Diagnostica bio-energetica in riflessologia corporea


Paolo G. Bianchi*

L’energia che ci governa

Fin dagli albori dell’umanità gli uomini si sono interessati al ricercare, definire e magari quantificare quell’energia che creava la vita, che li governava e che tracciava le sorti della loro esistenza.

Sciamani e religiosi di svariati credo religiosi si sono alternati cercando di dare risposte e pur chiamando questa energia con nomi e modalità differenti tutti concordando su un unico punto: tutti ne siamo pervasi e più questa energia compenetra e possiede le persone tanto più queste sono in salute e sono felici.

Da ciò possiamo dedurre che l’energia vitale, comunque la si voglia definire, è la fonte della salute e del benessere.

Chi controlla questa energia ha potere e lo può esercitare sugli altri: poterla gestire e ridistribuire crea sudditanza e dipendenza definendo standard sociali, caste e ruoli anche se spesso l’energia vitale allo stato puro viene confusa con quella più squisitamente materiale.

Il monoteismo ha definito l’energia vitale come un’elargizione della divinità e non come la divinità stessa proponendo alle persone, per il raggiungimento del proprio benessere o della propria salvezza una ricerca spirituale più profonda in grado di portarle alla radice, al principio di creazione di questa stessa energia.

È la ricerca spirituale che molti oggi praticano cercando di ricompattare quella separazione “corpo, mente, anima” che millenni di forme religiose hanno creato e idealizzato per poter meglio definire i ruoli tra uomo, mediatori e divinità.

È nell’antica India che si parla per la prima volta del sistema energetico umano e di energia vitale. Il termine che tutti conosciamo e che riassume questi antichi saperi è la parola “aura”.

Secondo la riflessologia olistica il corpo fisico di ogni essere umano è circondato da una “energia vibratoria” che lo pervade e che a sua volta ne trae ricarica continua.

Per convenzione l’aura, nel mondo olistico, viene suddivisa in livelli o strati e ognuno di questi a sua volta corrisponde a un grado di consapevolezza. Gli strati hanno il potere di cambiare la vita delle persone per esempio influenzando la percezione che queste possono avere del mondo, delle sue manifestazioni, della vita di tutti i giorni. Più i livelli sono alti e maggiore è l’evoluzione che la persona raggiunge.

Quando questi strati sono tra loro perfettamente in armonia e in equilibrio anche la persona lo è con se stessa e con il mondo circostante: è in ottima salute e gode di benessere psicofisico tramite una vita piena e realizzata. Al contrario, quando questi strati sono in disequilibrio si manifestano malattie e psicosomatismi che vanno ad influire negativamente anche sul mondo esterno, sulla qualità e sul tenore della vita stessa.

Secondo le scuole riflessologiche, poiché l’aura alimenta e si autoalimenta, lavorare sui punti riflessi significa rinforzare il campo bioenergetico dell’aura riequilibrandone gli assetti cosmici per raggiungere benefici sia fisici che psicologici. Per ottenere ciò il riflessologo deve compiere un lavoro di sblocco energetico individuando i punti nei quali questa energia viene trattenuta e bloccata spesso a causa di una cattiva gestione delle proprie emozioni e dei propri sentimenti.

Ma come avviene questo lavoro da parte del riflessologo e soprattutto come può effettuare una diagnosi di questi blocchi?

 

La riflessologia

La riflessologia, riconosciuta ed elencata tra le discipline bionaturali rientra nelle riflessoterapie somatotopiche. Questo significa che per il riflessologo una specifica parte del corpo rappresenta in scala tutto il corpo umano nella sua completezza.

In altre parole, intervenendo su alcuni specifici punti e in alcune parti del corpo il riflessologo è in grado di sbloccare, proprio come premendo un interruttore, le energie stagnanti su organi, visceri, ma anche strutture come per esempio quella ossea o nervosa.

Questo principio, conosciuto come “principio olografico” è una caratteristica comune a tutte le terapie non convenzionali ed è uno dei passaggi ardui da fare comprendere alle persone che si sottopongono alle sedute di riflessologia corporea.

Come è possibile che un punto su un piede, su una mano o sull’orecchio possa influenzare energeticamente un organo, un viscere o risolvere un dolore cervicale?

Il principio olografico su cui si basano le terapie non convenzionale e le discipline bionaturali ritiene che ogni singola parte del corpo contenga l’informazione del tutto: anche la più piccola cellula rappresenta l’intero organismo perché racchiude in sé le informazioni di tutta la persona. A sua volta ogni singola parte vibra costantemente influenzando quelle vicine e venendone a sua volta influenzata in un dialogo armonico di reciprocità continua.

La conseguenza di questa analisi è che il disturbo o il malessere non è circoscrivibile ad una singola parte, ma coinvolge tutto l’organismo per cui il compito del riflessologo non è di intervenire in maniera specifica sull’arto o la parte dolente (compito deputato ad altre professionalità medico-sanitarie), ma di ricercare la causa scatenante del malessere spesso riconducibile a un’emozione o un sentimento male gestito o male manifestato.

L’obiettivo del riflessologo, dunque, non è di guarire, ma di intervenire in modo da permettere alle energie di tornare a fluire con armonia in tutto l’organismo, di avviare i normali processi di autoguarigione e soprattutto di determinare un piano armonico nel quale la stimolazione di una zona riavvii quella vibrazione di cui abbiamo parlato a proposito del principio olografico tale per cui sia in grado di innescare di nuovo un solido stato di benessere generale.

Non mi soffermerò qui a parlare della storia della riflessologia in quanto ho già dedicato un mio precedente articolo all’argomento pubblicato sul n. 12, inverno 2015 sempre su Olos e Logos.

Certo è che l’interesse e lo studio sui punti riflessi sono andati via via scientificizzandosi sempre più e stabilendo, in certi casi e in certe scuole, dei veri e propri protocolli e mappe basati su sperimentazioni precise, raccolta di dati e soprattutto risultati ottenuti hanno permesso l’inserimento della pratica riflessologica tra le “terapie” della medicina alternativa alla stessa stregua della chiropratica, della chinesiologia, ma anche dei più noti Taiji Quan o dell’osteopatia.

In ogni caso, parlando di pratiche olistiche, non si può generalizzare; le stesse scuole riflessologiche hanno visioni differenti sia sotto il profilo tecnico e manuale che delle finalità e degli obiettivi da raggiungere. È l’esperienza che il riflessologo acquisisce sul campo a fare la grande differenza esperienza che gli permette quella sana personalizzazione che equivale al principio olistico di vedere ogni singola persona nella sua totalità e a lavorare sempre sugli aspetti “sani” del proprio assistito e non su quelli che lo possono caratterizzare come “malato”.

 

10 linee e tante zone

 

Ho parlato di protocolli e mappe che il riflessologo è chiamato a utilizzare per dare un apporto scientifico al suo operato e non lasciare nulla al caso.

Se vogliamo riferirci alla riflessologia moderna dobbiamo parlare dell’opera del dr. William H. Fitzgerlad che agli inizi del 1900 cominciò a delineare, sulla base di antichi trattati ispirati soprattutto alla medicina tradizionale cinese, una riflessologia più moderna, orientata al mondo occidentale più pragmatico e meno spirituale di quello orientale.

Le sue sperimentazioni si basavano su un lavoro di pressione soprattutto sulle dita delle mani e dei piedi dei suoi pazienti con lo scopo di alleviare il dolore.

La sua scoperta principale è stata quella di capire che l’intensità del dolore dei suoi pazienti differiva da persona a persona nonostante la comunanza con un’unica malattia. Fece risalire questa diversità alle differenze qualitative e quantitative dei campi energetici presenti nelle persone e, nel suo metodo, “terapia Zonale” cominciò a identificare 10 linee longitudinali immaginarie, le “linee di Fitzgerald” appunto, che hanno inizio sulla testa, giungono alle mani e ai piedi e dividono il corpo anteriormente e posteriormente in 10 zone diverse da loro.

Le linee immaginarie che delimitano le diverse zone sono a loro volta collegate tra loro da un particolare flusso energetico riconducibile a una energia vitale primordiale. Ciò permette a due parti di influire una sull’altra in modo continuo. Fitzgerald tracciò 5 linee immaginarie anche su ognuno dei piedi sempre in corrispondenza a quelle corporee aggiungendo però in questo caso 3 linee orizzontali (una alla base delle dita, la seconda a metà della parte superiore del piede e una oltre la parte superiore). La delimitazione della zona era per Fitzgerlad importante per determinare il lavoro riflesso su organi, visceri, articolazioni e apparato nervoso.

La differenza tra queste linee e quelle dell’agopuntura sta nel fatto che lo scopo di Fitzgerald era suddividere il corpo e non indagare il funzionamento dei meridiani e dei punti distribuiti su di essi. Vi è poi una linea mediana verticale che attraversa tutto il corpo identificando a destra e a sinistra altre 5 zone che vengono correlate alle dita delle mani e dei piedi.

Differente invece fu il lavoro della terapista Eunice Ingham che spinse l’applicazione delle teorie di Fitzgerald non solo alle mani ma soprattutto ai piedi, esplorando vari punti ipoteticamente sensibili e mettendoli in relazione con le parti anatomiche del corpo. Diciamo che è con lei che nascono le rivisitazioni moderne delle mappe riflessologico-podaliche oggi utilizzate in molte sale di consultazione e proposte in molte scuole.

Riassumendo potremmo definire la disciplina riflessologica una terza via di intervento per il benessere della persona; il primo è quello tipico della medicina occidentale basato sull’indagine del sistema nervoso e il secondo quello orientale basato sul metodo cinese dei meridiani e tuttora utilizzato dagli agopuntori.

Il metodo riflessologico occidentale si basa quindi sulla percezione di queste energie sottili presenti in ogni singola parte dell’organismo in una particolare zona della pelle che è direttamente correlata a una parte vitale. L’azione digitopressoria del riflessologo, pur seguendo le terminazioni nervose e metameriche, ristabilisce gli equilibri perduti tra queste energie sottili agevolando lo stato di benessere e prevendo, molto spesso, situazioni di malessere e disagio psicofisico.

 

La diagnosi in riflessologia corporea

 

Più che di diagnosi ogni buon riflessologo parlerebbe di indagine.

Gli approcci possono essere differenti, proprio sulla base delle scuole di provenienza così come la pratica. Esistono riflessologi che preferiscono lavorare in assoluto silenzio, altri invece che prediligono il dialogo orientato sugli aspetti diagnostici, verso le emozioni o i sentimenti che ritengono abbiano bloccato il flusso bio-energetico a causa di una loro cattiva gestione.

Personalmente ritengo che nella fase di indagine gli approcci possano essere fondamentalmente quattro e che debbano essere usati in modo consequenziale per la preparazione di una buona sessione.

 

1: dialogo

E’ fondamentale per capire l’evolversi dell’esperienza soprattutto quando la persona assistita stia frequentando sessioni che si prolungano nel tempo. Di solito in questi casi è la persona stessa a fare delle richieste specifiche al riflessologo. Queste possono essere di svariata natura, ma se il riflessologo ha lavorato bene non si focalizzeranno solo su aspetti fisici (dolore), ma soprattutto su aspetti più bioenergetici (stanchezza, stress, tensioni, necessità di rilassamento o di rienergizzazione).

Quando si è in prima seduta è bene capire la storia della persona, le motivazioni che la spingono a ricercare soluzioni nella riflessologia, aiutare a comprendere che la riflessologia non è una pratica medica, ma salutistica e che il parere dei professionisti della salute non va mai sottovalutato, anzi è importante per il riflessologo per poter operare bene. Ogni disturbo è legato a sentimenti ed emozioni quindi è bene comprendere quanto la persona ritenga importanti questi aspetti, come li gestisca e soprattutto come li viva nei momenti di tensione. Molto importante in questa fase è l’essere chiari, il non creare aspettative di guarigioni miracolose, ma aiutare la persona a capire che in ogni percorso è lei la vera protagonista e che per il riflessologo ogni informazione di carattere extra-medico è fondamentale per aiutare a riattivare il processo energetico.

Il dialogo che deve stabilirsi tra il riflessologo e il suo assistito deve avere un tenore molto confidenziale, legato chiaramente alla privacy e soprattutto molto differente dal dialogo medico-paziente dove c’è una maggiore necessità di rispondere a esigenze di causa–effetto.

Il dialogo si presenta come una straordinaria occasione per delineare una visione olistica del proprio assistito, in modo da rispondere alle sue esigenze nella forma più adatta e stabilire una modalità operativa pratica e consequenziale per le sessioni successive, una relazione nella quale non c’è chi cura e chi guarisce, ma un operatore che altro non è che un tramite attraverso cui la persona che si sottopone a riflessologia, può giungere spontaneamente allo stato di benessere desiderato. Questa tecnica detta “metamorfica” è la stessa praticata dagli agopuntori dove si insegna che l’ago è solo un’antenna ricettiva e che la volontà di azione del medico agopuntore richiama le energie adatte ad avviare la guarigione. Per il riflessologo non è molto diverso, se non che non utilizza aghi e che non si occupa della parte malata, ma proprio attraverso il dialogo inziale presuppone quello stato energetico cosmico capace poi di convogliarsi attraverso il punto toccato verso l’obiettivo da raggiungere.

La parola è quindi fondamentale e si presenta come lo strumento guida per tessere dialogo e diventare strategia operativa, per stabilire fiducia reciproca e soprattutto per diventare strumento pedagogico per il rinnovamento di stili di vita e relativi approcci, rendendoli già di per sé più funzionali equilibrati e allineati alle aspettative.

 

2: approccio sensoriale

Capita spesso, soprattutto dopo diverse sessioni con la stessa persona, che il riflessologo acquisisca la capacità di individuare i punti dolenti sul corpo del proprio assistito solo appoggiandovi le mani.

Questo non fa di per se del riflessologo un veggente.

Dato che stiamo parlando di energie e di metodologie olistiche dobbiamo uscire per un momento dagli schemi tradizionali.

L’approccio sensoriale è legato alla sensibilità che l’operatore acquisisce con l’esperienza e che affina con l’arco degli anni anche tramite le difficoltà delle richieste dei suoi assistiti.

È fuori dubbio che un operatore che abbia una maggiore sensibilità, e capacità di ascolto unita all’abilità di estraniarsi dai problemi personali per concentrarsi sugli obiettivi da raggiungere, abbia maggiore successo.

Occupandoci poi di energie sottili è evidente anche il fatto che più si sta a contatto con le persone nelle sessioni riflessologiche più si acquisisca anche una ipersensibilità alle esigenze degli assistiti.

A volte, proprio a causa dello stress della vita moderna, è anche facile individuare aree corporee tipicamente legate a questo disturbo (come per esempio lo stomaco o l’intestino) oppure, allo stesso modo, è intuitivo alle tensioni come la zona renale nel caso di tensioni. Tuttavia l’aspetto sensoriale non è mai da sottovalutare.

Nel mondo delle terapie tradizionali sono molti i professionisti che hanno cercato di immedesimarsi nelle problematiche dei loro pazienti. Famosissimo era Milton Erickson: quando praticava l’ipnosi ai suoi pazienti andava lui stesso in trance con lo scopo di poter condividere in modo più nitido le loro visualizzazioni.

Ritengo che, pur operando in un ambito differente, il riflessologo debba sapersi calare nei panni dei suoi assistiti, capirne i disagi, le motivazioni e saperli condividere in modo adeguato, pur sempre mantenendo quel lucido distacco che lo rendano padrone delle tecniche, delle metodologie acquisite e abile nell’orientare alle soluzioni senza imporre le proprie visioni o idee.

Nella realtà l’approccio sensoriale è molto più semplice di quello che possa sembrare. I maestri più preparati insegnano agli allievi già durante i percorsi di formazione a sapersi estraniare dal mondo esterno, a concentrarsi sul presente, sul fatto, a non soffermarsi sulle opinioni fuorvianti e sulle condizioni limitanti, ad essere tutt’uno con la persona da trattare, ma soprattutto a divenirne tutt’uno con il cosmo.

Possono sembrare aspetti poco rilevanti, al limite delle favole, ma non dobbiamo dimenticare che, per quanto occidentalizzate, molte delle discipline bionaturali sono di origine orientale, hanno millenni di storia alle spalle, sono state spesso tramandate da maestro ad allievo.

Molte di queste pratiche, mancando di letteratura scritta, vengono corroborate di aneddoti, sensazioni ed emozioni che ogni allievo raccoglie dal maestro e che diventano parte integrante del metodo applicativo stesso.

Ho sentito maestri citare fatti ed eventi con maggior enfasi rispetto alle tecniche stesse; di certo c’è il fattore che abbiamo perso molta della nostra capacità di ascoltare, ma non sto parlando di quella semplicemente auditiva, ma di quella più profonda che ci lega uno all’altro in una catena indissolubile fatta di anima.

 

3: approccio corporeo:

È indubbio: il corpo ci parla e soprattutto non mente mai.

È importante per una buona indagine che il riflessologo sappia leggere il corpo delle persone e nei suoi segni ne sappia interpretare la sua storia.

Gli psicosomatismi presenti nel corpo di ognuno di noi sono indelebili e tracciano in noi solchi che spesso non possiamo colmare.

Così come dolori più o meno evidenti ci indicano la necessità di cambiare stile di vita, correggere la rotta attraverso, per esempio, una dieta più adeguata o delle posture più idonee o anche semplicemente cercando di migliorare le nostre relazioni extrapersonali.

Tutto il nostro corpo è come un’immensa carta geografica dove è possibile leggere i confini che abbiamo tracciato nel corso della nostra vita, le battaglie che abbiamo combattuto, vinto o perso.

Le lezioni che l’esistenza ci ha impartito sono evidenti e bastano per farci capire le motivazioni delle nostre stanchezze fisiche o morali.

A volte basta osservare i tacchi delle nostre scarpe per capire che quel mal di schiena potrebbe derivare da una postura errata, da un passo troppo pesante o dal portare il peso del corpo in modo disarmonico.

Tutti i segni evidenti che vanno letti con attenzione perché è lì che il riflessologo dovrà andare a riattivare energie ostacolate. Per questo è molto importante non solo una buona conoscenza della psicosomatica, ma anche della posturologia e della fisiologia.

Molti pensano che la riflessologia sia semplicemente una tecnica di massaggio: niente di più errato. Il trattamento riflessologico in molti paesi orientali è una vera e propria scienza medica e questo è dovuto al fatto che per gli orientali siano molto più importanti gli aspetti di benessere globale che di salute fine a se stessa.

A volte basta semplicemente analizzare il piede della persona per capire come sta camminando nella sua vita: se la sua strada è spianata e il suo passo spedito, se ha difficoltà e quindi arranca o se il suo percorso esistenziale è tutto in salita. E naturalmente non sto parlando di strada fisica, ma di quella più profonda, psichica che ognuno di noi deve fare.

Il piede viene letto dal riflessologo tenendo in considerazione svariati aspetti: forma, colore, odore, struttura, posizionamento delle dita, aspetto delle unghie, squamatura della pelle; calli duroni, cicatrici ed ematomi così come le pieghe della pelle ci parlano della vita della persona e di come questa stia affrontando i suoi problemi.

I piedi solo la parte del corpo che trascuriamo maggiormente; una delle motivazioni è che non è quasi mai in vista.

Il piede destro corrisponde alla nostra parte razionale, quello sinistro a quella emozionale-irrazionale: è per questa ragione che a volte esercitando la digitopressione sul piede destro o sinistro abbiamo, pur toccando gli stessi punti speculari, risultati differenti. Come sempre basta saper guardare con attenzione e ogni segno sarà già l’anticamera della soluzione.

 

4: approccio tecnico

Solitamente questo approccio è quello che il riflessologo esperto utilizza come conferma del quadro energetico dell’assistito che ha delineato.

La metodologia è relativamente semplice e si basa sull’effettuare una digitopressione più o meno accentuata su determinati punti: se il risultato è una fitta dolorante, la sua analisi è stata corretta e potrà procedere in modo sicuro andando a rienergizzare quel viscere,  quell’organo o quella parte muscoloscheletrica. Ciò vale soprattutto per la riflessologia dorsale dove l’analisi viene svolta direttamente sulla colonna vertebrale facendo scorrere le dita: se i segnali lanciati sono doloranti l’emozione bloccata è recente per cui leggendo qual è la zona interessata si va a trattare gli organi corrispondenti. Al contrario, se le dita si bloccano l’energia è ferma da lungo tempo e la sedimentazione ha già prodotto effetti psicosomatici più o meno evidenti che saranno molto più difficili da rienergizzare.

Molti riflessologi che conoscono anche i punti dell’agopuntura utilizzano le mappe della medicina cinese anche se la maggior parte dei maestri non lo ritiene strettamente necessario.

In ogni caso, sia le mappe antiche che quelle più moderne sono sufficientemente precise per poter effettuare un’analisi approfondita e stabilire il metodo di lavoro.

Le tecniche comunque vanno padroneggiate con estrema sicurezza in tutte le fasi di utilizzo: per ottenere buoni risultati non ci si deve affidare mai al caso. Ciò non significa che il riflessologo debba attenersi agli insegnamenti di un’unica scuola. Sotto questo aspetto ritengo che approcci integrati permettano una maggiore risoluzione delle problematiche, aumentino le competenze dell’operatore e, soprattutto, lo rendano più competente negli approcci.

È molto importante che l’operatore non standardizzi mai, ma cerchi di personalizzare il più possibile il suo trattamento, stabilisca uno schema di lavoro ben preciso per più sessioni ed effettui i dovuti correttivi al variare delle situazioni che l’assistito gli segnala di volta in volta. Molte zone devono sempre essere trattate perché sono di vitale importanza per il corretto funzionamento bioenergetico nell’organismo.

Nella fase di indagine è fondamentale che il riflessologo renda edotto il suo assistito della possibilità di trovare zone doloranti così come alla fine del trattamento si potrebbe avere una accentuazione delle problematiche per qualche ora o giorno, oppure si potrebbe manifestare un naturale senso di rilassatezza o stanchezza fisiologica.

Del resto la riflessologia è spesso proposta come metodologia antistress, utile per avviare il processo di autoguarigione contro l’ansia, l’insonnia o altre patologie ben definite. In questo caso è il medico che può prescriverla per queste specificità e sarà cura dell’operatore collaborare e mettere a disposizione tutto il suo sapere per attenersi alla prescrizione medica nell’interesse stesso dell’assistito.

 

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