Alimentazione, nutraceutica e sostanze naturali: la nuova frontiera alle pandemie del terzo millennio


Rosaria Ferrieri*

Fin dai tempi più antichi è nota la relazione tra cibo e salute. La stima dei valori energetici in ogni situazione fisiologica o patologica va integrata dalla valutazione qualitativa dei micro e macro nutrienti, con particolare attenzione a tutti quei fattori che attraverso la loro introduzione possono innescare o disattivare meccanismi patologici importanti, in primis il processo infiammatorio.

Le malattie che affliggono questo millennio sono per lo più legate a tale processo: l’obesità  e le sue complicanze metaboliche (o “globesità” ) , le patologie cardiovascolari, il cancro sono viste quindi come espressione di un lungo processo “trasformativo” (o degenerativo che dir si voglia) che pone le sue premesse in predisposizioni genetiche, e che con successive e sempre più precoci modificazioni “epigenetiche” mediate anche attraverso il sistema immunitario possono poi esprimersi attraverso l’innesco di fenomeni metabolici che traggono proprio dall’alimentazione la componente individuale più importante (ed anche forse meno valutata in primis).

Se si esaminano le implicazioni fisio-patologiche di patologie le più varie (cardiovascolari, metaboliche, tumorali, endocrinologiche, ecc.) e dei meccanismi che possono influenzare il loro sviluppo e decorso, ci si rende conto di come l’alimentazione (e quindi la nutraceutica e anche l’integrazione fito-nutrizionale) riesca ad influenzare in maniera a volte determinante il destino stesso della malattia, laddove, con tecniche applicate da scienze anche più moderne e sofisticate (come la genomica e la metabolomica) si sta studiando appunto di prevenire lo “switch” metabolico di patologie ereditarie proprio attraverso la nutrizione e la nutraceutica . È questa la “nuova frontiera” terapeutica nelle malattie pandemiche del terzo millennio; ma paradossalmente è una problematica difficile da affrontare in quanto coinvolge abitudini di vita le più diverse, status socio-economici differenti ed anche forse interessi economici che non sempre sono indirizzati ad  incoraggiare comportamenti di tipo preventivo.

Non potendo in questo contesto sviluppare tutti i capitoli collegati a questo nuovo paradigma clinico-diagnostico proverò a sintetizzare qualche concetto basilare riguardante  la “pandemia cancerosa” che a tutt’oggi rappresenta l’ambito più interessante di ricerca.

A-Le cellule cancerose sono metabolicamente più attive e captano più glucosio delle cellule normali (1)– Si sa la velocità della glicolisi è aumentata di circa 10 volte in cellule tumorali; ne è prova la scoperta e l’utilizzo diagnostico della Tomografia ad emissione di positroni (PET) che si esegue con somministrazione per via endovenosa al paziente di molecole di glucosio marcate con radioisotopi che emettono positroni; tra queste la più utilizzata è il fluoro-desossi-glucosio (18F-FDG). Oncogeni (come il PI3K) e oncosoppressori (come la p53) possono influenzare lo switch tra glicolisi anaerobica e ciclo degli acidi tricarbossilici (modulando l’espressione di specifici enzimi) e aumentare la captazione di glucosio e di glutammina. Quindi, il destino metabolico del glucosio nelle cellule tumorali contribuisce al fenotipo tumorale; ed allora una alimentazione con alte quantità di glucosio ( e cibi ad elevato Indice Glicemico) è sicuramente promotore del metabolismo della cellula tumorale; come anche l’utilizzo di integratori che fungono da “fattori di crescita” delle cellule tumorali stesse, determinando una accelerazione del metabolismo. La visione del cancro come “malattia metabolica” è stata provata dagli studi che hanno condotto alla formulazione della teoria dell’“effetto Warburg” che porta a produrre energia con risorse limitate e a favorire percorsi metabolici che possano sostenere la proliferazione cellulare: lo Switch metabolico comporta la riduzione dell’uso del ciclo degli acidi tricarbossilici ed aumenta l’attività della glicolisi anaerobica (agevolata, appunto, anche dall’innesco di fattori trascrizionali), determinando un elevato consumo di glucosio e la produzione di acido lattico.

B-La attività delle cellule Natural Killer è inibita  dall’alimentazione ad alto indice glicemico  (2) – Le cellule NK sono le più attive nella sorveglianza antineoplastica e antivirale , sono in grado di produrre citochine (come IFN-gamma) e non necessitano di attivazione specifica: sono capaci di  eliminare fino a 2 miliardi di cellule neoplastiche in poche settimane (3). Se la loro attività viene a ridursi ciò costituisce un rischio per l’insorgenza delle patologie tumorali; quindi le farine bianche, gli zuccheri raffinati, l’alcol ecc. sono alimenti da ridurre o eliminare , sia in prevenzione ma anche in corso di patologia neoplastica) per consentire un migliore funzionamento della prima linea di difesa cellulare; non è anche da dimenticare che  le cellule NK provvedono a disinnescare il processo infiammatorio che si attiva con la presenza dell’IGF-1. È proprio attraverso il processo infiammatorio che l’ambiente diventa favorevole alla progressione neoplastica, come dimostrato in numerosi studi e tale infiammazione favorisce anche il processo di angiogenesi tumorale. Anche in questo caso l’attivazione non è automatica, ma viene ad essere determinata in seguito all’ipossia tessutale, come richiesta di vascolarizzazione accessoria da parte del tessuto: lo switch angiogenico può verificarsi in qualsiasi fase della progressione tumorale, in dipendenza del tipo di tumore, ma, nella maggior parte dei casi, risulta essere un prerequisito per la crescita del tumore stesso.

C-Il processo di angiogenesi tumorale  e le strategie naturali per contrastarlo: la PEA e la curcumina- I meccanismi responsabili per l’angiogenesi tumorale non sono ancora stati delucidati completamente, ma si propone uno schema semplificativo. Le cellule endoteliali giocano un ruolo importante nella neovascolarizzazione dei tumori indotta dai microtumori. Da questo punto di vista il fattore prossimale più importante per l’angiogenesi è il fattore di crescita endoteliale vascolare [vascular entothelial growth factor (VEGF)]. Il VEGF è un dei fattori di aumento della permeabilità vascolare e della promozione della metastasi più importanti e potenti. Su di esso agiscono vari fattori proinfiammatori e proangiogenetici come il NO e le prostaglandine, ma anche il TNF-α.
La stabilità e coerenza della matrice extracellulare è un’altro dei fattori fondamentali di controllo dell’angiogenesi, dato che per poter vascolarizzare un tumore è necessario che la matrice extracellulare perda di coerenza e permetta la diffusione di vari fattori e la crescita del nuovo vaso.
Anche le condizioni di ipossia sono favorevoli al processo di angiogenesi. In condizioni di normossia il fattore inducibile da ipossia [Hypoxia-inducible Factor 1 (HIF-1)] viene degradato, ma in condizioni di ipossia viene degradato di meno ed è quindi libero di interagire con altri cofattori e stimolare l’angiogenesi. Dato che il microtumore è, prima della vascolarizzazione, ipossico, in esso vengono espressi vari cofattori angiogenetici.

Uno dei punto di snodo fondamentali che unisce questi processi sono le attività del fattore nucleare kappa B (NF-kB) e della proteina attivatrice-1 (AP-1), due fattori di trascrizione genica (sempre in eccesso nelle cellule tumorali) fondamentali nella risposta proinfiammatoria LPS-indotta. Essi controllano molte attività cellulari: l’NF-kB media l’attività immunitaria, l’infiammazione, le collagenasi e la proliferazione cellulare, e l’AP-1 soprattutto la proliferazione cellulare. Di particolare interesse il legame tra NF-kB ed infiammazione, perché questa facilita l’angiogenesi, l’invasione e le metastasi, e d’altro canto è un importante fattore protumorale.

A loro volta NF-kB e AP-1 mediano l’espressione di iNOS (e quindi la produzione di NO), di COX (e quindi le prostaglandine) ed il TNF-α. Questi fattori proinfiammatori, sommati all’azione dell’ipossia tramite HIF-1 e AP-1 e vari altri cofattori, inducono l’espressione di VEGF e aumentano l’infiammazione. La VEGF a sua volta, causa una cascata metabolica che porta ad una degradrazione della matrice extracellulare, alla proliferazione endoteliale ed in definitiva all’angiogenesi.

La terapia antiangiogenetica di taluni tumori è una delle strategie messe in atto recentemente  e in tal senso sono  in fase di studio alcune molecole naturali con  effetto antiangiogenetico, una delle quali è la PEA ( palmitoiletanolamide) : derivato degli acidi grassi di membrana (amide tra acido palmitico ed etanolamina, composto endogeno presente largamente negli organismi viventi animali e vegetali) possiede proprietà cannabimimetiche, pur non legando direttamente i recettori per i cannabinoidi CB1 e CB2 in vitro.

Poiché essa è prodotta on demand durante l’infiammazione ed agisce localmente antagonizzando lo stimolo infiammatorio è stata definita ALIAmide (Autacoid Local Injury Antagonism Amide). la PEA riduce il processo pro-infiammatorio e proliferativo indotto da Aβ, noto come gliosi reattiva, valutato sia come vitalità cellulare che come rilascio di mediatori pro-infiammatori. Inoltre la PEA è stata capace di ridurre l’espressione di molecole proangiogeniche, quali il TNF-α, la MMP-9, VEGF, e la trascrizione di quest’ultimo, mostrando così la sua capacità anche nel modulare l’angiogenesi connessa alla gliosi reattiva indotta.

Una altra sostanza con effetti simili è la Curcuma longa. Si tratta di una spezia utilizzata da secoli nella medicina tradizionale indiana (ayurvedica) ed hawaiana, La tradizione ayurvedica riporta l’origine dell’uso della curcuma a 10.000 anni fa, quando il dio Rama venne sulla Terra. Se ne usa la polvere (gialla, pertanto viene anche indicata come zafferano delle Indie) della radice essiccata., che ha un sapore piccante. I curcuminoidi e la curcumina agiscono sul processo di angiogenesi tumorale tramite processi multipli ed interdipendenti, che risultano essere: una azione a livello dei fattori di trascrizione Nf-kB (fattore nucleare kB) e della AP-1 (proteina attivatrice-1), legati ai processi infiammatori, e l’Egr-1 (questa azione ha attenuato l’espressione della IL-8 in linee cellulari ed ha evitato l’induzione della sintesi di VEGF); l’inibizione dell’angiogenesi mediata dall’ossido nitrico e dall’iNOS e l’inibizione dell’espressione di COX-2 e LOX;  l’ azione a livello di fattori angiogenetici: il fattore di crescita endoteliale vascolare [VEGF], principale fattore di migrazione, gemmazione, sopravvivenza, e proliferazione durante l’angiogenesi, e il fattore di crescita basilare dei fibroblasti [bFGF]; e infine l’ azione a livello della stabilità e della coerenza della matrice extracellulare (ECM), con downregolazione della MMP2 (metalloproteinasi-2 di matrice) e della MMP9, e upregolazione della TIMP1 (inibitore tessutale della metalloproteinasi-1).

4- Il ruolo dei lipidi: la scienza che consente di valutarne rischi e benefici in corso di patologie neoplastiche – Lo studio del  complesso sistema metabolico cellulare si è arricchito negli ultimi anni di tecniche avanzate che ne consentono l’analisi più dettagliata; in particolare , l’avvento delle scienze cosiddette “omiche” ha reso possibile di identificare simultaneamente migliaia di specie molecolari, le più diverse, consentendo un approccio medico/terapeutico molto più mirato e per aspetti che prima del loro impiego non venivano nemmeno considerati; tra queste scienze consideriamo qui la “lipidomica”, una disciplina facente parte della metabolomica, che mira a definire struttura e funzioni di tutte le specie molecolari di lipidi presenti a livello cellulare: questi, come tali, non solo sono presenti nella matrice a doppio strato delle membrane cellulari (quindi influenzano le diverse funzionalità di essa) ma fungono da deposito di energia e ricoprono il ruolo anche di secondi messaggeri, partecipando ai meccanismi di Cell-signaling ( attraverso domini cosiddetti “raft”). La separazione e identificazione di queste molecole si basa sulla metodica di Gas-cromatografia (Gc o HPLC) attualmente accoppiate anche a tecniche di spettrometria di massa  con varie sorgenti ( tecniche MALDI o ESI o NMR). L’enorme complessità del lipidoma cellulare (comprendente fino a circa 200.000 differenti specie derivate da lipidi) si sta rivelando una fonte di informazioni utili e utilizzabili in diverse patologie, tra cui quella cancerosa: oramai è ampiamente accertata l’ipotesi del ruolo dei lipidi, come modulatori diretti di funzioni proteiche o segnali intracellulari, come ligandi per recettori di membrana o nucleari nonché come neuro modulatori. Questi studi sono stati determinanti nella  ridefinizione di pattern clinico-diagnostici in corso di patologie neoplastiche che ora prendono in considerazione la lipidomica come strategia terapeutico/nutrizionale per la modulazione del processo infiammatorio e/o degenerativo e la regolazione del messaggio di “apoptosi” tumorale (utile quindi anche in prevenzione, per la sua funzione di modificazione “epigenetica” dei vari processi). Pertanto, la composizione della dieta e dei prodotti che in essa vengono utilizzati (con particolare riferimento ai prodotti lavorati nelle industrie alimentari) rappresenta un importante “messaggio”cellulare che, come è stato ampiamente dimostrato, ha anche “effetto epigenetico” influenzando l’espressione genica e riuscendo a “mutare” un trend metabolico (vedi ad esempio l’effetto delle diete sulle concentrazioni di omocisteina nel sangue). Oltretutto, proprio dallo studio approfondito del ruolo dei lipidi come modulatori e /o trasmettitori sono stati individuati altri nuovi target terapeutici a cui essi possono contribuire. E qui torniamo a parlare della palmitoiletanolamide (PEA), amide tra acido palmitico e etanolamina, largamente presente come composto endogeno negli organismi animali e vegetali, che abbiamo già presentato come inibitore dell’angiogenesi tumorale. La PEA, sintetizzata a partire dal precursore fosfolipidico, viene rilasciata in seguito a stimoli lesivi al fine di prevenire l’eccessiva propagazione della risposta infiammatoria o di inibire le reazioni di ipersensibilità ritardata, risultando efficace anche nella riduzione di produzione della ciclo ossigenasi ( COX-2)  e di TNF-alfa. Oltre all’attività antiinfiammatoria, la PEA presenta una serie di effetti farmacologici che, nel campo della lotta al dolore,  la stanno rendendo sempre più interessante anche per le innumerevoli applicazioni terapeutiche e le scarse interazioni farmacologiche: effetto analgesico importante tramite l’attivazione degli endocannabinoidi e tramite l’attivazione del recettore PPAR-alfa  la cui stimolazione produce profondi e rapidi effetti in modelli di dolore acuto, infiammazione persistente e dolore neuropatico; inoltre altri effetti documentati sono risultati essere:  riduzione dello stress ossidativo ( riduzione nella produzione di NO), con protezione dell’endotelio vascolare miocardico, effetto tramite regolazione dei recettori PPARS  a livello non solo dell’infiammazione ad essi correlata ma anche di altri meccanismi che riconoscono l’utilizzo di altri sottogruppi di PPARs , tra cui la metabolizzazione dei lipidi e degli zuccheri essendo alcuni tipi di recettori (il PPAR-gamma) presente nel tessuto adiposo. Ma al momento attuale altri i tessuti in cui i PPARs sono espressi (muscolare, cervello, retina, colon, sistema immunitario , epitelio mammario, ecc) sono allo studio per valutare la possibilità e l’efficacia nell’impiego della PEA in diversi tipi di patologie comprese quelle tumorali , in quanto i composti cannabinoidi si sono rivelati in grado di inibire la proliferazione e di indurre apoptosi in un considerevole numero di linee cellulari tumorali umane appartenenti appunto ai citati tessuti. E sembra che tale attività si stia confermando (5) (6).

Concludendo questo mio contributo vorrei sottolineare l’importanza della ricerca in campo nutraceutico per poter dirimere la questione dell’utilità o meno dei cosiddetti integratori alimentari (più precisamente detti nutraceutici) , nei confronti dei quali esiste molto scetticismo e parecchia disinformazione, molti colleghi medici ancora considerano queste supplementazioni inutili o addirittura dannose. La verità però è molto diversa. Intanto un numero immenso di studi dimostra l’utilità preventiva e terapeutica di sostanze nutrizionali (così come di fitoterapici).  Inoltre viene stimato che oltre il 90% delle persone presenti una o più deficienze nutrizionali, non così gravi da far insorgere un’avitaminosi acuta, ma sufficienti ad alterare nel tempo il metabolismo e ad aumentare il rischio di malattie croniche; questa condizione che viene riconosciuta come “la malnutrizione del terzo millennio” si caratterizza con l’associazione di malattie metaboliche” da accumulo” (diabete, iperlipemie, ecc) con patologie carenziali anche gravi ( in primis quelle da carenza di vitamina D  e vitamine del gruppo B).

 

Bibliografia

(1) Vander Heiden MG, Cantley LC, Thompson CB: Understanding the Warburg effect: the metabolic requirementsof cell proliferation– Science – 2009 -; (5930):1029-33

(2) Levy EM e coll:Natural killer cells in human cancer:from biological functions to clinical applications– J.Biomed.Biotechnol.- 2011-:676198

(3) Purdy AK e col.: Natural killer cells and acne:regulation by killer-cell Ig-like receptors –KIR—Cancer Biol Ther 2009 Dec ; 8(23): 2211-20

(4) Jennifer L. et al: Clinical application of metabolomics in Oncology: a review- Clin. Cancer. Res 2009. 15 (2) 431-440  5-

(5) Grimaldi  C. and Capasso A.: The endocannabinoid system in cancer therapy: an overviw . Curr.Med.Chem .- 2011:  18(11), 1575-1583

(6)- Guindon J., Hohmann G.- The endocannabinoid system and cancer: therapeutic implication– Brit. Journ. Pharmacol. –2011:  163, 1447-1463