Alimentazione e salute: riflessioni preliminari

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Paolo Massobrio*

  • Presidente Club di Papillon, esperto dietetica EXPO 2015 Milano

 

Cosa siamo ? Lo dice Ludwig Andreas Feuerbach, nella sua “essenza  della religione”. “Siamo situati all’interno della natura; e dovrebbe  essere posto fuori di essa il nostro inizio, la nostra origine?  Viviamo nella natura, con la natura, della natura e dovremmo tuttavia  non essere derivati da essa? Quale contraddizione!”. Dunque siamo ciò  che mangiamo e questo assunto è più evidente, oggi, guardando le popolazioni lontane, di paesi che magari vivono soltanto della pesca e  di poco altro. Tutte comunità che, nel momento in cui hanno subìto  l’arrivo del progresso, sotto forma di acilitazione alimentare, hanno iniziato a manifestare patologie che prima non esistevano. E il paradosso è che persino nei paesi poveri s’è manifestata l’obesità, frutto della carenza di una certa attività fisica che connotava quella data comunità. Questo caso, che è uscito con forza durante i lavori di preparazione del dossier di candidatura per l’Expo 2015, che ha per titolo “Nutrire il Pianeta, Energia per la vita”, ha fatto riflettere non poco. Cos’è infatti il buono della vita, legato all’aspetto dell’alimentazione ? E’ solo il piacere ? Troppo poco, troppo banale e semplicistico. Ma tuttavia è questa la risposta della società moderna, viziata dal “carpe diem”, dal tutto e subito, nell’alimentazione come nella medicina, che toglie invece la soddisfazione di appropriarci di quel rapporto dell’uomo dentro alla natura cui faceva accenno Feuerbach. Ora, la congiuntura internazionale nella quale ci troviamo, che dà segni di recessione ovunque, spiana la strada ad un ritorno all’essenzialità delle cose, e forse, se non è troppo tardi, alla conoscenza di un ordine che regola la vita sulla terra e quindi anche l’aspetto dell’alimentazione. Dentro a un ordine, infatti, c’è il segreto di una vita buona; nel dis-ordine, c’è solo la strada della dimenticanza e poi della distruzione. E sembra una contraddizione, ma spesso la strada della conoscenza di ciò che è per noi l’ordine che regola l’universo mondo, parte dalla decisione di una dieta alimentare. La parola che deriva dal greco diaita, tuttavia, non significa principalmente rinuncia, ma sana e corretta alimentazione. Il che significa riappropriarsi del proprio corpo e ricominciare a   considerare l’alimentazione come un percorso dentro alla natura, non un sacco da riempire, di qualunque cosa appaghi la fame. Ma è più felice uno che può permettersi caviale e champagne tutti i giorni o uno che coglie il valore, anche fisico, che ha il calibrare le verdure fresche con il pesce, le carni, la frutta ? Il primo dimentica e rincorre il prossimo piacere, ormai già codificato; il secondo si stupisce ancora della piacevolezza della stagionalità dei cibi, che hanno una loro logica, anche in base alle stagioni. Il piacere fine a se stesso riduce la misura della persona; la tensione al gusto in ogni cosa la amplifica. Sono due filosofie diverse, che ci portano ad un’altra domanda: è più felice chi conosce di più, chi afferra più fattori, o chi conosce poco ? La risposta è scontata. Ma in realtà che cosa si conosce, avviandosi verso un tipo di alimentazione che accoglie ciò che il tempo fa arrivare sui campi e poi in tavola ? Si conosce il senso del dono, ossia di un essere umano che è al centro dell’Universo: col sistema stellare ma anche con quello produttivo e alimentare. La tendenza ormai dilagante al cosiddetto chilometro zero o chilometro ravvicinato fa parte di questa riscoperta. È incredibile pensare ad esempio ai frutti che arrivano in una stagione calda (le pesche, le angurie, i meloni…), che immediatamente regalano freschezza, ovvero ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno. Ecco, l’esempio di questi frutti, che vanno di pari passo con quelli invece “concentrati” dell’autunno (si pensi alle castagne, ai cachi…) ci mette direttamente in sintonia con l’incipit di Feuerbach. Il problema della società moderna è il delitto di questa sorpresa, perpetuato dall’arrivo di un frutto che non ha più una connotazione stagionale. Da qui la perdita di una conoscenza, senza della quale, paradossalmente, si rischia di perdere anche il senso di un’origine (chi siamo da dove veniamo ?) oltreché dei sapori autentici. Da questo punto di vista un atto materiale come l’alimentazione ha un fortissimo legame spirituale. E lo dico pensando a qualsiasi posizione umana riguardi una persona. Il cibo che si richiama a un ordine ci fa stare bene, anche con la mente, ma dentro a questo ordine offre un indizio interessante. Perderlo è un peccato, ossia “un di meno” che toglie qualcosa alla felicità dell’oggi.

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