. Il carattere (impropriamente chiamato ideogramma) corsivo di Xin, Cuore, infatti, si scrive così:

 

 

 

 

 

Il carattere cinese Xin, Cuore

 

Il carattere è aperto in alto, dove sono indicati tre tratti che potrebbero corrispondere in senso anatomico all’aorta e agli altri vasi sanguigni, ma che si potrebbero interpretare, in senso affettivo, come i sentimenti che “calano” nel cuore. Al centro, il carattere è vuoto, per poter svolgere le sue perenni funzioni di accoglienza e rilascio del sangue e delle emozioni.

La filosofia daoista ci invita a vivere tutto con piena passione e sereno distacco, lasciando tutti gli accadimenti della vita quotidiana al di là di un sottilissimo diaframma impermeabile che deve proteggere il nostro io più intimo, il nostro Cuore. Si può ottemperare a questa esortazione vivendo la vita di tutti i giorni, svolgendo le proprie mansioni con impegno e soddisfazione, senza la necessità di allontanarsi dal mondo, chiudersi in un monastero o vivere in meditazione come vorrebbe invece il pensiero buddhista. Sul concetto di Vuoto, il Daoismo e il Buddhismo cinese trovano un forte elemento comune, ma poi si differenziano nettamente sul metodo. Il Buddhismo richiede pratica, applicazione, rigore, sacrificio, mentre per il Daoismo, almeno nella sua componente filosofica originaria (Dao Jia), è sufficiente seguire le regole naturali che ognuno ha dentro di sé per riuscire nello scopo.

A tal proposito, una storiella daoista narra di un vecchio che viveva in uno sperduto villaggio dell’antica Cina e considerato da tutti un grande saggio. Egli, però, non aveva messo in atto nulla volontariamente per meritarsi questo titolo: svolgeva la sue mansioni di tutti i giorni, dava da mangiare ai polli, dava da bere all’orto, badava alle sue piante da frutto, ma coloro che lo vedevano percepivano in qualche modo la sua grandezza spirituale. Come avveniva in quei tempi, spargendosi la sua fama, arrivarono i discepoli, desiderosi di apprendere l’arte del grande Maestro. Il vecchio saggio, però, non cambiò la sua vita, continuando imperturbabile nelle sue attività quotidiane, senza dare relazione ai seguaci, né tenere lezioni o discorsi. I suoi allievi imparavano dal suo esempio. La storia vuole che un giorno, mentre il vecchio stava riposando all’ombra di un grande albero, uno dei suoi discepoli, il più ardito o forse il più impaziente, osò rivolgergli la parola: “Maestro, dimmi, come hai fatto a diventare così grande!”; e il vecchio: “Non lo so, mangio quando ho fame e dormo quando ho sonno” (cioè “mi conformo alle regole naturali che ho dentro di me”).

 

Agire senza agire, Wu Wei

È uno dei concetti cardine della filosofia daoista, e mette a dura prova la logica ed il rigore razionale del pensiero occidentale. Wu è il termine di negazione, significa “non; essere senza”, e Wei significa “fare, agire, adoprarsi”. Usualmente viene tradotto come “non-agire”, oppure “agire senza agire”. Lontano dal significare rinuncia, ritirata, inattività, è invece la condizione e la forza stessa dell’azione autentica ed efficace. È il modo daoista di concepire l’azione

Il “non-agire”, non significa restare in uno stato passivo, statico, fisso, non muoversi, oziare, lasciarsi vivere, non è quindi “non fare nulla” bensì arrivare ad un’azione adeguata, efficace nella misura in cui si conforma alle leggi della natura. L’esempio classico è la barca che naviga sull’acqua. La barca non sa, non decide di galleggiare, eppure galleggia, l’acqua non sa, non decide di trasportare, eppure trasporta. Entrambi gli elementi, la barca e l’acqua, esercitano un’azione senza sforzo, senza forzature, semplicemente rispettando un equilibrio dettato dalla natura. Le leggi naturali che reggono l’intero universo sono perfette, per un semplice motivo: perché non sono state inventate dall’uomo. La natura è perfetta proprio perché non è frutto della mente limitata dell’uomo, ma è l’espressione tangibile di un Essenza superiore, dell’Entità creatrice di tutto l’universo.

Un’altra suggestiva traduzione di Wu Wei è “agire inconsapevolmente” lasciare che le cose maturino da sole, se ve ne sono i presupposti, senza interferire nello svolgersi spontaneo e naturale degli eventi. È un modo di agire non interventista.

Ognuno di noi può trovare nella propria vita innumerevoli esempi che confermano questa esortazione. Quando io mi sono accostato alla lettura del Daodejing ho cercato di soddisfare un desiderio personale, l’ho fatto per un’esigenza interiore, per il piacere della lettura in sé. Non avevo certo programmato che quella lettura mi avrebbe poi permesso di scrivere questo articolo o di tenere delle lezioni: questi sono obiettivi creatisi spontaneamente, senza una decisione programmata, sono azioni inconsapevoli. Mentre sto scrivendo questo elaborato, probabilmente sto gettando le basi per eventi futuri a me del tutto ignoti. Si potrà obiettare che l’agire inconsapevolmente rappresenta il frutto di un’azione consapevole, razionale, programmata, e questo è vero. L’aspetto veramente importante, però, è che tanto più siamo in grado di dare voce al nostro io profondo, tanto più le nostre azioni consapevoli sono espressione di nostre vere esigenze interiori, di pulsioni profonde, di vocazioni intime, tanto più si verranno a creare spontaneamente i presupposti per la realizzazione delle nostre vere aspirazioni.

Questa affermazione daoista, espressione della presa d’atto di una legge naturale, si può facilmente rintracciare in molteplici aspetti della nostra vita.

Leggiamo, ad esempio, una poesia a mio avviso profondamente daoista anche se non è di un poeta cinese dell’antichità. È una poesia di W. B. Yeats, poeta irlandese del secolo scorso, che, mentre narra un momento della vita di un uomo, inconsapevolmente, credo, illustra pienamente il concetto di “agire senza agire”.

 

Nel giardino dei salici, di W. B. Yeats

Nel giardino dei salici ho incontrato il mio amore;

là lei camminava con piccoli piedi bianchi di neve.

Là lei mi pregava che prendessi l’amore come viene, così come le foglie crescono sugli alberi.

Così giovane ero, io non le diedi ascolto;

così sciocco ero, io non le diedi ascolto.

Fu là presso il fiume che con il mio amore mi fermai, e sulle mie spalle lei posò la sua mano di neve.

Là lei mi pregava che prendessi la vita così come viene, così come l’erba cresce sugli argini del fiume;

ero giovane e sciocco ed ora non ho che lacrime.

 

La poesia, mirabilmente tradotta da Luisa Zappa e messa in musica dal marito Angelo Branduardi, è interamente pervasa di spirito daoista (Là lei mi pregava che prendessi l’amore come viene; Là lei mi pregava che prendessi la vita come viene…), ma in due passaggi è espresso con chiarezza il concetto di “agire senza agire” o di “agire inconsapevolmente: “così come le foglie crescono sugli alberi…; così come l’erba cresce sugli argini del fiume”. Le foglie e l’erba non sanno di crescere, eppure lo fanno; non sanno cosa sono le stagioni, eppure non sbagliano mai: spuntano, crescono, appassiscono e cadono inconsapevolmente, senza sforzo, senza tribolazioni, seguendo una legge naturale. Non hanno bisogno di apprendere, di studiare, di imparare: tutto ciò che a loro serve è già innato nel loro stessa esistenza.

Per raggiungere i nostri obiettivi, quelli veri, profondi, insiti nel nostro essere, non è necessario applicarsi in maniera esasperata, affannarsi senza requie, anzi, così facendo c’è il rischio di perdere di vista la nostra rotta ideale, disperdendoci compulsivamente in mille attività banali e senza importanza.

Al passo XXXXVIII del Daodejing si legge:

Chi allo studio si vota, di giorno in giorno accumula,

Chi della Via (il Dao) ha sentor, di giorno in giorno sottrae.

Sottrae e ancora sottrae, Fino a cessare d’adoprarsi.

In tal modo non vi sarà cosa che non sarà fatta.

Se conquistar il mondo intendi, sempre evita d’adoprarti.

Finché affaccendato resterai,

Il mondo non potrai certo far tuo

Laozi, Daodejing, cap. XXXXVIII

Alcune precisazioni: “chi allo studio si vota…” è probabilmente un accenno polemico nei confronti dei confuciani che vedevano nello studio rigoroso e perseverante una delle regole fondamentali per realizzarsi nella vita. Secondo la visione daoista, invece, una volta acquisiti gli strumenti didattici adeguati, non è più necessario continuare ad applicarsi costantemente sui libri, ma è preferibile lasciare crescere spontaneamente la conoscenza dentro di noi. Questa raccomandazione vale anche per la medicina. Per imparare ed esercitare la Medicina Occidentale scientifica bisogna continuamente studiare e aggiornarsi; la Medicina Cinese, invece, va studiata approfonditamente nei suoi elementi di base, poi la si può far maturare lentamente. Si dice che la Medicina Occidentale va “studiata”, la Medicina Cinese va “meditata”.

Una definizione a dir poco perfetta di Wu Wei si deve ai già citati professori Andreini e Scarpari: “Wu Wei è l’assenza di un agire, nella piena consapevolezza che un agire esiste già al di là del nostro eventuale non agire.”

Bibliografia essenziale

Andreini A., a cura di, “Laozi-Genesi del “Daodejing”, Biblioteca Einaudi, 2004

J. J. L. Duyvendar, a cura di, “Tao Te Ching, il libro della Via e della Virtù”, Adelphi, 1973

Liou Kia-hway, a cura di, “Zhuang-zi [Chuang-tzu]”, Adelphi,1982

Tomassini F., a cura di, “Lieh-tzu”, Editrice TEA, religioni e miti, 1988

Fung Yu-Lan, “Storia della filosofia cinese”, Arnoldo Mondatori Editore, 1956

Larre C., Berera F., “Filosofia della Medicina Tradizionale Cinese”, Milano: Jaca Book, 1997

Grigg R., “Il Tao della barca”, casa editrice Corbaccio, 1994

Muccioli M., Piastrelloni M, “Gli Shen. Il mondo delle emozioni nella pratica clinica tradizionale cinese”, introduzione del dott. Lucio Sotte, Quaderni di Medicina Naturale XIII-XIV. Supplemento della Rivista Italiana di Medicina Tradizionale Cinese n°76 (2-1999).

Altri contributi

“Laozi e il Daodejing”, da: “Uomini e profeti”, trasmissione radiofonica di Rai Radio Tre, a cura di Gabriella Caramore, con Attilio Andreini e Maurizio Scarpari, del 17-24 aprile, 1-8 e 15 maggio 2005. www.uominieprofeti.rai.it

“Branduardi canta Yeats – dieci ballate su liriche di William Butler Yeats”, Angelo Branduardi, EMI Italiana. CD musicale ristampato nel 1992

Angelo Branduardi, “Nel giardino dei salici”, brano tratto da “Le Grand Echiquier”, concerto parigino dedicato alla “Médecine Française”, autunno 1986. Video proposto da CHalsace e visionabile in YouTube