I Commentari di Padre Matteo Ricci: un resoconto della Cina del 1600 attualissimo per gli europei del III millennio – capitoli III e IV

Matteo Ricci*

Capitolo III

Delle cose che la terra della Cina produce

1. Fertilità della Cina in frumento, orzo, miglio, riso, legumi, frutti, fiori, betel, arecca, oli e vini. 2. Animali di cui si suol mangiare la carne. 3. Cavalli, pesci, tigri, orsi, lupi, volpi, elefanti. 4. Lino, cotone, seta, velluto, canapa, lane, tappeti, pelli. 5. Ottone, ferro, oro, argento, moneta; zecca. 6. Grande produzione e commercio di porcellana esportata fino in Europa. Vetro. 7. Piante: quercie, cedri, bambù; carbon fossile. 8. Piante medicinali: rabarbaro, moscato, legno santo, salsapariglia. 9. Sale di mare, di pozzi e di stagni; zucchero, miele e tre varietà di cera. 10. Varie qualità di carta: differenze dalla carta europea. 11. Pietre preziose, rubini, perle; colori; muschio, profumi; bitume. 12. Grande varietà, preparazione e uso del tè in Cina e in Giappone. 13. Molteplice uso della vernice, chiamata ciorone dai Portoghesi di Macao. 14. Spezie: cannella, zenzero, pepe, garofani, nocemoscata, aloe, calambà ecc. 15. Salnitro per polvere da sparo e per fuochi artificiali.

 

Per essere questa terra grande e stesa, non solo da levante a ponente, come la nostra Europa, ma anco dal settentrione al mezzogiorno, produce tutta insieme più varietà di cose che altra nessuna; posciaché contiene più varietà di climi, da la varietà de’ quali dipendono le cose che si producono, ricercando une, terra fredda, altre, caldo, et altre, temperata. E così ne’ sui libri di cosmografia si descrive molto copiosamente quello che ogni provincia e ogni regione produce, che sarebbe cosa lunga tutto qui riferire.

 

“Padre Matteo Ricci è il missionario gesuita (Macerata 1552 – Pechino 1610) che annunciò il cristianesimo in Cina e gettò il primo vero ponte culturale tra Oriente ed Occidente. È stato autore di numerosissime opere scritte in cinese per diffondere in Estremo Oriente gli aspetti più significativi della cultura europea (religione, matematica, astronomia, filosofia etc) ma scrisse anche i Commentari della Cina per far conoscere in Europa le meraviglie della cultura e civiltà cinese. È un piacere diffondere questo testo opera di un mio concittadino, visto che Olos e Logos viene editata a Civitanova Marche, in provincia di Macerata, dove Matteo Ricci nacque nel 1552

Lucio Sotte

 

E si può dire insomma quello che tutti i scrittori dicono di essa, essere molto abondante di tutte le cose necessarie al vitto, vistito, colto et anco vezzo humano. Puosi anco dire essere in essa tutte le cose di Europa.

Percioché è fertile di biade e vittuvagli, vi è frumento, orgio, miglio panico, sagena et altri diversi. Ma di gran riso, che è il più commune loro vitto, come di pane fra noi, ve ne è in molto maggiore abundantia che tra di noi. Oltre i legumi, specialmente fascioli, che ne pascono anco gli animali. E di queste sorti de biadi in molte provincie seminano e raccogliono due e tre volte nell’anno. Di dove si vede anco la industria di questa gente, la bontà della terra et abundantia della cosa più principale al vitto humano.

De’ frutti, anco, fuora di mandorle et olive, nessuna delle principali ve ne mancano, e ne hanno molte altre che mancano ne’ nostri paesi; come nella provincia di Cantone et altre al mezzogiorno, hanno licie e longane, frutta assai dilettevole al gosto; cocchi, che sono le noci indiche, e due altre sorti, che si chiamano suzu e paziao con le più belle melarancie et frutte di alberi spinosi, che in nessuna altra parte del mondo.

L’istesso si può dire di cose che nascono negli horti, delle quali più usano che noi, per esser molti fra la gente più bassa che tutto l’anno si sostentano di queste cose.

Dei fiori anco non mancano, ma fanno loro più caso della bella apparenza agli occhi che del bello odore; e così tra loro è incognita l’arte dello stillare, sì ne’ fiori come nelle herbe. Nelle quattro provincie più al mezzogiorno vi è la foglia del betre e l’albero di arecca, come nella India, della quale tutto il giorno masticano, con grande loro gosto, huomini e donne, mescolata con calcina viva; e dicono essere assai calda et utile allo stomaco.

Non avendo olio di oliva lo fanno pure assai buono, per condire le vivande e per ardere, di molte più cose che noi; ma il principale e migliore è di gergellino, per il che in ogni terra ve ne (è) abondantemente.

Ne’ vini sono assai inferiori a’ nostri, benché loro si persuadeno tutto il contrario; percioché producendo la terra puoca uva e puoco dolce, non fanno di essa vino, ma lo fanno di gran riso et altre molte maniere che fa esser la terra pieno di esso. Con il quale stanno contentissimi, perché nel vero et è di assai buono sapore, e non è tanto adustivo come il vino di uva.

La carne ordinaria è di porco; ma non vi mancano altri animali, come boi, bufali, pecore, capre, galline, anatre e oche, con cavalli, e muli, e cani, che loro vendono ne’ macelli come ogni altra carne. In alcuni luoghi, o per soperstitione o per non far danno alla agricultura, si astengono di amazzare boi o bufari.

Vi sono anco in ogni parte carni di caccia, di cervi, lepri et altri ucelli, non molto cara.

E così possiamo dire di essere anco simili alla nostra di animali.

I cavalli et altri giumenti da cavalcare, se non arrivano alla bellezza de’ nostri, almanco arrivano alla multitudine et abondanza, e ci passano nel vilezza del prezzo della vittura.

Non sanno scozzonare i cavalli, e così sogliono castrare tutti quei che servono al loro uso, etiamdio quei di guerra che sono moltissimi; ma solo all’udito de’ cavalli de’ Tartari fuggono, e così sono assai inetti per le battaglie, oltre non essere ferrati e non poter resistere i piedi in camini di pietre.

E questo ne’ luoghi dove i fiumi non stanno tanto alla mano; percioché è tanto distinta e piena questa terra di fiumi che, quasi per ogni parte, si può andare per camino di acqua, parte per fiumi naturali, parte per altri canali fatti per opera et industria humana. E da qui avviene l’incredibile multitudine di barche che vi sono nella Cina per il loro trafico e viaggi, che fece dire, ad uno de’ nostri scrittori, che tanta gente in essa stava sopre l’acqua come sopre terra; il che, sebene non è vero, nondimeno è cosa che può parer vera a quei che solo fanno viaggio per i loro fiumi.

Di qui anco si segue l’abundantia del pesce, non solo di mare, dal quale è bagnata dalle due parti del levante e del mezzogiorno, ma anco di molti lachi e fiumi che paiono bracci di mare per la loro grande larghezza e profundeza, oltre molti vivarij di pesce, assai più soliti che tra’ nostri, dove pescono pesce per vendere e per i loro usi, che in tutto l’anno mai vi manca.

Nelle loro selve non vi sono leoni, ma molti tigri, ursi, lupi e volpi.

De elefanti solo in Pacchino ne sono sostentati molti, solo per piacere e magnificentia, venuti di altri regni di fuora, et in nessuna altra parte ve ne sono.

Non hanno lino, e così il loro più comun vestire è di tela fatta di bambace, il cui seme, sebene da quattrocento anni inanzi non vi era nella Cina, con tutto adesso pare che ne ha tanta copia che la può communicare a tutte le parti del mondo; tanto fertile di essa si ritruova essere questa terra.

Doppo questa viene la seta. Questa ci fa dubitare se ne hanno più che le nostre terre, per vedere tutto ripieno di essa; della quale fanno pezze di raso, di taffettano, di damasco, et adesso anco velluto, e tutto quanto tra noi si fa, tre o quattro volte più buon mercato che tra di noi.

Vi è anco molta canova et altre erbe di che fanno varie tele, specialmente per l’uso della state.

Sebene di pecore non fanno cascio, e quello puoco che usano di latte è solo di buoi, con tutto fanno molta lana, nella quale pure ci cedono, non sapendo fare panni di lana; e così qua è molto caro e stimato il nostro panno.

Fanno pure di essa molte sargie e molto più feltri per le berrette e cappelli della gente ordinaria, et in luogho de’ nostri tappeti ne’ quali dormono e fanno le loro cortisie. Di questo l’uso è maggiore nelle parti settentrionali, le quali, sebene non stanno in tanta altezza di polo come le nostre, imperò il freddo è maggiore o uguale, congelandosi le acque de’ lachi e de’ grandissimi fiumi, senza potersi saper bene la causa di ciò. Di questi freddi si riparano anco con assai buone pelle di volpe, martellini et altri animali.

Tutti i metalli tengono, senza nessuna excettione, copiosamente. Oltre l’ottone giallo, fanno un ottone bianco, che pare argento, dell’istessa valuta che il giallo.

Ma del ferro colato fanno assai più opera che i nostri, come sono caldari, laveggi, pignatte, campane, mortali, cancelli, fuoconi, artigliarie, celate, mazzi et altri simili, che costano assai puoco.

L’oro assai fino vale molto manco che tra noi.

L’argento è la loro moneta ordinaria, senza batterlo; e così in tutte le compre si ha anco da pesare il prezzo, che è l’argento; che è cosa assai difficile per la varietà della finezza di esso che loro fanno e falsità che in esso si fa continuamente. Solo vi è qualche uso di quatrini di ottone fatti nella zecca regia.

Si fanno anco molti vasi di oro et argento tra la gente grave, ma assai manco che tra di noi. Le donne ancora negli ornamenti della testa ne consumano molto.

Ma quanto all’ordinario de’ vasi della tavola vi è la porsolana, così detta da’ Portoghesi, che è la più netta e bella cosa del mondo. La più fina di essa si fa nella provincia di Chiansino, dove vi è la terra di che essa si fa; e da qui si spande per tutto il regno in somma copia, e se ne manda anco ad altri regni sino ad Europa. È bella nell’apparenza e netta, che è quello che più si ricerca nel mangiare, e non si fende né rompa con cose calde e ferventi.

Adesso fanno vitrio, ma assai inferiore al nostro.

Quasi tutti gli edificij, anco quello del palazzo regio, sono di legno. Di dove e dalla multitudine di barche e navilij nel mare, fiumi e lachi, che habbianmo detto, si infere quanto piena sia la terra di alberi, communemente della stessa specie che i nostri.

Non vi ho viste quercie; ma ve ne è una sorte, che chiamano legno di ferro, incorruttibile e fortissimo, assai superiore alla quercia.

Vi è anco cedro, ma parmi che l’uso di esso, e per rare cassoni de’ morti, de’ quali in questa terra si fa molto caso, et alcuni ve ne sono che costano mille scuti l’uno.

Vi è anche una sorte di canna che i Portoghesi chiamano bambù, dura come ferro. E  la grossa non si può abbracciar con doi mani; e, sebene è vacua e distinta con cannelli e nodi, e però può servire per colonnello e di haste per le armi, cesti ed altri usi, che sarebbe lungo dichiararle.

Questa non vi è in ogni parte, ma in quelle dell’ostro, da’ quali si porta per tutta parte.

Per il fuogo non solo hanno le legna delle selve, carbone, canne e paglia come noi, ma vi è in questa terra un bittume o tufo, che loro chiamano mui, molto eccellente per questo effetto, senza nessuno fumo, il migliore nelle parti settentrionali. Questo si cava di varie miniere, che mai finiscono, e si vende ad assai buon mercato, per uso della cocina e delle stufe in queste parti settentrionali.

Delle cose medicinali produce questa terra alcune che non si ritruovano in nessuna altra parte, specialmente il reubarbaro et il moscato, che i saracini della Persia per terra portano alle altre parti del mondo e vendono sì caro, valendo qua sì puoco; percioché il reubarbaro val doi baiocchi la libra, et il moschato sei o sette ducati.

Qua anco nasce il legno santo e salsapariglia nelli deserti, et non costa più che irlo a cavare dalla terra.

Il sale non tutto si raccoglie dalle parti marittime; ma nelle provincie assai lontane dal mare vi sono acque di che fanno sale con molta facilità, e così ogni provincia adonda di esso. Con tutto, per essere l’uso di esso sì grande, molte delle entrate del Re sono per via del sale, et i magiori mercanti della Cina sono quei che traficano in sale.

Maggiore è l’uso tra di loro di zucaro che di miele, avendo di ambedue le cose eguale abundantia.

Quanto la cera, non solo vi è quella delle api, ma anco un’altra assai più bella e bianca, fatta pure di certi vermini che sostentano in alberi, che solo servono a questo uso; et è più dura e più relucente quando di essa fanno candele, né è tanto glutinosa. Un’altra anco ve ne è, fatta di un frutto di un albero, non inferiore a questa nella bianchezza, ma di molto manco luce.

Come in queste parti è grande l’uso della carta, facendo varie cose di essa, oltre i libri e lo scrivere, così si fa essa di assai varie cose, ma cedono molto alla nostra, e tanto che in nessuna sorte di essa si può scrivere nè stampare in ambe le parti, ma di una sola. E così, ad ogni nostro foglio rispondono doi dei suoi; e facilmente si rompe e dura poco. Con tutto questo fanno  foglia grandissime di doi e tre passi in quadrati, et è bianchissima quella che è fatta di bambace.

E lasciando le pietre di marmore, mischi et altri colori, et gli rubini, perle et altre cose pretiose, colori assai fini, odori di legno et altri bittumi, dirò di doi o tre altre cose a noi incognite.

Una è d’un arbucello infruttifero delle cui foglie fanno il cià, cosa assai pregiata in quelle parti et anco nelle circumvicine, cui uso non è antiquissimo nella Cina per non ritrovarsi tal lettera ne’ libri antiqui; e così pare che ne’ nostri boschi vi sarà anco questo genere di arboscello. Queste foglie cogliono nella primavera e seccano all’ombra; e guardano per fare una decottione di acqua, della quale usano molto, per essere di molto gosto al bevere et utile alla buona dispositione e digestione, bevendosi sempre assai calda e tutto il giorno, si può dire.  Percioché, non solo alla tavola, ma anco tutte le volte che viene uno di fora alla loro casa, la prima cosa che si presenta a tutti è una tazza di cià per bevere, e di poi va continuando, se sta molto tempo, tre o quattro volte. Ve ne è di molte varietà, uno più perfetto che l’altro; e così vale alle volte uno scuto alla libra et altre doi e tre.

Nel Giappone è più caro, e vale dieci e dodici scuti il più fino. Ma per l’uso di esso è qualche cosa differente dalla Cina; perchè nel Giappone macinano  queste foglie come farina e depoi in ogni tazza de acqua calda ne bottano uno o doi cocchiaretti, e così insieme con l’acqua lo bevano. Nella Cina mettono in un vaso di acqua calda una mezza oncia di queste foglia, e de quella acqua bevono lasciando le foglia nel vaso.

L’altra cosa è una vernice, fatta di un bittume che cavanolo dalla scorza di certi alberi, come latte di esso glutinoso, che chiamano i Portoghesi ciorone, con il quale invernicciano le tavole, le porte, i letti, le barche, le case e tutte le massericie di legno, dandoli varij colori che fanno parere tutto di osso brunito; cosa molto bella agli occhi e netta per l’uso de dette massaricie, che durano molto tempo. E questa è la causa delle Cose dei Cinesi e Giapponi parere così belle e lucide; percioché tutto legno cuoprono di questa vernice, e non si vede nessun colore proprio di legno. E di qui anco avviene che né Cinesi né altri popoli, che hanno di questo ciorone, pongono tovaglie nelle loro tavole; percioché ogni tavola sta coperta di questa vernice che pare uno specchio. E dipoi di mangiare, lavano con acqua o nettano con panno la tavola; e resta così lustra come prima, per non potere attaccarsi niente ad esso per esser molto liscio e duro.

Di questi alberi si potrebbono facilmente portare piante alle nostre terre; ma nessuno sin ora vi fu che procurasse questa bella opera.

Oltre questo ciorone vi è anco un olio, fatto di un frutto assai simile a esso, che cotto serve per lo stesso effetto e ve ne è assai magior copia.

Tiene anco questa terra tutte le droghe, molto sufficientemente la cannella et il gengibero, perché nascie copiosamente in sua terra. Delle altre, come di pepe, garofani, noce moscata, aloe o aquila, e calambè, coralli, ebano, avolio, rosamaglia, storace, sandalo, et altro stanno assai presso alle terre di Malucco, di dove è portata per mare ai nostri paesi; e così qui tutto val puoco, e non è tenuto per cosa sì pretiosa come tra’ nostri.

Finalmente è fertilissima questa terra di sanitiro. Ma l’uso di esso non è tanto per far polvere per la guerra, nella quale usano puoco di archibugi e molto manco di bombarde o artiglieria, ma tutta si spende in giochi di fuochi artificiosi, che fanno tutto l’anno nelle loro festi con tanto artificio, che nessuno de’ nostri lo vede senza grande meraviglia; facendo varie invenzioni di fiori, di frutta, di battaglie e girandolo nell’aria, tutto con questo artificio di fuocho. E un anno in Nanchino giudicassimo che in cerca d’un mese, nel principio dell’anno novo, si spese più sanitiro e polvera di quello che si spenderebbe tra di noi in una guerra continua di due o tre anni.

 

Capitolo IV

Delle arti meccaniche di questa terra

1. Ragioni dell’imperfezione delle opere artistiche in Cina.                 2. Architettura ed edilizia: edifici a pianterreno e senza fondamenta.  3. Stampa su forme di legno, e abile riproduzione per calco.                  4. Inferiorità della loro pittura e scultura e delle loro campane.               5. Strumenti musici, musica e canto; introduzione degli organi e dei gravicembali europei. 6. Varie specie di orologi e loro imperfezioni; orologi equinoziali sbagliati. 7. Rappresentazioni teatrali,                 specialmente durante i conviti. 8. Grande varietà di sigilli per             autenticare le proprie opere. 9. Inchiostro cinese; sua preparazione e suo uso. Pennelli da scrivere. 10. Grande varietà di ventagli; uso generale di essi; regali che se ne fanno. 11. Uso di tavole alte per la mensa, di sedie e di letti.

 

Conciosia cosa che e per fama e per chiara notitia sappiamo l’essere questa nazione di grandissimo ingegno et industria, dalle cose che nel Capitolo di sopra si disse, facilmente si può raccogliere essere in questo regno ogni arte in grande perfettione; poi a nessuna manca né la materia né la sua paga e mercede che fa fiorire tutte le arti. E così in questo Capitolo non farò altro che toccare qualche cosa in che tra’ nostri artigiani et i loro vi sia qualche differentia.

Et una è assai ordinaria che, per essere i Cinesi moderati e parchi nelle sue cose, non fanno molto grande spese. E di qui avvieni che gli arteggiani non sempre pongono le sue forze tanto in fare l’opre sue molto perfette, quanto in farle con puoca spesa di danari e di tempo, per potere vendere tutto a molto miglior mercato; e soventemente falsificano molte cose e non gli fanno altro che una bella apparentia. Nel che, pare a me, sono contrarij i nostri (e così loro lo confessano), che tutto fanno con molta perfettione per venderlo di poi più caro. E questa imperfettione delle opere nella Cina molto più notabile è in quelle che fanno ai magistrati, per essere da loro pagati con manco prezzo che dagli altri, e essere fatti venire per forza a fare le loro opere.

Nella architettura sono inferiori ai nostri, sì nella bellezza come nella fortezza degli edificij. Nel che non so si sieno più di biasimare i nostri che i Cinesi, i quali non edificano se non per durare gli puochi anni che hanno di vita e non migliaia di anni come i nostri. Et il commune etiamdio dei grandi palazzi del Re et altri signori sono appié piano e senza cantina sotto la terra. E così non ponno né credere né imaginare la magnificentia delle nostre fabbriche publiche e de’ particolari; e stupiscono quando gli diciamo che ordinariamente le nostre case durano centinaia di anni, e ve ne son alcuni edificij di mille e due milia anni, che stanno anco in piedi e molto forti. E siccome la causa de durare i nostri tanto, sono gli alti e buoni fondamenti che gli facciamo, alle volte più profondi di quello che hanno d’essere alti; così la causa di durar puoco i loro è perché, o non vi fanno nessuno fundamento, se non fosse il porre sotto qualche pietra e battere la terra, o si lo fanno, non sono di un braccio o doi di fundo, anco i muri, torri et altri edificij altissimi. E così puochi arrivano o passano di cento anni, anco gli edificij de’ muri delle città e palazzi regali, senza l’esser renovati molto soventemente, oltre che, come habbiamo detto, gli edifici delle loro case sono la magior parte di legno.

La stampa tra loro è più antica che fra noi, poiché l’anno più di cinquecento anni addietro; ma è assai diversa dalla nostra. Percioché le sue lettere sono moltissime e difficilmente si potrebbe usare del nostro modo, sebene adesso ne sogliono fare qualche cosa per via di composizione di lettere. Percioché il loro commune è l’intagliare in tavole di alberi di pera o mela, le quali sono liscie e non hanno nodi, o di giuggiume, nelle quali incollano al riverso il foglio di lettera o di pintura che vogliono intagliare. E dipoi con molta destrezza gli cavano tutta la carta, non restando nella tavola quasi altra cosa che la tinta della lettera o pintura; e dipoi con istrumenti di ferro cavano tutto quanto vi è de tavola fuora e dentro delle lettere un puoco fondo, non rimanendo alto altra cosa che le lettere e tagli della pintura. E dipoi stampano sopre queste tavole quanti fogli ne vogliono. E questo viene assai più facile nella loro lettera, che sempre è molto maggiore della nostra, e non si potrebbe fare agevolmente ne’ nostri libri.

E quanto alla facilità e prestezza, parmi che, nello stesso tempo, o puoco manco, che i nostri stampatori compongono et emendano un foglio, nell’istesso i loro intagliatori intagliano una tavola; e così costa molto manco stampare un libro a loro di quello che costa ai nostri. E vi è nel loro modo una grande commodità, che è stare le tavole sempre intiere, e potersene stampare puoco a puoco quanto se ne vuole, et anco emendare quello che si vuole doppo tre e quattro o molti anni, per esser facile mutare una parola et anco molte righe insieme con rimendare la tavola. Di qui viene la multitudine de’ libri che in questo regno si stampa, ognuno in sua casa, per essere anco grandissimo il numero di quei che attendono a questa arte di intagliare.

Perché, dipoi di intagliate le tavole di un libro, puoco costa lo stampare, come in nostra casa, di alcuni libri che habbiamo intagliati, i servitori di casa gli stampano quanti ne habbiamo bisogno.

Un’altra arte di stampare vi è in pietra et anco in legno, che è, avendo intagliato qualche libro o epitafio, et anco pintura, direttamente poi sopr’esso battono fogli di carta bagnata sopre feltro, tanto che fanno entrare la carta dentro delle lettere o linee della pintura. E lasciato poi seccare, con molta leggierezza e destrezza tingono la carta di sopra, restando le lettere o linee della pintura bianche.

Essendo i Cinesi amicissimi della pintura non possono però arrivare ai nostri e molto manco alla statuaria et arte di fondere o getto, tutto anco di molto uso tra loro, sì per varij archi e statue che fanno di uomini et animali, di pietra e di bronzo, come per i loro idoli e simulacri negli templi, con le campane, incensieri grandissimi che tengono avanti agli idoli et altre opre artificiose. E parmi che la causa di non essere loro eminenti in simili arti fu la puoca o nessuna communicatione che hebbero con altre nationi dalle quali potessero essere agiutati; poiché nella destrezza delle mani e buon ingegno non cedono a nessuna natione.

Non sanno pingere con olio né dar l’ombra alle cose che pingono, e così tutte le loro pinture sono smorte e senza nessuna vivezza.

Nelle statue sono infelicissimi, e non so che habbino altra regola nelle proportioni e simmetria che dell’occhi, i quali, in cose grandi, si ingannano molto facilmente. E fanno pure figure grandissime sì di pietra come di bronzo.

Le campane tutte si suonano con martelli di legno e non potrebbono resistere a martelli di ferro; e così nel suono non si posono paragonare alle nostre.

De’ instrumenti musici hanno e copia e varietà, ma non hanno organi né gravicembali o manicordi. Le corde sono tutte di seta cruda, e non sanno l’uso di queste altre fatte de budelle di animali; ma temprano gli instrumenti come noi con l’istessa consonantia, sebene la musica tutta è di canto piano senza la varietà de voci, di basso, alto, tenore, e canto de’ nostri.

E così tra loro mai fu vista tale consonantia nelle voci, ma stanno contentissimi con la sua, pensando che nel mondo non vi è altra musica. Con tutto ciò stanno stupiti degli organi et altri stromenti de’ nostri, che sin adesso potero vedere.

Gli loro horiuoli sino adesso furno di acqua e di fuoco con certe pipite odorifere, fatte tutte della stessa grandezza; fanno anco altri con ruote mosse di arena; cose tutte che di sé tengono molta imperfettione.

De’ solari, solo hanno l’equinotiale, ma non lo sanno ben collocare conforme ai luoghi dove li pongono.

Sono amicissimi di comedie assai più che i nostri. E così vi sono molte migliaia di giovani che si occupano in questo: altri che vanno per diverse parti, altri che stanno sempre nelle città grosse dove son chiamati e ben paghi nelle feste publiche e particolari. Ma questa è la più vile e vitiosa gente di tutto il regno. E molti putti sono comprati da alcuni maestri che gli insegnano a cantare e fare comedie e balli per guadognare con essi.

Tutte queste comedie si fanno ne’ loro conviti; e così nell’istesso tempo stanno mangiando e bevendo e udindo  le comedie. Gli argomenti di esse, anzi l’istesse comedie, quasi tutte, sono antiche di istorie o fittioni, e puoco si fa di nuovo. E quei che fanno questo essercitio, quando sono chiamati, vengono apparecchiati a tutte le comedie ordinarie. E cominciandosi il convito, presentano il libro a quello che quivi tiene il primo luogo, e sceglie quali comedie vuole che si faccino. E sono molte, perché durando i conviti otto o dieci ore alle volte, altretanto dura il fare le comedie, le quali si recitano tutte cantando, e puoco si parla in esse al modo commune.

Fra questa gente è grandissimo l’uso de por sigilli, non solo nelle lettere che scrivono, ma nelle compositioni e versi, pinture et altre cose che fanno, ne’ quali non vi è altra cosa che il nome, cognome, grado e dignità dell’autore. E non si contentano con uno, ma alle volte ne pongono varij, uno presso all’altro, ora nel principio, hora nel fine dell’opera. Né fanno questi sigilli in cera o altre cose simili, ma solo con colore roscio. E da qui viene che ogni persona grave tiene una scattola di varij sigilli suoi, grandi e piccoli, con i suoi varij nomi che tiene, fatti di varie materie: di pietra, di legno, di avolio, di bronzo, di corallo, di cristallo, et altre pietre pretiose e dure. E molti anco si occupano in intagliare sigilli in tali materie.

La lettera che in questi si usa è di diversa figura dalle altre, per esser questa quadrata e lunga. Di questa arte ve ne sono alcuni molto eminenti e preggiati; et è cosa che si reputa per grave,e molti nobili l’imparano perfectamente; è tra loro tenuta per liberale.

Un’altra arte simile a questa, anco molto preggiata, è il fare intenta negra, la quale loro fanno in panetti di fumo (e) di olio, come la nostra intenta de stampare. E,  conciosiacosaché loro sono molto dati allo scrivere questa sua lettera, et un buon scrittore è in grandissima stima in ogni parte e vive dove vuole, accarezzato e ben voluto da tutti; per questo l’intenta anco è molto stimata. Della quale usano con acqua sfregando quei pani sopre i loro calamari, che sono lamine di pietra molto dure e lisce. E dipoi scrivono, non con penna, ma col pennello di peli di lepre. E di questi calamari di pietra e pennelli da scrivere vi sono anco molti artegiani, che non fanno altra cosa che questa; e costano i buoni assai bene. E fanno di tutte queste tre cose necessarie allo scrivere molta varietà con ornamento e galantaria, come cosa che serve in cosa sì grave, come è lo scrivere.

Un’altra arte vi è anco puoco usata da’ nostri, che (è) di ventagli per sventarsi nella state e tempo caldo. Del quale usano ogni sorte di gente, grandi e piccoli, poveri e ricchi, huomini e donne; e pare che nessuno sa andare per la strada senza un ventaglio nella mano, senza anco esser tempo caldo e come per galantaria.

Di questi fanno moltissime sorti e varij, sì nella materia: di canna, di legno, di ebano, di avolio, e con carta, con seta, con velo, con paglia; sì anco nella forma: rotondi, quadrati, ovati o quadranti. Ma il più commune, e di persone gravi, è di carta bianca o indorata, fatti di tal sorte che con pieghe si raccogliono come infra due mezze bacchette di legno, dove sogliono scrivere e farsi scrivere da buoni scrittori qualche bella sententia o sonetto. E questo è uno de’ più ordinarij presenti che si danno gli uni agli altri in segno di amore et amicitia.

Laonde noi anco ne habbiamo piena un’arca mandati da altri e per rimandare di presente quando ci occorre. Et in fare questi ventaglietti non è piccolo il numero di gente che si occupa. Mi parve sempre rispondere questi ventagli ai nostri guanti, de’ quali nessuno uso vi è in questo regno. E sebene l’uso principale di ambedue le cose è contrario, essendo questi per l’inverno e quegli per l’estate, negli altri usi accessorij di galantaria, per portar nelle mani, e dar presenti, e tenerli nella mano quando si parla; sono gli stessi.

In queste puoche cose sono i Cinesi da noi dissimili, ma in moltissimi assai simili, specielmente in una nella quale tutto il mondo è diverso da loro e da noi; che è il mangiare in tavole alte, sedere in sedie e dormire in letti, essendo che tutte le altre nationi, mangiano, sedono e dormono in terra; cosa degna di notare in due terre distantissime l’una dall’altra.

Donde anco si racoglie la combinatione che hanno nelle altre arti.