“Obesità” e fattori ambientali

Simonetta Marucci*

*Endocrinologa, Nutrizionista, Esperta in Disturbi del

Comportamento Alimentare – ASL2 Perugia. Centro per DCA: Palazzo Francisci

(Todi)

Il diffondersi del problema “obesità” ha ormai dei caratteri talmente epidemici da far coniare il termine “Globesity”, ad indicare come, l’estensione della patologia vada di pari passo alla globalizzazione dei modelli alimentari consumistici.

Il grande paradosso è che, oggi, a diventare obesa è la popolazione più povera, anche in paesi in via di sviluppo, e non basta invocare fattori sociali, come il passaggio da una economia rurale ad una urbana, ed economici, connessi al fatto, ad esempio, che in molti paesi, frutta e vegetali siano più costosi di grassi, zuccheri e carne e la Coca-cola sia più economica dell’acqua minerale.

Neanche il fatto, seppur vero, che la vita prevalentemente sedentaria abbia contribuito ad un bilancio energetico sempre più positivo, basta da solo a spiegare perché il mondo stia diventando sempre più “grasso”.

La ricerca dell’ultimo decennio si è orientata sulla possibile influenza di sostanze ambientali sul metabolismo, e si è raccolta una quantità impressionante di prove su una serie di sostanze chimiche, a cui è stato dato il nome di “interferenti endocrini” (endocrine disruptors: ECDs), che hanno come target i recettori presenti nel Sistema NeuroEndocrino, modificandone i meccanismi omeostatici2.

Nel tessuto adiposo essi interferiscono con l’adipogenesi ed il controllo del bilancio energetico.

Gli ECDs sono stati definiti come “molecole esogene in grado di interferire con la produzione, il rilascio, il trasporto, il legame, il metabolismo e l’eliminazione degli ormoni naturali responsabili del mantenimento dell’omeostasi nell’organismo e della regolazione dei processi di sviluppo” e la stessa Commissione Europea per la salute umana e l’ambiente li definisce “sostanze esogene in grado di causare danni alla salute sia nell’organismo che nella sua progenie in seguito ad alterazione dell’assetto ormonale”3 .

Sono stati classificati oltre un centinaio di interferenti endocrini  tra le innumerevoli sostanze di sintesi immesse dall’uomo nell’ambiente, negli ultimi cinquant’anni.

Le categorie principali sono:

Esteri dell’acido ftalico: usati come additivi nelle materie plastiche per aumentarne la morbidezza e la elasticità (PVC)

Insetticidi: DDT e suoi metaboliti, che svolgono azione antiandrogena, e competono con i recettori del Testosterone. Pur essendo ormai vietato da diversi anni, continua ad essere utilizzato in molti Paesi in via di sviluppo e, attraverso la catena alimentare, si sono trovate tracce persino nel latte delle donne Eschimesi…

Erbicidi e anticrittogamici;

Tensioattivi: molto utilizzati in preparati destinati alla agricoltura;

Antiossidanti: presenti negli additivi alimentari;

Policlorobifenoli (PCB): si formano in seguito a pirolisi di composti clorurati e nei processi di incenerimento dei rifiuti solidi urbani o industriali.

L’azione degli ECDs sull’equilibrio ormonale si esplica attraverso un legame coi recettori degli ormoni steroidei, all’interno della cellula, nella quale riescono ad entrare grazie alle loro proprietà lipofile.    Il loro bioaccumulo avviene prevalentemente proprio a  livello del tessuto adiposo e questa caratteristica giustifica le loro proprietà tossicologiche poiché si può verificare una elevata assunzione attraverso i latticini, il grasso della carne ecc. laddove gli animali destinati ad uso alimentare vengano allevati in ambienti inquinati.

L’azione degli interferenti endocrini nell’organismo si esplica non solo nel metabolismo, ma anche sulle funzioni riproduttive e sullo sviluppo pre e postnatale, e le donne esposte ai pesticidi per motivi professionali, hanno un numero maggiore di aborti.

Queste sostanze prendono anche il nome di xerormoni poichè, legandosi in maniera competitiva agli organi bersaglio, possono simulare l’azione dell’ormone endogeno in senso stimolante o inibitorio.

L’effetto finale sull’organismo è diverso a seconda del periodo in cui avviene la massima esposizione e, naturalmente, sarà la fase della embriogenesi e dell’organogenesi quella più suscettibile di influenze patogene, anche a dosaggi molto bassi e privi di effetto negli individui adulti.

Il problema più grosso è dimostrare il nesso causale tra la esposizione e la espressione degli effetti sull’organismo, poiché i tempi di latenza sono piuttosto lunghi e molte influenze sulla attività riproduttiva e sulla funzione tiroidea, derivanti da esposizione nella vita intrauterina, correlate ad interferenze con le funzioni ormonali steroidee, si possono rilevare solo in età adulta.

Gli interferenti endocrini sono soggetti a bioaccumulo, per cui, anche se la esposizione non è elevata, essendo però persistente e, praticamente, ubiquitaria, gli effetti vanno considerati non a breve ma a lungo termine.

 

Obesità come patologia ambientale

Negli ultimi anni, grazie alla mole crescente di studi sugli effetti degli ECDs, è stato possibile fornire un inquadramento più articolato e convincente anche al grandissimo allarme per l’incremento della obesità, dichiarata dall’OMS come uno dei 10 rischi per la salute nel mondo, dove ormai si calcola che gli adulti sovrappeso superino il miliardo e gli obesi siano oltre 300 milioni, con un incremento preoccupante del problema in età infantile: gli esperti mettono in guardia dalle patologie legate alla obesità infantile che danno a questi bambini una aspettativa di vita inferiore a quella dei propri genitori.

Il rischio per la salute è legato alla Sindrome metabolica, cardiopatie, epatopatie, problemi psicosociali e riproduttivi4e la prevenzione diventa di cruciale importanza.Accanto a fattori comportamentali, legati alla riduzione della attività fisica, alimentari, soprattutto legati alla grande abbondanza di cibo ipercalorico, e genetici, ci sono ormai prove inconfutabili sul ruolo delle sostanze chimiche ambientali, di provenienza industriale o agricola, come interferenti con le vie metaboliche e neuro endocrine di modulazione dei meccanismi della fame e della sazietà.

È stata dimostrata l’associazione degli ECDs con l’induzione dell’ obesità, attraverso il loro effetto sullo sviluppo degli adipociti e sul controllo omeostatico dell’adipogenesi e del bilancio energetico, promuovendo l’accumulo di lipidi5.

L’esposizione intrauterina e nelle prime fasi dello sviluppo gioca un ruolo fondamentale nel rischio di sviluppare una obesità in età adulta, alterando epigeneticamente i geni coinvolti nella strutturazione degli equilibri metabolici6, e favorendo soprattutto l’obesità viscerale, la insulinoresistenza e la sindrome metabolica.

Sostanze quali pesticidi, organo fosfati, policlorobifenili, bifenili polibromurati (ritardanti di fiamma), ftalati, bisfenolo A, metalli pesanti ed alcuni solventi si sono rivelati causa di aumenti di peso in numerosi studi su animali, alterando gli ormoni che controllano il peso e la sensibilità ai neurotrasmettitori responsabili dei meccanismi omeostatici7.  Alcuni di questi prodotti, del resto, sono stati progettati proprio allo scopo di incrementare la crescita del bestiame aumentando i depositi lipidici.

Anche i fitoestrogeni, tra cui la genisteina e la daidzeina, contenuti in particolare nella soia, influenzano l’accumulo e la distribuzione del tessuto adiposo, soprattutto nei maschi, determinando anche un aumento della insulinoresistenza8.

Il Tessuto adiposo è un complesso organo PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunitario), che è preposto alla regolazione dell’appetito in relazione alla situazione metabolica, ed è strettamente connesso con il sistema Immunitario e le risposte infiammatorie.

I depositi di grasso sottocutaneo e viscerale sono costituiti da adipociti differenziati e preadipociti capaci di proliferare, incorporati in una matrice di tessuto connettivo.  Lo stroma contiene anche cellule endoteliali e mast-cellule, fibroblasti e macrofagi che contribuiscono alla attività metabolica complessiva rilasciando Adipochinine come TNF-α e IL-6.   Il grasso viscerale, che rappresenta un maggiore fattore di rischio per lo sviluppo della sindrome metabolica e per patologie cardiovascolari, secerne più IL-6 e meno leptina ed adiponectina, anoressizzanti e antiinfiammatorie, rispetto al grasso sottocutaneo.

Aumentati livelli di IL-6 si associano ad aumentato rischio cardiovascolare e contribuiscono alla situazione infiammatoria presente negli obesi e confermata da livelli mediamente elevati di Proteina C reattiva9.

Il TNF-α, potente citochina infiammatoria, prodotta dal tessuto adiposo, agisce in maniera paracrina regolando la sensibilità insulinica attraverso una interferenza con il trasportatore del glucosio (GLUT4), e stimolando la lipolisi con aumento degli Acidi Grassi liberi.

L’esposizione agli ECDs interferisce sul metabolismo energetico, sia attraverso un meccanismo ormonale, sia attraverso l’attivazione di reazioni infiammatorie che l’organismo mette in atto per difendere la propria omeostasi e che determina una serie di modificazioni biochimiche e molecolari che finiscono col contribuire all’insorgenza della obesità.

Gli ormoni sessuali, inoltre, influenzano la quantità e la distribuzione del grasso, e sono stati individuati numerosi xenoestrogeni ed antiestrogeni che agiscono inibendo le aromatasi ed alterando così i rapporti tra estrogeni ed androgeni10.   Il metabolismo è influenzato anche da un’interferenza con la funzionalità tiroidea da parte di  ECDs, a partire dalla vita intrauterina, e con l’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene soprattutto per quello che riguarda il controllo dell’appetito e le reazioni adattative alle alterazioni dell’apporto nutrizionale, come avviene, ad esempio, nel digiuno, dove si attiva l’asse dello stress allo scopo di attivare quelle reazioni di “risparmio” finalizzate alla difesa del peso corporeo ed alla sopravvivenza.

 

ECDs ed epigenetica

L’esposizione agli ECDs è, come si è detto, più pericolosa nel feto, sia perché esposto ad un maggiore bioaccumulo legato al fattore “tempo”, e ad un metabolismo molto attivo, sia perché non sono presenti, in questa fase dello sviluppo, tutti quei sistemi di riparazione del DNA, di appropriatezza delle difese immunitarie, di efficienza della Barriera Emato Encefalica, che rendono l’adulto più protetto.

Alcuni spiegano il tasso di obesità attuale con l’accumulo di contaminanti ambientali iniziato nei neonati di circa 20 anni fa11.  A conferma di questa ipotesi abbiamo i dati sulla esposizione al Dietilstilbestrolo (DES), che veniva somministrato, negli anni ’40-’70, a donne con gravidanze a rischio e che hanno dato esito ad un aumento di incidenza di tumori nei nati che erano stati esposti al trattamento prenatale.   Modelli animali da esperimento hanno confermato il nesso di causalità tra esposizione e patologia ed hanno rivelato, inoltre, una maggiore incidenza di aumento di peso ed insulinoresistenza nei topi esposti al DES.

L’esposizione di più generazioni avviene attraverso l’esposizione materna, con alterazione da parte degli ECDs degli ormoni, del cervello, del comportamento, fino ad un cambiamento della programmazione epigenetica attraverso una molteplicità di meccanismi molecolari.  Il neonato, poi, continua ad essere esposto anche attraverso il latte materno o artificiale, (non dimentichiamo neanche le materie plastiche dei biberon…), e può subire alterazione delle proprie cellule germinali che si renderanno poi manifeste nella generazione successiva!

E’ quindi anacronistico ed irrealistico attribuire le problematiche dell’obesità solo a scelte personali che coinvolgano la quantità degli alimenti e la corretta attività fisica, ma occorre considerare una maggiore complessità di elementi causali che vedono un ruolo importante giocato dai fattori ambientali.

La cosiddetta “ipotesi obesogena ambientale” è ormai sostenuta da molti dati della letteratura scientifica che obbligano a rivedere il paradigma dell’approccio a questa patologia.  E’ evidente che la salute umana, fino a poco tempo fa considerata una problematica per lo più individuale, diventa ora sempre di più legata a fattori indipendenti dalle scelte più o meno “virtuose”, ma è esposta a scelte fatte da altri, motivate il più delle volte da motivazioni politiche ed economiche più che di prevenzione e promozione della salute.

Alcune scelte possono essere certamente fatte dai consumatori, riguardo alla conservazione, alla cottura, alla preferenze di cibi biologici, e a prodotti freschi a Km0, ma il consumatore non può incidere in maniera significativa sulle condizioni dei propri rischi di esposizione ad EDCs, la presenza dei quali, ad esempio, spesso non viene indicata nelle etichette.

Questo è un motivo fondamentale per cui occorrerà sempre di più tenere alta la guardia sulla presenza di queste sostanze nell’ambiente e agire come consumatori informati oltre che, come medici e nutrizionisti, cercare di educare i nostri pazienti orientandoli verso scelte consapevoli.

 

Note

1 Baillie-Hamilton PF. Chemical toxins: a hypothesis to explain the global obesity epidemic. J Altern Complement Med. 2002;8(2):185–192.

2 (http://www.epa.gov/endo/pubs/edsparchive/2-3attac.htm).

3 Ogden CL, Yanovski SZ, Carroll MD, Flegal KM. The epidemiology of obesity. Gastroenterology. 2007;132(6):2087–2102.

4 Grun F, Blumberg B. Endocrine disrupters as obesogens. Mol Cell Endocrinol. 2009;304(1–2):19–29.

5 Li S, Hansman R, Newbold R, Davis B, McLachlan JA, Barrett JC. Neonatal diethylstilbestrol exposure induces persistent elevation of c-fos expression and hypomethylation in its exon-4 in mouse uterus. Mol Carcinog. 2003;38:78–84.

6 Baillie-Hamilton PF. Chemical toxins: a hypothesis to explain the global obesity epidemic. J Altern Complement Med. 2002;8(2):185–192.

7 Penza M, Montani C, Romani A, Vignolini P, Pampaloni B, Tanini A, et al. Genistein affects adipose tissue deposition in a dose-dependent and gender-specific manner. Endocrinology. 2006;147(12):5740–5751.

8Spranger J, Kroke A, Mohlig M, Hoffmann K, Bergmann MM, Ristow M, Boeing H, Pfeiffer AF. Inflammatory cytokines and the risk to develop type 2 diabetes: results of the prospective population-based European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC)-Potsdam Study. Diabetes. 2003;52:812–817.

9 Horiguchi T. Masculinization of female gastropod mollusks induced by organotin compounds, focusing on mechanism of actions of tributyltin and triphenyltin for development of imposex. Environ Sci. 2006;13:77–87.

10 Needham LL, Barr DB, Caudill SP, Pirkle JL, Turner WE, Osterloh J, Jones RL, Sampson EJ. Concentrations of environmental chemicals associated with neurodevelopmental effects in U.S. population. Neurotoxicology. 2005;26:531–545.

11 Newbold RR, Padilla-Banks E, et al. Environmental estrogens and obesity. Mol Cell Endocrinol. 2009;304(1–2):84–89.